Con questo racconto è risultato 11° classificato ex aequo – Sezione narrativa alla XVIII Edizione del Premio Letterario Internazionale Marguerite Yourcenar 2010 «Gli occhiali a specchio» Tom Smith, era un ex ispettore di polizia, di un commissariato periferico della città, collocato a riposo anticipatamente per i suoi gravi problemi di salute, dovuti alle molte sigarette fumate ogni giorno e che avevano finito per impedirgli di respirare agevolmente. Così si era trasformato in “topo” d’archivi giudiziari, ai quali aveva non ufficiale accesso, grazie alle vecchie amicizie allacciate quando era in servizio. Cercava, per conto di scrittori di gialli, thriller e storie horror, stralci di rapporti o sentenze su fatti di sangue del passato, archiviati al termine di infruttuose indagini che furono svolte al tempo in cui avvennero oppure a seguito di sentenza passata in giudicato, suscettibili di spunto per narrazioni di fatti cruenti da sensazione o mistero. Aveva già fornito materiale per racconti ma, a tuttora, niente di veramente eccezionale, almeno a parere dei suoi committenti. Durante una delle sue ricerche, in una delle stanze dove conservavano i documenti più vecchi, che parevano dimenticati dalla burocrazia giudiziaria, si imbatt… per caso, come pare sia di prassi nelle cose di eccezione, in un fascicolo cartaceo legato con spago grosso alla tipica cassetta dei reperti e con la indicazione dei dati salienti sulla stinta copertina: Omicidio Sofya One Saint, 23 marzo 1766; Autore sconosciuto; Indagati n.n.; Esito procedimento: archiviato. Dopo tanto tempo il fascicolo avrebbe dovuto essere distrutto ma, inspiegabilmente, era lì. Polveroso in disordine apparente, ma sul ripiano dei documenti conservati. Dette una scorsa alle prime pagine del rapporto: vittima una donna di circa quaranta anni, nubile prostituta, uccisa a coltellate, in un vicolo della zona peggiore del più tristo quartiere della città. Nessuno reclamò la salma, nessuno si presentò a testimoniare; mai trovata l’arma del delitto. Nella nota degli oggetti sequestrati, appartenuti presumibilmente alla vittima che Smith scorreva con sufficienza professionale, lo colpì e nemmeno subito, la voce: occhiali con una lente infranta (frammenti allegati, macchiati di sangue) di sconosciuta fattura e provenienza. Non realizzò perché quella voce lo avesse colpito ma, subito dopo, capì senza neanche sorprendersi che gli occhiali non erano un accessorio compatibile con la personalità della defunta e valutando a mente, per un fatto di cronaca, non dovevano essere lì essendo un accessorio non certo comune, al tempo. Pensò al solito disordine nei servizi di custodia e cura dei materiali: ordinaria inefficienza e insufficienza dei controlli ma, la curiosità, e volle… eppure era tutto sigillato. Ruppe la ceralacca e sciolse lo spago che chiudeva la cassetta dei reperti. Una borsetta in pelle di infima qualità, alcune monete in rame con l’effige del regnante del tempo, un pettine di osso, un guanto con le dita mozze, un fazzoletto di tela grezza e… il paio di occhiali: con stanghette e molla per agganciare le orecchie, una sola lente a forma di… “goccia”, l’altra mancava, era rotta in più pezzi, chiusa in un involtino di carta oleata; l’intelaiatura in metallo lucido e le lenti “a specchio”. Sebbene smaliziato professionalmente, era assolutamente incuriosito, occhiali di quella foggia erano del suo tempo non di due secoli prima. I reperti dovevano essere contemporanei della vittima ma, l’oggetto in questione, pareva alieno, anacronistico non credibile. Era, per le cognizioni scientifiche di Smith, perlomeno sospetto. Non potendosi trattenere oltre, copiò sul taccuino tutti i dati relativi alla vittima, mise nella tasca interna del soprabito gli occhiali e la lente in pezzi, richiuse accuratamente la cassetta e la spinse sul fondo dello scaffale. Lasciò l’archivio, turbato, incuriosito ed eccitato per la storia che ne poteva essere tratta. Soldi, sperò. Love Brown, lo scrittore, non ebbe espressioni di grande apprezzamento. La storia gli pareva consueta – data l’epoca cui si riferiva – e la particolarità degli