Con questo racconto è risultato 9° classificato – Sezione narrativa alla XVI Edizione del Concorso Città di Melegnano 2011
Questa la motivazione della Giuria: «Un incontro militare nel deserto tra due squadre elicotteristiche, una italiana e una araba. Il racconto, ricco di termini tecnici e descrizioni realistiche di contesto militare, tende a stupire con un linguaggio essenziale e pragmatico, molto usato nella filmografia americana.
Ma la reale sorpresa è l’idea dell’autore, una speranza utopistica per quanto efficace: il presidente di uno stato arabo produttore di petrolio si inventa una nuova fonte di energia eolica e solare, che sfrutti gli elementi naturali del deserto, e metta al bando il petrolio, considerato materia prima che però è fonte di miseria per il popolo e di prevaricazione finanziaria e sociale per i potenti.
La descrizione del presidente arabo, con guardie armate femminili e la sua eleganza islamica ricordano il colonnello Gheddafi, ma è proprio questa la parte onirica e inconsciamente ironica del racconto.
Il finale è pieno di fascino: partiti gli elicotteri, resta solo l’immagine sacrale del deserto e del ghibli che soffia negligente».
Alessandra Crabbia
Incontro nel deserto
Alle tre del pomeriggio la squadra avvertì nel vento il tipico frullare delle pale di un elicottero ancora lontano ma in avvicinamento.
Bianca ordinò a tutti di armarsi immediatamente e di porsi al riparo delle barriere: «Mettete gli occhiali polarizzati, tutti!» poi:
«Attendiamo di sentire bene da dove arriva e ci appostiamo dalla parte contraria, è chiaro?» urlò.
Ricordò al tenente di schierare i suoi alle due estremità laterali del campo con le mitragliatrici MG 7,62 mm. e con i tiratori scelti messi al centro, due per ogni spazio tra le barriere protettive.
Quelli che si trovavano a circa un terzo dal centro dovevano tenere pronti anche i Panzerfaust.
In meno di un minuto tutti erano ai propri posti come previsto dallo schieramento protettivo di base.
Il rumore si avvicinava, molto lentamente ma era più forte del frullare di un solo elicottero.
«Sembra che siano più di uno», bisbigliò Bianca a Franz tendendo gli orecchi e puntando il binocolo verso Sud. Poi lanciò un’occhiata verso Iole e Italo appostati alla barriera adiacente.
«Tieni pronto il cellulare con il numero di emergenza !» le suggerì Franz.
Anche il radar li aveva individuati; ma erano tre i punti in avvicinamento e il radarista aveva dato la voce a tutti: » Sono tre! Sono tre da sud-sud ovest!»
«E mi sembra anche che vadano piano, come se ci cercassero» soggiunse Franz.
«Ma come fanno a venire di giorno e addirittura con gli elicotteri!?» si lamentò ad alta voce Gino «Che cosa fa l’aviazione amica! Questi sono spudorati! E come fanno a sapere che siamo qui!»
I tre elicotteri erano ormai visibili ma non ancora le loro insegne e i dettagli. Volavano in formazione allineata di lato come se i due esterni proteggessero quello nel mezzo che volava un po’ più alto degli altri due.
Quando furono abbastanza vicini la squadra capì che il loro accampamento era stato individuato perché i due laterali lasciarono la formazione e si disposero uno dietro l’altro mentre il terzo si era fermato in aria. Era una strana manovra.
«Che nessuno spari senza mio ordine, ok?» urlò Bianca all’improvviso.
I due elicotteri sempre molto lentamente si avvicinavano e la squadra vide che da un finestrino agitavano una bandiera bianca.
Quando furono a circa duecento metri riconobbero le insegne dell’aviazione amica e Bianca si alzò di scatto lasciando il suo AR 5,56 a terra. Gesticolò con le braccia alzate alla volta degli elicotteri, come per un saluto di benvenuto.
«Alzatevi tutti, lasciate a terra le armi ma non vi allontanate dalla posizione. Il radarista rimanga allo schermo!» ordinò Bianca. «State bene in vista».
Gli elicotteri cominciarono la loro discesa sollevando nuvole di sabbia e pulviscolo che il vento spazzò via in qualche secondo.
