Sul velo oscillante di luci poesie d’amore

di

Carmelo Caldone


Carmelo Caldone - Sul velo oscillante di luci poesie d’amore
Collana "I Gigli" - I libri di Poesia
14x20,5 - pp. 58 - Euro 6,00
ISBN 978-88-6037-7722

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Prefazione

È una vera evoluzione quella di Carmelo e della sua parola poetica. Ci sono temi che ritornano, perché radicati e irrinunciabili, e via via si ampliano negli orizzonti e si arricchiscono di sviluppi, scendendo sempre più in profondità. E ci sono tematiche che scaturiscono nuove dalla vita vissuta, dall’attualità, dalla realtà sociale sempre in divenire. Si affinano le tecniche di versificazione e le valenze espressive: la materia soggettiva si avvale dei procedimenti più moderni di analogie, metafore, sinestesie, illuminazioni, silenzi, potere evocativo di misteri dell’anima:

Quando il tramonto
È un volto piegato
Sul fiore del giorno,
scendono in ombre
le trecce materne
… L’aria è ancora piena di latte
e lo versa sulla mia bocca orfana.

(Da “Le trecce materne”)

L’icasticità della parola e la pregnanza del silenzio danno origine all’intrecciarsi di improvvise illuminazioni e prolungate pause di meditazione:

“M’appare
questo cadere d’anime bianche
e lontane.
Nevica sul mare… !”

(Da “Nevica sul mare”)

ricordo inconsapevole di letture amate o vere improvvise accensioni soggettive, alla maniera dei Simbolisti francesi? Correlativi oggettivi, alla maniera di Eliot e di Montale, forse inconsciamente intuiti a fissare in un oggetto il sentimento?:

“Qui, come un ragno, la miseria
ha tessuto la sua tela… !
Alle arcate di queste vecchie case
Pende lo stendardo di morte
O corredi infranti al vento.

Un cane a sera
Porterà fra denti la sua solitudine”

(“Il borgo dei poveri”)

E precisione di particolari che pittoricamente (impressionisticamente e pascolianamente) fissano e immortalano la realtà, ma facendola vibrare di qualcosa che sta oltre:

“Rimase la buia casetta
dallo scalino in pianto
con un raro fiore
germogliato tra le crepe,
che memore dei suoi passi
tendeva la corolla al sole.”

(Da “Il sogno della contadina”)

È questo “andare oltre” che conferisce ai versi la loro profondità e il loro incanto, in una dialettica costante tra nostalgia e sogno, memoria e attesa, costatazione della precarietà contingente e ricerca di assoluto, accettazione del limite e aspirazione all’illimite. Sulla nostalgia deve vincere la capacità di sognare:

“Il mio vento del Sud
emana profumi di ginestre e viole,
arpeggia malinconie
fra terrazze e sobborghi;
sono note di dispersi cuori
laddove divampa la memoria.
Su grondaie remote
Finisce il suo furore
Se riposa l’ala di un sogno”

(Da “Il mio vento del Sud)

Anche nel negativo occorre scovare quel che ci può essere di positivo:

“Sei la festa del mio dolore”

(Da “Alla bellezza”)

e tendere idealmente all’irraggiungibile:

“Quasi un preludio al tuo essere
in me vitale
e mai raggiungibile”

(Da “La neve nei miei giardini”)

La realtà, pur contingente, possiede valori non perituri: maternità:

“Dalla loggia
frastornata di odori di basilico
e di memorie antiche
mi chiamavi a te,
come chi voleva
un altro respiro
per i sospiri destinati, ahimè, a finire”

(Da “Mai oscura in volto”);

paternità:

“Fiore della mia memoria sei tu, padre,
cui ancor rimbomba il forte cuore
là… fra i declivi
dove echeggiano i tuoni”

(Da “I fiori della mia memoria”);

amicizia (“Lettera ad un amico”); la casa (“Accarezza la pietra di casa tua”); la terra (“A Matera”, “D’autunno al mio paese”); i bambini che sconfiggono la morte con lo spettacolo sempre rinascente della vita (“I bambini e la sera”); il lavoro, che rende ogni persona grande, partecipe con la sua opera della grande opera del mondo, (“Lo spazzino del paese”). E naturalmente l’amore:

“Gemeranno le nostre anime
sull’altura del tempo
e i bastioni dell’eternità
saranno urtati dai nostri sospiri.

Ora qui… in questo apparir passeggero
Con ansia mi chiederai
Di levarti un bacio dalla bocca
Come fosse spina che duole.

Dolce duolo… amor mio
Di qualcosa d’estremo rapido dono.”

