Il sogno del drago I

di

Angelo Fornier


Angelo Fornier - Il sogno del drago I
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
15x21 - pp. 492 - Euro 18,50
ISBN 978-88-6587-3458

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In copertina fotografia dell’autore


Tania, che ha perso in circostanze drammatiche entrambi i genitori, vive da sola ai margini della foresta, a stretto contatto con una natura esuberante ed intatta, coltivando però, nel suo cuore, un odio testardo verso coloro che ritiene responsabili del suo antico dramma, i cavalieri dei draghi.
Tom e David sono amici e vivono nello stesso villaggio, ma dove David è introverso, solitario ed affascinato dalle Cronache Antiche che narrano il drammatico e misterioso passato di Neara, Tom è gioviale, allegro e sempre disposto, in pari misura, a partecipare a feste, scazzottate od ai lavori nel mulino di suo padre.
Tre persone e tre destini diversi che, un giorno, vengono accomunati dal medesimo sogno, in cui un drago parla con loro e li porta, in volo, a scoprire il loro mondo come nessuno lo ha mai visto. È il sogno del drago, il misterioso legame che accomuna un uomo ad una creatura fantastica, che per molti è soltanto una leggenda.
Sarà l’inizio di una lunga avventura in cui ognuno di loro dovrà fare i conti con una realtà più complessa ed intrigante di quella cui sono abituati a confrontarsi. Le sfide che li attendono non sono soltanto contro pericoli reali,comunque sempre in agguato, ma riguardano loro stessi, le loro convinzioni ed i loro pregiudizi. Dovranno imparare a vedere il loro mondo “con gli occhi degli uccelli”, per rendersi conto di come Neara non sia altro che un unico, planetario essere vivente dove loro non sono i padroni, ma semplici ospiti.
Dovranno imparare ad ammettere ed accettare i loro errori ed i loro limiti, perdere parte di loro stessi e, come dice il drago nel sogno di Tania, “ritrovarsi più maturi in una nuova vita”. Proprio Tania, fra i tre, sarà quella che dovrà trasformare il suo odio prima in sopportazione, infine in una forza capace di portarla al drammatico confronto finale col drago incontrato in sogno, diventando lei stessa cavaliere, in un lungo cammino che terminerà in un mondo fantastico popolato di alti alieni dalla pelle rossa, draghi ed altri spettacolari animali, tutto parte del grande concerto che è la vita.


Nota introduttiva dell’autore

Questo mio primo libro è nato da un’idea, a dire il vero appena abbozzata, che mi girava in testa da un paio di anni, e che un bel giorno mi sono deciso a mettere su carta senza grosse aspettative.
Scrivendo, mi sono accorto di una cosa strana: il racconto si sviluppava sempre di più, acquistando profondità, arricchendosi di nuovi personaggi, nuove idee… così, quando finalmente vi ho scritto sopra la parola “Fine”, mi sono accorto che era diventato un “vero” romanzo (almeno, spero si possa definire tale).
Per esigenze tecniche, ho dovuto rivederlo, ma non volevo “mutilarlo” di alcune parti che, secondo me, lo arricchivano… ho deciso di dividerlo in due racconti, di cui “Il sogno del drago” è la prima parte.
È un racconto autoconclusivo, nel senso che ha un finale “logico”, ma negli ultimi capitoli lascia intravedere il seguito che, nel secondo libro che ho voluto intitolare “La nuova alleanza”, si svilupperà appieno in una direzione che, mi auguro, possa stupire e divertire chi non si è troppo annoiato leggendolo.
Spero che “Il sogno del drago” sia divertente da leggere come per me è stato divertente scriverlo.
Ringrazio la casa editrice che ha avuto la bontà di pubblicarlo, la mia compagna per i suoi preziosi suggerimenti, e mio nipote Alberto per gli altrettanto preziosi suggerimenti per la realizzazione grafica della copertina.

