Profumo di tigli

di

Davide Bacchi


Davide Bacchi - Profumo di tigli
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14x20,5 - pp. 140 - Euro 12,80
ISBN 978-88-6587-9146

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In copertina: «Fresh green linden leaves» © GCapture – Fotolia


“Profumo di tigli” è un ispirato, accorato romanzo che racconta una storia tanto semplice quanto profonda: una avventura evocata in un tono delicatamente emozionato. Narra la gita di classe di un gruppo liceale affiatato e professori solleciti; c’è qualcuno che non riesce a stare nel gruppo, ci sono gli scherzi e le sofferenze dell’adolescenza, i dubbi e le gioie di quel magico momento della gioventù che tutti abbiamo attraversato e che, proprio nella gita scolastica, ha il suo rito di passaggio più intenso. E poi un incidente di percorso e gli eventi che mettono in moto vicende e scoperte sorprendenti, incontri di persone che non si vedevano da molti anni e scoprono di avere in comune più di quanto avessero mai immaginato. Quel “profumo di tigli” che racconta la magia della realtà e l’incantamento della giovinezza, il lettore non lo dimenticherà più.


Profumo di tigli


Capitolo 1

LA PARTENZA

Nell’aria, il profumo dolce e inebriante dei tigli, era un segnale inequivocabile dell’imminente fine della scuola.
Sia gli alunni che i professori cominciavano ad avvertire stanchezza.
La gita scolastica era programmata da tre mesi ed i ragazzini non aspettavano altro. Ne parlavano tutti i giorni, non solo nell’intervallo, ma pure durante le lezioni, subendo le inevitabili sgridate dei professori.
“Basta! state tranquilli”, li calmava di continuo la professoressa di storia e filosofia, quando veniva disturbata durante la spiegazione. “Ragazzi, mancano solo due giorni… un po’ di pazienza. Inoltre, devo ancora fare un’interrogazione di filosofia”.
Quindi prese il registro e cominciò a scorrere i nomi e i voti dei suoi alunni.
I ragazzi si guardarono stupiti: non se lo aspettavano e, soprattutto, la loro mente era già altrove.
Vi furono attimi di silenzio.
“Fornaciari. Vieni pure. Vedo che l’ultima interrogazione non è andata molto bene”.
Il ragazzo si alzò dalla sedia e si mise in piedi di fianco alla cattedra: non aveva studiato e i compagni notarono il suo viso in apprensione.
“Allora, Marco, parlami di…”.
In quel momento suonò la campanella di fine lezione.
La professoressa guardò sorpresa l’orologio:
“Pensavo mancassero ancora una ventina di minuti”.
Poi si alzò in piedi.
“Bene, ragazzi. Mi raccomando, in questa gita divertitevi”.
Fornaciari tornò al suo posto molto sollevato.
L’entusiasmo in loro cresceva continuamente e l’interesse maggiore era organizzare le disposizioni nelle camere che sapevano essere a tre letti. Avevano tutti circa 15 anni e quella gita sarebbe stata un momento particolare nella loro giovane vita: il momento di scatenare la loro fantasia, la loro piccola libertà lontano da casa, senza il controllo dei genitori. Che gioia!
Erano due classi, per un totale di 40 ragazzi, oltre i 4 professori.
Però, gli alunni non si conoscevano bene. Infatti, una classe teneva lezione presso il liceo classico “Galvani”, in via Castiglione, fondato nel 1860 e denominato anche “regio liceo di Bologna”, nel quale insegnarono Carducci e Pascoli. L’altra classe si trovava in una sede distaccata della scuola, situata dalla parte opposta della città: tra le due vi era una certa rivalità.
Su richiesta degli allievi, dopo non poche discussioni sia tra loro che con i professori, fu scelta una località di grande bellezza: Monterosso al Mare, nelle Cinque Terre.
Infatti, alcuni studenti non erano d’accordo con la scelta di quel posto.
Vi sarebbe stata anche la possibilità di scegliere Parigi.