(“Il bacio d’amore”)

Natura, piante, fiori, farfalle, terra, paese, rocce, cieli, mari… popolano le poesie di Carmelo: quasi una biblica visione cosmica, purtroppo rattristata da drammi realisticamente contemplati (“I figli della miseria”, “Il vicolo perduto”, “Perdizione”). Il poeta vede il male nel mondo, ma non vi si rassegna: all’odio e alla violenza occorre contrapporre il bene, l’amore-agape, capace di costruire; il rimpianto vero è per ciò che non si è donato:

“Non dispero per gli anni passati
né per felicità sottratte.

Dispero
Per gli attimi senza carezza alcuna,
dispero per le parole
più gelide di una nottata d’inverno… “

(Da “Ho visto cieli…”)

Così i valori morali redimono le contraddizioni dell’uomo, sostanziando la bellezza dell’essere con “questo enorme respiro d’amore” (in “Nevica sul mare”); “non d’assoluta fine” è la morte del padre (in “Il richiamo del padre”) e l’esistenza non può ridursi ad una serie di negatività: non si può rassegnarsi a non cercare una risposta:

“Gli uomini uccidono… !
Gli uomini oscurano
Il sorriso dell’innocenza.

Dimmelo solo tu, compagna mia,
dove volgerò il mio canto,
ora che si fa enorme la sera
e si fa carico di tutti i sospiri.

Dimmelo ora, che il cielo
S’insanguina nei miei occhi… !”

(Da “Alla compagna”).

Perché, infine, non si può sfuggire alla vera domanda che rende l’uomo uomo;: chi sono io?:

“M’appare
questo cadere d’anime bianche
e lontane.

Nevica sul mare… !

Sono quelle anime che mi amarono

mi gridano ancora: – Dove sei?
Che fai… Chi ami? – …
Nevica sul mare, amore mio,
dove sei?
… Dove sono?”

(Da “Nevica sul mare”)

Sappiamo che la risposta di Carmelo alla domanda esistenziale è una risposta positiva, di valorizzazione del reale, della persona, del mistero cosmico; di riconoscimento della grandezza della vita, destinata all’immortalità, e del suo Autore. Ma nei componimenti di questo volumetto tale risposta non è resa esplicita. L’autore preferisce immedesimarsi con chi è ancora in ricerca, e magari ancora non ha trovato, ed è tentato di cedere ad una visione negativa ma nello stesso tempo intuisce che invece una profonda ragione positiva regge il tutto.Si immedesima col “velo oscillante di luci”, con la sofferenza di chi si sente ancora separato da un velo e nello stesso tempo sperimenta la gioia trepidante di cominciare ad intravedere la luce: sentimenti profondi, ma accennati con pudore, confidati al lettore con la delicatezza di chi ha provato, sa capire e sostenere.
Ottimo compagno di strada Carmelo, discreto, ma mai banale nel suo impegno di esplorazione del reale e di comunicazione di valori poetici, cioè fascinosi, cioè fascinosamente profondi, cioè profondamente umani.

prof. Luigi Mascheroni


Sul velo oscillante di luci poesie d’amore


Dedico questa mia nuova raccolta
a mia moglie Antonia ai mie figlie
Giovanni e Sara
E a tutte le persone a me care,

Un particolare ringraziamento
va al mio fraterno amico
Roberto.


SUL VELO OSCILLANTE DI LUCI

Sul cedere del giorno
s’è disteso un velo oscillante di luci.

È l’ora che il povero umano dorme e sogna
lasciando il suo cuore sulla terra
smosso dal turbine della vita.

Se troppo rapido è l’amore terreno,
da lasciare incompiuto ogni cuore,
meglio la segregazione dell’anima innamorata
che poi possa liberarsi
nei templi degli amori eterni.

Se gli amori finiscono a mezzanotte
dove una volgare passione
sui corpi rapisce tocchi di bellezza
meglio con tutto l’ardore affidarsi ai sogni.

Sul velo oscillante di luci
la palpebra del cielo nasconde
le timide lacrime incompiute dell’uomo.

Sul velo oscillante di luci
s’involano le falene dei nostri tormenti,
ma s’accendono tra le vie terrene
bagliori d’accorate speranze.

E s’involano… s’involano le falene sognanti
fra lampioni d’ogni via
col rumor di povere ali!


I SUSSURRI DEL MALE

Venti traversi… voci bieche
turberanno i nostri sonni di pace.

Ma… questa aria grave che ci circonda
Deve temere la nostra innocenza.

Ci saranno cuori più forti
che sfideranno il colpire del male
e altri più deboli getteranno per delusione
un pezzo del loro cuore
al cane feroce dell’inganno.