Buona lettura!
L’autore


Il sogno del drago I


Parte Prima


Il SOGNO DEL DRAGO


Tania del bosco

Tania aspirò a pieni polmoni l’aria umida della foresta poi, soddisfatta, proseguì col suo carico di pelli verso il villaggio.
Amava quella stagione, che preannunciava l’inverno, odiava invece l’Estate, le sue giornate lunghe e calde, le notti troppo corte e troppo luminose, il frinire delle cicale ed il canto dei grilli; preferiva l’inverno, la neve, il sibilare del vento e gli ululati dei lupi, che avevano sovente l’ardire di spingersi fin presso la sua capanna, attirati dall’odore della carne e delle pelli stese ad asciugare.
O forse Tania odiava l’estate, perché era stato in un giorno troppo caldo sul finire del settimo mese, che Artiglio Storto, il grande orso bruno, aveva stroncato la vita di suo padre, lasciandole nell’animo una ferita più profonda dello squarcio che quegli artigli avevano prodotto nel suo petto.
Tania ricordava ancora quei momenti, disobbedendo, in questo, ai consigli che l’anziano rettore del villaggio era solito ripetergli: certo, viveva nel presente, così come esigeva la regola, ma non avrebbe mai dimenticato quel drammatico pomeriggio quando, appena quindicenne, mentre giocava ai bordi di quella che poi sarebbe diventata la sua unica casa, aveva sentito qualcosa spezzarglisi dentro, un gran gelo scendere nel suo cuore, nell’attimo in cui la vita veniva strappata via dal petto di suo padre, portata via da quel grande e solitario orso che da anni ormai terrorizzava il villaggio, e che suo padre si era sentito in dovere di cacciare.
Quando gli altri cacciatori erano arrivati alla capanna, sporchi e coperti di sudore, con sulla bocca la tragica notizia, lei aveva già scacciato via il dolore e lo sguardo che aveva rivolto a quegli uomini era stato tanto intenso e deciso, tanto dolorosamente cosciente, che nessuno aveva parlato, nessuno aveva avuto il coraggio di raccontarle quello che lei sapeva già.
Tan di Roccabruna possedeva una casa al villaggio, dove aveva amato Eleanor la Dolce, ed in quella casa era nata Tania, e per anni avevano vissuto insieme. Ma Tan era anche un cacciatore, un uomo che aveva eletto il bosco sua dimora e suo destino. Prima ancora che Tania nascesse, egli aveva costruito quella capanna sul limitare del bosco, proprio di fronte ai Monti Silenti, quasi a sfidare i territori selvaggi che là iniziavano e dove soltanto pochi ed esperti cacciatori osavano avventurarsi.
Di fronte alla capanna, oltre il bosco, si innalzavano le severe pareti che d’Inverno si coprivano di neve, che scintillava al sole per i lunghi mesi invernali: erano regno di stambecchi, di valanghe e di orsi, e solo pochi cacciatori si avventuravano in quei luoghi selvaggi.
Era in quella capanna e nei boschi che la circondavano, che Tania aveva trascorso buona parte della sua infanzia, libera e spensierata come un animale dei boschi. Certo, i suoi genitori erano sensibili alle tradizioni ed alle regole del villaggio, ed in questo la sua istruzione era stata ferrea ma, aldilà delle lezioni e delle feste tradizionali, la sua vita, modellata su quella dei suoi genitori, era stata sempre divisa fra corse nei prati e lunghe giornate trascorse con suo padre che, fin dalla tenera età, aveva iniziato a portarla con sé, insegnandole i segreti della caccia.
Tan era un cacciatore, uno dei migliori del villaggio: non c’era animale che, per quanto scaltro e veloce, riuscisse a sopravvivere al suo arco od alla sua lancia. Odiava le trappole, che definiva mezzi da vigliacchi, diceva sempre che l’animale doveva sapere di essere cacciato, e doveva avere almeno una possibilità, ed in questo pensiero seguiva in pieno la dottrina dell’Equilibrio che i Cavalieri dei draghi, le rare volte che capitavano al villaggio, non smettevano di predicare.
Ogni cosa nel mondo si fonda su un equilibrio fra le risorse presenti e le specie che le sfruttano. Era uno dei Dogmi dell’equilibrio
Un altro era: in natura sopravvive il più forte: così, l’animale debole o malato deve servire da preda, a tutto vantaggio di quelli più sani; che i cacciatori imparino dai predatori, che sanno per istinto quali prede conviene maggiormente cacciare!
