Storie di donne

di

Chiara D’Aurelio


Chiara D’Aurelio - Storie di donne
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14x20,5 - pp. 90 - Euro 9,00
ISBN 979-1259510303

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In copertina: «Beautiful woman eye, looking from the dark» © eugenepartyzan – stock.adobe.com


Prefazione

L’universo femminile visto senza pregiudizi né tabù, esplorato sotto ogni aspetto; personaggi e storie non semplici, non scontate, non radicate in un tempo o in un luogo, ma proprio per questo sempre valide.
Storie di donne emblematiche di una sola, la medesima, esistenza che si tormenta, riflette, s’interroga e non ha ancora trovato tutte le risposte e forse neppure le troverà, ma non per questo cesserà di cercarle. Tutte le generazioni sono rappresentate, spesso in conflitto tra loro: così come avviene nella vita reale, non esiste la complicità. Molto è il non detto in queste vicende, come se sollevare completamente il velo che separa la scrittura dalla vita non fosse consentito oppure non ancora possibile.
La scrittrice non ama le sue creature (è significativo che risulti piuttosto improbabile, per chi legge, identificarsi o riconoscersi nelle protagoniste): piuttosto le compatisce, limitandosi a studiarle e a metterne a nudo le contraddizioni. Dopo aver dato loro la vita le congeda, spronandole a crescere, a costruirsi autonomamente il proprio destino e affida così al lettore attento il testimone, con il compito non facile di adottarle, di dialogare, di confrontarsi con loro.

Lucia Bianchi


Storie di donne


A mio figlio Luca


ARLETTE: l’ospite inatteso

“Arlette, Arlette sei una stronza! Brutta e stronza.”
Così il pappagallo Bernardo apostrofava Alessandra ogniqualvolta apriva la finestra.
Alessandra, alta, snella, con labbra carnose, il cui arricciarsi in smorfie di disappunto rendeva il volto poco piacevole, appoggiata al lavandino della cucina, consumava il suo pasto, un panino al prosciutto, guardando fuori. Un fremito della bocca tradì tutta la rabbia contro l’odioso pennuto: l’avrebbe voluto appendere per il collo, farlo volteggiare in aria e lanciarlo contro un muro il più lontano possibile. Il suo sangue misto alle penne avrebbe creato uno splendido murale. Con lui anche la sua padrona, la vecchia pettegola Clementina dai capelli radi e secchi che, dalla finestra di fronte, spiava ogni suo movimento con il binocolo.
Finito il pasto, cercò di riordinare la cucina, anche se c’era poco da fare. Alessandra aborriva ogni traccia di disordine e di sporco: neanche le formiche si sarebbero avventurate su quel pavimento immacolato, sarebbero rimaste a bocca asciutta.

Sì lasciò cadere mollemente sulla chaise longue e portò il suo sguardo compiaciuto sui vari angoli della casa. Aveva provveduto lei stessa, con gusto, alla scelta di ogni pezzo dell’arredamento. I libri allineati per ordine di grandezza facevano bella mostra sulla libreria di noce, il tavolino stile impero su cui erano poggiate le foto dei suoi viaggi, la lampada Déco, i quadri di arte pop o semplicemente stampe dell’Ottocento rendevano l’ambiente piacevole ed accogliente.
Anche la scacchiera di cristallo era stata collocata al posto giusto, così da permettere al riverbero del sole di creare un caleidoscopico gioco di luci e stagliare il firmamento al soffitto.
Anche il nome l’aveva scelto lei, da Alessandra ad Arlette, perché soleva affermare che il proprio nome bisogna sceglierlo come un vestito, il nome è come un vestito: un corpo, un nome e lei aveva indossato ARLETTE.