Soprattutto Francesca Tisani, avrebbe voluto visitare la capitale francese.
“Ragazzi, vi rendete conto che possiamo andare a Parigi, una capitale importantissima, colma di storia, di cultura, dove avremo anche tantissimi musei da visitare, oltre il Louvre, ovviamente…”.
Anche quella volta, venne interrotta dai più.
“Dai, Francesca, basta! Sei noiosa. Vuoi stare tre giorni rinchiusa nei musei… io non ci penso nemmeno. Preferisco andare al mare, ci divertiamo di più”, le aveva replicato nell’occasione Alberto Prati, trovando il deciso sostegno di molti altri.
Il mattino di giovedì 6 maggio 1998, si trovarono tutti davanti alla scuola in attesa del pullman: quando arrivò, dopo pochi minuti, i ragazzi applaudirono e la loro allegria si manifestò in canti da stadio.
“Michele, sei pronto?”, chiese un ragazzo al suo compagno di classe, dandogli una pacca sulla spalla.
“Carico come una molla… davvero non ne potevo più. Ne faremo delle belle”, esclamò entusiasta quest’ultimo.
“Mi raccomando, comportatevi bene”, disse loro una madre che si trovava vicino e che aveva sentito quella breve conversazione.
“Signora, non ha nulla di cui preoccuparsi. Saremo perfetti… come sempre”, esclamò uno studente allargando le braccia e fingendosi anche convinto di quello che diceva.
“Cominciamo bene”, concluse la signora sorridendo.
Intanto, stavano arrivando tutti gli altri.
Poco distante, si trovavano le studentesse Francesca Tisani e Veronica Ballarin, che parlavano del compito in classe di greco svoltosi il giorno precedente:
“Non è così”, diceva Francesca. “Secondo me quel verbo andava tradotto diversamente, perché, vedi…”, venne interrotta da Giorgio Bianchi, loro compagno di classe:
“No ragazze, davvero non esiste. Siamo in gita scolastica e il compito lo abbiamo già fatto e consegnato. Andato bene o andato male, non ci possiamo fare più nulla, quindi vedete di non stressare per tutta la gita. Parlando di cose serie, hai comprato le sigarette, Veronica, come ti avevo chiesto?”
La ragazza rispose che si era dimenticata, ma che tanto avrebbero avuto tutto il tempo per acquistarle.
Giorgio scosse la testa:
“Buona notte! Partiamo tra mezz’ora. Ci penserò io”, dopo aver finito di parlare, il ragazzo si allontanò.
Francesca, una ragazza di media altezza con capelli ricci e castani, parlava sempre in maniera molto veloce, in quanto persona assai ansiosa. Era la più studiosa, la classica secchiona: molti della classe, soprattutto ragazzi, la prendevano in giro. Però, al momento del bisogno, erano i primi, a testa bassa e improvvisamente umili, ad andarle a cercare aiuto, come cagnolini pentiti che chiedono perdono al loro padrone.
Giorgio Bianchi era soprannominato bonariamente da tutti Voglino, perché aveva una voglia di fragola nella parte destra del collo. Lui era molto abile a fare gli scherzi.
Marco Fornaciari, alto, robusto, dalla voce molto potente e ragazzo sempre allegro, era bravissimo a raccontare barzellette (ne sapeva centinaia) con le quali faceva piegare in due i compagni dalle risate.
In quel momento era serio: pareva assai preoccupato.
Alberto Prati, notando il suo viso truce, gli si avvicinò e gli chiese cosa fosse successo.
“Hai visto, Paola non è ancora arrivata”.
Marco era innamorato perso di quella ragazza, Paola Russo, una studentessa bionda, molto carina, che si pavoneggiava davanti alle sceneggiate dei compagni. Lui era convinto che, quella gita, poteva essere un trampolino di lancio per conquistarla. Però, il giorno prima, in classe, Paola aveva detto che non si sentiva bene e che, pertanto, non era sicura di partire.
