Riflessi (impressioni di un sogno)

di

Alfredo Bossetti


Alfredo Bossetti - Riflessi (impressioni di un sogno)
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14x20,5 - pp. 58 - Euro 8,00
ISBN 978-88-6587-6220

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In copertina: fotografia dell’autore


Prefazione

Accade raramente nell’odierna letteratura, ormai scevra da intenti didattici, etici e edificanti, talvolta cruda, priva di voli fideistici, di leggere contenuti anelanti alla serenità della pace interiore, al ritorno alle origini, alla comprensione della santità laica della vita, alla delicata e confortante immersione nella bellezza cangiante della natura.
Alfredo Bossetti, non scrive solo un libro, ma ci presenta la sua anima, forte del suo candore, rassegnata alla saggezza, consapevole teneramente della labilità della vita, commossa dalla casualità a volte feroce dei destini umani, ma sempre tesa a illuminare ogni evento, trovando gioia nelle piccole grandi cose che attraversano ogni esistenza nell’incanto di una descrizione profumata di fiaba.
L’Autore ci offre otto racconti, nei quali s’intrecciano i grandi temi dell’esistenza, la vecchiaia, il fallimento, la morte, la magia, la memoria, la solitudine: la reale poetica in essi, è comunque l’afflato mai spento verso una resurrezione dello spirito, una sorta di catarsi o anabasi che spinga il lettore ad amare la propria identità e le proprie risorse con un’accettazione quasi mistica.
“Riflessi”, trae il titolo da un gioco multicolore di novelle e personaggi, che hanno in sé la completezza e l’interezza di esseri umani autentici, e il loro rapido bagliore è sempre edificante.
Lo scrittore ci nutre energeticamente di ciò che è buono e semplice, e anche di ciò che è indomabile e inesorabile, con una dialettica e un’affabulazione che non cercano di stupire o sorprendere: il pathos dei racconti si snoda con eleganza flessuosa e naturale, che ricorda i testi favolistici dei taoisti.
Il tao è di per sé il segreto racchiuso nella narrazione, che si serve di brevi storie per innalzare il lettore a una consapevolezza affettiva della vita, che diviene trascendenza e scoperta del sé, limitato dalla morte ma sconfinato nella vita.
Alfredo Bossetti scrive col cuore, ma la sua scorrevolezza incisiva e tematica possiede la razionalità scientifica dei suoi studi, che arricchiscono di particolari l’intero tessuto dei suoi scritti, ulteriore arricchimento alla dinamica del libro.
Ecco dunque Annette, splendida e fatata adolescente, condannata a una fine inesorabile, che organizza una festa prima della morte, per lasciare un ricordo tangibile della propria anima; o Nicolas, il saltimbanco estasiato dalla libertà e dall’avventura del circo, che trova pace solo nell’amore, o Raul, che invecchiando con dolore non ode più la segreta voce del mare, o Jacob, legato al mare nella vita e nel dolore, o un altro Nicolas, la cui vedovanza inconsolabile si stempera nell’incontro con una bambina cieca e sua madre.
Personaggi vividi, che parlano il linguaggio degli angeli e dei saggi, che non temono la loro diversità e il loro dolore, che dalla sofferenza e dalla modestia traggono la beatificazione delle loro sventure.
Ma la più profonda intuizione filosofica la leggiamo nel racconto “Il pedone”, nel quale Alfredo Bossetti, ricordando le sue partite a scacchi infantili, comprende l’importanza simbolica del pedone, che diviene l’archetipo della forza nascosta e indispensabile celata nel piccolo: siamo tutti legati gli uni agli altri, grandi e piccoli della storia, ognuno con una dignità e una peculiarità straordinarie, ognuno con il proprio compito da espletare e la propria personale capacità di interagire magicamente; un re non può esser tale se non ha sudditi, una regina non può esser tale senza la difesa dei pedoni.
L’illusione o la presunzione di coloro che hanno un ego ipertrofico, è destinata a cozzare contro le alternanze della vita, e a soccombere alla sua stessa effimera parvenza.
Alfredo Bossetti, recuperando in questi deliziosi racconti l’infanzia dello spirito e la saggezza sofferta del tempo, conquista uno squarcio di candida bellezza morale, e a noi regala una letteratura capace di risvegliare il nostro fanciullo interiore, colui che mai dovremmo abbandonare, perché in esso risiede la nostra verità piena di luce e poesia, e il nostro inscindibile legame con il regno della fantasia: anche la vita, nei suoi traumi e nei suoi picchi, nelle sue altezze e nelle sue cadute, è una favola narrata con voce suadente.

