Invernale maledizione

di

Claudio Battista


Claudio Battista - Invernale maledizione
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
15x21 - pp. 158 - Euro 13,30
ISBN 978-88-6587-7821

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In copertina; «Dramatic sky over old lonely tree» © Nejron Photo – Fotolia.com



Invernale maledizione


Ciao Donatello


1

Il telefono cominciò a squillare poco dopo le ventidue. Il suono si librò nell’aria dapprima discreto, vagando per la casa come un ospite al suo primo invito, guardandosi intorno, sfiorando le pareti, accarezzando i quadri, poi scivolando leggero attraverso il buio come un rapace notturno a caccia di prede. Il silenzio che fino ad allora aveva avvolto la casa fuggiva terrorizzato, in balìa di quel violento saccheggiatore, predatore insaziabile di pace e tranquillità.
Divenne sempre più imperioso, l’urlo disperato di una donna alla quale nessuno presta soccorso, infilandosi all’interno di ogni stanza, profanandone la silente intimità. Entrò in camera da letto e si fermò a volteggiare sopra la massa informe delle coperte sotto le quali Valerio dormiva il sonno del giusto. S’infilò sotto le coperte, smantellando la strenua linea difensiva eretta a proteggere il suo sonno. Un braccio uscì lentamente, come una lumaca che rintanatasi nel guscio per sfuggire un pericolo rimette coraggiosamente la testa fuori sollevando le sue piccole antenne a mo’ di radar.
Si diresse d’istinto in direzione del comodino, sul quale l’orologio ticchettava discreto. La mano vagò cercando di afferrarlo, brandendo le sue dita come tentacoli di un polipo presbite. Paziente, la mano continuò a cercare, determinata come un cane antidroga all’interno di un’auto sospetta.
Scorrazzava sul comodino caparbia, alla ricerca di quel dispettoso orologio che sembrava deriderla. Alla fine riuscì ad afferrarlo e il dito indice si produsse in un numero piuttosto difficile: pigiare il pulsantino per metter fine all’odioso suono della sveglia. Vi riuscì al primo tentativo. Ma quel suono odioso, quel trillo penetrante e ossessivo, continuava a viaggiare indisturbato.
La mano si ritrasse delusa e un attimo dopo afferrò un lembo della coperta spostandolo verso sinistra, liberando così il corpo di Valerio dal suo caldo abbraccio. Il piacevole tepore che aveva avvolto il suo corpo, crogiolandolo in una sensazione di benessere dentro la quale il freddo di quella sera non sarebbe potuto entrare, si dissolse come un gradevole miraggio. Si mise a sedere sul letto, con gli occhi pesanti e le labbra appiccicate da un sottile strato di saliva solidificata. Valerio sguinzagliò i piedi alla ricerca delle ciabatte, accucciate accanto al letto come cuccioli devoti. Vi infilò dentro i piedi, sbagliando le coordinate. Il piede destro si infilò nella ciabatta sinistra e il piede sinistro nella ciabatta destra. Ma nelle condizioni nelle quali versava, non si rese neanche conto di averle infilate. Il trillo continuava incessante, con il tono indispettito di una moglie il cui marito si attarda nel risponderle. Valerio si stropicciò gli occhi, infilò le dita tra i capelli massaggiandosi la cute, cercando di allontanare quel fievole mal di testa che sentiva pericolosamente vicino. Si produsse in uno sbadiglio così rumoroso da sovrastare per un momento il trillo del telefono, disincagliando quella sottile patina di saliva che sembrava una cucitura mal riuscita.
Si alzò, maledicendosi per non aver staccato la spina del telefono prima di coricarsi. Ma era rientrato a casa talmente stanco che aveva pensato solo a infilarsi sotto le coperte. Tutti gli altri pensieri avrebbero dovuto attendere l’indomani per essere vagliati. Ciabattò in direzione del salotto, dal quale il telefono continuava a chiamarlo senza sosta. A metà strada e precisamente al centro del corridoio, il telefono smise di suonare. Valerio si bloccò, quasi che il suo procedere fosse condizionato dal trillo del telefono. Il silenzio gli piombò addosso con la piacevolezza di un temporale estivo dopo l’asfissiante calura. Si voltò per tornare a letto e il telefono riprese a suonare. Valerio reagì con un gesto di stizza, con il cuore che gli balzò in petto in ripetute capriole. Riprese il suo cammino verso il telefono, sentendosi ora un po’ più presente, più sveglio. Chi diavolo poteva essere così incosciente da svegliarlo nel cuore della notte? E d’un tratto, quello che fino ad allora era stato un suono fastidioso e arrogante, si trasformò in un imperioso e inappellabile bisogno di aiuto.
