Opere di

 Ponga


A MIA MADRE

Quanto eri bella mamma
non lo notavo allora:
perfetto ovale
occhi di nocciola
capelli morbidi, ondulati
su un sorriso accennato
che desiderava esplodere
ma sempre rimandato.

Rimandato al privato
a chi non dava giudizi
a chi ammetteva
il diritto alla gioia.
Comunque.
E poi il riso sguaito
il riso liberato
il riso dovuto
dopo tanto pianto.


A MIO PADRE

Eri alterabile
alla luce, all’ombra,
alle sfumature.
E alla bellezza.
Quando l ‘Inconsideratezza e l’Imprudenza
si fecero avanti
tu le facesti accomodare.
Come se fossi stato solo.
Come se io non esistessi.
Eppure sono io che ti porto con me – adesso
dentro quest’urna di generico metallo
tu che generico non eri.
Segnasti i tempi
come mio pausiere:
tu a poppa, io a prua
e lì guardavi.
E sentivo il tuo sguardo
come – adesso – alle mie spalle.
Avanti, vai, guarda lontano!

Ma la mia barca è solo un canestro
con alte sponde, spero,
per il trasporto
d’anime nuove.


ANTENATI

Madide di essenze
sono le vostre anime
effluvi di coraggio
sapienza orgoglio e genericità.

Ma io respirerò
solo il migliore aroma
che scaccerà i miasmi
quando ne avrò bisogno

anime nella mia.

E’ qui che devo attingere
quando mi serve aiuto
quando mi sento asettica
priva di leve ataviche.

Vicina alla bellezza
è l’anima profumata
e può arrestare il Moto
lo disse anche Tommaso1

1 San Tommaso d’Aquino


CYBORG

Hai illustri antenati
uomo intercambiabile,
ricostruibile.
Tu non cerchi proseliti
come Zenone o Crisippo
ma solo parti
e neppure generate.
Non dai un covo all’anima
nella sua aritmia:
c‘è un corpo, tanti pezzi
e nessuna collocazione.


ZINGARI

Sfilaste su dei carri
come esuli d’Egitto
E mentre con le linee della mano
narravate vite confuse,
altri di voi rubavano cavalli.
Incorniciati fra maghi,
cerusici, ciarlatani
e ruffiani,
accendeste sogni ambigui
e veniste dipinti.
Lì sulla tela
apparivate eleganti,
sovraccarichi di amuleti.

Che fate oggi
nei pantani di città sorde e nette
agghindati ancora
sotto strati di rabbia?
Che fate oggi
nelle nostre strade
sempre sfrontati e petulanti?
Ci sono da affrontare nuovi esuli
con volti e storie ancora più lontani.
I quadri non vi accolgono
non avete più cornici.


IVANA

Ivana ha solo una fotografia
sopra una sedia che non era sua
sopra a una sedia a forma di tenaglia
in braccio alla sorella che sorride.

Ivana ebbe soltanto quel vestito
lavato e ricucito tante volte
solo per fare la fotografia
così che non restasse nell’oblio.

Ivana è ricca dei suoi bei capelli
arrotolati come una ghirlanda
ha guance tonde come mandarini
perchè dunque lo sguardo s‘è imbronciato?

Con te ce l’ha fotografo spietato
potevi farle almeno un bello sfondo
il muro sbertucciato non l’esalta
e l’abito di bianco non riluce.

Potevi un po’ aggiustare la miseria
coprire i sandaletti consumati
l’abito a righe come una divisa
della sorella a lato, sola, in piedi.

Non è che già tu forse lo sapevi
che non avrebbe avuto molti giorni?
Spiavi dal tuo buco senza pena
quel che era scritto sopra il suo faccino.

Ci furon giorni vuoti da patire
vuoti di cibo dentro al pentolone
aveva male dentro le budella
– La carne – sentenziò sciocco dottore

Erano brodi lunghi come ere
sostanze sciolte dentro l’acqua pura
patate e cavoli a ribollire dentro
sua madre aveva solo la verdura.

Ivana ha solo una fotografia.
Sopra quel letto per cinque persone
dormiva ai piedi come già sapesse
che un po’ di spazio si doveva fare

Ivana ebbe soltanto quel vestito
lavato e ricucito tante volte
di lei c‘è solo una fotografia
ma a sfondo d’oro come i mandarini.


MATERIA DEI SOGNI

Se fossi stata desta
avrei udito il tuo richiamo
se fossi stata desta
avrei sentito il tuo dolore
se fossi stata desta
avrei alloggiato in te. Ora
sono il coltello nelle tue carni
sono l’elettrodo nel tuo corpo violato
sono il buio della tua cella
sono il pianto del mio abbandono.

Quando le sillabe del mio nome
non sono evase dalla tua cella
cosa sognavo di bello per me?

Odio quel sogno che si è insinuato
voglio stanarlo dov‘è nascosto
perciò le palpebre non chiuderò.
Se chiudo gli occhi vedo l’orrore
sì, io lo vedo da dentro te
sento la voce dalle tue orecchie
tocco la terra con le tue mani.

Quando le sillabe del mio nome
non sono evase dalla tua cella
cosa sognavo di bello per me?

Odio il mio sogno più di quell’orco
che ti strappava ogni ragione
l’odio perché non ti ero vicina
l’odio perché c’era lui insieme a me.
Non ho più sogni, solo visioni
vedo un fagotto di lino egiziano
che sto cullando dentro di me.

Non fossi stato figlio del mondo
saresti ancora figlio mio ma
eri materia per altrui sogni
materia che uccide sbagliando dio.


MISERICORDIA

Sono la madre del bimbo Mosè
che le mie braccia posarono piano
sopra il catrame di quella barca
ché lo approdasse non troppo lontano.

Fui io ad amputare il nostro cordame
per affidarlo alla cura del mare
la mia preghiera fu una litania
ma forse equivocai la liturgia.

Forse quel dio era sbagliato,
forse quel giorno era bisesto
forse il mio bimbo ho fatto troppo scuro
per esser visto nella notte nera.

Su quella barca troppo affollata
fosti pestato come straccio
da piedi grandi senz’altri appigli
che non fossero sure ed orazioni.

Ma galleggiasti come Verità
tutta una notte di luna piena
luce votiva sul tuo destino
incontro al quale nulla poteva.

Poi da quel mare con troppe rotte
più fondo della mia disperazione
piccolo esploratore senza oriente
finisti su una terra sconsacrata.

Bimbo, mio bimbo, spiaggiato fra conchiglie
che ora tintinnano sulla riva
spero ti intonino la melodia
della mia ninna, dopo la cena.



Il Club degli Autori - Concorsi Letterari - Montedit - Consigli Editoriali - Il Club dei Poeti
Chi siamo
La Rivista
La voce degli Autori
Tutti i nostri Autori
Per iscriversi
ClubNews
Il notiziario gratuito
Ultimi inserimenti
Homepage
Avvenimenti
Novità & Dintorni
i Concorsi
Letterari
Le Antologie
dei Concorsi
Tutti i nostri
Autori
La tua
Homepage
su Club.it