Medieval Spirit

di

Davide Gorga


Davide Gorga - Medieval Spirit

14x20,5 - pp. 78 - Euro 9,00
ISBN 978-88-6587-9719

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In copertina: “Beautiful snow in Reims city center, Champagne region, France” © sergiyzinko – stock.adobe.com


Prefazione

La visione lirica che alimenta la silloge “Medieval Spirit” è permeata di un’atmosfera che vive e si nutre di una dimensione che supera il tempo, oltrepassa l’umana meraviglia davanti al mondo e alle sue metamorfosi, e proietta in uno “spirito medievale” nel quale un simbolico pellegrino diventa espressione dell’umana finitudine, creatura sovrastata dall’immensità del cosmo, alla costante ricerca della propria sostanza primigenia e della propria anima.
Il solitario sentiero, nella concezione poetica di Davide Gorga, diventa palcoscenico lirico pervaso di suggestioni d’un mondo ammantato di misteri sussurrati, evanescenze e mistiche visioni che costituiscono il corpus delle rappresentazioni liriche.
Il cammino, incerto e travagliato, è scandito dalle stelle, come a “vagare tra i fuochi/di una notte in scintille”, dove scorrono i sogni, tra stupori e meraviglie, tra “mattini rosati” e “brume leggere”, “lungo sentieri di pietre” e scrutando il mistero di “acque verdi e scure”: e tutto conduce a cantare “l’estasi della scoperta” in questo “cammino nel mondo” dove deflagra la visione lirica del poeta e domina la forza luminosa dell’incanto, che offre “lampi dorati e d’argento nell’oscurità”.
Il pellegrino errante si muove tra attese nei “giorni del viaggio”, tra oscurità e “luce ferita del cielo”, che riporta al sofferto cammino dell’Uomo, vagando in una “notte chiara di mille aurore”, costellata di storie antiche cantate sotto la luna ed armonie danzate intorno al fuoco: sono “voci scolpite nel tempo”, canti eterni e “fiabe d’estasi”, che risvegliano, nella magia della notte, “le nascoste parole / d’un sogno lontano”.
Il continuo processo di ricerca dell’essenza dell’Uomo riconduce ad una dimensione che proietta oltre il divenire storico, che si incarna in un “ideale eterno” del quale s’inebria costantemente il “viaggiatore”, fino ad una rivelazione-redenzione oltre il tempo, oltre la vita, innalzata al cielo come “fiamma d’eterno” che solleva l’Uomo dalla sua condizione terrena e lo conduce all’abbraccio della luce, all’“estasi mistica”.
La Luce invade il corpo con la sua forza primigenia e la vita si propaga sotto il cielo, dentro la terra, nel respiro del tempo, come a condurre l’Uomo verso il “canto creatore”.
La volontà di creare uno spazio che coniughi la visione lirica alla tensione narrativa diventa strumento per proporre la sua concezione poetica: i tempi lirici dettano il ritmo d’una versificazione costantemente tesa a fissare l’impulso che ha generato tali percezioni e visioni.
La sua Parola, limpida e decisa, penetra nelle fenditure del tempo, si allontana dall’hortus conclusus, spaziando in una dimensione superiore dove il poeta vive i silenzi della notte, assediato da incanti e suggestioni, invaso da echi esistenziali che inondano la sua mente ed illuminano il suo Essere.
Nel dispiegarsi del processo lirico tutto pare avvolto dal senso del tempo mentre il defluire del mondo poetico si fa ancestrale ed abissale ed il poeta desidera inglobare ogni percezione nella sua fascinazione, penetrare nel profondo dell’essenza lirica protesa ad irradiare la sua Parola d’un ricercato “spirito medievale” e cospargere la sua poesia d’una mistica visione, fino a giungere all’atto purificatore.

Massimo Barile


Medieval Spirit


The Long Journey


Via

Due bambini nella nebbia
attraversano un campo
di alberi da frutto
spogli, vaghi, bassi.
Lontani gli spettri
ai lati della via,
alti nel biancore
incombenti come guardie,
sentinelle nel mattino
lungo il sentiero sperduto
che porta ai campi del sole.
E mano nella mano avanzano
ancora bambini, nel campo
che sembra senza fine.
Scorrono anni di giochi,
risa clandestine, sogni
di vento e stelle, ali
di brina, canti di galaverna.
La marcia lunga, eterna
– e il sorriso del sole nelle
dita del vento tra i capelli
scompigliati da carezze
di invisibili mani amiche.

Al di là del tempo, freddo
nell’inverno dell’anima
soffiato da incubi mattinali,
giungono alla via, adulti
provati dal cammino,
ora che la strada per la luce
è appena iniziata.


Favola di vespro

Ti ho atteso a lungo
tra le fronde nere
sui colli ridenti in stelle
nella notte d’indaco incanto;
sulle strade abbaglianti
nei giorni del viaggio;
lungo vie grigie di pioggia
e nuvole di glicini.
Ti ho atteso nel cammino,
tra boschi e oscurità di selve
cittadine – i muri cadenti,
i volti disfatti acquerellati
dalla pioggia, la via dura
in squarci di cielo.
Ti ho atteso in spirito
mentre vagavo tra i fuochi
di una notte in scintille,
fuoco di Albireo, anime in faville
e cantava sulla veglia
la luce ferita del cielo.
Ti ho atteso così a lungo,
stella e favola di vespro,
che lungo il cammino
continuerò a cercarti,
– un giorno, un inverno
ridente, una strada di sole,
per ora, per sempre.


