Lo zibaldone lunare

di

Adriana Valenti


Adriana Valenti - Lo zibaldone lunare
Collana "I Gelsi" - I libri di Poesia e Narrativa
14x20,5 - pp. 36 - Euro 6,50
ISBN 978-88-6037-9627

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In copertina fotografia dell’autrice


Prefazione

Adriana Valenti, con infinita dolcezza, racconta alcuni momenti importanti della propria vita in un susseguirsi di ricordi che si ammantano, di volta in volta, di lirismo e di esperienze esistenziali sempre riportate alla mente con un gusto amorevole nel raccontare di sé e del mondo circostante.
Alcune poesie fanno da introduzione lirica alle memorie di una donna che riconducono ai ricordi del proprio vissuto. Ecco allora che i frammenti esistenziali rimandano al periodo dell’infanzia quando con i fratelli più piccoli giocava con il cavallo a dondolo e con l’altalena o ai ricordi della propria famiglia con la figura sempre sorridente della nonna come a risentire il profumo fresco di bucato delle lenzuola; poi il volto sempre gioioso di suo padre che giocava con i figli ed amava circondarsi di amici o la mamma sempre affettuosa e pronta ad accontentare tutti come quando raccoglieva le lumache che cucinava molto bene.
Poi, come in una proiezione nel mondo del passato, quando frequentava la scuola media ed il ricordo del suo amore per il flauto che suonava con passione; così i pomeriggi a fare spese nel centro o le giornate passate alla cassa del negozio di famiglia e il ricordo di suor Santina alla quale raccontava ogni cosa e scriveva lettere con una profonda condivisione delle esperienze della vita.
Non possono mancare i ricordi di numerosi animali che hanno fatto compagnia come lo scoiattolino Fiore, il canarino Titino, la cagnolina Golia, una barboncina nera con striature bianche e la gattina tigrata o la tartaruga e i pesciolini rossi: altre immagini restano impresse nella mente e riguardano occasionali incontri come il fulmineo avvistamento di una bellissima volpe nel giorno di ferragosto, la vista di un pavone che mostrava il suo elegante ventaglio, un magnifico laghetto con degli eleganti cigni, o quella volta che, grazie ad un amorevole gesto, aveva salvato un povero riccio che si era avventurato sulla strada.
Un tuffo nel passato come a risentirne il dolce profumo, a vivere ancora l’amore meraviglioso della propria famiglia, a gustare di nuovo le profonde emozioni, le inebrianti sensazioni che hanno accompagnato durante il cammino così come le suggestive immagini accompagnate dal desiderio di lasciar “librare” il proprio essere quasi ad estraniarsi dal resto del mondo per raggiungere una fusione con il proprio profondo sentire, un sentimento autentico e sincero.
La spontaneità del suo raccontare è fondamentale per rendere nel modo più fedele le infinite emozioni e l’intenso recupero memoriale che attinge le parole dal cuore, pervadendole di viva luce.
Il suo sguardo alle cose della vita è sempre dolce e capace di vedere ciò che esiste di positivo in ogni vicenda, in ogni frammento della vita, in ogni situazione vissuta.

Massimo Barile


Lo zibaldone lunare

Wwf di Valpredina

L’oasi è immersa nel verde boscoso:
all’ingresso un bel cagnolino ci accoglie
e ci accompagna al centro visite.
Una colomba bianca spicca il volo,
la seguo sognante,
altre colombelle di diversi colori le si accostano,
tutte incuriosite dall’arrivo di nuovi ospiti.
Il percorso natura si estende a numerosi settori,
inizialmente troviamo una sequenza di piante magnifiche;
dal faggio, alla sequoia gigante, all’abete rosso, al rovere
e altri esemplari anche esotici.
Il prato è decorato con tulipani gialli,
rossi e narcisi, primule e violette.
Spiccano grandi alberi di magnolie rosa
e bianche, una macchia verde estesa di olivi,
uno stagno.
Lungo il percorso la voce del cuculo si ode
tra i boschi.
Il sentiero prosegue in salita.
Ad un tratto un capriolo ruminante
si intravede in un recinto.
L’amico coniglietto festoso si arrampica sulla testa dello stesso.
A destra spunta una testuggine di media grandezza che sembra salutare i nuovi arrivati. E via via che si sale per il sentiero la voce del bosco si ode silente. Di tanto in tanto un cuculo risonante di eco canora. Gli animali nascosti nelle loro tane usciranno all’imbrunire, la varietà predominante è notturna: dal gufo, alla civetta, alla faina, al ghiro, alla volpe… Sui maestosi alberi si scorgono piccole casette di legno con un foro, rifugi per volatili. Scendendo nell’immersione verdeggiante tutto pare permeato di colore, un’esplosione di luce dipinta di rosa, bianco, rosso e giallo. Sapore di oasi lussureggiante silenzio.