Alessandra Crabbia


Riflessi (impressioni di un sogno)


LA FESTA DELL’ANGELO

Era quasi l’alba. Il villaggio assonnato e con le luci spente non si era ancora svegliato nonostante un caldo sole di primavera, appena spuntato dalle verdeggianti colline che ad est incorniciavano il lago, stava annunciando l’inizio di un nuovo giorno.
Se un pittore avesse avuto la fortuna di trascorrere qualche momento in quella piccola cittadina non avrebbe saputo resistere di fronte a quello spettacolo di colori e sarebbe rimasto incantato prima di cedere alla tentazione di trasferire sulla tela quello che gli occhi non si stancavano di ammirare. L’azzurro del cielo, un cielo limpido e senza nuvole quasi fosse finto, il verde e il blu delle calme e limpide acque, i mille colori dei fiori fra cui primeggiavano gli occhi della Madonna e i rododendri. L’intensità di quell’insieme di sfumature unita al profumo che si stava diffondendo in quelle prime ore della mattina creavano un’atmosfera soave di tranquillità e di pace. E quel giorno Annette decise di alzarsi prima del solito e andare a fare una passeggiata sulla pista pedonale che costeggiava tutto quel bacino artificiale, considerato l’attrazione del luogo e che soprattutto d’estate allietava i turisti di passaggio con i suoi colori e con tutte le bellezze botaniche che lo circondavano.
Dopo la serata in città trascorsa con le amiche Paola e Alice, Annette voleva riprendere il controllo di se stessa, ripercorrere mentalmente tutta la sua vita e prepararsi ad affrontare il futuro che sembrava avesse smesso di sorriderle.
Di spirito allegro, ottimista, intraprendente, amava la vita e si deliziava di ogni attimo che la natura le concedeva. Fra le adolescenti della sua età era considerata la più vivace, sveglia e sempre pronta ad aiutare le compagne in qualunque cosa avessero avuto necessità. Si faceva in quattro per strappare un sorriso soprattutto con le sue più care amiche. Con loro condivideva i sogni tipici di un’adolescente di quindici anni che si affaccia al mondo con l’entusiasmo di un bambino che scarta i regali sotto l’albero nel giorno di Natale e con l’intraprendenza e l’innocenza tipiche di quell’età meravigliosa che ti porta ad essere convinto di poter dimostrare, in ogni momento, di essere migliore di quello che gli adulti credono.
Il ritratto della felicità sembrava stampato in maniera indelebile su quel viso da sbarazzina i cui occhi, di un verde smeraldo che facevano l’invidia delle sue coetanee, emanavano un fascino speciale, unico. La bellezza esteriore non era un suo punto di forza, ma era sempre circondata da ragazzi e trascorrere con lei le ore, i pomeriggi e qualunque attimo libero che il lavoro al negozio di articoli da regalo dei genitori le concedeva, era il premio più ambito per quelli che la conoscevano.
I ragazzi andavano da lei per le questioni di cuore, per capire come fare colpo sulla fanciulla della classe accanto; alcuni, più audaci, prendevano questo pretesto per corteggiarla e cercare di fare breccia nella sua schiera di amicizie intime. Dal canto loro, le fanciulle la cercavano per strapparle consigli e suggerimenti per migliorare il proprio look o solo per sfogarsi ed avere qualcuno a cui raccontare i propri dolori e le proprie sfortune.