Tan era un cacciatore, ma era sensibile alle voci della natura: rispettava i cuccioli, le femmine gravide, i maschi nel pieno della forza, ma non esitava a misurarsi con quegli animali che, esclusi dal branco o in età avanzata, si spingevano pericolosamente vicino al villaggio. Tan era un cacciatore, e per questo il rettore del villaggio venne a lui, all’inizio dell’estate, a chiedergli che si occupasse di Artiglio Storto: il vecchio orso era stato visto già molte volte vicino al villaggio, e due volte aveva ferito mortalmente dei taglialegna.
Invano erano state tese delle trappole, invano erano partiti dal villaggio sulle sue tracce: l’orso era troppo furbo. Vecchio sì, ma sufficientemente forte da poter causare ancora vittime, se non si fosse fermato, e così Tan era partito, con il suo arco migliore, alla testa di altri cacciatori scelti fra i migliori del villaggio, dicendo alla figlia che sarebbe ritornato. – Lo devo fare, capisci, Tania? Le aveva detto quella mattina – Ma stavolta, non posso portarti con me, è troppo pericoloso! Anche tua madre, se fosse ancora qui con noi, sarebbe d’accordo.
– Mamma non ti lascerebbe partire! – Gli aveva risposto lei, e poi era stata a guardarlo in silenzio mentre, nell’incerta luce dell’alba, lasciava la capanna per l’ultima volta.
Dopo l’incidente, tutti al villaggio si aspettavano che Tania abbandonasse la capanna, ma lei era stata irremovibile: benché giovanissima aveva dimostrato, in quella drammatica circostanza, di quale forza e determinazione fosse il suo animo quando aveva detto ai parenti, che la imploravano di tornare al villaggio, che da lì lei non si sarebbe mai mossa con le sue gambe, e la speranza che, dopo i primi giorni passati da sola, un poco di giudizio si facesse strada in quella testa cocciuta venne ben presto smentita dalla determinazione con cui ripulì la capanna da cima a fondo, sistemò le rastrelliere delle pelli, vangò il piccolo orto e si costruì, con le sue mani, un piccolo, ma micidiale arco.
Ma, a chi la conosceva bene, quella cocciutaggine, quella disperata determinazione non erano nuove: Tania possedeva un animo indomito e testardo, una forza di volontà che nessuna avversità sembrava fosse in grado di piegare. A dodici anni aveva perso la madre, piegata nel fisico da un male oscuro che nemmeno i più valenti guaritori avevano potuto curare, la prova era stata dura e le aveva scavato nell’animo una ferita che non si era più chiusa, un odio che la accompagnava in ogni momento verso coloro che, a suo giudizio, non erano stati in grado di aiutare sua madre. Eppure, aveva trovato un modo di superare il dolore: a chi la compativa, ripeteva sempre che sua madre non era morta, ma viveva dentro di lei, in un angolo della sua mente che nessuno, nemmeno i Draghi, avrebbero mai potuto raggiungere.
Chiunque l’avesse conosciuta da bambina, quando errava nei boschi, ripetendo nel gioco le gesta di suo padre, e di sera rientrava al villaggio graffiata e sporca, avrebbe pensato, dopo la morte di sua madre, di trovarsi davanti un’altra persona. Tania teneva i capelli molto corti perché, quando correva nella foresta, non le fossero d’impaccio, vestiva sovente di pelli di animali uccisi, o di rozzi abiti di cuoio, gli stessi che usava suo padre cacciando, curava poco il suo aspetto, e al villaggio era considerata una piccola furia.
Sua madre, che amava il canto, sapeva eseguire delicati ricami ed era di animo sensibile aveva più volte manifestato il suo disappunto per il comportamento troppo mascolino della figlia che, secondo molti, avrebbe dovuto nascere maschio, vista l’attrazione che in lei esercitavano i boschi, la caccia, e la rustica vita all’aria aperta. Eppure, dopo la sua morte, in Tania si era prodotto un cambiamento, che aveva lasciato stupiti tutti, al villaggio. Aveva iniziato a farsi crescere i capelli, che erano di una delicata tonalità castano chiaro, lisci e morbidi: li raccoglieva in una corta treccia se andava nel bosco, ma li scioglieva, in tutta la loro lucentezza, quando accompagnava suo padre al villaggio, o andava alle lezioni dal rettore.
