Mito notturno
Soliloquio
Le pene di un dio
il suo pathos senza appello
la sua pressante urgenza
d’esplodere inondare
fecondare
il languore di un dio
il suo gioco solitario.
Ditirambo
Per averti, sophia,
ho ucciso l’uomo.
E comunque ti amo
per quel tuo ritornare
ogni volta
più fresca ed obliqua
– più donna.
Poiché sai ispirare l’amore,
sai l’oblio
e la memoria.
Tu sei un abisso,
conosci la guerra
e l’altezza,
ed io nelle mani
ho il tuo nodo: un antro
e uno specchio.
Veglia
Ho alzato la soglia
– come?
Freneticamente,
e ora v’è una
risposta
– quando?
Nell’ora del
buio
dei sensi,
ed ora
persino l’incedere
si capovolge
– quando?
L’attesa freme
miracoli
– come?
V’è una risposta,
chi ha chiesto
perché
ora trova come
e quando.
Questa stessa volta
oscura
ora appare
puntellata di presagi:
chi ha visto perché
legge in ogni
segno
un buon segno,
chi ha sciolto
e rinnovato il nodo
fremente
attende l’aurora.
Aurora
Possa il nostro vigore
essere questo nodo
Ars Poetica
D’improvviso non ricordo
le parole un tempo evidenti
dunque impasto
sotterro scavando
e divelto rimando
Né tantomeno musica –
rimescolo, sono un mestolo. Sgocciolo, assaggio: se riverbera, bene, ringrazio.
Come medico: rumino, ausculto. Spesso mi perdo.
Qualcosa vuol tradire il segreto che precede la parola – e scavo.