In ufficio, infatti, nessuno la conosceva come Alessandra, tutti la chiamavano Arlette.
Lavorava da alcuni anni in una banca americana che raggiungeva tutte le mattine a piedi perché non molto distante da casa. Era molto apprezzata per la precisione e meticolosità quasi maniacale che metteva nel suo lavoro: sempre tutto in ordine, puntuale, mai una svista.
A mezzogiorno si fermava a pranzo in mensa dove aveva un minimo di relazione con i colleghi; alla sera e nei week end consumava pasti frugali, una pizza, dell’insalata, degli affettati, per stare a dieta, in realtà per mantenere la sua casa in ordine senza fatica.
Aveva pochi hobby: giocare a burraco nel vicino circolo dove aveva incontrato dei ragazzi che aveva frequentato per un po’ di tempo senza mai una storia duratura; qualche libro fantasy; niente musica; qualche cinema e poco altro.
Una passione, però, Arlette l’aveva: i dolci! Dolci di ogni tipo, dalle torte multistrato ai bignè alla crema, alla panna e poi il cioccolato in tutte le sue espressioni: cioccolatini, tavolette, tobleroni, il tutto consumato fuori di casa. A volte si fermava in pasticceria, ma spesso portava con sé i suoi tesori e li consumava dopo cena facendosi una passeggiata: alcuni portavano il cane, lei portava Arlette e i dolci.
Mentre si rilassava sulla sua poltrona, un punto nero sul muro attirò il suo sguardo allarmato.
Inforcò gli occhiali (una lieve miopia non le permetteva una visione nitida) si avvicinò e vide con orrore che un moscone soggiornava indisturbato nella sua casa.
Sì precipitò nello sgabuzzino per cercare l’insetticida che spruzzò con rabbia, quasi ferocia, contro il povero insetto che iniziò a volteggiare per tutta la casa in cerca di una via di fuga. Sì posava ora sul lampadario, ora sulla libreria, ora di nuovo sul muro, con una Arlette che lo inseguiva con tutto quello che poteva: strofinacci, scope, ancora insetticida, spruzzi, spruzzi, ma lui resisteva. Una prova estenuante da parte di entrambi.
L’aria, ormai irrespirabile, costrinse la giovane ad aprire le finestre e ancora il pappagallo: “Ciao Arlette, sei stronza…” La cosa la fece infuriare ancora di più e dalle sue narici sembrava veder uscire fumo.
Una scena ridicola… alla mister Bean.
Arlette decise di uscire per comprare insetticidi più potenti.
Tornò dal supermercato con una borsa piena di potenti spray, utili per lo sterminio d’insetti di un intero quartiere.
Raccolse i lunghi capelli castani nella cuffia della doccia, mise la mascherina sulla bocca per non inalare il veleno, protesse gli occhi con enormi occhiali da sole, infilò dei guanti in lattice… e via per la soluzione finale!
Iniziò a spruzzare in ogni angolo della casa, dietro i comodini, lungo i divani, sotto i tavoli, anche sul mobile della cucina, tirò tutte le tende e anche le finestre furono innaffiate. In preda ad un’agitazione frenetica e scomposta, urtò inavvertitamente la preziosa scacchiera che rotolò sul pavimento immacolato rompendosi in mille pezzi. Arlette si paralizzò per alcuni secondi: era troppo per lei! Cominciò a urlare e a inveire contro il malefico insetto che si era reso introvabile.
Decise, per rilassarsi, di chiamare Elena, una delle poche colleghe che poteva dirsi amica, e invitarla a mangiare una pizza al solito locale.
La conversazione fu incentrata soprattutto su Riccardo, ex fidanzato di Arlette e sulle motivazioni del perché lei lo avesse mollato così bruscamente.
“Sì, hai ragione, ho preso una decisione improvvisa, ma non riesco a pentirmi, ultimamente m’infastidiva molto il suo venire a casa e incominciare a toccare e spostare tutti gli oggetti, non trovavo mai niente al proprio posto” disse Arlette mentre tagliava la pizza a striscioline quasi tutte eguali, eliminando la crosta tutt’intorno.
Lo spostare gli oggetti creava nella ragazza uno squilibrio interiore: non poteva permetterlo.
Non accennò minimamente all’ospite che si era introdotto abusivamente nella sua casa, le avrebbe creato una crisi ansiosa.
Tornata nel suo appartamento, la cui porta aveva aperto con timore e sospetto, non trovò nessun segno del moscone.
Quasi rasserenata, andò a dormire.

