Il centurione di Dio

di

Claudio Granata


Claudio Granata - Il centurione di Dio
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14x20,5 - pp. 200 - Euro 14,00
ISBN 978-88-6037-9788

Clicca qui per acquistare questo libro

Vai alla pagina degli eventi relativi a questo Autore

In copertina: elaborazione grafica di Cristina Caleandro


La maggior parte dei personaggi, nomi, dialoghi, fatti e luoghi, sono pura fantasia dell’autore. Altri sono storici. Il racconto non ha nessuna finalità ideologica, politica, né religiosa.


Nel Ventisettesimo anno dell’impero di Ottaviano Augusto, su un’assolata pista del deserto della Giudea che conduce alla città di Gerusalemme, il centurione Claudio Ario sta cavalcando per raggiungere la guarnigione militare a cui è stato assegnato dopo il suo arrivo da Roma.

Giunto nell’oasi dove è accampata una carovana di mercanti, nota un piccolo nucleo famigliare, un uomo e la sua giovane sposa stanno riposando prima di riprendere il viaggio. La donna è in attesa di un bambino.

Inizia qui il viaggio parallelo dell’uomo con colui che sarà crocifisso sulla croce. Testimone dell’ascesa del figlio di Dio. Della sua nascita, della sua vita, della sua morte terrena, della Resurrezione. Un viaggio che lo porterà a vivere eventi drammatici, un viaggio che lo porterà alla conoscenza della verità.