Il Glicine

Odore d’infanzia
fiore rosato dai grappoli ciclamini
sei fresco e profumato
festoso e colorato
l’occhio osserva
il glicine dei ricordi
ovunque ti trovo
la memoria mi porta
là, nell’enorme terrazza d’infanzia
sopra di noi
il glicine dal dolce profumo
un tuffo nel passato colorato.


Psicologia di massa/Nervosismo sociale

L’essere proiettato nel mondo,
immerso in una folla estranea,
paura dell’altro,
ansia di sentirsi di troppo,
dell’essere giudicato,
del pregiudizio ambientale.
Richiamato da un semplice fischio,
infastidito da mille gesti,
rumori di animali sociali
che si agitano per un nonnulla.
L’ansia, la fobia, l’infelicità:
l’essere ha voglia di librarsi
ed estraniarsi dal resto del mondo,
celarsi dietro un angolo di fiori variopinti,
dimenticando il nervosismo sociale
che rode nel profondo
l’essere.
Voci schiamazzanti nella piazza,
risate strane,
atteggiamenti incontenuti,
studio provocatorio del meccanismo sociale
che si cela
dietro volti mascherati di salsedine,
odio e nulla.
Gesti inopportuni,
voci petulanti,
la ragion d’essere
puntando il dito verso l’altro,
una continua lotta
di insensate menti
che dilagano
in un vortice senza fine
infliggendo con suoni,
parole, gesti meccanici,
un pugnale di richiami amari
sottolineando il limite intellettivo
della malvagità
di cruento odio sociale!