Si disposero a circa cinquanta metri uno dall’altro. Un terzetto di soldati scese da un elicottero e si avviò verso l’accampamento mentre il terzo elicottero atterrava in mezzo agli altri due.
Mentre la rotazione delle pale si spegneva i tre soldati amici chiaramente ufficiali erano giunti al campo attesi da Bianca e dalla sua squadra di capitani all’esterno delle barriere.
I due gruppi si salutarono militarmente e uno dei tre disse in perfetto italiano rivolto a Bianca :
«Colonnello, permetta che mi presenti. Sono il maggiore Jalal Faraj dell’aeronautica e questi sono i capitani Zahra Salah e Fatma Ilhami. Io sono anche il traduttore che favorirà il suo incontro con il nostro Presidente, ansioso di conoscerla. Si trova nell’elicottero che lei può vedere al centro dei tre».
Tutta la squadra sbalordita si voltò d’istinto a guardare e videro alcuni militari che stavano già issando una tenda, aperta da due lati, vicino all’elicottero centrale.
Questo era un Chinook Ck 47-C a due rotori, evidentemente modificato: esibiva un cannoncino da 20 millimetri a tre canne rotanti Gatling. Bianca l’aveva già visto ma in quel momento non ricordava dove.
Dall’altro elicottero alcuni militari stavano portando verso la tenda materiali che non riuscivano a identificare da così lontano. Altri soldati si erano sistemati dietro la tenda, a protezione verso sud di quell’improvvisato campo d’atterraggio.
La sorpresa per l’arrivo del Presidente non aveva fatto capire alla squadra che i due capitani erano donne anche perché la lenta discesa dall’elicottero di una persona avvolta in una lunga veste bianca aveva catturato la loro attenzione.
«Oh! Gesù Santo!» borbottò Gino
Il maggiore Jalal aveva tenuto d’occhio l’operazione di discesa del Presidente dalla scaletta e i suoi passi verso una sedia o una poltrona o qualcosa che non si capiva bene da lontano. Il Presidente vi si era seduto.
A questo punto il maggiore propose: «Colonnello, possiamo andare: anche i suoi ufficiali, se lei vuole. Devo però chiederle di lasciare qui qualsiasi arma che abbiate addosso».
«È comprensibile»convenne Bianca. Poi rivolta ai suoi: «Ragazzi, lasciate le armi e le cartucciere. Andiamo».
Aveva notato che le operazioni di disarmo erano seguite con attenzione dai due capitani, pronte come faine, armate con pistole di costruzione sovietica. Anche il maggiore era armato.
Si mossero verso la tenda nel cui perimetro altri soldati e ufficiali donne stavano sul riposo.
Bianca avvertì sottovoce i suoi: «Ricordatevi che lui conosce l’inglese alla perfezione e che io e Iole conosciamo l’arabo».
Prima di entrare nella tenda Franz e Bianca avevano visto che gli elicotteri erano armati di missili.
Il Presidente era seduto su una poltrona in marocchino rosso e molte altre poltroncine da campo erano poste a semicerchio di fronte a lui. Alle sue spalle due donne, guardie del corpo, erano armate di kalashnikov portati a tracolla. Tutti erano in divisa e berretto dello stesso colore ma le donne lo avevano con una fascia rossa che spiccava sulle loro fronti bianche. Gino aveva contato venti militari donne.
Il Presidente indossava occhiali da sole che si tolse al sopraggiungere della squadra. I sei ufficiali italiani scattarono sull’attenti e resero il saluto militare fino a che Bianca ordinò il riposo e tutti si tolsero gli occhiali. Anche la scorta presidenziale aveva risposto sull’attenti al saluto degli italiani.
Il Leader pronunciò qualche frase in arabo che il maggiore Jalal tradusse:
«Il nostro Presidente dà il benvenuto in patria a lei, colonnello e alla sua squadra e v’invita ad accomodarvi sulle vostre poltrone».
«Siamo tutti onorati di essere qui a fare del nostro meglio per le nostre nazioni», disse Bianca sedendosi e guardandolo sempre negli occhi.
