Antologia del Premio Letterario Marguerite Yourcenar 2018

di

Autori Vari


Autori Vari - Antologia del Premio Letterario Marguerite Yourcenar 2018
Collana "Le Schegge d'Oro" - Le Antologie dei Premi Letterari
15,5x21 - pp. 54 - Euro 12,00
ISBN 978-88-6587-9634

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Antologia del Premio letterario Marguerite Yourcenar 2018


Immagine in copertina: Archivio Montedit


Antologia del Premio Letterario Marguerite Yourcenar 2018


Silvia Bianchi


Ispirazione

Inspira. Espira. Ci vuole pazienza, per cogliere l’attimo.
Inspira. Espira.
Ci vuole sovente il silenzio, per entrare in connessione con il profondo.
Il profondo mare. Il profondo cielo. Il profondo della vita che batte le sue urgenze.

Bisogna saper cogliere.
L’alito leggero del cambio di stagione.
Il filo di luce che conduce alla luna.
Il ticchettio della pioggia sulla finestra.

Bisogna saper sentire.
L’umanità che ci attraversa.
La fragilità che ci accomuna all’inizio e alla fine, oltre ogni legge che distingue chi è dentro o fuori dalla comunità.
Il prezioso valore delle differenze che ci portiamo sulla pelle, negli occhi, nel cuore.

Bisogna dare voce.
Alle emozioni più quotidiane e più difficili.
Alle piccole paure e alle grandi paure.
Ai sentimenti contraddittori eppur esistenti.
Ai tormenti di chi deve tacere.
Alle passioni inenarrabili perché fuori dagli schemi.

È lì che l’ispirazione arriva.
Perché l’hai intensamente cercata.
Intensamente trovata. Intensamente arrivata.
Connubio di libertà e disciplina del vedere, del sentire, del cogliere.
Entusiasmo, secondo gli antichi greci.
Invasione delle Muse dell’Olimpo nel corpo che sente.

È la vena aperta della poesia sul mondo. Che non sta ferma in una stanza. Che sa levare un canto di fronte all’ingiustizia.
Inspira. Espira. Fai spazio. Palpita la libera farfalla che è in te.


Maria Chiara Firinu


L’oleandro

Sotto l’albero dell’oleandro
spontanei tornano sussurri
di ricordi.
Arrivano di lato, di spalle,
dal cielo che appena filtra
la sua presenza, da sopra, tra i fiori rosa.
Ed io sono lì che leggo e a tratti
rimugino, ripenso.

Rumori di fronde, compagne di vento,
risvegliano storie di storie,
che più non consolano
per affetti passati ma buoni,
che più non cancellano
i vuoti riempiti, talvolta,
da suoni inattesi e crudeli.
Ma tu, vento d’albero amico,
a suo tempo,
hai protetto anche i miei bei sogni.
Ora li trasporti i pensieri d’allora
e mi racconti di attimi veri,
emozioni di ieri,
di madre, di canti di culla,
di zinnie fiorite, di fichi, di uva matura.

Il tuo è un sussurro cortese,
un racconto garbato e gradito.
Il cuore ti ascolta,
continua il cammino di vita… in salita.

Grazie, oleandro amico.
Tu non mi hai fatto mai del male.



Elio Lunghi


Sei come Gesù

Quando è nato Gesù
sei nata anche tu.
Quando è morto Gesù
sei morta anche tu.
Quando è risorto Gesù
sei risorta anche tu.
Ho pianto, ma non tanto
quando la tua scomparsa
turbò il mio cuore, perché
ti avrei raggiunta dove
la tua anima era non era mai
giunta.
Ora che sei tornata, non devi
ascoltare chi, non avendo nulla
da fare ti propone vuote serate
sulla riva di un mare senza sabbia.
Non c‘è mare senza rena
e senza studi non c‘è vita.
Rinfrescati sdraiata sopra uno
scoglio e nuota tra nuvole e sole
per attenuare il tuo fulgente
pallore.
Così, vedrai un futuro limpido
e ti sarà meno arduo superare
incertezze e dolore.