Ugualmente, aveva sostituito ai rozzi abiti di cuoio delle tuniche con delicati ricami che lei stessa si confezionava, durante i mesi invernali. Aveva imparato a cucinare, a rammendare, ed il suo carattere, prima aspro ed insolente, si era addolcito, ed anche la sua vena di odio, che covava come un fuoco sotto la cenere, sembrava essersi estinta. In molti le avevano domandato cosa fosse successo, e lei semplicemente rispondeva che nel suo animo sua madre non era morta, perché viveva nei suoi ricordi, e davvero erano in molti a riconoscere in lei le fattezze di Eleanor da giovane, quando la sua voce e la sua grazia infiammavano così tanti cuori nel villaggio.
Ma non aveva smesso di seguire suo padre nel bosco, ed anche quando, dopo la morte di Eleanor, iniziò a vivere sempre più spesso nella capanna, ella lo seguì, e più diventava brava con l’arco e le frecce, più, di contro, il suo aspetto si ingentiliva, e la ragazza sembrava provare gusto a suscitare confusione per questa sua doppia identità.
Dopo la morte di suo padre, chiusa in un dolore senza lacrime, decisa come non mai, respinse sdegnosamente le offerte di aiuto. Per tutto l’inverno sopravvisse nella capanna, da sola, alle tormente di neve, alla morsa del freddo ed alla disperazione che, a volte, la assaliva di notte facendola svegliare, scossa dai singhiozzi, quando nel vento le sembrava di sentire la voce dei suoi genitori.
Al villaggio erano sicuri che non avrebbe resistito a lungo in quelle condizioni, e che ben presto sarebbe ritornata, disperata ed affamata, fra la sua gente, ma lei dimostrò che si sbagliavano: fece ritorno soltanto al disgelo, in una mattina del quinto mese.
Coperta di pelli, ma con i lunghi capelli pettinati, portava al collo una collana di denti di lupo che era appartenuta a suo padre, e trascinava un carretto rudimentale su cui era stesa una grossa sagoma scura: quando fu più vicina, tutti riconobbero, in quel grosso corpo, Artiglio Storto, il grande orso! Suo padre lo aveva ferito, ma era ancora vivo, e la ragazza lo aveva inseguito per settimane finché, sul finire dell’inverno, era finalmente riuscita ad ucciderlo!
Arrivò con il suo carretto fin davanti alla casa del rettore e, quando questi si fece avanti, indicandogli il corpo gli disse, semplicemente: – Mio padre aveva preso con voi un impegno, che non era riuscito a rispettare. Io ho terminato quello che lui non è riuscito a compiere, vendicandone la morte: Questo orso è vostro, dividetevi la carne e la pelle!
Dette queste parole Tania, nello stupore generale, scaricò a terra il corpo dell’orso e si allontanò, sufficientemente in fretta perché nessuno vedesse le sue lacrime di dolore, eppure, dopo quella volta, fra la ragazza ed il villaggio si stabilì un tacito accordo, nessuno cercò più di convincerla a ritornare in paese. Aveva dimostrato fin troppo bene di essere capace di badare a se stessa, ed in cambio di questo riconoscimento si assunse un impegno altrettanto tacito: come suo padre era stato, in vita, il cacciatore più valente del villaggio, l’esperto riconosciuto capace di stanare ogni preda, così fece lei.
Nemmeno un mese dopo l’uccisione di Artiglio Storto, alcuni uomini arrivarono alla sua capanna per chiederle di aiutarli a stanare un vecchio lupo che era diventato il terrore dei pollai vicini; Tania li accontentò, ma quando vide uno degli uomini portare con sé una tagliola, montò su tutte le furie.
– Un lupo, per quanto vecchio e ladro, merita rispetto, non fatevi vedere, in mia presenza, a mettere trappole!
Acconsentì ad accompagnare gli altri cacciatori alla tana del vecchio lupo soltanto quando questi le promisero che avrebbero ucciso il lupo con le lance. Dopo quella volta, divenne per tutti Tania dei lupi o Tania del bosco: il nomignolo non era però dispregiativo, ma rendeva, al contrario, merito alle sue doti. Ma la cacciatrice spietata subiva un cambiamento che ogni volta stupiva tutti, quando la vedevano giungere al villaggio vestita con le sue tuniche dai delicati ricami, coi capelli sciolti, ed una piccola bisaccia sempre piena di regali per i bambini.


