Con questo racconto ha vinto l’ottavo premio all’edizione 2007 del Premio Premio Marguerite Yourcenar 2007
Sapori dal passato
La tormenta, quella notte, aveva sorpreso Maurice, il vecchio trovarobe, ancora lontano dal paese di Saint-Paul, in cui contava di rifugiarsi. Tutti lo conoscevano, nella vallata, ma nessuno poteva aiutarlo, ora, così, solo, in mezzo al bosco. Sentiva i lupi ululare in lontananza, e il buio che lo circondava sembrava così fitto da produrre in lui una sensazione di estraniazione ed un dolore quasi fisico. Si era perso, e probabilmente sarebbe morto, e qualcuno lo avrebbe trovato fra trentamila anni, proprio come l’uomo di Similaun. Chissà quali studi ci avrebbero fatto. Forse, si diceva, la sua esistenza, che vedeva fin qui senza scopo, avrebbe potuto almeno contribuire, in un futuro lontano, al progresso della scienza.
La neve cadeva sempre più fitta, e il freddo avanzava implacabile. Ogni particella del suo corpo sembrava gridare sull’orlo dell’assideramento, le sue cellule, i suoi atomi e le sue molecole sembravano evaporare in un processo di lento ma inevitabile dissolvimento, nel quale si stava perdendo lentamente anche la sua coscienza.
Era una vita che il vecchio Maurice andava in cerca di tutto per le plaghe più impensate, raccogliendo e rivendendo brandelli di cose insieme a pezzi della sua anima. Era facile, per lui, affezionarsi alle cose che trovava, oggetti impregnati dei pensieri e dei ricordi di chi li aveva posseduti, e che gli si aggrappavano come all’ultima speranza. Ed era sempre doloroso, poi, disfarsene. In fondo aveva sempre vissuto di riflesso, sempre di passaggio, senza un punto fisso, un’ancora che lo trattenesse dai gorghi dell’esistenza. Era un continuo frugare nelle vite degli altri, come un ladro, come un pirata, attraverso i racconti delle loro cose, che vivevano la loro giovinezza coi loro padroni, e si adagiavano su di lui quando, ormai vecchie e stanche, quasi non servivano più. E lui era lì, a cercare di ripulirle, lucidarle, quasi a ridonar loro quella giovinezza che mai più avrebbero posseduto, sforzandosi di liberarle ossessivamente dalla patina del tempo e dal peso degli anni.
La neve continuava a cadere, sempre più densa, coltre bianca pronta a stendere l’ultimo velo sulla sua esistenza raminga, volta sempre a cercare oltre l’orizzonte, incapace di soste troppo lunghe. Era stanco. Pensava che, in fondo, era anche un buon modo di morire, lasciarsi andare lentamente nell’incoscienza, cessare pian piano quelle funzioni cerebrali superiori che spesso sono anche fonte di tormento, addormentarsi dolcemente tra le braccia della pace finale promessa dall’elegante signora che paziente attende. Sarebbe passato via via dal dolore e dalla sofferenza attuale all’oblio, a quello stato graduale di sospensione della coscienza e poi, infine, a quella pace ristoratrice che ci accoglie senza niente chiedere.
Ogni tanto, mentre con la forza della disperazione continuava ad avanzare, aveva qualche flash della sua vita, un volto, una storia, un sentimento. Non dicono che accade davvero? Non è questo, forse, uno degli eventi che precedono il grande passo? E gli pareva, ora, di vedere, là, in lontananza, l’unico punto stabile della sua esistenza, la casa in cui, da bambino, era cresciuto, con i suoi aromi e i suoi sapori, e gli sembrava di vedere ancora sua madre col grembiule, candido come la neve che adesso lo circondava, mentre preparava quella pasta e fagioli al curry che tanto amava e che non aveva mai più assaporato.
Lì, mentre avanzava nella tormenta, gli pareva di vederla, la sua mamma, mentre prendeva i fagiolini cannellini fatti ammollare per tutta la notte, li cuoceva sul camino fino a far sì che quasi si sciogliessero in bocca in un processo da cui la fretta doveva essere aliena, poi ne pestava la metà in un mortaio fino ad ottenere una poltiglia. E poi… Le idee cominciavano ad annebbiarsi, ma si sforzò di continuare, quasi il ricordo potesse trasmettergli un po’ di quel calore che lo avvolgeva da bambino. E poi i pomodorini, appena colti, il basilico odoroso, tritati insieme e messi nell’olio di oliva nel tegame di terracotta insieme ai fagioli rimasti interi ed a quelli pestati. La cottura lenta e il suo tocco da maestra, quella spruzzata generosa di curry che doveva conferire quel sapore unico, di terre lontane, alle orecchiette preparate a mano.
Il calore della pasta si sposava a quello offerto spontaneamente dal curry nella sua memoria, e il suo corpo quasi si sforzava di trarre ogni stilla, da quel ricordo, quasi che il passato potesse rifluire nel presente con la sua energia ristoratrice, con la forza dell’amore che sua madre metteva in ogni movimento e fase nella preparazione di quella ricetta.
E gli pareva di avvertirlo davvero, anche ora, quel calore diffondersi pian piano nel suo corpo, arrivare fino ai più piccoli ed immateriali costituenti del suo essere, là, in mezzo a quel gelo e al freddo che pian piano cominciavano a pervadere i meandri più nascosti della sua anima.
Si lasciò scivolare nella neve, dolcemente, mentre il velo nero dell’incoscienza si impadroniva delle sue capacità mentali, della sua consapevolezza di esistere. Giù, piano, piano, quasi senza accorgersene, verso l’oblio finale.
Fu così che, qualche ora dopo, lo ritrovarono, in posizione fetale, gli uomini del soccorso alpino. Corsa frenetica verso il più vicino ospedale, l’eliambulanza che lo portava verso il centro di rianimazione, ed una flebile speranza di vita.
Si risvegliò lentamente, ed accanto a lui i dottori parlavano di tecnologie avanzate, di farmaci mirabolanti, di circolazione extracorporea, che avevano pian piano restituito al suo sangue il calore vitale al quale il suo organismo si era aggrappato disperatamente e tenacemente, con tutte le sue forze.
Ma il vecchio Maurice ci credette solo in parte. Le rughe del suo viso di cuoio si spianarono per un attimo in quello che ai presenti sembrò l’abbozzo di un sorriso, mentre, fugacemente, gli passò per la mente che il vero calore che lo aveva tenuto in vita arrivava da ben più lontano, da quei sapori che venivano dal passato e che quella figura evanescente, là, in lontananza, aveva, ancora una volta, voluto preparare per lui.