Fu una notte infestata di folletti che salivano e scendevano dal suo letto, si arrampicavano sui muri, pendevano dal lampadario, mentre lei che impugnava il manico della scopa cercava di mandarli via.
Sì svegliò che agitava ancora le braccia per colpire i piccoli mostri e, quando si rese conto che dava colpi all’aria, decise che un’abbondante colazione avrebbe rasserenato il suo spirito da don Chisciotte.
Gironzolò un po’ per casa, ma era tutto tranquillo: forse il nemico è stato sconfitto, pensò tra sé e sé. Si preparò per andare al lavoro, ma, quando con la mano sulla maniglia della porta stava per uscire, un ronzio la fece voltare: il moscone era a pochi centimetri dal suo naso. Con gesto rapido gli lanciò addosso la borsa, ma l’insetto si spostò solo di poco, giusto per evitare il colpo. Anche lui era sfinito.
Arlette tentò di mettere ordine ai suoi pensieri prendendo una decisione rapida.
Cercò su internet le imprese specializzate sulla disinfestazione delle abitazioni private. Si mise in contatto con diverse ditte, ma le risposte erano molto evasive, quasi la ridicolizzassero: un moscone? Signora, utilizzi un insetticida qualunque, apra la finestra… o altri suggerimenti comuni.
Sulle prime cercò di spiegare che tutto era stato fatto, ma, quando fu sempre lo stesso ritornello, quasi fosse diventata una farsa e non una tragedia, almeno per Arlette, non si dilungò molto nel raccontare l’accaduto, ma promise una ricompensa doppia. Il signor Vincenzo, titolare della ditta “Acchiappa Volatili”, accettò di buon grado.
All’ora stabilita si presentò alla porta un signore basso di statura, grassottello, con lunghi capelli grigi raccolti in una coda di cavallo, con baffi spioventi, dal sorriso rassicurante.
Entrato in casa, tirò fuori dalla borsa una piccola bomboletta.
“Tutto qui? – chiese Arlette – pensavo che portasse apparecchi complicati, alta tecnologia.” “Per un moscone? No, questa bomboletta è più che sufficiente, una preparazione inventata da me, miracolosa! – con fare un po’ autoritario, avanzò all’interno della casa – dov’è il disturbatore?”
“Se lo sapessi”, rispose timidamente Arlette che incominciava a dubitare di quella Mary Poppins in pantaloni. “Signorina, lei vada fuori a farsi un giretto e torni tra un’ora. Sarà tutto concluso e non avrà respirato quest’aria avvelenata.”
Arlette, sebbene titubante, si allontanò. I mutamenti del suo viso condensavano tutti i pensieri non detti che attraversavano la sua mente.
Dopo un’ora si ripresentò a casa. Il piccolo signore dai lunghi capelli e dai baffi spioventi l’accolse sorridendo: “Tutto finito, mia bella signora, l’intruso è stato cacciato” “Morto?” “No, è volato via e non penso abbia intenzione di tornare.” Finalmente Arlette, pagato il pattuito e mandato via l’ometto, si buttò sul letto, rassicurata, ma non troppo.
Il mattino seguente, dopo una notte in cui un placido sonno aveva avuto il sopravvento, si alzò contenta, aprì la finestra, la voce del pennuto Bernardo non la irritò molto (si era liberata del peggio!) anzi lo salutò festosamente “Ciao Bernardo” “Ciao stronza.”
Non replicò: era contenta e non voleva turbare la giornata.
Sì preparò lentamente per andare in ufficio e, mentre infilava le scarpe Prada tacco diciotto, vide una piccola ombra passare davanti ai suoi occhi.
Nooooo, non ci poteva credere, solo suggestione…
Continuò la sua preparazione, ma il fatto si ripeté più oltre e alla fine anche gli altri sensi ne ebbero la prova: il moscone era lì, non si era mai allontanato da casa.
Che cosa fare? Non ci ripensò neanche un minuto, uscì e si recò all’agenzia immobiliare che conosceva bene nel suo quartiere.
Avrebbe venduto l’appartamento e ne avrebbe riacquistato un altro.
Non spiegò i motivi, prese visione delle varie opportunità, firmò il contratto e nel giro di poche ore si era liberata del moscone, dell’odioso pennuto e della vecchia Clementina.

Dopo appena un mese entrò nella nuova casa. Anche qui aveva curato tutti i particolari dell’arredamento, ricreando lo stesso ambiente che aveva lasciato: i libri ben allineati, il tavolino stile impero, la lampada Déco, i quadri e le stampe.
Felice e soddisfatta, si allungò sulla chaise longue, ma…

[continua]


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