Il turbante bianco gli dava un’aria maestosa ma gli ingrossava la testa che invece lei ricordava molto più snella e proporzionata. Notò anche, come tutta la squadra, che il Leader teneva in mano un rosario di colore nero, snocciolato continuamente e tenuto bene in vista.
«Ci avete fatto viaggiare molto di più di quanto credessimo. Siamo rimasti sorpresi di non trovarvi alla trivella e abbiamo capito che vi eravate spostati verso nord» tradusse il maggiore.
«Dopo due mesi di campo laggiù era arrivata l’ora di spostarci, Presidente, e fare le nostre prove su questa fascia di territorio».
«Ma vi sarete spostati proprio ieri perché dall’alto abbiamo visto ancora le vostre impronte sulla sabbia attorno alla trivella» fu la traduzione delle sue parole.
«Ma come!» si disse Bianca lanciando occhiate ai suoi che avevano avuto il suo stesso pensiero «Non è possibile che là dopo quattro giorni di vento ci siano ancora le nostre impronte! Qualcun altro c’è stato dopo di noi e non per darci il benvenuto!»
Rimase per qualche attimo nel dubbio se informare o no il Presidente di quello che avevano fatto per fuorviare assalti terroristici.
Pensò velocemente: Lui certamente sapeva dell’attacco alla loro nave nel Grande Golfo ma non sapeva e forse non doveva neanche sapere che ci fosse una spia nel Ministero degli Esteri Italiano. Almeno non per ora e certamente fino a quando non ne fossero stati sicuri.
In ogni caso doveva essere il Generale se non addirittura il nuovo Ministro degli Esteri, Olivieri, a informare il Leader: non lei o qualcuno della squadra.
Presa questa rapida decisione, Bianca rispose: «Signor Presidente, in effetti, siamo arrivati qua proprio ieri e stavamo montando l’accampamento quando lei è arrivato. Ovviamente non la aspettavamo e le confessiamo che ci siamo preoccupati un po’».
Dopo la traduzione, il Presidente sorrise:
«Mi dispiace molto di avervi disturbato: non era il mio scopo né la mia intenzione. Non ho ancora nessun riferimento telefonico per parlare con lei, Colonnello, e non lo farò più in futuro.
Ma, poiché il governo italiano non ha più l’amico Santini agli Esteri e il nuovo Ministro, Olivieri, non è ancora a piena conoscenza di tutti gli affari del suo Ministero, mi sono deciso a venire per capire direttamente da Lei come stiano andando le vostre prove. Cioè qual è lo stato di avanzamento della mia idea».
Dopo la lunga traduzione, Bianca e la squadra erano sbigottiti.
Franz non riuscì a trattenersi; non voleva perdere l’occasione di sentirsi dire direttamente dalla bocca del Leader quale fosse la verità sulla nascita dell’idea, quali obiettivi nascondesse e perciò chiese, con la meraviglia stampata in viso: «Mi scusi signor Presidente, ma ci ha appena detto che l’idea delle centrali eoliche e fotovoltaiche è sua?»
Lui non guardò Franz e fece stizzito a Bianca: «Forse il suo capitano non crede che io possa avere delle idee?» A quelle parole si erano tutti irrigiditi e Bianca corse ai ripari.
«Presidente, non ci fraintenda, la prego. Nessuno ci ha informati, forse nella fretta dei preparativi»mentì «di come sia nata e chi fosse il padre di questa idea che io e i miei consideriamo straordinaria e lungimirante fin dal momento in cui il Generale Biondi ci ha incaricato di questa missione» continuò:
«In tutta sincerità, le assicuro che ci siamo tante volte chiesti chi e perché avesse partorito l’idea di mettere a frutto le immense capacità energetiche del sole e del vento».
Lasciò che il traduttore completasse e soggiunse:
«La sua affermazione di paternità ci ha spiazzato perché pur avendo ciascuno di noi la più grande ammirazione per un Presidente come lei che ha costruito il “Grande Fiume”, però sappiamo anche quali e quante siano le vostre risorse petrolifere. E fino a un momento fa non pensavamo che lei ricercasse alternative al petrolio».
Il Presidente lanciò uno sguardo compiaciuto sulla squadra e Franz sentì il calore ritornargli nella schiena.