Il rettore

Così, anche quella volta arrivò al villaggio: erano passate le stagioni, e lei non era più una ragazzetta arruffata e inselvatichita, si avviava verso i venti anni, e quella età le aveva portato un corpo agile e snello, che non rivelava la sua forza, ed una grazia, nei movimenti e nella voce, che mai avrebbero fatto sospettare l’esistenza di una sua controparte abile nel seguire le tracce, rustica al punto da sopportare le notti all’addiaccio anche in pieno inverno, e spietata quando tendeva il suo arco.
Il villaggio di Guardiavalle sorgeva all’inizio di una ampia vallata, che digradava dolcemente verso la lontana pianura: tutti sapevano che, a dieci giorni di cammino seguendo il fiume si arrivava al mare, ma erano pochi coloro che avevano intrapreso quella strada; il paese restava come sospeso fra i monti Silenti, che chiudevano a Nord una vista più ampia del cielo, e la grande pianura meridionale, dove l’occhio si perdeva in una moltitudine di dolci alture boscose.
Ad Est, ben visibile ad un uomo dalla vista buona, svettava una torre, simile a quella che dominava il villaggio di Guardiavalle, apparteneva al villaggio di Belcolle; ancora oltre, sempre verso Est, a due giorni di cammino vi erano altri due paesi: Bosco Verde e Tre sentieri, che seguivano a mezzacosta il dolce declivio che anticipava le più severe propaggini dei monti Silenti. Ogni villaggio nella Contea era costruito in maniera che, dalla sua torre, fossero sempre visibili almeno altri due paesi; dall’alto delle torri, con segnali ottici e luminosi, viaggiavano le notizie, e la tradizione rimandava agli anni di prima dell’Alleanza l’abitudine di scambiarsi dei segnali per avvertire i paesi vicini dell’arrivo dei nemici.
Dopo l’Alleanza fra l’uomo ed i Draghi della Montagna le guerre erano finite, e l’Equilibrio Naturale era diventata la Regola: più nessuno ricordava, se non in sbiadite leggende, gli anni delle guerre, ma le torri erano rimaste, e così l’uso delle armi, ed i Cavalieri dei Draghi ancora cavalcavano nei cieli, anche se pochi sapevano che cosa intendessero quando si definivano i “guardiani dell’equilibrio”.
Tania giunse al centro del villaggio, seguita dal consueto corteo di bambini festanti, e sapeva come farli felici, nella sua bisaccia portava sempre piccoli animali intagliati, collanine, bracciali di cuoio, coltellini e dadi di osso, tutti piccoli oggetti che ella creava, nelle lunghe serate invernali, e che volentieri donava .
Come al solito, posò le pelli vicino al pozzo al centro della piazza, proprio di fronte alla casa del mercante, e le allargò in maniera che il sole le illuminasse bene; l’uomo uscì di casa, si avvicinò, finse di guardarle con occhio esperto, fece una smorfia: – Sì, possono andare, discrete. – Disse, celando a stento un sorriso.
– Discrete? Le mie pelli? Ma le hai viste? Sono le migliori pelli che tu puoi trovare! Al diavolo, se non ti piacciono, le porto a Bosco Verde!
E la ragazza finse di riprendersi le pelli, ma non resse a lungo la commedia e scoppiò a ridere, subito imitata dal piccolo pubblico che le si era raccolto attorno. Quella piccola recita andava avanti, con variazioni minime, da diverso tempo, ed ogni volta scatenava l’ilarità della gente, era un modo per rompere il ghiaccio, per iniziare a raccontarsi le vicende del paese e del bosco, le mille storie sempre uguali che erano la vita, per quel minuscolo grumo di umanità.
Anche quella volta avrebbe barattato le pelli, i tendini ed i piccoli manufatti di osso con sale, farina o un nuovo coltello, era così che viveva, e si accontentava di poco, ed anche quel momentaneo ritrovarsi in compagnia di altri esseri umani le bastava, per sopportare poi settimane di isolamento; anche quella volta se ne sarebbe andata poco prima del tramonto, dopo aver visitato le case, salutato i bambini, e scherzato coi giovani del posto che da un paio d’anni invano cercavano di coinvolgerla nei loro giochi amorosi.