Il centurione di Dio


PARTE PRIMA

ANNO DOMINI

Il sole era ancora luminoso e infuocato nel cielo anche se era pomeriggio inoltrato. I suoi raggi abbaglianti colpivano ogni granello di sabbia del deserto, ed ogni essere vivente che vi abitava aveva trovato rifugio già da tempo per proteggersi dal suo calore infernale.
Le dune del deserto formavano un’immensa distesa con il vento che, soffiando sulla sabbia e mischiandosi al bagliore accecante della luce del sole, creava l’effetto di un moto ondoso simile a quello reale delle onde dell’acqua del mare.
Solo una piccola macchia verde si staccava da quel paesaggio tutto uguale per miglia e miglia. L’oasi di Sibbhar, tappa obbligata per una sosta ristoratrice per chi transitava sulla pista che portava a Gerusalemme.
I tre cavalieri giunsero alla sommità della duna, i cavalli si arrestarono di colpo e i loro nitriti sembravano come voler segnalare ai loro padroni la presenza di acqua a poche centinaia di metri da loro.
«Ecco l’oasi!»
«Finalmente! Non ne potevo più di tutta questa sabbia opprimente.»
«Ora potremo bere un po’ d’acqua fresca e rinfrescarci la faccia!»
D’impeto i tre spronarono i loro cavalli giù per la duna per un ultimo sforzo a raggiungere l’agognato pozzo d’acqua e poter riprendere le forze con una sosta al riparo dal sole cocente.
Dei tre soldati romani che formavano il gruppetto, due di loro avevano già attraversato il deserto in più occasioni. Rufio Tibullo da due anni in Giudea nella guarnigione di Gerusalemme, addetto al servizio del comando della città; Pilo Cassio era invece un portaordini, anche lui da due anni nel servizio militare della città e faceva la spola da Tiro, porto principale d’attracco della marina militare imperiale in oriente, alla città di Davide, sede per l’appunto dell’alto comando militare romano.
Solo l’ultimo dei tre si trovava per la prima volta in quei luoghi, giunto il giorno prima da Roma città eterna, centro dell’impero di Ottaviano Augusto; padrona del mondo, conquistatrice di popoli, portatrice di civiltà in ogni angolo remoto della Terra, punto di riferimento di tutte le civiltà conosciute! Il suo nome era Claudio Ario, centurione delle legioni al servizio dell’impero, originario di Laus Pompeia nella Transpadania.
I tre cavalieri entrarono nell’oasi al galoppo sollevando una nube di polvere al loro passaggio e scompigliando un gregge di pecore che era davanti a loro, incuranti delle urla dei pastori che dovettero alzarsi dal loro posto di ristoro per rincorrere le bestie che si erano disperse in ogni angolo dell’oasi.
Giunti davanti al pozzo smontarono in fretta da cavallo e si precipitarono attorno al muretto circolare fatto di pietre, che delimitava la fonte d’acqua, Pilo Cassio afferrò un secchio e lo calò dentro in profondità al pozzo fino a quando non sentì l’impatto del recipiente con l’acqua, dopo qualche istante che sembrò loro lungo quanto una vita, il soldato tirò su a forza la fune con all’estremità il secchio pieno d’acqua, nel mentre due uomini e alcune donne appartenenti alla carovana in sosta, che erano anche loro ai bordi del pozzo, si erano spostati un po’ più in là dopo l’arrivo caotico dei tre legionari.
«Dai! Sbrigati a tirar su quel maledetto secchio che muoio dalla sete!» urlò il legionario Rufio Tibullo imprecando ad alta voce.
«Ecco qua! Uomo assetato» rispose Cassio portandosi il secchio alla bocca bevendo avidamente con brevi e convulsi sorsi.
«Passamelo per la malora! Ho la gola piena di sabbia.» urlò Tibullo afferrando a sua volta il recipiente bevendone copiosamente il contenuto.
Aspettando di smorzare anch’esso la sua arsura, Claudio spaziava con lo sguardo tutt’attorno notando che i componenti della carovana formata da beduini, mercanti, pastori e gruppi di famiglie, erano tutti al riparo ai piedi delle palme dell’oasi per proteggersi dai raggi del sole ancora cocente. Gli animali al seguito della carovana: dromedari, capre, pecore, erano in un recinto attorno ad una pozza d’acqua. Alcune tende erano dislocate in vari punti dell’oasi, probabilmente appartenenti a personaggi di rango come ricchi mercanti con al seguito un nutrito numero di servi e con dromedari carichi di preziose mercanzie, oppure facoltosi cittadini benestanti in viaggio tra i loro possedimenti, ed ancora sceicchi con un seguito variegato fatto di guardie personali, servi, mogli.