Sempre disponibile non rifiutava mai nulla a nessuno e aveva la risposta giusta in ogni occasione, le parole migliori, i consigli e le soluzioni per tutto. Con lo spirito egoista degli adolescenti, tutti attingevano da lei ma nessuno di loro si preoccupava di conoscerla fino in fondo. Non sempre il donarsi agli altri viene ricambiato con la stessa dolcezza. Annette lo sapeva bene e non se ne era mai fatta un problema. Ma quel giorno avrebbe tanto desiderato essere dall’altra parte della barricata ed avere lei qualcuno a cui poter raccontare il problema che l’affliggeva, avere una spalla su cui piangere, un’amica vera capace di ascoltarla e consolarla. Ne aveva bisogno, ne sentiva l’urgenza, ne constatava l’impossibilità. Tutti pronti quando era lei a dispensare aiuti, ma nessuno di­sponibile e attento a farsi carico anche solo in parte, delle sue inquietudini. Non pretendeva tanto, ma almeno la possibilità di alleviare il suo spirito oppresso da quel peso che le era caduto addosso come un macigno che scende veloce dalla montagna e distrugge tutto quanto incontra sul suo percorso. Invece si ritrovava sola, a camminare per il sentiero deserto ripensando alla sua vita che stava per finire in un modo che mai avrebbe pensato possibile.
I continui mal di testa che negli ultimi mesi erano diventati il suo più scomodo ed inseparabile compagno di viaggio avevano finalmente trovato la loro origine. E con essa avevano stabilito anche una scadenza molto prossima. Una scadenza che significava la fine dell’illusione di poter coronare il sogno d’amore con un ragazzo bellissimo, di poter completare un corso di studi universitario, di fare carriera, di poter mettere su famiglia, di girare il mondo. L’annuncio le era stato comunicato due giorni prima dal medico di famiglia, che dopo aver accuratamente visionato i referti di tutti gli accertamenti clinici a cui l’aveva sottoposta, aveva confermato la sua tetra previsione. Un mese, se la fortuna l’avesse assistita e forse anche meno. La malattia, una di quelle rare che colpisce meno del 5% della popolazione mondiale e ancora meno le persone al di sotto dei vent’anni, avrebbe avuto un decorso rapido ma ineluttabile, spietato ma indolore, devastante ma silenzioso. E proprio per questo aveva deciso, in accordo con i genitori, che non ne avrebbe fatto parola con nessuno fino all’ultimo momento. Non voleva la pietà di nessuno, né tantomeno la commiserazione degli altri. La sua voleva essere una battaglia che doveva vincere per se stessa. Non avrebbe mai permesso al male oscuro chiuso nella sua testa di condizionarle anche solo un attimo della sua vita. Si ripeteva spesso: “La vita è bellissima ed è la mia. E voglio viverla come meglio ritengo opportuno, senza condizionamenti né limitazioni, senza pensare a cosa sarà o sarebbe potuto essere il futuro. Voglio godere di questi pochi giorni che mi restano senza pensare al domani. Il male conquisterà il mio corpo ma non vincerà contro il mio cuore e il mio spirito. Sono libera, voglio vivere libera. Libera dalla paura di non farcela, dall’incognita del dolore che proverò, dall’impotenza davanti ad un nemico sconosciuto.”
Il suo rimpianto più grosso restava quello di vedere i suoi cari, gli affetti più intimi, soffrire davanti all’inarrestabile epilogo che si stava concretizzando.
“Mamma, papà, non vi preoccupate per me. Il dottore ha detto che non soffrirò e questo è già importante. Solo statemi vicino perché ho tanta paura. Non voglio morire. Ma chi lo vorrebbe. Comunque è inutile piangerci addosso. Voglio godermi pienamente gli ultimi istanti e lasciarvi un bellissimo ricordo.”


[continua]


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