Stella Mosetti


Raccoglievo lo zucchero 
sul fondo del caffè
i capelli mi coprivano gli occhi
e ti sei seduto con naturalezza.
Mi hai guardata
come una vecchia amica.
Ci ho messo un po’ per capire chi fossi
ma ti ho sorriso
e sembrava
che il mondo non ci guardasse
che non ci fosse il tempo.
Mi hai chiesto come stessi
ma come si fa a descrivere un dolore.
«Aspetti qualcuno?» mi hai chiesto sorridendo
io aspetto solo i treni
a volte perdo pure quelli.
Avevi gli occhi lucidi
di chi non si è mai arreso
ma abbiamo perso sia la battaglia 
che la guerra.
Me ne sono andata
e mi son girata
eri ancora lì a guardarmi
qual è il piatto che pesa di più
l’amore perso o quello ritrovato?
Chi può dirlo
un po’ di barba in meno
un po’ di cuore in più.



Federico Orsini


Opera 11^ classificata


Rimproveri

Setaccio il passato negli sguardi che mi fissano da ore
E nei riflessi buttati sul muro per caso, dopo il passaggio di un treno.
Sono il bambino col rastrello e senza spiaggia
Che passa e ripassa il suo cubito di mare,
A volte ho bisogno di lanciare un acuto
Che sigilla con timbro di lettera, la verginità dei ricordi 
Spezzati ai miei occhi che si rompono.
Labbra senza contorno assumono ogni espressione
Dentro il lenzuolo, tenuto da un padre, a forma di caverna.
Ma piango dei sogni altrui; assomiglio al vecchio,
Che rimescola le carte per giocare in solitario:
I granelli più spessi di vita rimangono.
La tristezza è un setaccio bucato.
Girasoli seccati dal sole. Piangere, isolarsi a monte, cercando
Una strada per conciliare il calore del corpo. 
Ho la pelle troppo bianca: la testa, un prato senza recinto 
E case, a cui sottraggo i mattoni del tetto.
È un giorno in più a rovinare la vita.
Le gambe fuse, come una bambola di plastica dimenticata
Sotto un abbraccio slogato. Erba,
Insanguinata di luce a metà sotterrata:
Stagni e pozzanghere, da cui rubo ematomi di cielo.
La ballerina che sembra donna dal vestito giallo e rosso
Sbiancato dal mio sguardo. Le braccia morte, a terra, fondono
Nella carta da parati di una stanza: volti sbiaditi, un solo volto.
Non ricordo se piove, se c’è un fuori; sembro un aggettivo, una sedia
Vuota in mezzo alla sala.
I ricordi cresciuti rimproverano.
È un giorno in meno a fare bella la vita.
L’odore di pelle più viva sparisce tra gli alberi:
Non c’è mai stato. E io mi diverto come un bambino
A mescolare colori annacquati, lasciando impronte sui muri.
Non c’è una trave che risuoni alle mie dita, in corsa.
Non c’è una musica che resti senza colore.



Rosaria Rosanna Pecora


La festa del papà

Ogni 9 marzo,
si riapre nel mio cuore,
la ferita per la tua precoce,
dipartita Papà!
Quanti anni son trascorsi ormai,
e rimarrai sempre presente,
un ricordo bello,
un gigante buono,
in quei giorni,
da bambina la vita,
era più bella,
era un cielo sgombro di nuvole,
e di cattivi presagi,
pieno anzi, di dolci aspettative.
Ora tutto è vuoto, vano,
tutto è freddo e calcolato,
senza pietà, né sconti,
perché tanta crudeltà, viltà?
L’amore lavato dalle lacrime,
resta eternamente,
bello e puro.
«Il corpo è solo una prigione,
e questo mondo,
un lungo esilio».



Alberto Pinotti


Sveglia a Trieste

Mi svegliai ancora intorpidito
giacevo ammirando l’orizzonte
come le acque del golfo insonnolito
si diradava il filar di nubi
che la notte aveva invitato assieme alla luna
di un turchese e di sabbia color oro
si colorarono le coste increspate
su cui si ergeva il forte dal marmo bianco
mi ricordai presto del giorno trascorso
sotto l’influsso della possente Bora
che attanagliava Trieste fin dai tempi più
antichi
allora mi incamminai tra la radura
che mi portava al lungomare
costeggiavo l’importante porto
mi addentrai allontanandomi dai perpetui
lampioni donde stava il palazzo d’Unità
d’Italia
allora pensai alla bandiera di Trieste
finalmente libera dall’oppressore straniero
che sventolava sul balcone della facciata
quale emozione deve essere stata
tra quei sorrisi splendenti
il sospirato ritrovo
dell’agognata indipendenza.