Ma, quel giorno, il mercante non le parlò del villaggio e dei suoi piccoli problemi, la sera prima, alto nel cielo, si era sentito il richiamo del drago: quel suono prolungato e vibrante, simile ad un gong, che faceva zittire i cani e sollevare il capo a tutti gli animali, e che producevano i draghi quando volavano. Pochi avevano avuto la fortuna di vedere un drago librarsi nel cielo, ma a nessuno che non fosse un cavaliere era mai toccato in sorte di vederne uno da vicino.
– I draghi sono di nuovo alla ricerca dei loro cavalieri! – Aveva esclamato il mercante guardando il cielo. – Le uova si sono schiuse da poco, ed i piccoli draghi hanno iniziato a conoscere il mondo, e presto faranno il loro sogno.
– La cosa non mi riguarda! – Aveva risposto Tania, riponendo il sale e la farina nel suo sacco. – I cavalieri fanno i loro affari, io mi faccio i miei!
– Eppure, potrebbe capitare anche a te!
– Cosa?
– Di fare il sogno del drago! Hai l’età giusta, e saresti un ottimo cavaliere!
Tania si interruppe a metà di un gesto, e guardò l’uomo con due occhi sottili come fessure: quando parlò, la sua voce era fredda ed affilata come la lama di un coltello.
– Ascolta, mercante, io sono contenta della mia vita, amo la foresta e parlo coi lupi! Non voglio sapere niente dei draghi, e dei loro stupidi cavalieri, sai bene che cosa penso di loro!
Poi, con un gesto brusco, fece per andarsene, ma il mercante la rincorse e le posò una mano sulla spalla, e lei si fermò di scatto.
– Scusami, non volevo iniziare questo discorso, sono stato uno sciocco!
La ragazza si voltò, sapeva che, pochi anni prima, avrebbe potuto anche uccidere quell’uomo, per la sua avventatezza, ma le primavere erano passate, e qualcosa, in lei, stava lentamente cambiando, per cui si limitò a guardarlo, con uno sguardo fermo. Il mercante le restituì uno sguardo dispiaciuto, era un brav’uomo col vizio, se mai, di parlare troppo ma, come del resto tutti al villaggio, si era affezionato a quella ragazza così particolare.
– Senti, mi spiace per quello che ho detto, non avrei dovuto… ascolta, non voglio che questo possa incrinare la nostra amicizia, se hai bisogno di qualcosa…
Ma Tania lo interruppe, e già la rabbia era svanita, nella sua voce.
– No Tak, grazie… e scusami, se sono stata brusca, ma devi capire che quel che è successo mi brucia ancora, e il mio odio… basta così poco per riaccenderlo!
– Non parliamone più, d’accordo, ragazza mia? Vuoi fermarti a pranzo, vuoi riposarti un momento? La mia casa è a tua disposizione… se vuoi.
– No, mercante, ti ringrazio, io devo ancora passare dal rettore, prima di tornare alla capanna, ma ti prometto che tornerò, con altre pelli, e tu potrai di nuovo imbrogliarmi con la tua farina rancida!
E sorrise, finalmente, ed anche il mercante le restituì un sorriso, perché Tania era fatta così, talvolta un’ombra le oscurava l’anima e l’antico odio riaffiorava, ma l’attimo dopo ritornavano la grazia ed il buonumore che erano il dono di sua madre.
Poi andò dal rettore: era lo stesso uomo che, all’indomani dell’uccisione di suo padre, aveva maggiormente insistito perché la ragazza lasciasse la capanna e tornasse al villaggio, alla casa che ora le apparteneva di diritto, ed aveva sopportato, senza reagire, la reazione sdegnosa, al limite dell’offesa, che aveva scatenato in lei. Era ormai anziano, e negli ultimi anni usciva di rado da casa sua, ma era ancora l’anima e la guida di quel piccolo villaggio sperso ai confini dei territori selvaggi, e la sua mente rimaneva lucida ed attenta, e Tania non perdeva occasione di passare da lui, per rimanere talvolta alcune ore a discutere.
La casa del rettore era al limite settentrionale della piazza, ed era uno dei pochi edifici costruito interamente in pietra; questo, è importante dirlo, non per una distinzione di qualche genere, ma semplicemente perché la casa era sorta su un grosso deposito di pietre di fiume, per cui la decisione di edificarla in muratura era nata da considerazioni puramente pratiche. D’altra parte, la carica di rettore veniva assegnata per acclamazione popolare ad individui che si distinguevano per capacità organizzative, senso pratico, altruismo e personalità, non aveva limiti di tempo, purché chi la ricopriva mantenesse nel tempo le sue capacità, ed era ben lungi dall’essere un privilegio, ma piuttosto una responsabilità in quanto ogni disputa, ogni problema, ogni imprevisto, finiva inevitabilmente per essere sottoposto alla sua attenzione; egli aveva facoltà di decisione, facoltà che era comunque condivisa dal consiglio degli anziani che aveva diritto di veto.