Le telefonate nel cuore della notte non erano mai portatrici di buone notizie. Affrettò il passo, rendendosi conto solo allora di aver infilato i piedi nelle ciabatte nel verso sbagliato. Camminando le scalciò, allontanandole quel tanto necessario da poterle infilare nel modo giusto senza interrompere il passo. Accese la luce in salotto, raggiunse il telefono e afferrò la cornetta.
“Pronto?”, rispose ormai del tutto sveglio. Il timore che quella telefonata potesse portare cattive notizie, lo aveva scosso dal suo torpore iniziale. Schiacciava la cornetta contro l’orecchio, concentrandovi tutta l’attenzione possibile, pronto a recepire l’eventuale richiesta di soccorso senza lasciarsi cogliere di sorpresa.
“Valerio, ce ne hai messo di tempo. Che stavi facendo, dormivi?” esordì vivace la voce all’altro capo del telefono. Avrebbe voluto rispondere di sì, che stava dormendo, ma la voce non gliene diede il tempo. “Oddio Valerio, non sai cosa mi è successo! Una cosa straordinaria” esultò la voce. Valerio allontanò la cornetta dall’orecchio prima che quella voce gli perforasse il timpano. Poi lanciò uno sguardo sorpreso al ricevitore nella mano destra.
“Laura, sei tu?”, domandò quasi parlando a se stesso che alla voce.
“Sì, sono io.” Una breve pausa, seguita da un risolino.”Ma stavi dormendo davvero, alle dieci di sera?” Un altro risolino.
“Come le dieci?”, le rispose Valerio voltandosi a controllare l’orologio sulla parete. Erano effettivamente le dieci di sera. Svegliato dal telefono, aveva creduto fosse notte fonda, fuorviato dal sonno profondo dal quale era stato strappato. Alla luce di questa rivelazione, si rilassò un tantino.
“Ho da dirti una cosa fantastica, una scoperta eccezionale, una…” e la voce di Laura si confuse tra scariche e fruscii, rendendola incomprensibile, “…bosco vicino… sa mia… una ma… paese…” scariche ancora più forti poi avvertì una sorta di mugolio, qualcosa che somigliava a un lamento. Intrappolata da quei rumori, la voce di Laura gli giunse distorta, lontana e… spaventata. Di quest’ultimo punto non era proprio sicuro. La linea si interruppe bruscamente, lasciandolo con la cornetta poggiata all’orecchio e l’eco della voce di Laura che gli rimbalzava nella testa.
“Pronto! Pronto!”. Cercò di ripristinare la linea, ma l’aveva persa. Poggiò lentamente il ricevitore nel suo alloggiamento, restando con lo sguardo fisso sul telefono. Era scivolata via tra le sue dita mentre la sua voce gli riecheggiava nella testa come la voce di un sogno ricorrente e sfocato. Le parole ‘scoperta eccezionale’ e ‘bosco vicino’, erano state le uniche che aveva compreso. Tutto il resto era stato cancellato da quelle fastidiose scariche.
Spense la luce del salotto e si incamminò verso il letto. Laura era a Coldari, il paese d’origine dei suoi genitori, nel quale aveva deciso di trascorrere un paio di settimane di relax. Aveva la passione per l’ornitologia e questo spesso la portava a trascorrere ore tra i boschi alla ricerca di qualche rara specie di uccello. “Avrà trovato un fossile di uccello intrappolato nella neve”, si disse. E d’improvviso scoppiò a ridere, immaginando gli archeologi intenti a scavare allertati da una strana forma sotterrata nel ghiaccio, infervorati dall’eccitante sapore della scoperta per poi trovarsi di fronte all’uomo delle caverne con la mano stretta sul suo uccello.
Che magnificenza! Una scoperta nella scoperta! Il ritrovamento dell’uomo delle caverne e la scoperta della sua prima esperienza sessuale.
Sai che ridere!
Tornò a letto e si ficcò sotto le coperte, raggomitolandosi per ripristinare il calore evaporato. Chiuse gli occhi e pensò a Laura. L’indomani l’avrebbe richiamata. Laura.
Con un sorriso, determinato anche dal calore che lentamente lo avvolgeva, ripensò al loro incontro.
