Capitolo 3

di

Christian Caldato


Christian Caldato - Capitolo 3
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14X20,5 - pp. 136 - Euro 11,00
ISBN 978-88-6037-8576

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In alto la luna,
la luce sbadiglia consapevole del suo lungo peregrinare…
e lentamente si lascia scoprire,
fascio dopo fascio,
nella sua intimità…
Quel suo mostrarsi con cautela quasi folle,
quello mostrare cose che conosciamo,
ma che continuano a stupirci…
è l’alba…è la novità, insita nelle cose di tutti giorni…
è la bramosia dei desideri più arditi…
è il brivido che assale il nostro corpo e lo fa sussultare…
andate voi, io rimango qui a godere.

KEIth GANassin


Ringraziamenti

Volevo utilizzare ancora un po’ di parole, speranzoso che le migliaia che avete appena finito di leggere non vi abbiano stremato, e che il posto giusto di questo libro, ultimata questa pagina (ammesso che vi siate arrivati…), sia vicino ad altri compari in una libreria, e non sotto la gamba del tavolo, come spessore, o tra la carta che verrà ritirata martedì dagli addetti.
E mentre cerco di dare forma e vita a queste parole mi rendo conto che non vi è in italiano una parola, che si avvicini al mio senso di devozione nei vostri confronti, al mio desiderio di ringraziarvi per ogni minimo gesto o istante col quale mi avete insegnato che non conta cosa si fa nella vita, ma conta il come. Non esiste un modo per esaltare quel senso di benessere che mi dà la vostra presenza.
Voi siete ciò che fa la differenza.
Grazie.


Capitolo 3

CAPITOLO 1

Sostanzialmente sono come un bambino. Un bambino che corre, a perdifiato, in un sentiero, tra gli alberi, in mezzo ai boschi. Sospinto dal richiamo della fluttuante novità. Alla ricerca dell’onnipresente nuovo. Sono quel bambino che corre, lasciandosi alle spalle le urla degli esausti genitori, e i consigli sensati. Come il non correre. Come l’aspettare. Sono le scarpe di quel bambino, lanciate seguendo leggi fisiche misteriose, con le loro traiettorie inimmaginabili. Sono la volontà di quel bambino, che azzarda inconsapevolmente, che corre, ma che ancora non sa che sta fuggendo, dalla linea piatta dell’abitudine. Sono la spensieratezza di quel bambino. Ma soprattutto l’entusiasmo. E le grida di fronte al nuovo. Le grida destinate ai genitori. Scioccamente inutili.
«Avete visto??»
Come potrebbero. Sono rimasti indietro. Ecco io sono così, quando mi perdo nei meandri della mia fantasia. Perdo completamente il senso della realtà, mi libro nell’aria e mi lascio sospirare dal delicato soffio, dal vento sospinto dall’immagine del fiato delle parole. La fantasia è la mia droga. Da assuefazione, da dipendenza, e da effetti collaterali mentali, ma non fisici. Almeno ad una prima analisi. Quanto meno non è dispendiosa dal punto di vista economico.
Ma come ogni sogno allucinatorio, arriva il momento di rientro alla realtà. Il passaggio è per il mondo del surreale con il dirimpetto ticchettare dell’orologio del Bianconiglio, e l’immediata consapevolezza tangibile del mio perdermi in vaneggi mentali stravaganti.
Due ore di ritardo.
La strada non era mai stata così lunga. O meglio lo era solo e tutte le volte che mi risvegliavo con la sveglia del mondo di Alice. In quella calda città desolata le distanze sembravano aumentare in modo inversamente proporzionale al mio tempo a disposizione.
La preparazione in fretta e furia non era il mio forte, e la mia sudorazione lo sapeva. Inoltre ero certo che al mio arrivo non avrei trovato facce amiche ad accogliermi. La sudorazione decise di fare gli straordinari.
Arrivai sgommando nel viale. Ero a più di settanta chilometri orari quando passai il casello. La sbarra si alzò tempestivamente. Per fortuna. Credo che i casellanti scommettessero sul giorno in cui avrei abbattuto la sbarra. Un peccato non poter partecipare. Sostenevano potessi influire in qualche modo il risultato della scommessa. Ho sempre avuto una dedizione per le scommesse. Non è tanto la vittoria, ma il gusto di mettersi in gioco, il pathos che si crea nella situazione di tensione, quando in un attimo una informazione o l’altra determina la tua vittoria o la tua sconfitta.
Parcheggiai in modo sommario e una volta raggiunto l’ingresso trovai quattro guardie del corpo e due segretarie a ribadirmi lo stesso stramaledetto concetto che già conoscevo.
“Buongiorno. (Ma ti sembra?). Sei in ritardo. (Sei un genio!).Ti stanno aspettando. (Ah è questa la notizia del giorno?). Sono arrabbiati. (Lezioni di ovvietà?).”
Presi l’ascensore.
“Perché ci mettono la moquette? Fa schifo! Ok, non è il momento di lamentarsi!”.
Arrivato all’ultimo piano trovai ancora guardie del corpo e segretarie. Ancora un coro di riluttanti inutili parole sprecate. Potevano nel frattempo aggiornarmi sull’andamento della vendita di chili nel nuovo locale messicano, aperto all’angolo, che avrei avuto lo stesso interesse. Odio il piccante. Non ha senso. È come sostenere che una cosa è buona solo perché non ne si sente il gusto. Questo è lontano dal concetto di bontà. Evviva la cucina italiana. E finalmente entrai.
«Beh dai. Non sono neanche l’ultimo. Sono perfino sollevato. Di tutte, questa è la volta che l’ho fatto meno volontariamente possibile.»
“Arrivare in ritardo intendo. Non il vaneggio.”
«Dov’è Frederick?»
Richard era in un periodo che mi sembrava piuttosto agitato. Era un lungo periodo a dire il vero. Verissimo che ci fossero molte pratiche pendenti. Però questo suo atteggiamento da frustrato mi sembrava eccessivo. Forse avrei dovuto interessarmi un po’ di più al suo stato di salute. Ma non che me ne fregasse molto, detto sinceramente. Almeno fino a quando questo suo essere stressato non interferisse con il mio essere rilassato.
«Non ne ho idea, ma tranquillo! Non lo so, arriverà. Si starà godendo la vita…»
«Vedi di non fare troppo lo sbruffone. Dove sei stato?»
«Beh ho avuto un contrattempo, ma ora sono qui, e tra l’altro non si può neanche iniziare. Se l’avessi saputo avrei evitato almeno la multa per eccesso di velocità. Perché vi accanite tanto con me? Non sono neanche l’ultimo…»
Sembravano più irritati dalla mia presenza che dall’assenza di Frederick. Incredibile. Il mondo gira in senso antiorario. E noi abbiamo inventato gli orologi dandogli il senso opposto. Ora, potevamo adeguarci all’andamento noi, invece che pretendere che la terra si adeguasse alle nostre idee. Invece abbiamo scelto la strada delle incomprensioni.
Frederick non rispondeva alle chiamate. Rimasi in attesa un’ora, ma l’atmosfera non era gradevole. Era un po’ come andare a un ballo di carnevale, ed essere l’unico in maschera. Nonostante avessi fatto il mio dovere, più o meno, mi facevano sentire fuori luogo. E visto che avevo ancora una vita da vivere, decisi di salutarli tra urla, schiamazzi e insulti. Stavano anche esagerando. In questo momento Frederick aveva guadagnato un sacco di punti, saltando questa riunione. Lo scettro delle ostilità mi sfuggiva di mano finalmente.
Raggiunsi la mia auto, mentre brevettavo un pomeriggio in amaca, nel verde finto – giardino, Chopin, e quel nuovo libro dalla copertina scura che aveva accalappiato la mia attenzione per il rilievo della copertina. Quando sentii suonare il telefono. Subito pensai che avessero avuto novità sui miei programmi e che mi costringessero ad altre ore di detenzione in ufficio. Invece la scritta lampeggiante mi sorprese: “FREDERICK”.