occhiali non lo colpiva più di tanto, forse attribuendola, come aveva fatto Smith, ad una casualità estemporanea ma, date le insistenze dell’investigatore, decise di collaborarlo nel cercare una qualche spiegazione altra, rispetto a quella logica. Affidarono, riservatamente, il reperto al laboratorio di ricerca di una industria costruttrice di occhiali, perché stabilisse l’origine, la tecnologia e il periodo in cui fu costruito. Risultato quasi scontato per lo scrittore. Quel tipo di occhiale era stato realizzato negli USA specificatamente per le forze armate, aeronautica in particolare, e dopo il 1945, prodotto per i civili ed esportato in tutto il mondo. Una particolarità, comunque, emerse: gli occhiali, oltre alle lenti a specchio, erano ulteriormente personalizzati. Sulla stanghetta destra era inciso un nome e cognome, probabilmente, del cliente che l’aveva ordinato e acquistato, dato che non costituiva decorazione o logo di fabbrica riconducibile alla produzione. Samuel O. Scott, c’era inciso, nella medesima grafia della marca degli occhiali. L’agenzia investigativa americana che fu incaricata delle ricerche anagrafiche, trasmise un elenco di persone che avevano ricoperto quel nome, avevano, poich… erano tutte decedute, tranne uno. Un uomo bianco, di ottanta anni, ricoverato in una clinica per malattie mentali, che era stato un notevole chirurgo estetico, diventato ricchissimo e poi, per vicissitudini mai del tutto chiarite, ammalatosi di una forma di paranoia ossessiva. Sosteneva da anni, di aver ucciso la moglie, Sofya One che dagli atti non avrebbe mai avuto, perché lo derubava delle sue ricchezze. Pur considerando la casualità dell’accenno ad un omicidio, non c’era nesso con quanto trovato in archivio e questa realtà, così distante, tuttavia, nello scrittore cominciò a balenare l’idea di una possibile stesura di storia cruenta e suggestiva ma, doveva saperne di più. Si recò negli States ed ebbe le autorizzazioni sanitarie e giuridiche per intervistare Mr. Scott, sebbene sotto la supervisione dei medici. Sin dalle prime battute, Scott, parve ansioso di raccontare la sua storia sulla moglie che lo derubava di tutti i beni, ingrata di essere stata sposata, nonostante le sue umilissime origini, resa ricca e rispettabile in società ma appena si faceva cenno al fatto che non c’era traccia di lei nella sua vita ufficiale passata, il suo sguardo si perdeva nel vuoto e non proferiva più parola. Brown trovò curiose particolarità in quell’uomo e si convinse di farne racconto. Doveva assecondare Scott, permettergli di parlare della sua vicenda come lui l’aveva in mente. Negli incontri successivi, lasciò che si raccontasse a ruota libera ma erano lamentazioni più che narrazione di fatti accaduti o supposti accaduti. Disse moltissime volte che aveva pensato ucciderla in uno dei tanti modi letti nelle cronache nere e che aveva rimandato sempre perché ciò gli avrebbe fatto perdere la libertà di poter poi disporre dei beni. Disse di aver pensato ad un omicidio per procura ma non ne fece nulla. L’idea dalla quale Scott disse di essere stato affascinato e che definì assolutamente geniale, fu quella fattagli balenare da un cliente delle sue prestazioni di estetica. Un cultore di riti esoterici, occultismo, pratiche animistiche e extrasensoriali. Gli avrebbe fatto immaginare una soluzione che fosse stata realizzata lo avrebbe reso davvero libero, impunemente: la moglie non doveva mai essere esistita, risultare mai nata. Un palese anacronismo, sulle prime, anche per lui eppure… La moglie sarebbe stata, una fanciulla orfana di genitori e parenti a causa della guerra, da lui stesso introdotta clandestinamente negli USA dalla Polonia, e poi dotata di documenti falsi per sposarla. Ma, dal racconto e dagli aggettivi utilizzati da Scott, la donna risultava una specie di fantasma, immanente eppure senza personalità sociale giuridica, parentele o amicizie intime e quindi l’idea di una sua improvvisa sparizione poteva essergli stata accettabile plausibile, nella logica della elucubrazione paranoica. Ad ogni seduta, Scott, si dimostrava più loquace, senza reticenze e ci voleva