Marco era diventato pallido.
“Fidati che non viene, te lo dico io… ho una sfortuna inimmaginabile, come sempre”.
Alberto sbuffò.
“Ciccio, stai tranquillo, manca ancora tempo”.
Nel dire quelle parole, girò lo sguardo e vide arrivare verso di loro, accompagnata dalla madre, proprio Paola.
“Guarda, guarda, il mio eterno sfortunato, chi sta arrivando”.
“È davvero stupenda”, disse sorridendo e con voce mielosa Marco quando la vide.
“Bene, ciao. Ho sentito anche troppo”, ribatté Alberto allontanandosi.
Alberto, un ragazzo alto, snello e molto agile, si divertiva spesso a imitare gli insegnanti anche se, per timore, non si era mai messo alla prova con il professor Guidi, che fu il primo docente, puntualissimo, ad arrivare all’appuntamento, come sempre molto elegante, in giacca e cravatta.
“Si parte per una gita al mare, fa un caldo che non si resiste e, anche oggi è perfettissimo. Ma lasciati andare, per favore!”, esclamò un alunno guardando un suo compagno che gli era a fianco.
Poco dopo, quasi in contemporanea, arrivarono gli altri docenti accompagnatori: erano Rita Trevisan che insegnava storia dell’arte, Luca Vignali docente di lettere classiche in quel liceo da oltre 15 anni e la professoressa Laura Zambelli, insegnante di storia e filosofia. Carlo Guidi, invece, era il professore di matematica, un uomo estremamente severo con tutti, anche con i colleghi, i quali, per tale motivo, non provavano grande simpatia per lui.
La professoressa Trevisan, di 44 anni era una donna alta, magra e con lunghi capelli biondi. Donna molto energica, praticava tanti sport. I suoi preferiti, erano la corsa e il tennis.
Quando sembravano esserci tutti, la Trevisan ritenne fosse arrivato il momento di fare l’appello. Pertanto, con agilità, saltò su di una panchina per farsi vedere e sentire.
Nel fare quel movimento, però, mise male un piede e cadde per terra. Gli altri professori ed alcuni alunni l’aiutarono a rialzarsi. Per fortuna non si era fatta nulla di male e, in breve, tornò sulla panchina per chiamare a voce alta gli studenti.
“Prof, se non partiamo perché lei si fa male, le assicuro che non farò mai più un compito!”, esclamò a voce alta Voglino.
Tutti i ragazzi si misero a ridere e gli fecero un applauso.
La Trevisan, donna simpatica e spiritosa, si unì all’applauso degli alunni:
“E avresti completamente ragione”, replicò sorridendo e meritandosi anche lei un applauso.
Terminato l’appello, mancava uno studente: si trattava di Daniele Gamberini.
Intervenne Fausto Martelli, un ragazzo grassoccio e con il viso paffuto. Questi, di solito silenzioso, non sopportava i ritardatari.
“Prof, era ovvio. È sempre in ritardo, anche a scuola. Per forza, ci mette 86 minuti a far colazione, 44 a lavarsi i denti, due ore a fare la cartella e vuole che sia puntuale? Per arrivare in tempo non dovrebbe dormire tutta la notte. Dai, partiamo!”, a tali parole, tutti gli studenti risero di gusto ed anche la professoressa Trevisan sembrava divertita.
“Non vedo proprio cosa ci sia di tanto divertente”, disse invece Guidi alla Zambelli, con volto tirato.
Per fortuna, Daniele arrivò dopo pochi istanti, e la gita scolastica poteva aver inizio.
Velocemente, i ragazzi salirono in pullman e, nei sedili davanti, si sistemarono i professori.
Riguardo alla sistemazione dei ragazzi, fu subito confusione: chi voleva stare vicino all’inseparabile amico e chi non voleva perdere l’occasione di fare il viaggio al fianco della compagna che gli piaceva. I più chiassosi, invece, si sistemarono nei sedili in fondo al pullman: il più lontano possibile dai professori.