Per gli altri componenti per lo più povera gente, il riparo era costituito da un misero pezzo di stoffa tenuto sospeso da terra con dei rami ai piedi delle palme.
«Centurione!» gridò a gran voce Tibullo rivolto a Claudio, «tieni, bevi a volontà quest’acqua, è fresca e buona! Forse la cosa migliore di questa terra sperduta ai confini del mondo!»
Claudio si riavvicinò al pozzo afferrando il secchio dalle mani del legionario e alzandolo se lo porse alla bocca bevendone a grandi sorsi il contenuto, mentre Tibullo continuava a imprecare tra uno sputo e l’altro per terra.
«Porto i cavalli alla pozza ad abbeverarsi, intanto voi riempite le borracce d’acqua!» disse Cassio mentre con difficoltà teneva fermi i cavalli ansiosi di bere anche loro dopo la fatica del viaggio.
Nel frattempo nell’oasi era ritornata la calma dopo l’arrivo dei tre soldati romani; i pastori avevano recuperato le loro pecore non senza qualche affanno, i cani avevano smesso di abbaiare e altri componenti della carovana si erano riavvicinati al pozzo per riempire sacche e otri d’acqua.
Claudio, dopo essersi sciacquato la faccia, raggiunse Cassio che, riuscito a calmare i cavalli, aveva legato le loro briglie a dei pali ai lati della pozza, mentre questi affondavano il muso nell’acqua abbeverandosi a loro volta.
«Non credevo che facesse così caldo! Me l’avevano detto, ma non pensavo fosse così.» disse Claudio rivolto a Cassio mentre toglieva il manto dal cavallo.
«Oh! Ti ci abituerai presto centurione; solo negli inferi credo faccia più caldo!» rispose Cassio ridendo di gusto mentre afferrate le redini, tirava i cavalli verso un palmeto poco distante. Claudio si mise il manto e la sacca sulle spalle e si avviò anch’esso verso il gruppo di palme dove Cassio aveva nel frattempo legato i cavalli.
Nell’oasi intanto, i componenti della carovana erano intenti a prepararsi chi un giaciglio di fortuna chi ad approntare la propria tenda, dopo di che ci si apprestava a consumare il pasto serale, non prima di aver espletato le proprie abitudini di preghiera e ossequio verso i propri credo religiosi; modi alquanto diversificati, stando le diverse etnie presenti nel luogo.
Il legionario Tibullo raggiunse gli altri due romani al palmeto dove avevano deciso di preparasi alla notte.
«Che abbiamo stasera per cena Pilo?» ridacchiando chiese Rufio a Pilo. «Oh… dunque vediamo, abbiamo capretto arrosto con contorno di frutta e spezie e pane fresco, con dell’ottimo falerno dei miei reali vigneti dei miei possedimenti in Etruria e…» non andò oltre Pilo che scoppiò in una fragorosa risata mentre Rufio gliene diceva di tutti i colori con contorno di imprecazioni varie.
Anche Claudio si mise a ridere mentre sistemava le sue cose ai piedi di una palma, poi si sedette e bevve ancora un po’ d’acqua dalla piccola borraccia per calmare la sete non ancora spenta dopo la giornata passata a cavallo, tanto che la schiena gli doleva non poco.
Adagiò la testa contro l’albero, si passò la faccia con la mano bagnata d’acqua, nel mentre una leggera brezza di vento si levò rinfrescandogli il viso, chiuse gli occhi per qualche istante, per godere di quel fresco improvviso.
Non godette molto di quel momento di pace perché Rufio, con grazia simile a quella di un elefante, nel sistemare la sua roba sollevò tanta di quella sabbia peggio del vento del deserto che di tanto in tanto si sollevava sulle dune.
«Accidenti a te Rufio! Non puoi muoverti più piano?» esclamò Pilo. «Ho mangiato sabbia tutto il giorno in questo maledetto deserto, non ne voglio altra, almeno per stasera!»