Ricordi di famiglia

Il ritratto della nonna è indelebile. Quando mi trovavo da lei, nei periodi di vacanza, dormivo nel suo lettone anche se la stanza era molto fredda. Ci mettevamo sotto le coperte e ci riscaldavamo subito. La nonna era pulitissima, le lenzuola profumavano di bucato, bianche e freschissime. Era una gran lavoratrice, inarrestabile. Oltre alle faccende domestiche, gestiva insieme al nonno il negozio di carni. Purtroppo il nonno mancò presto, ho un vago ricordo di lui. Continuarono l’attività i due figli; avevano altri negozietti sparsi qua e là, così mi raccontava la mamma.
Il letto della nonna era molto alto e facevo fatica a salirci sopra. Lei amava lavare i panni di piccole dimensioni presso un corso d’acqua che scorreva vicinissimo a casa. Portava il sapone di Marsiglia, il secchio contenente i panni, li fregava ben benino, li risciacquava nell’acqua che scorreva veloce e li strizzava. Vi era un piano in discesa di cemento fatto apposta per il lavaggio del bucato. Una volta le scappò di mano un panno e non riuscì a riprenderlo con suo grande dispiacere!
Cucinava molto bene e sempre per parecchie persone, non buttava via neppure un pezzo di pietanza. Ho visto una sua foto, di quando era giovane, con i bimbi piccolini intorno a lei impeccabilmente vestiti e profumati con corredini fatti da lei su misura. La figura della nonna è suggestiva, raffinata, classica, dal carattere forte e sempre sorridente. Facevamo tante risate insieme! Quando soggiornava da noi una settimana o più, era sempre agitata, nessuno doveva muovere un dito, né per le pulizie né per la cucina. I miei fratelli la facevano disperare, magari aveva appena rifatto i letti e loro si mettevano a saltarci sopra e lei gridava in dialetto bergamasco: “disperati giù dal letto”! Tutti ridevamo, poi li rincorreva per dar loro una manica di legnate, ossia le buscavano.
Una volta, abbracciandola, la feci sprofondare sul lettone della mamma che si sfondò. Lei preoccupata diceva: “poverino il mio Emilio, gli abbiamo rotto il letto”! Quando partimmo in vacanza per Venezia, portammo anche lei; aveva una pelle bianchissima color latte e visto che non aveva messo alcuna crema protettiva, si era ustionata. La notte, nella stanza d’albergo, la si sentiva lamentare per il bruciore: “ che bruciore” ripeteva! Poi i letti scricchiolavano appena ci si muoveva un po’.
Mentre mio papà aveva un carattere d’oro, sempre allegro e sorridente. Riusciva a rallegrare l’atmosfera in un attimo. Voleva essere sempre circondato da gente, in effetti sul lavoro era tra la gente che serviva con cordialità, gentilezza e tanta umanità. Sapeva giocare con i suoi figli, li faceva divertire e cercava di iscriverli ai vari corsi sportivi, visto che aveva un’alta considerazione delle attività sportive in genere. Al mio ritorno da scuola, era un eterno raccontare e fluire di notizie, era facile il dialogo con lui, sempre presente e pronto allo scherzo come al ragionamento, il perno intorno al quale ruotavamo tutti. Ero particolarmente affezionata a lui, mi sentivo presa in considerazione e sicuramente anche un po’ viziata.
Un genitore cerca sempre di dare il meglio di sé e lui rientrava perfettamente in questo ruolo. Amava circondarsi di amici, soprattutto organizzando cene e serate in compagnia, invitando gente sempre diversa, dai clienti, agli amici e così via. Sapeva farsi voler bene, non l’ho mai visto senza il sorriso sulle labbra, la sua vera identità era stampata sul volto, un volto gioioso, festoso, in armonia con tutti. Amava la sincerità e il nostro era un dialogo aperto, naturale, senza artificio.
D’estate ci portava in villeggiatura: trascorremmo i nostri giorni di vacanza più belli in una villetta in campagna. Mia mamma si rilassava al sole. Ogni giorno ci inventava nuovi giochi con i cugini che venivano a trovarci. Papà se ne partiva la mattina e rientrava la sera dopo il lavoro. Avevamo una piscina sul terrazzo, di quelle componibili, ci divertivamo un mondo e le mie cugine erano sempre le benvenute. La sera i miei fratelli ed io salivamo su e giù dalle collinette dietro la villetta, addirittura i miei fratelli utilizzavano una specie di bob o slitta da neve e scendevano dalle colline erbose quasi fossero innevate. L’odore di erba appena tagliata, i cespugli di more, le lucciole che si illuminavano qua e là nel prato. Tutto questo rasserenava e dava allegria. La mamma, dopo ogni temporale, ci portava a raccogliere le lumache; un piatto che piaceva molto a mio papà. Che bella sensazione era quella di trovare nei vari punti della campagna tante lumache. Nelle nostre teste c’era sempre l’idea di chi ne raccogliesse di più, quasi se alla fine della camminata dovessimo ricevere un premio. Dopo la raccolta, mia mamma le metteva tutte in una vasca e le infarinava lasciandole per qualche giorno. Le sapeva cucinare benissimo, come piacevano a papà, il quale era l’unico che le mangiava perché sia a mia mamma che a noi non piacevano affatto. Un altro piatto di campagna era la cosiddetta cicoria, dal sapore un po’ amarognolo che si soleva accompagnare con uova sode.