Antonio, il conducente, era un uomo sulla sessantina, completamente calvo: Voglino, subito, lo soprannominò Il lucido.
Attese che tutti si accomodassero e poi si posizionò al suo posto di guida: quindi chiuse le porte ed accese il motore.
“Allora”, chiese con voce allegra. “Siete tutti pronti? Possiamo partire?”
Dopo un boato di entusiasmo dei ragazzi, cominciò il viaggio.
Erano le ore 8 e 30.
Quasi subito, iniziarono i primi entusiastici cori da parte degli studenti, spronati da Filippo che, tanto per aprire le danze, intonò l’inno nazionale. Tutti gli altri non si fecero pregare e lo seguirono, alcuni addirittura in piedi e con una mano sul cuore: lo cantarono per intero.
“Che belli che sono!”, disse leggermente commosso il professor Luca Vignali alla Zambelli, seduta al suo fianco. “Sono il nostro futuro e abbiamo il dovere di farli crescere al meglio”.
Aveva compiuto 45 anni da pochi mesi. Adorava stare in mezzo ai ragazzi e confrontarsi con loro, sempre con maggior interesse ogni anno che passava. Inoltre, era ancora single, non per scelta. Aveva avuto alcune fidanzate, pero, in ogni caso, non si era mai dato molto da fare per trovare una moglie. Al contrario, era sempre stato un “farfallone”. In fondo, gli era sempre andata bene quella situazione anche se, ultimamente, cominciava a sentirne la pesantezza. Da un po’ di tempo pensava che, avere una donna a fianco, forse gli sarebbe piaciuto.
La professoressa di storia e filosofia rispose di essere sicura della potenzialità dei loro alunni:
“Non tanto in storia, ma in filosofia hanno imparato a ragionare bene e, tutti o quasi, fanno delle domande molto intelligenti che, spesso, mi lasciano basita. E, a parte l’interrogazione, è dalla domanda intelligente, a base della quale ci può stare un ragionamento profondo, che comprendi le capacità di un ragazzo”.
Vignali si trovò d’accordo con quanto detto dalla professoressa dicendo che, per esempio nella tragedia greca, molti studenti facevano interessanti paragoni con vicende attuali.
La Zambelli, oltre ad amare molto le materie che insegnava e che studiava tutti i giorni nella convinzione di non saperne mai abbastanza, aveva una grandissima passione per la musica e, soprattutto, le piaceva infinitamente cantare: aveva una bellissima voce, sia nella versione potente, che in quella tenera e dolce. Inoltre, suonava discretamente la chitarra. Andava anche molto fiera della sua “erre” moscia in quanto, come ripeteva sempre, era perfetta per il canto.
Qualche giorno prima, Voglino le aveva detto che, in gita, non avrebbe avuto scuse e una bella cantata accompagnata dalla chitarra, la doveva dedicare ai suoi studenti. Pertanto, da quando erano partiti, la Zambelli si aspettava che un suo allievo le porgesse una chitarra per una sua esibizione che avrebbe fatto con piacere.
Ogni ragazzo cominciò a manifestare il proprio carattere ed il professor Vignali, persona molto socievole, si godeva sorridente lo spettacolo.
A un certo punto, Veronica Ballarin, grande appassionata dei Pooh, si alzò dal suo posto e andò a chiedere al conducente se poteva inserire nello stereo una cassetta che le piaceva.
Questi le diede il permesso: quindi, la ragazza la inserì e lo accese.
La canzone che in quel periodo riscuoteva successo, era Amici per sempre. A quasi tutti i ragazzi piaceva e, quindi, la cantarono insieme con entusiasmo.
Da quel momento e per quasi tutto il viaggio, fu un continuo andirivieni dei ragazzi, per inserire la cassetta preferita.
L’entusiasmo aumentava sempre più.
Certo, 40 ragazzini non erano pochi da gestire e si poteva notare l’aria seria e nervosa del professor Guidi.