«Ehi calmati soldato! Ho finito.» disse Rufio buttando la coperta per terra ai piedi della palma per poi, sempre con la solita grazia, stravaccarvisi sopra allungandosi e stiracchiandosi tutto il corpo.
Claudio s’era spostato un po’ più in là, in tempo per non farsi schiacciare dalla mole del legionario alquanto in… carne!
«Ah… domani nel primo pomeriggio saremo arrivati, e mi leverò di dosso tutta questa sabbia!» esclamò Rufio.
«Già, e a me secca ogni volta di più fare avanti e indietro per questa pista infernale!» disse Pilo mentre estraeva dalla bisaccia le razioni alimentari da viaggio che consistevano in una focaccia di farro, alcune gallette di grano, un pezzo di formaggio e un poco di vino; quanto bastava per alimentarsi durante gli spostamenti di servizio.
«Tieni centurione! La tua razione.» disse Pilo mentre porgeva la parte di cibo spettante a Claudio. «Ehi! Centurione!» esclamò Rufio mentre ingurgitava quasi senza masticare la sua focaccia, «non sei un po’ troppo giovane per essere già di questo grado?»
Claudio finì di masticare la galletta di grano prima di rispondere. «È vero!» disse, «di solito questo grado di sottufficiale lo si raggiunge dopo anni di servizio, ma io lo sono diventato prima per meriti guerreschi.»
«Quali meriti?» domandò Rufio con la bocca piena.
«L’anno scorso in Gallia contro le tribù degli Elvezi, popolo fiero e bellicoso, ci impegnarono oltre il previsto per stroncare la loro rivolta, non riuscivamo ad accerchiarli finché la mia coorte non riuscì a far breccia nella loro parte sinistra dello schieramento. Io ed alcuni miei compagni riuscimmo a tenere aperto quel piccolo corridoio tanto da consentire lo sfondamento totale delle loro linee di difesa, alla fine della battaglia io fui uno dei pochi di quel reparto ad essere ancora tutto intero, ferito ma vivo! Fui premiato col grado di centurione.»
Rufio aveva ripreso a masticare rumorosamente, e dopo aver tracannato del vino esclamò: «Glorioso il nostro impero, nessun esercito nemico può esserci pari! Bevo alla tua salute centurione!» detto questo alzò il boccale dopo averlo riempito con dell’altro vino e se lo portò alla bocca svuotandolo in un attimo, imitato da Pilo.
Claudio sorrise e rispose al brindisi bevendo anch’esso.
«Tira fuori i dadi Pilo, devo rifarmi della sconfitta della settimana scorsa!» disse Rufio non prima di aver fatto un rumoroso rutto per nulla educatamente soffocato.
Ridacchiando Pilo estrasse da una tasca i dadi e, steso un drappo di cuoio rigido sulla sabbia, iniziarono il gioco.
I due soldati tra un lancio di dadi e l’altro con annessi imprechi, risate ed esternazioni, animavano col loro fare una atmosfera dell’oasi propensa al silenzio della sera incombente, quel silenzio che avvolge completamente tutto il deserto quando il calare della notte segna la fine del giorno e tutto copre nell’oasi rischiarata dalle prime torce accese e dai lumi nelle tende. Nell’oscurità sovrana della notte si ergono solamente i rumori del deserto derivati dagli animali che vi abitano, dal vento che scuote le fronde delle palme e muove come onde la sabbia delle dune, il crepitio dei fuochi accesi nel campo.
Claudio intanto si era appoggiato nuovamente con la schiena al tronco della palma, ancora gli doleva; finì di mangiare qualche altra galletta di grano mentre guardava i due suoi compagni di viaggio, gli venne da sorridere mentre li osservava. Erano alquanto particolari! Rufio, di struttura massiccia e tarchiata, disarmonico nei movimenti e rozzo nei modi di fare; non certo un rappresentante di raffinatezza e eleganza! Pilo, di corporatura minuta, agile e svelto nei movimenti; i lineamenti del viso appuntiti ad indicare una personalità basata più sull’astuzia che alla possanza fisica, di certo per quanto egli avesse a che fare con loro, non gli sembravano granché come soldati; forse avrebbero avuto bisogno di stare per un po’ di tempo in prima linea in qualche campagna di guerra invece di vivacchiare nelle retrovie di provincia, tanto per ricordarsi della disciplina e della vita dura di chi combatte in guerra!
