Giorgio Gianoncelli
La montagna: pane per l’anima
È limpida vita il ruscello che scende il pendio.
È vero canto il gorgoglio dell’acqua che
corre veloce e sbalza sui lucidi sassi, bagnati
dal sole in azzurri colori.
Perle cangianti sul filo erbato di riva.
Io, per me,
cammino di fianco l’allegro ruscello chiamato
“Scaleggia” che canta nell’onda dorata dell’Alpe
silente nel vivo di pascoli e prati palcati, oppure
scoscesi nel verde del vento leggero.
Saluto il quieto mandriano irsuto di peli e
di pelle nervato con “Argo”, il cane fedele,
col muso nell’aria che spiana elegante al raduno
dell’armento bovino.
Esplora il mio sguardo l’ampio roccioso costone
e lassù c’è l’ardita ospitale capanna, è il
rifugio “Bertacchi”.
Un fiero stambecco sul severo poggiolo annusa
le ombre del sole che muore. Stride nell’aria
perlata un’adirata poiana. Ha fame. Anche
la mia anima ha fame, ha fame dell’ovattato
silenzio del monte avvolto nel bruno colore.
Un filo di fumo già spande odore di pino:
è l’ora del vespro. Il silenzio quassù è preghiera
e se cibo sarà, sarà pane per la mia anima.
Manuel Petruzio
Il sussurro dell’alpe.
Come grido emanato dal silenzio, s’inerpica nel nulla,
follia d’un mondo calpestato da troppe impronte,
Montagne mie, salde dimore a picco verso l’infinito.
Quel gelo d’inverno, quel rosso sulle gote estive,
inspiro il respiro della vita e lascio al destino il tempo,
scontrandomi all’immenso, cerco rifugio nel verde dimenticato.
Salgo oltre i sentieri in cerca d’un vento antico,
alle spalle una vita d’uomo scienziato,
di fronte il fantasma d’un sole e la voce del mondo creato.
Dimentico il pianto d’asfalto, caos di città, bramosia di paese,
al baratto con quel riso d’un grillo, quel belato d’un becco smarrito,
astio del fosso in cui il ruscello ricade d’acchito.
Non v’è scusa, non v’è trionfo… se l’uomo scorda la vera musa.
Non è un salto e neppure un tonfo… se cammino per arrivar in alto.
Si tratta soltanto d’una grandezza da preservare,
la nostra montagna che il pensier fa volare.
Paola Salvatori
Incontro d’amore
Dalla strada sterrata
ti ho chiamata per nome:
grande Madre, bellezza di vita,
mi hai preso con mano leggera
dalla collina in fondo a S. Giacomo
alla valle del Tuo grembo.
Mi hai seguita in attesa
che arrivassi dal crotto
sulla soglia dell’anima.
Nuvole congiunte
disegnavano una traccia
nel velo del cielo: la mia vita!
Cammino incuriosita,
abbagliata dalla luce del sole
nel rivo che nasce dai tuoi piedi
dove tutto è silenzio e purezza.
Un messaggio d’amore è il Tuo bacio fuggente
come il volo di un marangone
posato sul lago del Monte Spluga.
Ammirevole Venere, vestita d’amore,
dolce e verdeggiante,
vorrei valicarti sulle ali del tramonto,
vorrei appigliarmi sull’alta cresta dello Spluga
e posare le mani sul tuo manto solenne.
Vorrei chiudere gli occhi tra il soffio del vento nelle tenebre
per respirare la saggezza tra il profumo dei Tuoi scoscesi, bianchi capelli
e risalire alla luce per risvegliarmi all’alba
sulla cima con una dolce carezza.
Imponente e incantevole,
con occhi profondi mi guardi
con la ricchezza floreale dello spirito.
Odo la Tua voce,
l’eco di una musica soave
portarmi sulla retta via del ritorno
nel gioioso abbraccio di un eterno girotondo,
tra le grandi catene della vita.
Ester Travaini
Mio padre
Nobile e imponente Quercia
che il fondo Valle domini dal Monte,
che ti adorni al sorgere del sole
e rendi al tramonto malinconico pensiero.
È lassù che ti ricordo e ti penso,
al pascolo, ove il tuo sguardo si perde
nel tardo meriggio, alla cerva in radura,
e fendi la legna del prossimo inverno.
Albero rigoglioso e fiorente,
che offri riparo e ristoro al viandante,
che dal piano si affanna
all’impervia salita, sostando al tuo scanno.
Come le foglie d’autunno
si incamminano a nuova vita gli amici.,
Nel Germoglio che a fianco si innalza
ti resta flebile consolazione
… e storia e sapienza a lui cedi.
Monte Calec (Buglio in Monte), 15 settembre 2010