Opere di

Damiano Fina


Con questo racconto ha vinto il quinto premio all’edizione 2008 del Premio Il Club dei Poeti


«In una favola con lucida pazzia…»

«Note remote si accendono e si spengono come brillii di lucciole d’estate, le ombre delle fronde si allungano sulla sabbia grigia, sorrido … vieni onda, abbatti questo corpo corrotto dalla fanghiglia dei sentimenti, stingi questo dipinto cremisi fra le mie mani, disperdi l’amaro di queste membra».
Mentre le lacrime si mescolano con le acque, l’anima con il cielo, il corpo alla deriva dei pensieri si perde in questa tempesta…
Cosa siamo se non semplici foglie che, dopo un breve periodo accanto all’albero della giovinezza, si perdono sino alle correnti dei venti? Presumiamo di avere un luogo privilegiato in questo mondo e non ci accorgiamo che i troni che occupiamo sono solo proiezioni di noi stessi in un cosmo che in realtà non è schiavo bensì sovrano… ma con tutte le forze colonizziamo ciò che è raggiungibile e presumiamo con le idee di poter conquistare anche, in un lontano giorno, ciò che ora è irraggiungibile … Siamo ormai “eroi” nello storpiare in urlo quello che prima era abbellito da melodiose note… Voglio che questo fiume mi inondi affinché tornino a sbocciare ancora una volta i fiori… levigami acqua, come rendi perfetti i sassolini del ruscello… per questo pioggia ti affido le mie ultime lacrime, portami lontano in un viaggio che possa almeno far ricordare la gioia di un fresco sorriso da tempo assopito…
Nella distruzione che creiamo percepiamo l’inquietudine di qualcosa che sembra distorcere ciò che ci attornia e perciò ci aggrappiamo disperatamente a sentimenti che confondiamo troppo spesso con lamenti e allora, storditi da cieli che sorridono e fiori che piangono petali, infine ci lasciamo lentamente logorare, ubriachi di emozioni, fino ad appassire…
Ricordami come era bello camminare fra le stelle o semplicemente fra i dorati campi di frumento, schiudere gli occhi verso le nuvole e lasciar correre la gioia fra le verdi praterie come le cascate fra le valli…
Ma ogni volta che vogliamo ammirare il cielo lo sguardo si ferma ad un muro di mattoni…
Ho sempre pensato ad un mondo dove le lune scintillavano di giorno e i soli impreziosivano le notti, dove si entrava nelle case per passeggiare e si ripo- sava nei giardini, dove ridendo si poteva comprare ciò che si voleva…
Io, quando guardo dalla finestra, vedo cieli verdi e cerulee distese erbose dove uomini attaccati alla loro ignoranza, avvolti nelle loro coperte di dolori gareggiano a chi è più sfortunato o corrono perché, “non hanno tempo”, dicono, ma intanto girano a vuoto come trottole, frivoli e prigionieri della giostra della società ...
Ho sempre detestato le convenzioni alle quali non riesco a sottomettermi, le parole sono gabbie della fantasia, la razionalità è la catena dell’animo libero; che politica? Siamo esseri destinati all’autodistruzione perché dobbiamo dovunque trovare un senso…
Per gli uomini al di là di questo vetro lasciarsi trasportare è un tabù che sommerge, ma allo stesso tempo aspettano che nel futuro un sogno si realizzi dal nulla… che aspra contraddizione inoltre realizzare splendidi desideri i quali, a causa della paura di rovinarli, non vengono assaporati…
Ma un mondo al rovescio è troppo confuso e di conseguenza pauroso per chi non ha immaginazione… perciò si viene additati come pazzi (o forse lo stesso estro è pazzia?)... sembra che ognuno viva in una propria favola…
Ma basta ragionare per confuse ipotesi, tuffiamoci nel tumulto gorgogliante dell’oceano sconosciuto nella nostra mente, senza più freni, dove non si sente più alcun rintocco di campana, in modo da smarrirci fra i dolci labirinti dell’ego…
Dimentichiamo il ruolo del tempo, il ruolo di ciò che ci circonda, così comprenderemo quanto complessamente meravigliosi siamo, come splendenti pietre preziose!
Così mi guardo attorno… ma vedo così pochi occhi aperti…
Fra di noi c‘è chi pensa di aver domato ciò che lo circonda ma in realtà, quando ci spegneremo, il mondo per quanto bruciato continuerà ad esistere …
Non dobbiamo dimenticarci che, se scaviamo fra le ceneri di un incendio, piccoli germogli affiorano dalla distruzione per spalancare, un giorno, i loro rami al cielo, rivolgere le foglie al sole… pronti a disserrare il futuro.”



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