Persi

Non torneranno gli abeti lucenti
in piazze dicembrine o sfolgoranti
alle finestre aperte e così i doni
rossi e blu dei bambini
le risa e il focolare
vestiti e giocattoli,
i mattini rosati
e le persiane schiuse.

Non torneranno le notti al sicuro
abbracciati nella luce dei corpi
stelle gemelle, anime d’incanto.
Sole senza nome in nessuna lingua
fronde e nubi sopra di noi felici
del cielo intenso, dell’anima viva,
tocchi e sorrisi, sentiero battuto
tra baleni stupori e meraviglie.

Ora l’arcobaleno morto
veglia su notti insonni.
Le lacrime del cuore
e silenziose bare
sotto cieli di sole,
di verde ormai scuro
come muschio che cresce
nei cimiteri d’anime.

Il camino dalle fiamme viola e arancio
ricanta l’estasi della scoperta
– il Cammino nel Mondo, la luce eterna
amichevole sicura conosciuta
da sempre – e quei colori un tempo noti
sono silenzio, vuoto e morte oscura
nella grigia nebbia che cantilena,
nelle altezze fiaccate in solitari
sentieri che neri tornano a casa
come sangue stanco che si disperde
in rigagnoli scuri
su prati e morti monti.


Under a Never-Ending Sky


Inverno

E venne l’inverno, sfera di cristallo, incantesimo di neve. Calpestammo le foglie morte, aprimmo la porta dai pannelli scuri, ardemmo in viso dinanzi al fuoco come note di flauto ridenti nel buio. Tra le fiamme e il biancore, il vento che fischia, i sorsi dell’eterno.
Sulle mani arrossate l’odore del tempo, lungo il cammino trascorso le nere ali di vette lontane come incubi a noi ignoti. Oltre ancora il terrore dell’alba, il grigio del cielo, la notte che piove.
Al fianco scarlatte le ombre, ridenti e cantanti, alla voce del fuoco. Calore di risa amiche, lontane e vicine, danzanti intorno al giorno morente.
Avvolti nel manto – fiducia e sogno, stella brunita e lucente – attendemmo nel sonno il giorno.
– E al risveglio fu primavera.


Cattedrali

Camminando lungo il fiume, lastre di ghiaccio dall’apparenza superba e senza un colore definito vorticano indelebili ad incidere l’acqua. L’infinito azzurro si torce in volute di nebbia. Ed il campo dei ricordi germoglia a nuova vita nella sera silenziosa – la tua voce, il tuo riso, il mio viso – a risorgere nelle cattedrali dell’eterno, nelle vetrate di colori dell’immenso.


Postfazione

Una nostalgia viva come un ricordo. Le mura di pietra incombenti e protettive, i campi coltivati – la primavera sempre nuova e colma di meraviglia. In un’epoca di luce permeata dal trascendente in ogni respiro, parte vitale del quotidiano, si svolge la nostra vicenda terrena. Come un tempo, così oggi.
È questo lo spirito medievale che riecheggia nelle liriche, si perde in cerchi intorno all’anima, sovrasta il cammino del pellegrino. Quando troviamo dentro di noi la vera essenza, ritorniamo ad un mondo conosciuto, che ci parla oltre la storia, come un ideale eterno, una via comune.
Sotto una luna piena che inonda di argento liquido la strada di pietre bianche e boschi neri, le stelle brillanti, le sofferenze ed il sapore del pane, le storie di un tempo lontano ricantate ad ogni angolo, le danze ed il fuoco, bello et iocundo et robustoso et forte, continuiamo la ricerca di noi stessi.

Pini a ombrello sui crinali bianchi di pietra che s’innalza verticale. L’energia della brezza raccolta di sole ci morde i polpacci spingendoci a risalire le vette.
Un unico albero sulla cresta. Tuoni lontani. E noi distesi, il dorso sull’erba che ci carezza il collo, le mani incrociate sotto la nuca, i nostri capelli che si confondono, viviamo infanzia di risa e giochi ed ascese nel vento d’aprile, un sole tiepido che scorre in lamine di luce sul corpo – ed il cielo immenso screziato dai rami spogli gemmati d’argento sopra di noi.
Un’intera collina coperta di alberi nudi in primavera, staccano grigi contro il cielo di un azzurro così tenero da essere quasi delicato nel suo assoluto.
Nubi bianche come giganti del vento avanzano dalle creste più lontane, la chioma indorata dal sole.
Sotto la volta sbocciante in screzi d’oro, raccogliamo la vita del cielo, della terra e dell’anima svincolate e libere; veleggiano in vortici ancora d’infanzia e beatitudine, noi distesi sul prato benedetto benedetti dal mondo incantato e di luce perenne.

Davide Gorga


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