Comunque pensava che la loro compagnia non sarebbe durata ancora per molto, al più tardi fino al giorno dopo quando, secondo la tabella di marcia, sarebbero dovuti arrivare a Gerusalemme al quartier generale del comando militare d’oriente.
Massaggiandosi con le mani la schiena Claudio si rialzò in piedi, si ricordò che una cinghia di un finimento del suo cavallo stava per rompersi del tutto, dato che era già sfilacciata in più punti. La prese e la sfilò dal bardamento; la osservò cercando di capire come avrebbe potuto porvi rimedio prima che si rompesse completamente, durante il proseguo del viaggio all’indomani, rendendo l’equilibrio in groppa al cavallo… un po’ precario! Al momento non gli venne nessuna idea di come fare, anche perché non aveva con sé nessun attrezzo per tentare di ripararla.
Tenendola fra le dita e palpandola ripetutamente nei punti dove era maggiormente sfilacciata fece qualche passo allontanandosi dal bivacco predisposto per la notte.
«Ehi centurione!» era Rufio «non allontanarti troppo da qui, stare vicino a questa gente non è salutare, qualcuno di loro potrebbe metterti un coltello sotto la gola!» e ridendo grossolanamente diede una pacca alla spalla di Pilo anch’esso messosi a ridere.
Claudio volse nuovamente loro le spalle, considerò quello che gli aveva detto Rufio, tenendolo saggiamente in considerazione dato che non conosceva nulla di quei posti né tanto meno delle sue genti. Comunque il suo pensiero ritornò alla cinghia da riparare in qualche modo per non aver problemi almeno per il resto del viaggio.
Si rimise a camminare ruotando in tondo e si avvicinò al pozzo dove vi erano alcune donne che stavano riempendo delle brocche d’acqua, si appoggiò al bordo con tutt’e due le mani e si mise a guardare tutt’attorno mentre pensava alla cinghia usurata. La sua attenzione fu attratta da alcuni piccoli nuclei di viandanti ai margini dell’oasi staccati dalle tende dei più facoltosi viaggiatori che componevano la carovana. I loro giacigli per la notte erano composti da teli derivati da pelle di capra sostenuti da pali a delineare un perimetro per ospitare due o tre persone, un telo di pelle di cavallo fungeva da materasso, qualche coperta per ripararsi dal freddo pungente della notte e una lampada ad olio di terracotta per rischiarare. Alcuni di loro erano intenti a consumare una frugale cena a base di formaggio, carne d’agnello e pane secco, altri sembravano già sonnecchiare, altri ancora raccolti in preghiera.
In mezzo a quel piccolo accampamento notò un uomo che stava armeggiando con dei finimenti, probabilmente del suo mulo che era lì vicino e vide di fianco anche due grosse ceste di vimini intrecciati contenenti masserizie e quant’altro. Venne raggiunto da una donna che gli pose una brocca d’acqua riempita poco prima al pozzo, si ricordò di averla notata quando anch’egli si era avvicinato alla fonte dell’acqua.
L’uomo, dopo aver bevuto, disse qualcosa alla donna, la quale si sedette accanto a lui mentre egli continuò a lavorare a quei finimenti, lei lo guardava.
Claudio pensò che forse quell’uomo poteva essere un artigiano di pelli e che potesse essergli utile per riparare la cinghia, avendo anche gli arnesi per farlo.
Si avvicinò, e quando fu a loro di fronte, l’uomo notandolo si fermò dal suo lavoro e alzò lo sguardo verso di lui.
«Salute a voi!»
«Salute a te soldato!» rispose l’uomo; non subito, ma dopo averlo osservato per qualche istante.
Claudio si chinò e indicando la cinghia che l’uomo aveva fra le mani disse: «Te ne intendi di queste?»
L’uomo non rispose ma dopo averlo guardato negli occhi abbassò lo sguardo riprendendo il suo lavoro, e poco dopo rispose alla domanda del centurione: «Il mio mestiere e fare il falegname, ma so anche fare altre cose; come aggiustare cinghie come questa!»
«Bene! Ho questa cinghia del mio cavallo che è quasi rotta e non credo che resisterà ancora per molto se non viene riparata! Io non ho gli attrezzi necessari, ma ho visto che li hai tu; puoi tu aggiustarmela?»