Era una fredda serata di febbraio e Valerio e i suoi amici avevano deciso di trascorrerla al bowling, in un locale che loro chiamavano bowling (nessuno sapeva in realtà il nome del locale, ma in città era noto come bowling), nascosto in una traversa poco illuminata di viale Bovio. Faceva molto freddo quella sera, ma non aveva e non avrebbe nevicato. Pescara è una città poco incline alla neve e quando se ne parla i ricordi sono sempre confusi, anche se a sentire le persone anziane, si sono verificate delle forti nevicate nei decenni precedenti che avevano messo in ginocchio la città. Ma da che ricordava, lui non aveva ancora vissuto una simile esperienza. Aveva sperimentato fino ad allora la scarsa capacità delle fogne di assorbire l’acqua derivante da violenti temporali o da piogge particolarmente insistenti. La città si allagava in diversi punti e il traffico rimaneva bloccato per ore.
Ma quella sera faceva solo un gran freddo. Aveva raggiunto gli amici all’interno del locale, trovandoli già intenti ad infilarsi le scarpe da bowling. I soliti amici, con una piacevole novità, quella sera. Una ragazza nuova, che non aveva mai visto. Valerio era l’unico di quel piccolo gruppo di amici a non avere ancora una ragazza. Uscivano sempre in sette o in nove, sempre dispari. Così, le ragazze dei suoi amici, si erano impegnate affinché anche lui potesse trovare una ragazza. E avevano cominciato a cercare tra le loro amiche, vagliando attentamente le pretendenti, tenendo conto dei gusti del loro amico. E con la ragazza che gli presentarono, erano sicure che Valerio si sarebbe sciolto come burro surriscaldato.
Laura era graziosa. La sua era una bellezza naturale, semplice. Il suo corpo era modellato per scivolarci sopra senza restare incagliato in seni ai quali avresti dovuto chiedere il riscatto affinché ti riconsegnassero gli occhi o in un sedere così ben modellato che a immaginarlo una fabbrica di stronzi non lo avresti mai creduto. Il suo viso era gentile, affabile e gli occhi luminosi, penetranti e intelligenti.
Naturalmente, quella sera la partita si sarebbe giocata formando delle squadre da due e guarda la combinazione, Valerio e Laura formavano una squadra. Come previsto. E vinsero anche la partita, e questo non era previsto. Valerio e Laura erano a pari punti con Giusi e Antonio ed avevano ancora rispettivamente un tiro ciascuno. Il primo a cimentarsi fu Antonio e il suo tiro, con una preparazione piuttosto lunga, buttò giù solo quattro birilli. Al secondo tiro due. Poi fu la volta di Valerio e il suo primo tiro realizzò un bel sette birilli, seguito da un tiro piuttosto scadente che fece rotolare la palla lungo la corsia laterale. Giusi colpì nove birilli con entrambi i lanci. Poi fu la volta di Laura. La sua squadra era sotto di sette punti. Non molti, ma abbastanza per un tipo come lei. Amava la competizione, la sentiva scorrere nelle vene. Non avrebbe potuto permettere alla squadra avversaria di vincere quella gara. Avrebbe riversato su quel tiro tutta la sua bravura. E naturalmente, il primo tiro andò fuori. Laura seguì con lo sguardo infuocato la palla uscire per poi lanciare un’occhiata delusa a Valerio. Lui le rispose strizzandole l’occhio e sorridendole. Le si avvicinò e le sussurrò qualcosa all’orecchio. Laura sorrise e si preparò al secondo lancio. Prese una breve rincorsa, fece oscillare la palla e la lasciò andare. Mai palla da bowling aveva riscosso tanta attenzione. Procedeva a velocità costante, dirigendosi inesorabile verso i birilli. Laura la osservava incedere con lo sguardo fisso sui birilli, con i pugni stretti e le labbra contratte. La palla rotolava verso i birilli come un predatore sulla preda e… buumm, colpì al centro i birilli mandandoli tutti al tappeto.
Sul monitor si accese la luce e fuoriuscì la musichetta riservata a chi riusciva a mandar giù tutti i birilli in un bellissimo strike.
Laura saltò lanciando un urlo che fece voltare più di una testa, mentre si gettava entusiasta tra le braccia di Valerio. Avevano vinto la partita e cosa più importante, era stato per merito suo. Suo era stato l’ultimo lancio e sua era stata la vittoria. Valerio la strinse a sé, incurante della vittoria, mentre le sue mani la stringevano eccitandosi al contatto con il suo corpo. Così ebbe inizio la loro storia d’amore.