Poi fece un cenno alla scorta e due guardie si accostarono, senza armi e senza berretto, portando un enorme vassoio d’argento cesellato: vi erano poggiate tazze, cucchiaini, due zuccheriere, tovaglioli di lino e due bricchi anch’essi d’argento. Uno era per il tè alla menta e l’altro per il caffè.
Gli oggetti metallici erano abbelliti dall’incisione con smalti policromi della bandiera nazionale e di altri simboli.
I tovaglioli erano rifiniti con la stessa bandiera e gli stessi colori. Bianca e Iole ammirarono quei ricami qualche secondo in più di quanto avevano fatto gli uomini con le zuccheriere.
Le due guardie si muovevano con insospettabile grazia e lui le chiamò «figlie mie» quando indicò loro dove poggiare il vassoio: giusto a metà fra sé e Bianca.
Le due donne chiesero in inglese a ognuno della squadra cosa volesse bere e sorridendo li servirono. L’Ospite di casa lo fu per ultimo: questa cortesia era un onore per la squadra italiana di Bianca.
Dopo che ciascuno ebbe sorbito la bevanda preferita, le due guardie ritirarono le tazze e portarono via tutto.
Il Presidente iniziò a parlare appoggiandosi allo schienale del suo scanno:
«L’anno scorso è stato completato uno studio ordinato a due aziende di caratura mondiale, una francese e un’italiana per accertare la reale entità dei nostri giacimenti di petrolio. Le due aziende hanno lavorato ognuna senza sapere dell’altra, separate anche territorialmente, senza incontrarsi mai. Questa separazione c’era necessaria ed è servita per verificare l’affidabilità dei dati riscontrati.
Non era la prima volta che avevo varato verifiche di questo genere ma fino a dieci anni fa ci erano bastati dati approssimati per dormire sonni tranquilli, grazie ad Allah, l’Onnipotente.
Questo è il primo tassello della mia determinazione.
Una seconda realtà si è presentata di recente sulla scena petrolifera; mi riferisco a quell’oceano di petrolio di buona qualità trovato in Kazachstan che ha il solo difetto di essere lontano, molto lontano dai punti di consumo.
Sì, sono anche sicuro che costruiranno moderni e dispendiosi oleodotti ma a costi altissimi che renderanno ancor più competitiva la nostra energia naturale, quella del sole e del vento che Allah ha dato ai suoi figli africani.
Questo è il secondo tassello del quadro complessivo». Si fermò per riassestarsi sullo scanno e puntando i gomiti sui braccioli proseguì:
«C’è un terzo tassello che si deve incastrare nei primi due.
Voi certamente sapete – è stato riportato e anche spesso male interpretato dalla stampa di tutto il mondo – che io ho personalmente tentato più volte di pacificare e riunire le varie e bollenti anime, tutte figlie di Allah il misericordioso, che popolano la nostra Africa.
Il progetto di una Lega pan-africana e degli Stati uniti Africani non è stato mai capito ed è anche naufragato. Troppe volte!
Ma io non ho mai rinunciato, perché è una cosa buona che Allah mi ha voluto ispirare.
Ed ecco come i tre tasselli si completeranno». Si zittì mentre la squadra italiana e la scorta del Leader mantenevano un teso silenzio.
Con un gesto della mano, con un’occhiata e con un abbassamento del mento richiamò l’attenzione delle guardie che in breve ritornarono con l’enorme vassoio e tutti bevvero ancora.
Poi il Presidente riprese:
«Voi italiani, con l’aiuto di Allah, sarete l’amalgama dei tre tasselli.
Sono sicuro che i vostri rilievi avranno successo e assieme creeremo energia dal deserto. Quando i primi chilowattora arriveranno in Italia e nelle nostre città da nord a sud, sarà chiaro a tutti che la nuova energia ridurrà il petrolio in secondo piano». Dette tempo al traduttore e poi riprese:
«Non riuscirà a eliminarlo, certamente, ma lo ridimensionerà: sarà sullo sfondo della scena energetica mondiale. Non avrete più bisogno dell’energia atomica, no!