Marco Polidori


Voci d’angelo

Essere svegliato al mattino
D’un giorno di festa, dalle voci
Di moglie e figlia, che parlottano
Piano piano, come le colombe
In bilico sulle travi dell’alba:
È un dolce anticipo dell’armonia
Delle sfere celesti, in Paradiso.
È così bello stare in equilibrio
Precario, in questa terra di nessuno
Senza reticolati e sentinelle,
Tra sogno e realtà: e non dovrebbe
Durare solo un battito di ciglia!



Tiziana Sartorati


I se

I se, i chissà, i forse, i perché
si imprimono permanenti

Che fò, li scaccio?
Oh, quanto vorrei!

Sì, li scaccio
che poi più facile sarebbe l’esistere.

ah… se non avessi detto
ah… se non avessi fatto

Perché non ho taciuto?
Chissà, se avessi parlato…

Ecco; lo vedi?
Ricado nell’inganno.

Riaffiorano inesorabili
i se, i forse, i chissà, i perché


Rumore

Rumore di pioggia
su foglie secche
su arida terra
su avide anime
dal male abitate.
Ah! potesse la pioggia
lavarle



Christian Testa


La verità

È una cosa inanimata
così pura così elevata
troppo spesso violentata
dalle menti cancellata

ma il problema è l’uomo
di natura non è buono
lui vuol farla risultare
solo quando può giovare

una cosa che nel mondo
ci migliora nel profondo
molto dura mantenere
è più facile tacere

quella vera è una sola
molto spesso è una parola
una cosa assai sincera
molto spesso la si spera

è la cosa più diretta
la più nobile e perfetta
e che l’uomo già la smetta
in silenzio lui rifletta

se si vuole migliorare
la si deve un po’ cercare
tanti sforzi deve fare
per potersi realizzare.



Francesco Testa


Rammarichi

Vuoti di fratture mai dimenticate sento nell’andare
tra il nostro tempo e le masse che modellano i silenzi
prima che si diradano nel presagio.
Tra corolle di miracoli raccolgo una spiga d’orzo
e mentre l’universo lassù freme d’ascoltare
ti dirò quello che non t’ho mai detto.
Giaccio all’ombra degli oleandri sognando mete
mentre mangio caligine dei camini
e parole di gente che non sanno più sorridere
a chi, anima erosa dai dispiaceri,
non ha mai pianto verso quel cielo sotto il quale
cresciamo le opinioni.
Prendiamo di striscio quello che ci si affianca e quel poco
brilla di riflesso perché solo nei vuoti si avverte il delirio
di assenze che non hanno avuto fine…
avvengono tra un oceano di discordanze
di quelli che starnazzano senza sapere ciò che dicono.



Enrico Trivoli


Opera 10^ classificata


Solitudine

È notte e non dormo, Gina.
E non ho voglia di dormire.
Non mi piace scrivere lettere d’amore,
è per questo che non ne scrivo mai.
E il fatto è che non ti penso nemmeno,
perdonami, lo sai che ti voglio bene.
È la solitudine che sento
e non desidero nemmeno compagnia.
Forse non sto molto bene, è per questo forse che non dormo.
Brutta la solitudine, meglio non pensarci.
Ma non mi vengono cose belle da pensare.
Non ci sei tu.
Certo che vorrei stare con te.
Ti parlerei di cose nostre, non so, ponticelli d’amore entre nous
fatti da fili di ragno che poi ingrossano
come le reti del mare dove noi come pesci
restiamo intrappolati come stupidi
e ci stringiamo coi nostri corpi
umidi e viscidi d’amore
e il pescatore è un bimbetto dispettoso di nome Dionigi
ha l’arco e le frecce e ci colpisce
e ride come un matto.



Gloria Zenorini


Prescelta

Quando la luce
mi ha inondato
è stata dolorosa gioia
come accade all’evaso
dalla tana
sopravvissuto all’interno
delle rocce
Ho sorriso bevendo il calore
della vita
conoscendo per un attimo
il bagliore
dell’appartenere al cielo.


Mia stella

Fissare la stella polare
è fede sul cammino
certezza d’approdo.
Ma poiché brilla
splendida
e irraggiungibile
è solo illusione
pensarla meta.


Pianto antico
Disperazione
la respiro da troppo
i cristalli
di pianto
raccontano
il tempo del dolore
ai miei piedi
una stalagmite di lacrime.


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