Era quello un professore di mezza età, dal carattere assai difficile. Ci voleva molto poco per farlo arrabbiare e sembrava sempre nervoso. Però, visti certi suoi comportamenti, erano in molti a domandarsi se quello fosse il suo vero carattere, oppure se si trattasse di una difesa contro una timidezza, in lui molto evidente. Non parlava quasi mai e sorrideva ancora meno. Alto quasi un metro e ottanta, robusto, portava, sin da quando era giovane, un vistoso pizzetto, sempre perfettamente curato. Era un po’ avvilito in quanto, da qualche anno, si era cominciato a vedere qualche pelo bianco. Aveva un tic che, a detta dei più, era molto fastidioso da vedere: con il dito medio di una mano, anche più volte al minuto, si toccava la fronte, inclinando leggermente in avanti la testa.
Poco prima di imboccare il raccordo per La Spezia, in autostrada si era creata una lunga fila e il pullman fu costretto a fermarsi.
“Basta che non cominciamo così!”, fu la protesta di un ragazzo che si trovava nelle ultime file.
“Non lo sanno che dobbiamo prendere un traghetto?”, gli diede sostegno un altro.
Il conducente spense il motore, in quanto le vetture che gli stavano davanti non si muovevano nemmeno di un metro.
La giornata era bellissima e loro erano fermi sotto il sole cocente.
L’attesa si prolungò e, in breve, il caldo dentro al pullman divenne quasi insopportabile: i ragazzi erano sempre più agitati.
“Così perdiamo il traghetto! Non è possibile!”, esclamò Fausto.
“Diciamo al lucido che vada nella corsia di emergenza!”
Le lamentele si susseguirono una dietro l’altra.
Il signor Antonio, vista la grande agitazione degli studenti, prese il microfono e disse loro di stare assolutamente tranquilli in quanto erano in largo anticipo.
Veronica gli chiese cosa fosse successo.
“Un incidente qualche chilometro più avanti. Però, un collega mi ha detto che tra poco ripartiremo”.
Con queste parole, il conducente riuscì a calmare i ragazzi.
“Se il lucido chinava un po’ la testa riuscivo anche a specchiarmi per vedere se avevo i capelli a posto”, fu la battuta di un altro studente.
Intanto Marco si era sistemato vicino a Paola e il suo sguardo era radioso.
“Finalmente è seduto accanto alla sua innamorata, guarda che faccia felice!”, disse ridendo Tazio Musolesi a Daniele, che rincarò la dose:
“Adesso non gli può importare di meno del ritardo, del caldo, se arriviamo a Monterosso oppure no… l’importante è che sia a sedere lì”.
“E ci starebbe di continuo sino a domenica sera quando torniamo a casa”.
“Marco, sveglia! È il tuo momento, coraggio!”, lo prese in giro Daniele, girando lo sguardo verso di lui.
Paola sorrise divertita, mentre Marco fece finta di non sentire.
Dopo un’altra ventina di minuti, finalmente ripartirono tra il sollievo dei ragazzi.
“Signor Antonio, adesso a tutta velocità! Giù quel pedale!”, lo esortò Fausto, già terrorizzato di essere in ritardo.
Superato il raccordo per La Spezia, cominciarono a percorrere l’autostrada della Cisa.
Non erano ancora a metà percorso, quando i ragazzi domandarono di fare una sosta.
“Ragazzi, ho un caldo tremendo e una sete atroce, chiediamo di fermarci”.
Molti si trovarono d’accordo, mentre alcuni preferivano proseguire:
“No, Voglino! Capisci che, se ci fermiamo, rischiamo davvero di perdere il traghetto”, lo rimproverò, come prevedibile, Fausto: rosso in viso, il suo sguardo era impaurito.
“Pesante! Fausto è matto, ha dei problemi. È un maniaco, bisogna che si faccia proprio curare”, disse Giovanna Pasini a Cinzia Draghi, riferendosi alla mania di Fausto riguardo alla puntualità.