Mamma Mary era sempre pronta a dire di sì, ad accontentarci. Chiedevamo una cosa che magari papà ci negava e lei, pur di renderci contenti, cercava di soddisfare le nostre aspettative. Era sempre presente, la regina del focolare domestico, dedita amorevolmente alla cucina e ai propri figli. Sapevo che, se le chiedevo qualcosa, non potevo aspettarmi una risposta negativa, sempre quel dire sì alla vita che soprattutto alla nostra tenera età ci faceva piacere sentire. Magari, a volte, gridava quando proprio la facevamo arrabbiare ma difficilmente succedeva questo, perché aveva un carattere pacato, tranquillo e sereno, una mamma generosa che non picchiava mai o raramente.
Papà, invece, se i miei fratellini risultavano essere indisciplinati, li metteva in castigo sgridandoli ben benino o “dandogliene due”, sferrando loro qualche sberla se questo fosse stato necessario, proprio perché erano veramente tremendi. Quando mamma Mary era dedita alla preparazione del minestrone, facevo il giro del tavolo per avere una carota cruda già lavata e pulita da mangiare o un pezzettino di burro oppure qualche altra verdura cruda appetibile. A tutti e tre piaceva degustare i prodotti freschi al momento della preparazione.
Quasi pare di ricordare il sapore di questi prodotti genuini. Invece a pranzo, avendo meno tempo da dedicare alla cucina, preparava o bistecche grigliate con insalata o pasta al pomodoro, insomma cose molto veloci. Un pasto che mi piaceva la sera era il semolino con il brodo vegetale oppure la minestrina con contorni di verdure lessate o una tazza di latte e dei toasts con prosciutto cotto e sottilette. La mamma sapeva preparare delle magnifiche pizze, alte e gustose. La sera, dopo il carosello, soprattutto durante il periodo scolastico, papà e mamma ci obbligavano ad andare a letto. Il bel carosello degli anni ’60 ci attirava, eravamo quasi ipnotizzati da questo magnifico quadro pubblicitario.
Allorché uscivamo dalla cucina quatti quatti, entravamo nel salotto e percorrevamo il lungo corridoio, la prima stanza era quella dei miei genitori poi c’era quella dei miei fratelli e infine la mia cameretta a due letti con scrivania e armadio. Spesso e volentieri i miei fratelli, anziché addormentarsi, iniziavano a far casino e non mi lasciavano dormire. Allora, dopo un po’ di baccano perdevo la pazienza e percorrevo tutto il corridoio fino ad arrivare alla cucina e dicevo a papà: “non mi lasciano dormire”! “Adesso arrivo io”! rispondeva “e li sistemo subito”! Infatti arrivava nella cameretta e dava loro una lieve strigliatina. Questi erano capaci di fare ancora casino e ridersela. Non contenta, ritornavo da papà che li sistemava per le feste; le buscavano questa volta, addirittura ricordo di una volta che papà era andato su tutte le furie e diede un calcio al porta pigiama in peluche che si sfondò alla grande. Dopodiché un silenzio profondo, non si muoveva una foglia, finalmente potevo dormire tranquilla.
L’indomani mattina, era papà che veniva a darci la sveglia; apriva le finestre e dava il buongiorno. Ah, dimenticavo, la sera, prima di accomiatarci davamo i bacetti alla francese che ci aveva insegnato sin da piccoli, si dava la buonanotte a entrambi e via a letto. Ricordo i giorni d’infanzia quando la mamma ci portava “una bella cosa”, ossia dei dolciumi per allietare la giornata. Mamma e papà scendevano “da basso”, così dicevamo per indicare il piano sottostante dove era collocato il negozio, il primo che mio papà aprì in centro. L’abitazione era sopra il negozio al primo piano e quando la mamma ci salutava dopo la colazione per scendere ad aiutare papà, noi restavamo soli…sapeste cosa combinavano i miei fratelli!
Calcolate un’età di 8-6-4 anni. Io ero la prima figlia, due anni dopo di me nacque il secondo e l’ultimo della serie aveva quattro anni meno di me. Giocavamo nella grande terrazza esterna tapezzata da giochi diversi: l’altalena, il cavallo a dondolo, le biciclette, il triciclo, i pattini, la pallina con il filo da mettere intorno alla caviglia, la corda, il trenino elettrico e via di seguito. Era un andirivieni dall’interno delle stanze verso l’esterno e per velocizzare, i miei fratelli saltavano da una finestra della camera dei miei genitori direttamente nella terrazza adiacente. Nel secondo terrazzo, c’era una piscina di quelle componibili e d’estate si faceva il bagno. Schiamazzi, urla e capitava di accendere il piccolo giradischi ed ascoltare tutte le canzoni degli anni ’60-’70. Quando la mamma arrivava verso le 13.30 dal negozio, ci portava la cosiddetta “bella cosa” che ci aveva promesso all’inizio se avessimo fatto i bravi. Ne combinavano sempre una i miei fratelli; un giorno misero il cane in lavatrice e il gatto in frigorifero. Non contenti piazzarono il criceto sulla stufa calda, questo povero animaletto pareva che ballasse sulle zampine. Fortunatamente non sapevano avviare la lavatrice! La mamma era arrabbiatissima per tutto il caos che avevano combinato e li minacciò gridando a voce alta: “ il premio non ve lo meritate oggi”!


