Opere di

Carmela Tuccari


AMARE TE

Amare te
non è
semplice voglia
di teneri amplessi
o sensuali abbandoni
non è
l’attesa trepida
d’incontri mancati
o il tormento nascosto
d’immaginari inganni
amare te
è perdersi
nei meandri della notte
per accendere, furtivi,
luminarie di stelle
a rischiarare
strade d’infinito.
Amare te
è tuffarsi
nella profondità
d’un mare verde
per scoprire
nei tuoi occhi
l’anima
e coglierne
nel segreto dei fondali
ricchezza
di conchiglie e madreperla.
Amare te
è ristare
al limitare del tuo “io”
per non turbare
l’armonia dei pensieri

Amarti
è riascoltare
la primordiale musica
che mosse l’universo
e ritrovare
nel silenzio siderale
d’un fragilissimo equilibrio
il nostro mondo
racchiuso
in una bolla di cristallo.

Da Disarmonie del Cuore – Ed. Il Convivio


ALZHEIMER

Il grigio opaco del pensiero
divergente ricopre a tratti l’azzurro
liquido dei tuoi occhi. Lo sguardo
fissa smarrito un punto vuoto.

Risucchiato nelle spire del tempo
volgi i tuoi passi verso sconosciuti
sentieri e la mente si perde
dentro tasselli frantumati
di fragili memorie. Spenti
ormai i verdi guizzi scattanti
e i bagliori dei fulminei lampi
a presagire tempesta, ti rifugi
nel silenzio. Il tuo domani
è diventato ieri e dell’oggi
ti sfugge il senso tangibile, e quando
la tua parola inciampa nel cammino
il tuo gesto incerto taglia l’aria
disegnando nuvole cave
dove muoiono le sillabe.
L’aitante possanza si piega
sotto i colpi d’una natura maldestra
che ti mortifica il corpo e la psiche.

E ridiventi bambino nella mani
di chi t’ebbe marito e amante
di chi ti vide padre rude
e severo. E cerchi quella tenerezza
che in tempi duri e difficili
la tua fanciullezza, forse, non ebbe.

Ma se nel buio della coscienza
s’accende un barlume di vita, trema
nell’iridescenza d’una lacrima
l’inquietudine dell’anima.


LA CHIUSURA DEL CERCHIO

Si chiude il cerchio intorno
al fabulare delle stagioni
sgranate da prati di calendule
e respiri di lune oltre le siepi
di biancospino e di mortella.
Nell’orto della memoria
maturano i pensieri.
Un ripetersi d’immagini
sciarade non risolte del passato
si sovrappone al presente, mentre
il futuro già appartiene ad altri.
Ora sui muri della casa il sole
affievolisce il gioco tra le fronde
e dietro i vetri l’andirivieni
delle figure note s’assottiglia.
Ferma sull’uscio l’attesa si scalda
alla tenerezza dei ricordi.

Quando l’alfa e l’omega s’uniranno
nell’ineluttabile abbraccio
scaturirà la chiusura del cerchio
e l’essenza della vita
mutata in polvere di Luce
ritroverà i sentieri del silenzio
per fluire, incontaminata,
nelle correnti dell’ Universo.


‘NA SCORCIA DI VARCA

Scìddica supra la sita
di ‘n-muccaturi di mari
‘n-carricu d’ummira
fiddiannu lu scuru.

Na truscia di çiatuni
e di miseria ‘ncasciata
ca trantulìa di friddu
intra na scorcia di varca.

Na carrittata d’occhi
scaddarizzati ‘nta nuttata
-faiddi ca scattiunu
supra na ‘ncùnia di spranza – scugna lu tempu e lu disiu
p’attraccari ‘n prescia
a ddi praji scanusciuti
di rina ‘ntrallazzata ppi oru.

E la luna s’ammuccia
‘ffruntusa di taliari
la raggia di lu mari,
linzolu ‘mpagghiazzato
ca s’ammogghia lu çiatu
e li spranzi ‘nzalanuti,
pi cummigghiari, a jiornu
‘n-campusantu senza cruci.


Traduzione

UN GUSCIO DI BARCA

Scivola sopra la seta
d’un fazzoletto di mare
un carico d’ombra
fendendo l’oscurità.

Un fagotto di respiri
e di miseria ammassata
che trema per il freddo
dentro un guscio di barca.

Una manciata d’occhi
sgranati nella notte
– faville scoppiettanti
sull’incudine della speranza –
spinge il tempo e il desiderio
per approdare in fretta
a spiagge sconosciute
di sabbia contrabbandata per oro.

E la luna si nasconde
vergognosa di guardare
la rabbia del mare,
lenzuolo spiegazzato
che travolge la Vita
e le speranze intontite,
per poi coprire all’alba
un cimitero senza croci.


RITORNO

Tornare è come riprendere
in mano il filo della vita
spezzato a valle nella corsa
per risalire al bandolo
a districarne il groviglio.

Tornare è ripercorrere
i sentieri della memoria
nel tessuto lacerato
dalle rose dell’assenza
e calpestare le intatte
geometrie di basalto
che conducono all’abbraccio
d’una balia dal seno prosciugato
con l’abito smesso della festa.

Tornare è rispecchiarsi
dentro vuote cornici di pietra
incise dalla carie del tempo
e dal becco ignaro dei piccioni
per scoprirne all’interno sagome
di suppellettili mancanti
e l’immagine antica riflessa
sulle polverose pagine
vergate dalle dita del vento.

Ma il mio ritorno non merita
il Mito di Narciso …
Ed il vuoto si colma del sole
d’una nuda giornata d’inverno.



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