“Fausto, smettila! Ho caldo, ho sete, mi scappa la pipì e mangerei anche un panino. Ti basta?”, lo fulminò Giovanna, sempre con il suo foglio bianco in mano. Infatti la ragazza, molto spesso con un bel sorriso radioso, era appassionata di disegno e teneva sempre con sé un foglio: se anche aveva solo due minuti liberi, uno schizzo lo buttava giù. Diceva che, per lei, era come una droga, non poteva farne a meno e, senza la possibilità di disegnare, si sentiva persa.
“Sì, Fausto! Basta! Giovanna ha ragione e non farla troppo lunga”.
Il giovane allargò le braccia e non disse nulla. Il suo viso sembrava quello di un cane bastonato.
“Ragazzi, ha detto il signor Antonio che ci possiamo fermare al massimo un quarto d’ora, quindi bisogna essere veloci.
Giunti a un autogrill poco prima di Aulla, velocemente i ragazzi si recarono chi alla toilette e chi al bar.
“Fausto, tu rimani su a controllare che il pullman stia fermo e non scappi, sennò perdiamo il traghetto”, disse Voglino.
“Dai, Giorgio, non esagerare che dopo si offende. Lo abbiamo già bastonato abbastanza”, lo calmò Veronica.
Bianchi ribatté alla compagna che stava solo scherzando ma che, comunque, aveva ragione.
Tanti ragazzi tutti assieme alla cassa del bar, e con solo 15 minuti a disposizione, voleva dire la confusione più totale.
“Per me un caffè ben caldo con una goccia di latte, una spremuta all’arancia, un bicchiere di acqua gasata fuori frigo, un pacchetto di caramelle “Golia” alla liquirizia, poi… dunque…”
“Allora, ti muovi?”, protestò un suo compagno.
Intervenne Voglino, in fila dietro di lei:
“Francesca, sei sempre la solita. Lo capisci o no che abbiamo poco più di dieci minuti e siamo in quaranta? Perché non ordini anche una minestra di fagioli calda, una fiorentina ben cotta, una bottiglia di vino, caffè e ammazza caffè? Al di là dei compiti tu… proprio… zero!”
Anche la barista addetta alla cassa, si mise a ridere.
Il conducente, nel frattempo, scese per sistemare meglio due valige nel porta bagagli.
Tazio Musolesi, veloce come un fulmine, ne approfittò per tirare fuori il pallone che aveva portato in gita.
Quindi, senza allontanarsi, si mise a giocare con Fausto.
A un certo punto, a causa di un tiro troppo forte di Fausto, il pallone ruppe uno specchietto retrovisore del pullman.
Vignali se ne accorse e, subito, sgridò i due ragazzi.
“Scusi, come facciamo?”, chiese il professore al conducente.
“Ne ho uno di ricambio e, per fortuna, in questo autogrill c’è anche un meccanico, però… fate più attenzione”, rispose con tono stizzito.
“Ha ragione”, concluse Vignali.
Usciti dal bar, gli altri ragazzi stavano tornando verso il pullman che, però, non videro più.
“L’hanno rubato”, gridò uno.
“Fausto non ha controllato bene!”, esclamò Voglino tra le risate dei suoi compagni.
Chiesero ad un docente cosa fosse successo e questi spiegò loro l’accaduto.
“Fausto, cosa ci combini!”, era sempre Voglino che, avvicinandosi al compagno, si accorse che stava piangendo e le sue guance si erano arrossate.
Si avvicinarono anche altri e capirono che non era il caso di prendere in giro l’amico.
“Fausto, stavo scherzando”, disse Voglino, dandogli una pacca sulla spalla.
“Non volevo e, adesso, come facciamo… se non l’aggiusta subito, arriviamo in ritardo”.
La loro era una classe molto spiritosa, scherzosa, ma anche molto unita. Tutti i ragazzi si volevano bene e non vi erano particolari invidie o rivalità.
“Figurati! Vedrai che arriviamo perfettamente in tempo”.
“Dai Fausto, non fare così! Cosa vuoi che sia uno specchietto rotto! Poteva capitare a tutti”.