Racconti di animali vari

Memore della mia infanzia, gettai gli occhi su questi piccoli animali, rimembrandoli come se fossero tuttora presenti. Lo scoiattolino Fiore era vispetto, un giorno scappò in negozio e non riuscimmo a riprenderlo. Lo ritrovammo senza vita dopo qualche giorno. Il canarino Titino cantava benissimo e chiamandolo per nome rispondeva: “Cip”, e Golia il mio barboncino si metteva ad abbaiare per gelosia. Titino, amava salire sull’altalena e dondolarsi o assaporare le foglie di lattuga fresche e i biscottini che di tanto in tanto mettevo nella sua gabbietta. La sera mettevamo un asciugamano sopra la gabbia per evitare che la mattina iniziasse a cantare troppo presto vedendo troppa luce. I due cricetini roteavano sulla loro ruota, appositamente studiata per questi animali. Il rumore della ruota era continuo, erano appassionati a questo gioco. Quando sgranocchiavano i semi di girasole, se li tenevano con quelle piccole manine, erano tanto buffi! E poi non parliamo dei cagnolini: ve ne elenco alcuni che sono entrati a casa mia; il volpino tedesco era cacciatore di galline, una volta arrivò da noi il contadino dicendo che gliene aveva fatte fuori alcune. Dovemmo risarcirgli i danni. Il pincher che aveva acquistato papà era tutto nervosetto. Mio padre lo portò con sé a vedere la partita e lo perse strada facendo. Che brutta sorpresa! Comprò un altro pincher. Abbaiava spesso, soprattutto se sentiva strani rumori. La mia cagnolina preferita è stata Golia, un barboncino nano dal pelo nero con striature bianche. Mi ero affezionata a lei. Da piccola era molto vispa e amava giocare con il pallone oppure fare salti altissimi per riuscire ad afferrare qualcosa che avevamo fra le mani. Quando venne acquistata, la persona che ce la portò a casa la mise in una gabbia insieme ad un canarino durante il trasporto, ecco perché Golia non aveva simpatia per i canarini.
E adesso vi racconto la storia di un piccolo piccione che soccorsi in mezzo alla strada: accostai verso il marciapiede e riuscii a prenderlo dopo vari tentativi portandolo nei giardini pubblici. Un altro episodio che ho vivamente impresso è la vista di un magnifico esemplare di beccaccino con una bellissima coda mentre salivo a piedi verso Bergamo Alta.
Un’altra volta, ero appena salita sul bus per tornarmene a casa e vidi una libellula stupenda. Era spaventatissima perché non riusciva ad uscire. Allora spalancai i finestrini e l’esemplare uscì velocemente, finalmente libero. Da non dimenticare le tartarughine acquatiche, così carine! Stavano in una piccola vaschetta, si immergevano un po’ in acqua e poi si riposavano sulla sponda artificiale creata per loro. E i pesciolini rossi, così panciuti, nella loro boccia di vetro, forse mangiavano un po’ troppo!

[continua]

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