CAPITOLO 2

“Stavolta sono sicuro. Mi uccideranno. I miei soci. Mi uccideranno. E per cosa? Una donna. Va sempre a finire così. Un’altra donna. Un’altra. Porca miseria. Fosse almeno mia moglie.
I colleghi sono più comprensivi con i problemi con le mogli. Forse è una sorta di solidarietà. Del tipo “siamo tutti sulla stessa barca”. Ma l’attività extraconiugale non è socialmente ammessa.
Avere un’amante non è facile. Hai idea di quanto possa essere ossessiva?
Non importa se per andare con lei hai dovuto tradire la tua compagna per ovvi e pratici motivi, e non importa se continuerai a far sesso con tua moglie… però, se ti dovesse beccare a far sesso con un’altra sarebbe delirio allo stato puro.
Ma che le cambierà?!
Se consideri il matrimonio un’istituzione santa, capisco che si possa delirare all’idea di dividermi con una moglie. Ma se già lo accetti che faccio sesso con un’altra donna, proprio non riesco a capire. Che cambia se invece di lei è un’altra. Che non conosci peraltro!
Scelgo te per evitare paturnie mentali e tu invece di aiutarmi a respirare, mi strozzi. Fossi brava almeno. Facessi tu delle cose che dalle altre neanche mi sogno. Io impazzirò. Sicuro. Avere un’amante è un impresa. Averne due è un buon motivo per uccidere. Una delle due. Tutti i sacrosanti dettagli. È sfiancante. E poi a ricordarsi tutte le infinite versioni dei fatti. Praticamente vivo tre vite in un momento. Uno non si gode neanche più il sesso.
Appunto: mollare le amanti. Trovarsi amanti meno ossessive.
E poi finisce come oggi. Mi sono lasciato andare, ho colto un attimo stupendamente intenso, e mi sono addormentato. Ed eccomi. In ritardo all’appuntamento di lavoro.
Già mi immagino cosa diranno. «Sei irresponsabile, come fai a mancare agli appuntamenti… se ti comporti in questo modo… bla bla bla…»
Maledetti stressati. Almeno a me lo stress me lo impongono le amanti. Ed è un costo accettabile. Loro se lo impongono da soli. È ridicolo. Ho una vita, lasciatemela vivere in serenità. Tutti intendo. Mamma mia. Un giorno ucciderò qualcuno.
Cazzo la cravatta. Me la sono scordata. E non ho neanche avuto il tempo di spiegarle. Speriamo non combini cazzate, come cercarmi a casa. Sarei davvero spacciato. Porca miseria guarda questa camicia. Tutta sgualcita. E questo che è? Rossetto? Ma non ce l’aveva neanche. Come ha fatto? Porc…”.
Diedi un colpo d’occhio al mio orologio da polso.
“È un giorno dispari. Sicuro. Lo sapevo. Lo sarà anche il giorno in cui farò una carneficina. Speriamo di non accavallare troppo gli impegni.”
I giorni dispari sono i giorni degli stravolgimenti in negativo. Non so perché, ma ho questa fissa fin da bambino. Se accade qualcosa di strano in un giorno dispari, la vita imbocca la strada che imbocca generalmente il galleggiante dopo lo sciacquone.
Era il giorno buono per sfatare questo mito. Ma purtroppo questo mito era più stabile delle mie aspettative. E aveva le sembianze di un grosso uomo barbuto. Peraltro non molto amichevole.

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