Nella torma degli uomini
si disperderà la melodiosa voce
di una bimba non toccata dal male
ma al primo nascere dell’alba
si quieterà nell’immobile aria.

E noi con le nostre barche esasperate
al mare che sigilla l’immenso
innalzeremo ancora e ancora
le nostre pietose vele sognanti…!


A MATERA

Le strade
s’erano invaghite
della bella sera
innalzando luci alla rinfusa.

I rintocchi delle campane
chiamavano sordidamente
le nostre anime in ricordo,
che poi, lentamente si quietavano
nei dirupi.

La stazione fu testimone
dei nostri baci
e degli urlati addii…


ALLA PRIMAVERA

Mia terra bruna,
mio petto che crea,
sommesse speranze
è l’ora dei canti e di lampi di sorrisi.

Ma in me non vieni, primavera,
con nuove virtù agli occhi
se chi dal lamento dell’inverno
non s’è mai liberato…!

Vivo tra gli uomini
pronti all’oblio
con le loro sensazioni che passano
e poi ritornano.

Vivo come la più tenera viola
che sa dei suoi giardini
il triste mutare.


LO SPAZZINO DEL PAESE

A Pasquale

Frusciava
come dolce musica
quella scopa
sulla strada ancor deserta.

S’erano posate foglie
venute dalla campagna,
s’erano posati petali di rosa
caduti dai balconi.

S’erano posati rancori
nelle strade ancor deserte.

E lo spazzino raccoglieva
frammenti di tutto,
dando quel sorriso buono
a chi aveva mille pensieri
ed una parola sempre di bene:
– Vedete, io oltre a spazzarvi le strade
vorrei spazzarvi l’odio dal cuore. –

Ma se ne andò in triste giorno
sull’alta collina a riposare
tra i suoi padri.

Lo accolsero al tramonto.


IL VICOLO PERDUTO

È una sera
che Dio svela il suo disappunto
a questo vicolo
che non sente il richiamo del bene.
Lo svela in pioggia scrosciante
e rapidi lampi.

Qui dove si fece della vita
una miserevole ragione,
dove l’odio devastò
le appena alitanti vite!

È una sera
che Dio vuole apparire
nel gran tremito di stelle,
imbrigliando per un momento
il vento
per poi accigliarsi sul monte
oscurandoci la luna.


HO VISTO CIELI…

Ho visto cieli imbrunirsi
e poi accendersi.

Ho visto mia madre morire…!

Ho sentito sulla pelle
la dolce frusta dei ricordi,
per poi inchinarmi al Signore del Tempo…

Ho sentito sorrisi
prendermi l’anima
ma… solo per un breve istante,
più breve del ciclo vitale
di un fiocco di neve.

Non dispero per gli anni passati
né per felicità sottratte.

Dispero
per gli attimi senza carezza alcuna,
dispero per le parole
più gelide di una nottata d’inverno…

Dispero per te amor mio
così intatta nel cuore…!


ALLA BELLEZZA

Affondami nell’anima
la lama del tuo sguardo.
Sei la festa del mio dolore.

Sei la virtù donata all’occhio
che non è in grado
d’osannarti nei tempi.

Nella pupilla mi passerai
come rapida lacrima.


AL PARCO

Due vecchie madri
sedute laggiù,
dove la panchina
è un trono di ricordi.

Il loro vociare
delizia il silenzio,
il loro sospiro
lievita i seni scarni
come a voler nutrire ancora
i figli obliati
e ormai lontani.

Sensazioni d’allora
nel lieve abbraccio del sole
rivivono.

…Un urlo di bimbo le scuote.


SVEGLIATI AMORE

Svegliati amore,
riaccendi le stelle dei tuoi occhi
in quest’ultimo alone della notte
e porgi la tua bocca
all’amaro bacio del silenzio.
Svegliati
e non dolerti dei miei giorni
Io da tempo mi son tolto
ogni tormento d’amore dal petto
e vivo fanciullo
rinnegando i tuoi baci d’allora.
Sospira e ama i miei pensieri
che come allodole spaventate
han lasciato il giovane grano
d’una terra lontana.

Vorrei non entrarti mai nel cuore,
come non vorrebbe un’anima di farfalla
entrare nella ragnatela dei sentimenti.
…Morirebbe di prigionia

e languirebbe con ali piegate…

Amore …amore,
quanta vaghezza sento
seppur ti chiamo
ti piango
ti sogno!

Quanta incertezza nel mio cammino,
quanta malinconia cruenta
che non trova mai fine.


Sospira e pensami,
ma non dolerti della mia vita,
cosi come non si duole
la possente quercia che non sa
dove l’ultima delle sue foglie
sia andata a morire.

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