“Sì, Fausto, poi si tratta di uno specchietto. Ci metteranno solo qualche minuto”.
“Non hai mica rotto il motore!”
E tutti fecero coraggio al loro compagno.
Dopo poco, videro arrivare il pullman.
“Ecco il pullman, Fausto, saliamo”.
Risolto questo inconveniente, ripartirono con circa dieci minuti di ritardo.
A un certo punto, Michele Stroppa, rosso di capelli e grande amico di Voglino anche se faceva scuola nell’altra sede, vide un posto a sedere libero vicino al professor Guidi: si disse che era giunto il momento e, senza perder tempo, si fece coraggio e andò a parlargli.
“Scusi, professore, posso sedermi un attimo vicino a lei?”
“Certo, accomodati”.
Stroppa, a detta di tutti i suoi professori, era un ragazzo molto intelligente, ma troppo vivace e, soprattutto, con pochissima voglia di studiare.
Per tale motivo, era ripetutamente vittima delle sgridate dei docenti, i quali gli dicevano di continuo che, con un maggior impegno, avrebbe risolto tutti i suoi problemi scolastici.
Comunque, nonostante avesse dovuto superare varie volte gli esami di riparazione, anche in più di una materia, era sempre riuscito ad esser promosso.
Quell’anno, però, era stato per lui molto particolare.
I suoi genitori, dopo anni di litigi, a settembre si erano separati ed il padre era andato a vivere in un paese a pochi chilometri da Bologna.
Il giovane Michele, affezionatissimo ad entrambi i genitori, certo si rendeva conto che i due non andavano d’accordo, ma non si immaginava nemmeno lontanamente una conclusione così drammatica del loro matrimonio.
Quando i suoi genitori, a fine agosto, glielo dissero, ci rimase molto male e, su tutte le furie, nervosissimo, diede una spinta al padre con entrambe le mani: un gesto che, anche davanti alla più severa sgridata, non si era mai permesso di fare.
In seguito, a casa con la madre e solo qualche giorno al mese dal padre, aveva sofferto tantissimo e, se già prima aveva poca voglia di studiare, quel doloroso evento gliela fece passare del tutto.
Pertanto, a metà anno scolastico, ossia alla fine del secondo trimestre, a parte educazione fisica e religione, la sua, più che una pagella, sembrava una schedina totocalcio con tutte insufficienze e anche tanti 2.
Quando la vide se lo aspettava, però decise che, se non voleva fare una brutta fine, doveva proprio cambiar registro.
Quindi, nei mesi a seguire, si era impegnato al massimo e aveva ottenuto anche ottimi voti in quasi tutte le materie, ma non era per nulla sicuro che ciò fosse sufficiente per la sua promozione.
“Una o anche due materie”, si ripeteva sempre.
Al solo pensiero di dover studiare anche quell’estate e, di certo, molto più di quella dell’anno precedente, si sentiva male.
“Allora, cosa mi racconti?”, gli chiese il professor Guidi che, come sempre, faceva molta fatica a sorridere.
“Sono contento di essere in gita. È stato un anno molto difficile. Davvero, professore, la separazione dei miei genitori non me l’aspettavo. È stato un pugno allo stomaco, un dolore immenso. Voglio molto bene a entrambi”.
Per quanto le sue parole fossero vere, il giovane ritenne che fosse giunto il momento di far esplodere tutto il vittimismo possibile.
“Lo so, so bene quanto sei sensibile e quanto hai sofferto. Si è notato chiaramente”.
Stroppa rimase contento di quelle parole e, per quanto avesse paura, affondò il colpo.
“Professore, nei primi mesi non ho proprio fatto nulla e, solo dopo, mi sono impegnato a fondo. In quante materie sarò rimandato? Me lo può dire?”
Guidi lo guardò serio e parlò a bassa voce per non essere sentito dagli altri docenti:
“Hai fatto un’analisi veritiera di come ti sei comportato”, cominciò il professore.

[continua]


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