Noi e l’Italia avremo messo anche quella ai margini del fabbisogno di energia dell’umanità».
Si fermò qualche istante. Sembrò a tutti che avesse parlato guardando oltre i suoi ospiti, verso il deserto alle loro spalle.
Continuò: «Quando ogni governo al mondo capirà che la produzione di energia elettrica dal sole e dal vento non sarà marginale ma diventerà anche affidabile e perpetua, avremo raggiunto ogni mio obiettivo.
Infatti, quelli che oggi hanno la più cospicua produzione di greggio avranno un quarto dei loro attuali guadagni e saranno costretti ad ammettere che io avevo ragione quando dicevo che non si può dormire sugli allori e continuare a farsi auto d’argento, barche d’oro e piste da sci sul mar Rosso.
Allah ci ha dato il petrolio perché noi lo sottraessimo ai colonizzatori, per dividerlo con i poveri, per elevare il popolo e dargli la dignità che secoli di dominazioni gli hanno tolto».
«Dio Santo, risparmiaci!» pensò Gino appena il Presidente si fu fermato per rifiatare. Guardò verso Bianca e Franz ma dalla severità dei loro sguardi capì che gli trasmettevano: ‘Stai zitto! Per carità!’
«Penso anche» continuò, «che con il progresso della tecnologia i miei pannelli fotovoltaici e le torri eoliche saranno meno costose e più efficienti. Che Allah ci ispiri». Si riassettò in poltrona. Tutti erano rimasti a guardarlo in silenzio.
Poi dopo un po’ chiese:
«Colonnello, a che punto sono i vostri rilevamenti?»
Bianca aveva quasi scordato l’obiettivo dichiarato della sua visita poiché, come tutti, era stata coinvolta dalle sue dichiarazioni. Dopo un attimo d’incertezza si risistemò sulla sedia schiarendosi la voce per prendere tempo.
«Signor Presidente, siamo soltanto a un ottavo del tempo necessario per risultati affidabili.
Ma se al momento non abbiamo dubbi che la radiazione sia e sarà costante a sud di Nalut, dovremo verificarla tra Nalut e Zuwarah, cioè nella fascia più temperata, prima di spostare il campo ancor più a sud, verso Ghadamis e accertare anche quella fascia a ridosso dello Stato contiguo».
«Sì, mi è chiaro» confermò evidentemente interessato. «E che mi può dire del vento?» chiese mentre appoggiava il viso sul pugno.
«Pensate che le centrali occuperanno molto spazio? Le faccio questa domanda perché dovremo curare anche la loro difesa e manutenzione, giusto?»
«Esatto, Presidente. Sull’argomento spazio le dico che sarà necessario attendere il momento della realizzazione», gli rimandò Bianca «e verificare se la potenza prodotta da ogni singolo pannello sarà aumentata, come speriamo, rispetto a quella di oggi.
Lo spazio occupato potrà essere inferiore a quello che ora calcoliamo. Il vento finora è stato buono, forse mediamente troppo teso. Ma va bene così».
Poi aggiunse:
«Sono convinta che il nostro nuovo Ministro degli Esteri la informerà presto dei nostri progressi».
Bianca sperava, con quest’ultimo spunto, di avergli chiarito che solo il Ministro era titolato a divulgare informazioni sul lavoro della sua squadra: e c’era riuscita. Infatti, il Presidente terminò:
«Colonnello, la ringrazio del colloquio ma devo ritornare alla mia base». Si alzò dalla poltrona.
«Quando questa vostra missione sarà terminata con l’aiuto di Allah, mi sarà gradito fare dono a lei e al capitano donna di un servizio dei tovaglioli che vi sono piaciuti. Ai capitani farò omaggio dei cucchiaini. Avrete notato che la bandiera smaltata e ricamata non è più in uso nella nostra repubblica da quasi trent’anni».
La squadra era rimasta affianco alle barriere a osservare i tre elicotteri che, uno dopo l’altro decollavano in un turbine di sabbia dirigendo verso est.
Il rumore dei motori e dell’aria sferzata dalle pale si andava spegnendo man mano che si allontanavano finché il lamento del vento rimase l’unico padrone del deserto.
Alessandro Fontana