Una consuetudine tacita era che Tania, ad ogni visita al villaggio, e prima di fare ritorno alla sua capanna, si recasse dal rettore, per una visita che non era solo di cortesia, ma talvolta diventava occasione per richiederle particolari servigi, così come era successo pochi anni prima per stanare il vecchio lupo. Ma, quel giorno, l’anziano rettore non aveva richieste da avanzare, la fece accomodare nel suo studio, le voltava le spalle, guardando dalla finestra i giochi dei bambini nella piazza.
– Ti stavo guardando prima, in piazza… somigli sempre di più a tua madre, sai?
Tania non rispose, ma si limitò a fissare le spalle curve del vecchio, finché questi si volse.
– Ti conosco fin da quando eri una bambina, e già allora eri speciale: ti arrampicavi sugli alberi agile come un gatto, e nella lotta battevi quasi tutti i ragazzini della tua età, ma prima di te conoscevo bene i tuoi genitori.
Il rettore si fece più vicino, guardandola dritto negli occhi.
– Sai che nessuno, al villaggio, sarebbe stato disposto a scommettere sulla durata della loro unione? Dicevano tante cose, che Eleanor era sprecata per un orso come tuo padre, troppo delicata, troppo sensibile per sopportare una vita rustica come quella che conduceva il cacciatore Tan, ma si sbagliavano! L’amore che legava i tuoi genitori era più grande delle differenze dei loro caratteri! Loro insieme si completavano a vicenda, e trovavano in ciò il loro equilibrio.
– Perché mi racconti queste cose, Joshua? Conosco bene i miei genitori, so quanto fossero uniti!
Tania sapeva che il vecchio le voleva dire qualcosa, non era nel suo stile perdersi in sterili storie d’altri tempi, ed anche quella volta non si sbagliò. Il rettore le si avvicinò ancora, ed il suo sguardo era fermo, anche se i suoi modi mai sarebbero stati sgarbati o autoritari con nessuno.
– Tu sei cambiata molto in questi anni, non sei più la piccola furia che impazzava nel bosco e nel paese, non sei più l’ombra di tuo padre, sempre al suo fianco anche nel pieno dell’inverno, sulle piste più difficili, e non sei nemmeno più quell’essere chiuso e disperato che avresti potuto diventare, perdendoti, alla sua morte. Stai rinascendo! Oggi sei la sintesi perfetta di quello che in vita furono i tuoi genitori, sarebbero orgogliosi di te, se ci fossero ancora!
– Ma c’è un “ma”, non è vero, saggio rettore? Non mi parli così per un complimento, giusto?
Il vecchio sorrise, prendendole una mano.
– Come al solito, dietro la tua apparenza dolce si nasconde il cacciatore, sempre attento alle trappole! Sì, c’è dell’altro, Tania. I draghi volano di nuovo nei nostri cieli, e lanciano i loro richiami, i cavalieri sono in cerca!
La mano di Tania si irrigidì.
– Lascia che cerchino, la cosa non mi riguarda! – Rispose a denti stretti. – Ci ha già pensato il mercante, a parlarmi dei draghi, ed in maniera poco appropriata, anche! Arrivare a dirmi che potrei anche io fare il sogno del drago! Aaaah, che idiota!
Joshua sorrise, senza abbandonarle la mano, che sentiva rigida come un pezzo di legno, sotto la cenere, l’antico fuoco dell’odio ancora bruciava.
– Tak è un buon mercante, ma talvolta riflette poco, prima di parlare. Ma c’è del vero, in quello che dice! – Poi, anticipando la reazione di Tania, si affrettò ad aggiungere: – Ma non è questo il problema, ragazza mia, il problema è se tu, un giorno o l’altro, potrai spegnere il tuo odio, e trovare la strada del perdono.
Tania lo fulminò con un’occhiata di fuoco, e ritrasse la mano con violenza.
– Non ci contare, rettore! Quello che è successo non potrò mai dimenticarlo, finché vivo!
– Tania! – Esclamò Joshua, cercandole la mano, ma lei si ritrasse ancora, e nei suoi occhi, ora, brillava una luce cattiva. – Eppure anche tu sai che il tuo odio è ingiustificato! Ah, se solo ascoltassi il tuo cuore, senza cedere ancora all’odio!
