Ilario Rigon
La carità che vado cercando
Un assolato pendio di rocce erte e massi
dalla valle s’erge a sostenere le ardue punte,
salgo a cercare lo spazio che s’allarga
e promette il respiro d’orizzonti lontani.
Sopra uno scheletro d’alpe solitario
al tempo resiste, lascito di fatiche dimenticate,
ove porta un lastrico di sassi ordinati
com’ossa poste a scherno d’ogni vanità.
Non resta che salire e lenire l’affanno
che nello sforzo non trova la ragione,
ma nel finito che l’animo inquieta.
Giungono rintocchi di campane da valle,
dolci ricordi d’infanzia e tregua di pace,
immerso tra praterie di corolle variopinte.
Il fragore delle acque presto tutto assorbe.
Colori e profumi avvolgono i sensi.
L’aria frizzante discende dalle cime e
rinnova il vigore che il corpo verso l’alto
muove alla ricerca del suo perché.
Oltre il verde che l’effimero riaccende,
un deserto cosparso di rocce rotte
e aguzzi spuntoni dal tempo plasmati,
a guisa di gendarmi d’un regno in rovina,
destinati dai secoli a fine sedimento.
Ora si svela la punta che il blu corona,
sasso sopra sassi è la meta ambita
che agli occhi rivela i contorni lontani
di monti, creste, giogaie e speranze.
Lo sguardo non nutre la memoria
ma si dilata libero oltre gli orizzonti.
Più non sento l’inquieta compagna,
né mi avverto, dissolto nel tutto che mi circonda.
Quel sasso sopra sassi ancora mi dona
la dolce e generosa carezza dell’Infinito
che l’ansia del limite ora vela pietosa;
è questa la carità che vado cercando?
Lino Speranza
La quiete di montagna
In silenzio profondo
davanti alla tua imponenza
mi inchino; osservo le tue
vette frastagliate, le marmotte ed i pini
in alto il sole risplende
bianco sovrasta il color della cima
il cielo di nuvole è privo.
Nei verdi pascoli alpestri
l’acqua sgorga lieve nei fossi
attraversa le tue valli
il paese in fondo a salutare
le sponde del ruscello sono ad aspettare.
I prati son pieni di fiori
profumi è colori
l’aquila vigila è scruta
gli animali sui prati smarriti
nell’aria aleggia la primavera.