Antonello Antonielli
Riflessi
Spinge pluton dal centro della Terra
quando sottil la crosta si dilata
è lì ove che il miasma diaccia e cola
tesori inusitati pone e cela
la sorte di taluni meno dura
del granito non è del loro cuore
seppur di rosmarino e d’elicrisio
e di lor opra a un tempo ne ristora
l’altro Plutone alfine d’ogni membra
colma imparzial le viscere di Era
immemori de’ fasti e di lor glorie
restan le spoglie e d’onta e di miserie
siccome Amor unica luce e speme
colma ogni cuore ogni tesoro svela
Pianosa, 14/04/15
Costantino Crupi
Opera 5^ Classificata
La maestá del bianco
È mattino!
Solo incanto a guardar dalla finestra
sfumature rosa di una carezza intensa.
E lì, la presenza di uno stormo di gracchi in festa,
che nel ciel sereno si propongono in una grande danza,
ad evocare col bagliore che s’innalza, la sua magnificenza.
Di sovente, in questo tempo di settembre
è il vento, fresco e gelido che s’innalza
quasi a stringere come una morsa tutto ciò che incontra e scalza.
Senza un attimo di tregua e con cotanto affanno, si volge
il trepido respiro di un fiore ormai vecchio e stanco, al vento
e si chiude, quasi a dimora, aspettando l’ultimo momento.
È bianco ormai!
La neve candida si posa tacita e leggera
e a quell’anelito di vita che c’era,
si leva, soltanto, un gran silenzio.
Avanzano i fantasmi e abbracciano la magia di quel momento
che avvolge tutto in un torpore e inesorabile sgomento.
E in tutto questo?
Solo un monte che troneggia,
a far di guardia ad una valle lenta e stanca che sonnecchia.
E la gente che si stringe, e il camino scoppiettando
innalza il suo fervido calor come uno schianto…
lì, verso la maestà del Monte Bianco.
Tina Ferreri
Opera Segnalata dalla Giuria
Caducità
Nottetempo un vento impertinente
in sordina risonò lieve,
insinuante. Un cigolio.
Tu, la sua scia segui e da
un infinito abbraccio sei avvolto.
Pulsa frenetico il cuore,
il vento ti stordisce e
passa, affanni e profumi
di frutti selvatici
si porta dietro.
Caducità della nostra vita!
I tuoi versi
un lontano orizzonte vogliono
frugare, fermare il
tempo caduco e crudele,
rivivere le storie, perché
incastonate siano
nel colore degli occhi del cielo.
Tommaso Landini
Domenica in campagna
Di lontano sento
un ripetuto starnutire
con ironia mi viene da pensare
che qualcuno
riconosce ancora i profumi della campagna,
evidentemente
Ma nel mio passeggiare non odo
altro rumore
né le mie suole
né veicoli
soltanto le foglie
che giocano con la brezza
e uccelli che suonano a festa
Tutto intorno
infinite distese di campi
il sole dell’ultima estate
che si specchia nei fossi
due lepri che si rincorrono
alcune case abbandonate,
un tempo forse piene
di voci e di sapori
di profumi e di giochi
di dolori e di amore
Dove sono finite quelle voci?
E quel mondo, non ritornerà?
Su di un incrocio
una casa,
una finestra aperta:
un vociare in dialetto
copre una televisione in sottofondo
un anziano e la sua signora litigano
per un pranzo che non è pronto in orario
litanie antiche
di un amore che si ripete
eterno.
Gino Marchitelli
Opera 6^ Classificata
Memoria
Son tornato
sui miei ripidi passi ove
sperduto il pensiero mio vaga sconfitto
tra ideali dimenticati e sentieri impervi
Odo però ancor le voci che riaffiorano antiche
eppur così vive, presenti, distinte
nel silenzio di notti senza stelle quando
era la paura a scandire i miei battiti
E ancora distinguo gli sguardi
di quegli uomini semplici e dai cuori grandi
quando ancora il vento fischiava
eppur bisognava andare
Dove sono ora quelle mani e quelle voci
e quegli sguardi fraterni e muti
che la paura ponevano tre passi più indietro?
Dove sono le bianche caviglie di giovinette ignote
tese nello sforzo su duri pedali
per portar notizie come lame di luce in tutto quel buio?
C’è chi dice dormano ancora
e riposino tra i sassi di quelle innevate cime
della Val Grande, allora così amiche
E oggi ancor le mie rughe infinite e profonde e sanguinanti
come calci nel cuore
voltar altrove lo sguardo non sanno
E ricercano in te, figlio mio
la speranza di un’alba migliore
che protegga il tuo difficile cammino
Va figliolo
ripercorri quei passi ché è sotto a quei sassi
che si conservano ancora mille cuori rossi
come rose abbracciate dal vento
in quell’attesa solenne
del primo vero e commosso
respiro di libertà
Ermano Saino
Non dovevo
Non dovevo ritornare nei luoghi che mi avevano visto felice,
non dovevo riassaporare quegli aromi che inebriavano i miei sensi,
non dovevo sfogliare quelle foto consunte dal tempo,
non dovevo,
ora che lei non è più tra noi.
Forse avevi ragione, amico mio, nel dirmi di non farmi del male,
che il passato è passato, e più non riappare,
che bisogna andare oltre e rifarsi una vita,
che così avrebbero voluto coloro che tanto abbiamo amato.
Eppure anche tu, come me colpito dagli strali di un doloroso destino,
non rinunci a stordirti di fatiche e di viaggi,
nei posti più impervi di questo nostro piccolo pianeta,
con la segreta speranza dell’eterno ritorno,
di rintracciare nei fugaci sorrisi di una sconosciuta donna
l’eco lontana di un amore che non si spegne.