Opere di

Dionigi Mainini

Con questo racconto è risultato 5° classificato – Sezione narrativa alla XVII edizione Premio Letterario Internazionale Marguerite Yourcenar 2009


Il buon carceriere

Il giorno in cui gli rivelarono la per
dita della sua libertà non lo dissero 
 apertamente ma Sergio capì che era per tutta la vita senza possibilità d’appello e rimasto solo pianse, invocando l’aiuto di sua madre. Ma lei non c’era.
Da allora, attimo dopo attimo, giorno dopo giorno, la sua mente fu tesa a rifiutare quella sentenza. Anche quando finalmente gli concessero di tornare a casa non si tranquillizzò e la sua disperazione la riversò, sull’unico essere umano con cui aveva contatto, col Carceriere, che lo accudiva, lo lavava da capo a piedi, lo liberava da ciò che il suo corpo espelleva, lo serviva e subiva le sue nervose angherie in silenzio, senza reagire.
Di giorno Sergio imprecava, ai suoi amorevoli solleciti ad ingoiare cibo e medicine. Lo zittiva, quando balbettando gli suggeriva di riflettere e rassegnarsi all’evidenza. Lo scacciava, se generoso restava sulla sedia accanto al letto a fargli muta compagnia.
Di notte, con rabbia e astio Sergio implorava, dapprima giustizia poi soccorso, al crocefisso che sapeva pendere alle sue spalle dal chiodo sopra il suo letto, affinchè intervenisse a porre fine alla sua esistenza. Da solo non poteva riuscirci, anche perché il Carceriere era meticoloso e attento a non lasciargli a disposizione alcunché potesse servire a realizzare quell’insano proposito.
Poi, col passare dei giorni, grazie al proprio buonsenso, il Carceriere trovò modo di fargli ingerire i calmanti che rifiutava, e gradatamente Sergio si calmò e pur taciturno e ingrugnito smise di contrastare tanto violentemente la sua devozione.
Con gli occhi che passavano dal poster di Springsteen, alle coppe vinte nei tornei di tennis, al soffitto rigato dalle travi di legno e ai vetri della portabalcone che null’altro che una fetta di cielo mostravano, spesso Sergio si trovò a valutare quale perdita di libertà fosse peggiore. Quella di parlare, di vedere, di sentire, di amare o la propria… di star ritto, di camminare, di correre. E a volte si consolava, a volte si disperava.
Il giorno in cui giunse la carrozzina, Sergio accettò di esservi posato ma subito allontanò il Carceriere, perché la sua commozione lo irritava. Rimasto solo, con una gran voglia di urlare e maledire che gradatamente si trasformò in un grosso nodo alla gola, restò a guardarsi e commiserarsi nel grande specchio del guardaroba, finchè qualcosa, dai vetri della portabalcone, attirò la sua attenzione.
Era il suo caro amico d’infanzia che s’agitava, il compagno di giochi spensierati ed avventurosi che da tanto aveva ignorato. Altre cose aveva trascurato negli ultimi anni trascorsi a vivacchiare all’università, a far scorrerie nelle discoteche, sui campi da sci, al bar, con gli amici. Amici che dopo l’incidente, anche per colpa sua, s’eran rarefatti e poi dissolti lasciandolo solo, prigioniero in quella cameretta, alla mercè di un Carceriere noioso e meticoloso, con la sola compagnia di… quel ramo amico, oltre il vetro, che col suo movimento buffo e accattivante ad ogni sbuffo d’aria, riuscì a distoglierlo dall’apatia tanto che Sergio cominciò a salutarlo al mattino, ad augurargli la buonanotte la sera e addirittura a confidargli i suoi tristi pensieri, mentre lui fermo o dondolante, pareva ascoltare, docile e comprensivo. Certo ogni volta Sergio sorrideva della propria ingenuità ma ne era al contempo appagato e un giorno, al vederlo agitarsi disperato e impotente alla forza del vento, desiderò accarezzarlo per calmarlo ma la carrozzina non riusciva a superare il gradino della soglia della portabalcone. Sergio provò allora a sporgersi, allungando il braccio più che poteva ma non riuscì a raggiungerlo. Mancava ancora tanto e al vederlo dibattere, come se pur lui si stesse sforzando per toccar la sua mano, tentò e ritentò finché esausto s’arrese e pianse, per la propria incapacità. Pianse anche durante la notte, mentre dai vetri vedeva la luna ch’era piena e sbirciava tra i rami, ancora ferocemente sballottati.
Il mattino dopo il vento s’era calmato. Sergio attese che il Carceriere dopo averlo sistemato nella carrozzina si allontanasse, aprì la portabalcone, sporse il braccio, tese la mano e con sorpresa, con grande stupore e senza fatica, riuscì a toccarlo, addirittura a trattenerlo nella mano.
Cos’era successo? Era riuscito a sporgersi di più o il ramo gli era venuto davvero incontro? Emozionato, convinto d’essersi sporto come il giorno prima, sentendo gli occhi riempirsi di lacrime, incredulo ma riconoscente, Sergio alzò lo sguardo alla ricerca, nella sagoma del pino, di un punto ove rivolgere un ringraziamento e al vedere tutti i rami contemporaneamente agitarsi lievemente come in saluto, balbettò ciò che il cuore gli suggeriva, sentendo la certezza d’esser ascoltato.

Occorsero due giorni al Carceriere per approntare una pedana che gli permettesse di uscire con la carrozzina sul terrazzino e appena fu disposta Sergio rifiutò il suo aiuto e chiese d’esser lasciato solo. Appena sentì la porta della camera chiudersi tentò e ritentò sinchè riuscì ad uscire e… no, non abbracciò il ramo, lo trattenne tra le mani, lo accarezzò, lo odorò e gli parlò, mentre alle sue spalle, rientrato in punta di piedi, il Carceriere inghiottiva commozione e cercava coraggio per avvicinarsi e dialogare. Lo trovò, s’avvicinò, leggermente tossì e…
«Sai Sergio, forse non te l’ho mai detto, ma questo pino ha la tua stessa età. È tuo gemello. L’ho piantato io proprio il giorno in cui sei nato e… s’è fatto grande vero?».
Sergio, sentì una stretta al cuore ma restò muto.
«Questo ramo però dovrei tagliarlo, ormai invade il terrazzino…» aggiunse il Carceriere.
«No babbo, ti prego. Per favore, non farlo. Mi fa compagnia…».
Il Carceriere, sorpreso dal tono di voce, come preghiera, di Sergio, balbettando…«Un ramo… tuo unico amico?» chiese e sorridendo osò, come da tanto desiderava fare, accarezzargli, come faceva quand’era bimbo, i capelli.
Sergio, lo lasciò fare, poi cercò la sua mano, la portò alla bocca e la baciò sul palmo, lungamente.


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