2

Valerio amava la neve. Ne era attratto, affascinato. Veder volteggiare quelle deliziose farfalle bianche delicatamente sospese in aria indecise se scendere a terra o restare a mezz’aria, gli riempiva il cuore di una sensazione di purezza. E poi il silenzio, quel silenzio innaturale che si nascondeva dietro ogni soffice fiocco, quel silenzio che trasportava la mente in un mondo di fiabe nascosto dietro gli occhi del bambino di un tempo intrappolato dietro gli occhi dell’uomo di adesso. E il bambino di un tempo sarebbe rimasto con il naso appiccicato alla finestra, gli occhi allargati dallo stupore e dalla meraviglia, osservando la neve scendere sulla città, poggiarsi silenziosa sui tetti delle case, adagiarsi sugli alberi come magici uccellini. E all’uscita da scuola avrebbe giocato a palle di neve con i suoi amici, incurante del richiamo dei genitori la cui testa era rivolta altrove che a divertirsi tirandosi addosso palle di neve, purtroppo. E dopo pranzo, prima che il freddo del crepuscolo lo costringesse a rientrare in casa, si sarebbe divertito a costruire un fantastico pupazzo di neve, con tanto di cappello e bastone e carota in bocca come un sigaro particolarmente aromatico.
Ma per quanto spingesse per uscire, il bambino di un tempo sarebbe rimasto il bambino di un tempo. Almeno per adesso. Perché Valerio, che amava la neve al di là di ogni immaginazione, avrebbe dovuto recarsi al lavoro. Si allontanò dalla finestra, salutando i primi fiocchi di neve che avevano cominciato a venir giù, si sistemò la cravatta e si infilò la giacca. Si diresse in camera, prelevò il cappotto dall’armadio e si posizionò di fronte allo specchio per un ultimo sguardo prima di uscire.
‘Sei bellissimo’, sentì la voce di Laura sussurrargli nella testa. Sorrise e il pensiero si spostò automaticamente su quanto accaduto la sera prima. Chissà che cosa aveva da comunicargli!
Non era proprio preoccupazione quella che sentiva dentro, non ancora per il momento. Non aveva elementi necessari per ritenersi preoccupato. Era una sorta di curiosità quella che lo spinse a spostarsi in salotto, a sollevare la cornetta e provare a formulare il numero della casa di Coldari. La linea era libera e attese. Probabilmente era ancora a letto, sommersa da calde coperte mentre fuori sicuramente nevicava abbondantemente. Lasciò squillare ancora un po’. Niente. Forse era uscita. Forse era andata a far spese in previsione del cattivo tempo e dei disagi che puntualmente arrecava alla circolazione.
Forse…
Forse…
La cornetta scivolò via lenta dal suo orecchio, stretta nella mano alla quale il cervello aveva ordinato di riporla. Ma più si allontanava e più era forte l’impulso di riportarla all’orecchio, immaginando Laura rientrare di corsa in casa e rispondere proprio mentre lui metteva giù.
Le lancette dell’orologio si disposero a formare le otto. Valerio poggiò la cornetta restando a fissare il telefono, incerto se ricomporre il numero o lasciar perdere per il momento. Risollevò la cornetta senza attendere il permesso e premette il pulsante sul quale erano riportate le lettere RP. Sul display del telefono i numeri si disposero velocemente in fila come bambini dell’asilo, composti ed educati. E di nuovo il segnale della linea libera.
E di nuovo nessuna risposta.
I minuti scorrevano lenti, inesorabili. Dall’interno della cornetta gli giungeva quel confidenziale balbettio che andava ad unirsi al ticchettio sommesso dell’orologio sulla parete. Gli unici suoni che in quel frangente percepiva, gli unici rumori che aumentavano gradatamente, il primo continuando a ripetergli in una sorta di monodia che in casa non c’era nessuno e il secondo ricordandogli che avrebbe rischiato di far tardi al lavoro.
Rimise a posto la cornetta.
Trasparente come un foglio di carta velina, la preoccupazione si insinuò in lui. Poggiò la mano sulla cornetta di nuovo e di nuovo l’impulso di richiamarla divenne pressante. Ma non avrebbe potuto trascorrere l’intera mattinata con il telefono in mano, a comporre il numero fino a che Laura non avesse risposto.
Potevano essere tanti i motivi della sua assenza, molteplici. Ma in quel momento di particolare tensione non gliene venne in mente neanche uno. ‘Andiamo’ gli sussurrò una vocina nella testa, ‘stai facendo una montagna di un granello di sabbia. Vedrai che questa sera, quando la chiamerai, ti spiegherà tutto. Ora vai al lavoro e accantona questo pensiero. Coraggio’.
Già, forse aveva ragione. Probabilmente aveva ragione. Si allontanò dal telefono, tornò in camera, si rimirò di nuovo nello specchio e andò via, lasciando la sua preoccupazione intrappolata nello specchio insieme alla sua immagine.

[continua]


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