poco a considerare giusta la sua restrizione nella clinica, anche se non dava mai in escandescenze e si accalorava soltanto nei commenti e con gli epiteti che riferiva alla causa della sua malattia: la moglie. In questi casi i medici interrompevamo il colloquio. Tuttavia le sedute, pare, gli producessero uno stato mentale positivo, dal punto di vista sanitario. Non accennò mai, sinora, a come dove e quando l’avrebbe uccisa. Come si sarebbe disfatto della prova, del suo corpo. Poi… «Andai personalmente nello studio del Mr. Odd Side, che strano nome aveva, per approfondire l’ idea che mi teneva in ansia e mi eccitava. Anche se ero uno scettico, qualcosa mi diceva, che alcune persone nel mondo, avevano poteri assolutamente particolari e mai sufficientemente indagati e verificati», così cominciò a discorrere quella mattina Scott e Odd Side, dalla sua poltrona in cuoio marocchino, gli avrebbe parlato delle sue dirette personali esperienze di occultismo, di esoterismo ma, insistentemente, Scott gli tornava a chiedere cosa in effetti volesse dire quando aveva accennato alla soluzione della “cancellazione” esistenziale di sua moglie. Ebbe una risposta addirittura banale: «Mr Scott, non avrebbe problemi se sua moglie non fosse mai nata». «Ovvio,» avrebbe ribattuto «ma, ora, lei è qui». E lui: «Mrs. Sofya, è il risultato di vicende umane del passato, quindi è là che bisogna intervenire allo scopo di estraniarsi temporalmente da lei. Generazioni di suoi ascendenti l’hanno preceduta, quindi si deve interrompere la filiera genetica in un punto qualsiasi e lei non giungerà sino a noi. Di altri non interessa». Disse di essere stato stralunato, Scott, l’incredulità si fece forte ma, pervicacemente, volle ascoltare il resto insistendo timidamente: «Significa che ci sarebbe una possibilità di…» – «Di andare nel passato ad effettuare un intervento risolutivo? Certo», ribatt… con sicurezza l’incantatore. «E, questo, dovrebbe farlo lei Mr Scott, col mio aiuto e le mie tecniche, perché lei conosce; lei conosce e sa della persona sulla quale bisognerà operare». Sarebbe uscito sfinito fisicamente da quella visita ma, viepiù deciso a proseguire, convincersi, perché ancora non lo era. Alla seduta successiva: «Indurrò in lei, farmacologicamente, uno stato di trance nel quale stato troverà con il suo discernimento il percorso da fare. Ci saranno tappe, deviazioni e scelte, più adotterà la soluzione corretta, più breve sarà il viaggio e la fine della storia», stava dicendo Odd, con voce suadente. «Potrà correre qualche rischio personale ma avendone coscienza, potrà porvi efficace rimedio. Mr Scott, sarà una esperienza certamente eccezionale, sotto qualunque aspetto la si consideri. Saremo pochissimi al mondo ad averla vissuta». Non subito ma, dopo averci pensato molto, decise di fare quel pazzesco viaggio verso la sua liberazione dall’incubo della moglie ladra. In fondo si doveva essere detto, cosa rischiava? Al massimo sarebbe restato tutto come era e avrebbe pensato ad altri sistemi, per raggiungere il suo scopo. Era un freddo week end di fine primavera, quello in cui decisero di effettuare l’esperimento. Scott volle leggere l’elenco degli ingredienti che conteneva il liquido che gli sarebbe stato iniettato in vena e fu rasserenato dal non trovarci sostanze a suo criterio pericolose, tranne una, incerta, che aveva un nome oltrech… latino di suono sudamericano ma, rassicurato, si dispose per l’inoculazione. Senza particolare preparazione preventiva, così come era giunto allo studio, si arrotolò la manica della camicia e porse la parte interna del braccio, poggiato sul bracciolo della poltrona. Riprese a parlare, calmissimo, all’apparenza: «Dopo un improvviso calore alle tempie, mi ritrovai in piedi, all’inizio di un lungo corridoio dal pavimento lucido. Stretto da pareti, pareva interminabile, senza sbocchi. Ai lati, vani di porte con le ante laccate in bianco, come accessi a camere di ospedale o di albergo popolare. Recavano numeri, alti per qualsiasi struttura ricettiva, sembravano più date: 1996…1956…1906… – Mi azzardai a testare la possibilità di aprirle ma, forse lo