L’uomo non rispose subito, e notando che ancora non si esprimeva alla sua richiesta il centurione aggiunse: «Si intende che ti pagherò per questo!»
L’uomo dopo qualche istante ancora di mutismo alzò lo sguardo verso il soldato e senza dire nulla prese dalle sue mani la cinghia, la osservò rigirandola più volte. «Posso aggiustartela, ma presto dovrai cambiarla, è troppo usurata la riparazione non durerà per molto.»
«Va bene! Che possa resistere quanto basta per terminare il viaggio, appena arrivati la cambierò con una nuova.» rispose Claudio.
L’uomo iniziò il lavoro, la luce del giorno stava ormai scemando e il tramonto stava per lasciare il posto al buio della sera, e poi della notte. Le torce nell’oasi e le lampade nelle tende erano già accese, le genti che componevano la carovana ultimavano la sistemazione delle proprie cose prima del calar della notte. Il centurione si era seduto su di un sasso di fronte all’uomo che con meticolosità stava ultimando la riparazione della cinghia, si sistemò meglio il mantello color cremisi attorno alle spalle avvertendo che la temperatura stava cambiando passando dal gran caldo opprimente del giorno al freddo della notte a venire.
Claudio spostò lo sguardo verso la donna che osservava il suo compagno mentre lavorava, la sua figura era minuta; sembrava dover essere molto giovane, stava in un atteggiamento composto con le mani conserte attorno all’addome, il viso era seminascosto da un velo e Claudio riusciva a vederne solamente la fronte e gli occhi.
«Ecco la tua cinghia soldato, ora è riparata ma come ti ho detto non durerà ancora per molto.»
Detto questo l’uomo ridiede la cinghia al centurione che la riprese in mano e osservandola per qualche istante disse: «Hai fatto un ottimo lavoro, sono sicuro che terrà ancora bene, ma dimmi il tuo nome!» fatta questa richiesta Claudio si rialzò in piedi assumendo un atteggiamento marziale. «Il mio nome è Giuseppe!» rispose l’uomo.
«Bene Giuseppe, quanto vuoi per il tuo compenso?»
«Quello che vuoi soldato, non è stato un grosso impegno tanto più che dovrai cambiarla fra non molto!»
«Due danari bastano?»
«Uno! Può bastare.» rispose Giuseppe.
Claudio estrasse dalla borsa la moneta e la porse all’uomo che la prese dalle mani del centurione e girandosi verso la donna la diede a lei, nel mentre ella la riceveva il velo che avvolgeva il suo viso si staccò dal fermaglio a cui era agganciato e lasciò libero il suo volto.
Claudio ne vide allora completamente la faccia, era un volto più da adolescente che di donna, la pelle liscia ma pallida, le guance scavate, un’espressione sofferente.
Alzando lo sguardo incrociò quello del centurione che la fissava negli occhi, subito si riavvolse il velo e ritornò a braccia conserte attorno all’addome.
Claudio avvolse nella mano la cinghia riparata e girandosi sul fianco ringraziò Giuseppe: «Ti ringrazio galileo, ti auguro un buon proseguimento del viaggio!»
L’uomo non disse nulla, rispose al saluto del soldato con un cenno del capo, dopo di che Claudio si girò e si incamminò verso il bivacco allestito per la notte; con nella mente però quello che aveva notato per ultima cosa poco prima, cioè che la giovane donna era gravida, e notando il volume del ventre doveva essere prossima al parto!
Raggiunse i suoi due compagni di viaggio Rufio e Pilo che ancora stavano giocando a dadi alla luce di una torcia.
«Ehi centurione dove ti eri cacciato?» gli chiese Rufio.
«Ho fatto due passi qua attorno, mi sembra tutto a posto e tranquillo.»
«Certo… sembra tutto tranquillo, ma non farti ingannare dalle apparenze! Questa gente… non ci ama granché e qualcuno di loro, se ne avesse l’occasione, ci taglierebbe volentieri la gola! Come faresti a bere poi quel buon vino dei tuoi… reali vigneti in Etruria… eh Pilo!»
Finito di parlare Rufio diede una pacca sulla spalla a Pilo e scoppiò in un riso alquanto scomposto, subito imitato dal compagno di dadi.