– Piuttosto morta! – Urlò lei, paonazza. – Piuttosto morta, capisci? – Ripeté, facendo uno scatto indietro, come se davanti a lei non ci fosse più un saggio uomo anziano, ma un pericoloso animale selvaggio.
– Sai bene quanto me cosa è successo, quando vennero coi loro draghi!
– Ma Tania, ti prego…
Il rettore fece un passo avanti, e lei si ritrasse ancora di più.
– Non ti avvicinare! – Urlò con quanto fiato aveva in gola.
– Lasciami stare! Loro non ci sono più, capisci? Sono morti, morti… e quei maledetti cavalieri ancora volano nei nostri cieli, intoccabili ed invisibili! Perché non hanno saputo aiutarla? Dov’erano, quando Artiglio Storto si è preso la vita di mio padre? Dove? Nei cieli, a volare con le loro stupide creature? Perché si nascondono? Chi si credono di essere, per arrogarsi il diritto di scegliere fra la nostra gente chi deve diventare cavaliere? Cosa vogliono da noi, cosa fanno su Neara se poi la gente muore?
Poi la furia la abbandonò, si piegò su se stessa e iniziò a piangere, mentre l’ira si trasformava in disperazione.
– Non ci sono più, capisci? Non ci sono più! E loro volano, volano! Volino all’inferno, se esiste!
Il rettore allora le si avvicinò, e le prese le spalle, e lei stavolta non si ribellò, ma continuava a fremere, scossa dai singhiozzi. Il vecchio fece un gran sospiro e poi parlò.
– Tania, i cavalieri, ed i loro draghi, controllano che nel mondo le cose vadano per il verso giusto, che esista l’equilibrio fra l’Uomo e la Natura, intervengono solo se qualcosa mette in pericolo l’armonia del mondo, non si intromettono nelle nostre piccole storie!
La ragazza non parlava, e continuava a essere scossa dai singhiozzi.
– Tuo padre è morto perché era scritto nel suo destino, ma se non fosse partito alla testa dei cacciatori, quel giorno, molti altri sarebbero morti. Lui sapeva il rischio e lo aveva accettato, ma il suo operato riguardava solo lui, e non metteva a repentaglio l’ordine naturale delle cose. Per tua madre fu diverso, e tu lo sai, ma ancora non lo accetti, ancora l’odio ti impedisce di accettare la verità.
Tania era immobile, conosceva quella storia, ma la rifiutava, testarda, e le parole calme di Joshua le giungevano come da una grande distanza.
– Credimi, non ci fu colpa nell’operato dei cavalieri, né puoi accusarli di essere superbi o indifferenti al nostro destino. Loro interferiscono nella nostra vita di tutti i giorni soltanto quando il nostro operato mette in pericolo l’equilibrio naturale. Oh, Tania, come vorrei che riuscissi a credere in quello che ti dico! Sono vecchio, e so che presto lascerò questo mondo, e davvero non so cosa mi aspetti dall’altra parte… se poi esiste qualcosa… ma vorrei, prima di morire, vederti veramente in pace con te stessa, libera dai demoni dell’odio e del rancore, libera di poter fare le tue scelte!
Tania finalmente sollevò il viso, ancora rigato dalle lacrime, ma lo sguardo era nuovamente fermo.
– Non posso prometterti questo, rettore, non ci riesco ancora! Amavo i miei genitori, e non posso accettare che non ci siano più… vorrei credere a quello che dici, ma non posso! Cosa mi resta ormai, se non il loro ricordo, e l’impegno di onorarli meglio che posso, vivendo come vivo?
Il vecchio sospirò, poi l’abbracciò, e le sue braccia erano ancora forti.
– Non sempre si vive come si vuole, e non sempre siamo noi a determinare il nostro destino; se sei convinta delle tue scelte, vivi in armonia con loro e con te stessa, ma non affondare nell’odio, non distruggere il bello che c’è in te, promettimi di migliorare ancora, ragazza mia!
Lei non rispose, passarono lunghi minuti, e rimase come cullata fra le braccia dell’anziano poi, con delicatezza, si sciolse dall’abbraccio.
– È tardi. – Disse, raccogliendo la sua sacca – Devo tornare alla capanna.
Il vecchio annuì, ritornando a fissare la finestra. – Suppongo che sia inutile chiederti se, almeno per questa sera, tu voglia fermarti al villaggio, vero?
– Ti ringrazio, rettore, ma la mia casa, ormai, è nella foresta.
E, senza più aggiungere altro, o voltarsi indietro, prese la strada del bosco, verso la sua casa, il sole era prossimo al tramonto.


[continua]


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