speravo, resistettero, erano inequivocabilmente chiuse. In preda a un’ansia sempre crescente, avanzavo. Non avevo scelta che procedere, insistere e presi a cercare di aprirle, tutte, a destra e a sinistra. Non so quanto tempo ne quanto corridoio abbia percorso, tanto che non guardavo più neanche le porte ne i numeri, provavo la maniglia, poich… null’altro intorno c’era di afferrabile. All’improvviso una maniglia girò. Gli occhi corsero al numero sulla porta: 1766. L’aprii lentamente senza avere alcun presentimento di quello che poteva esserci dietro. Apparve una luce fioca di giorno piovoso, umido, freddo e illuminava il marciapiede di una viuzza di quartiere antico, povero, maleodorante perfino. Riposi gli occhiali da sole, che sempre indosso, per vedere meglio e uscii in strada. Poca gente anonima imbacuccata procedeva rasentando i muri come per trovarvi protezione, sentivo un rumore ottuso diffuso come una cappa, screziato da un brusio rado in una lingua incomprensibile. Come una ambientazione da set cinematografico per film settecentesco, una tipica città europea del tempo, per una vicenda drammatica. Sembrava tutto preordinato, lo sentivo sulla pelle e intimamente lo accettavo. Fissavo in faccia i passanti e quelli pareva non mi vedessero, nessun cenno o espressione. D’un tratto, provennero grida di alterco da una porta a vetri che si stava spalancando e una donna evidentemente spinta, cadde sul selciato, fuori da una bettola. Si rialzò imprecando all’indirizzo della porta che si richiudeva. Aprì la borsetta di vecchia pelle lucida e consunta, ne trasse un coltello a serramanico, liberò la lama lunga lucida e impugnandolo con la mano destra inguantata a mezze dita fece per precipitarsi di nuovo nella bettola. Poteva avere quarant’anni, i capelli tanti, color stoppa, raccolti alla meglio. Vestita di stoffa grezza con una presuntuosa gonna di velluto liso, color sangue di piccione, uno scialle di lana nera sulle spalle, si voltò verso me, interrogativamente, nel procedere verso la porta. Il sangue mi si gelò nelle vene e non potetti fare a meno di esclamare: Sofya, tu? E mi precipitai su lei, istintivamente, quasi. Volevo disarmarla e non so neppure perché; lei afferrò gridando la mia camicia, divincolandosi ferocemente, tanto che sentii il crepitare degli occhiali rompersi nella tasca che lei teneva con forza inaspettata, strappandomela. Il coltello le cadde, io sempre tendola per un polso, mi chinai, lo afferrai e senza riflettere oltre la colpii non so quante volte. Ero stordito, la gente intorno mi guardava con compatimento distrattamente, più che altro. Io barcollando cercai la porta dalla quale ero uscito e mi ci precipitai dentro. Mi ripresi nello studio di Odd, la camicia strappata, la mano destra insanguinata stringeva un coltello da tasca, con una lama lunga, lucida, in preda al panico e impossibilitato a vocalizzare alcunch…. Mi fece ripulire e calmare in qualche modo e non ottenendo risposte ne cenni, mi lasciò andare via con la promessa di tornare appena mi fossi sentito disposto a raccontare. Non ho più voluto vedere Mr. Odd, non so dove sia e lui non ha mai cercato di vedermi, che io sappia. Mi sono sentito libero ma con un grave senso di colpa. Ho venduto tutto e sono partito per un viaggio verso non so bene dove, non ricordo più, comunque lontano. Non so come sono finito in questo ospedale». Love Brown ritenne di avere sufficiente materiale per trarne un buon racconto che, se del caso, avrebbe integrato con fatti di fantasia ma, prima di lasciare gli States, fece fare un’ultima ricerca. Accertare se esistessero beni di Scott e trovare una fotografia dello Scott giovane, almeno del tempo in cui la vicenda era cominciata. Il patrimonio, per diversi milioni di dollari, venne venduto e acquistato da certa Sofya One Saint, moglie polacca in terze nozze di Odd Side. Questi si erano trasferiti, da anni, in Venezuela. Mr. Scott, in una fotografia giovanile, indossa un paio di occhiali con lenti a goccia riflettenti, modello “USA Air Force”. Bruno Amore Contatore visite dal 18-03-2011: 17410. |
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