«Ho imparato già da tempo a non fidarmi troppo delle apparenze per cui sto sempre all’erta.» rispose Claudio.
«Meglio così, tu sei nuovo di qui e non conosci questa gente.» disse Pilo.
«So bene che dove Roma esercita la sua autorità sulle nazioni sottomesse i loro popoli spesso accettano loro malgrado di esserlo, e le ribellioni possono scoppiare in qualsiasi momento e in ogni luogo; compreso questo.» aggiunse Claudio.
Rufio borbottò qualcosa, incomprensibile, più un grugnito che parole ma Claudio non vi prestò attenzione, preferì avvicinarsi al piccolo fuoco da campo acceso per la notte per scaldarsi le mani.
«Stabiliamo i turni di guardia!» disse Pilo, «io non ho ancora sonno, farò il primo!»
«Per me prendo il secondo, per te va bene l’ultimo centurione?» disse Rufio rivolto a Claudio che senza parlare fece un gesto di assenso col capo.
«Bene! Allora cerchiamo di dormire un po’, ammesso che ci riusciamo con quelle maledette pecore che non hanno smesso di belare un attimo da quando ci siamo fermati in quest’oasi!»
Claudio e Rufio accomodarono al meglio il loro giaciglio fatto di una stuoia di pelle d’animale da mettere sotto il corpo e del mantello per coprirsi e ripararsi dal freddo della notte, in mezzo a loro il piccolo falò da campo, che rischiarava il loro bivacco e una torcia accesa vicino ai cavalli. Pilo s’era sistemato a qualche metro da loro, vicino ai cavalli in modo che potesse spaziare con lo sguardo per un ampio raggio tutt’attorno, nel mentre sull’oasi calava completamente la notte accompagnata dal silenzio del deserto e dal sibilo del vento che accarezzava le dune di sabbia circostanti; anche le pecore e le capre avevano smesso di belare con sommo piacere di Rufio, anche se questi non poteva accorgersene dato che il suo russare si levava sovrano nella notte! Un cielo particolarmente limpido e stellato sovrastava la piccola oasi e i suoi occupanti.
Claudio, seppur stanco della giornata, non riusciva ancora a chiudere occhio, si era rialzato un poco appoggiandosi al fusto della palma ma sentì una fitta nel basso della schiena, frutto della giornata a cavallo! Con una smorfia si rimise allungato girandosi sul fianco e con un sospiro di sollievo il dolore cessò. Si accomodò al meglio il pezzo di stuoia che fungeva anche da cuscino e posizionò la spada vicino, in modo da poterla impugnare alla svelta qualora se ne fosse presentata la necessità! Da tempo era abituato a un dormiveglia in situazioni campali come questa, e per sua fortuna il sonno era leggero tant’è che si destava anche al minimo rumore che fosse stato fatto nelle vicinanze.
Guardando Rufio ripensava alle sue parole di prima, e gli venne da sorridere vedendolo così addormentato, perché proprio da lui era venuto il monito a diffidare delle genti del posto.
«È sempre così?» chiese a Pilo.
«Sempre centurione! È gonfio di vino più che di acqua e perciò quando dorme a pancia all’aria russa alla grande!» rispose Pilo ridacchiando, poi alzatosi si avvicinò al soldato disteso e con un piede gli diede una energica scrollata alla spalla.
«Piantala di russare che tu sia dannato! Ti sentono anche dall’olimpo!» Rufio borbottò qualcosa d’incomprensibile e grugnendo frasi altrettanto indecifrabili si girò sul fianco smettendo di russare con sollievo di tutti i presenti nell’oasi, bestie comprese!
Claudio sorridendo si rigirò sul fianco e pensò a come la fortuna aiuti gli stolti come Rufio a preservargli la vita! Di certo una sua fortuna era quella di non essere su di un campo di battaglia, ma di starne il più possibile lontano!
Ora che il fastidioso rumoreggiare di Rufio era cessato, almeno per il momento, Claudio cercava di dormire un po’ in attesa del suo turno di guardia, pensando che domani sarebbero giunti nella seconda parte della giornata a destinazione, cessando così la… compagnia di due alquanto poco rappresentativi soldati del glorioso impero di Roma.
«Svegliati centurione, è il tuo turno di guardia!»
Claudio si era destato prima ancora che Rufio lo chiamasse, sentendo il rumore dei suoi passi che si avvicinavano. Si alzò e si guardò attorno con sguardi veloci a sinistra e a destra per rendersi conto dello stato delle cose.
«È tutto tranquillo, fra non molto sarà l’alba, io cercherò di dormire ancora un po’.» disse Rufio.
Claudio non rispose mentre il soldato si infilò subito sotto il suo mantello per riaddormentarsi in attesa del nuovo giorno. Claudio dopo aver scrollato il mantello se lo riavvolse sulle spalle e raggiunse il pozzo illuminato da due torce poste ai lati, un uomo stava prendendo dell’acqua per riempirsi alcune bisacce fatte di pelle di vitello, il centurione prese un secchio e lo calò nel pozzo, aspettò un po’ e quindi lo tirò su e lo adagiò sul bordo; vi infilò le mani giunte a coppa e ne trasse dell’acqua con cui si sciacquò la faccia. Ripeté l’operazione per altre due volte poi ne bevve due sorsate, indi calò di nuovo il secchio in fondo al pozzo per riempirlo di nuovo. Nell’attesa che si riempisse si guardò attorno, c’era ancora calma nell’oasi, ed eccetto l’uomo intento a riempire le sue bisacce d’acqua non si vedeva nessun altro in giro per l’oasi. Si passò una mano dietro al collo, alzando in alto la fronte, e vide un cielo netto con stelle la cui luce sembrava pulsare ad intermittenza, uno spettacolo notturno di rara bellezza!
Riabbassò lo sguardo e tirò su a forza il secchio per poi staccarlo dal gancio che lo teneva ancorato alla fune, indi andò dai cavalli per dar loro da bere; poi aspettò l’alba.
«Sveglia soldati! È ora di prepararci!» con due energiche scrollate Claudio destò i due suoi compagni di viaggio; nell’accampamento i più erano già intenti ai preparativi per riprendere il cammino.
I primi chiarori del nuovo giorno stavano prendendo il posto del buio della notte, Rufio si schiariva la voce, mugugnando parole incomprensibili, mentre Pilo ancora sbadigliava. Mentre i due raccoglievano le loro cose Claudio, che aveva già preparato il suo cavallo, si guardava attorno spaziando con lo sguardo gli angoli dell’oasi notando il fermento col quale i viaggiatori della carovana ultimavano le ultime faccende in vista della ripresa del viaggio.
Cercava con lo sguardo il bivacco dell’uomo che aveva riparato la sua cinghia ma non riusciva a vederlo per via della confusione e della polvere sollevata dalle bestie che cominciavano a muoversi per riprendere il cammino.
Si chiedeva perché lo cercasse, ma onestamente non ne traeva un motivo valido, per cui non ci pensò più e raggiunse Rufio e Pilo che nel frattempo avevano ultimato di prepararsi.
Il capo carovana accertatosi che tutti erano pronti a muoversi, diede il segnale di partenza, e così la lunga colonna iniziò a procedere: carri, bestie, chi in groppa a dromedari e cavalli, chi a piedi, cominciarono a percorrere l’ultima frangia del percorso, i più ricchi e facoltosi in testa alla colonna, i più miseri in coda dovendosi sorbire anche la polvere e la sabbia sollevata da quelli più avanti.
I tre cavalieri romani, pronti anch’essi a rimettersi in moto, si accostarono al fianco della colonna.
«Procederemo per un po’ con loro, poi passata la piccola depressione ci metteremo al galoppo per l’ultimo tratto e arriveremo in città prima di sera.» dopo aver detto queste parole Rufio spronò il cavallo in marcia seguito anche da Pilo e Claudio che chiudeva la fila.
Ormai era chiaro, il sole iniziava la sua ascesa e i suoi raggi si irradiavano su tutto il deserto.

[continua]


Se sei interessato a leggere l'intera Opera e desideri acquistarla clicca qui

Torna alla homepage dell'Autore

Il Club degli Autori - Concorsi Letterari - Montedit - Consigli Editoriali - Il Club dei Poeti
Chi siamo
La Rivista
La voce degli Autori
Tutti i nostri Autori
Per iscriversi
ClubNews
Il notiziario gratuito
Ultimi inserimenti
Homepage
Per pubblicare
il tuo 
Libro
nel cassetto
Per Acquistare
questo libro
Il Catalogo
Montedit
Pubblicizzare
il tuo Libro
su queste pagine