Saggezza

di

Donato Pacifico


Donato Pacifico - Saggezza
Collana "I Gelsi" - I libri di Poesia e Narrativa
12x17 - pp. 54 - Euro 8,20
ISBN 978-88-6587-1126

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Con tanta semplicità l’autore analizza le piaghe della odierna società, deplora la guerra, la prepotenza, l’egoismo e difende con passione chi subisce come lui. Esprime i propri sentimenti senza mai sfociare in espressioni dure.
L’ottimismo lo porta sempre a sperare in un mondo migliore auspicando il definitivo trionfo del bene. La natura, con le sue eterne bellezze e la sua pace sublime, ispira le liriche di Donato Pacifico, poeta contadino, innamorato di essa.
Egli ne gusta il sapore, ne esalta i colori, si inebria del suo profumo e si augura che tutti possano seguire il suo esempio. Consapevole che le vicissitudini della vita lo hanno privato della cultura di base, egli non dispera cercando sempre di migliorarsi.
La sua speranza in un mondo più giusto e la sua fede in Dio riecheggiano in tutte le pagine di questo lavoro che l’autore ci sottopone augurandoci di trarne profitto.

Felice Carpino


Saggezza


La torta

Una volta, la torta che oggi comunemente mangiamo tutti, o quasi tutti, apparteneva solo a poche persone: ai cosiddetti ricchi, ma costoro, o per errore, o per dovere, decisero di fare assaggiare un pezzo della torta al popolo, ma il popolo avendola assaggiata per la prima volta, ne pretese subito un altro pezzo, poi un altro e un altro ancora. Così, rosicchiando rosicchiando, siamo giunti ad oggi, anno 2000.
Oggi abbiamo tutto: il frigo, la TV, l’auto, la casa e tante altre cose che prima non avevamo. Purtroppo però, ci manca qualcosa di molto importante: la semplicità, la felicità e la sicurezza.
Ma allora non era meglio che quel pezzo di torta ci fosse stata sempre negata? Forse saremmo stati più poveri, ma sicuramente più felici. Noi almeno siamo riusciti ad assaggiare quel pezzo di torta, ma molti popoli e tanti bambini muoiono di fame, con tutti gli sprechi che ci sono.
Con quel pezzo di torta, dunque, ci hanno costruito l’illusione di essere ricchi, ma nonostante il progresso, ci stiamo accorgendo di essere sempre più poveri e sempre più in pericolo.
Milioni di bambini aggrediti da parassiti vari, destinati a una lenta morte. Oggi abbiamo tutto, ma basta una fuoriuscita da una centrale o il litigio tra due popoli, ed ecco che si deve mettere in discussione l’avvenire della nostra Terra. Questa Terra ormai in pericolo e… se non pianteremo e faremo crescere un albero accanto ad ognuno di noi, prima o poi la natura ci punirà. Forse il mio pensiero è piuttosto pessimistico, ma in tal caso, avrei poche speranze di credere ancora nelle possibilità dell’uomo.
Questo uomo tanto intelligente che si è permesso di mettere la vita al secondo posto e il denaro al primo, ma non ha calcolato che sarà proprio il denaro a condizionarci la vita. Oggi bisogna cercare quei valori che abbiamo lasciato per strada; fare assaggiare “a tutti” un pezzetto di quella dolce torta e non provocare più la natura, altrimenti ci castigherà.


La donna

Se qualcuno mi chiedesse: “Cosa è la donna?”, io con molta semplicità risponderei: “La donna è un fiore che sboccia nelle stelle e sprigiona candore sulla terra.”
Una volta, si diceva che la donna aveva i capelli lunghi e il cervello corto, ma se così fosse, allora l’uomo con i capelli lunghi cervello non ne ha affatto? Una volta si diceva anche: donna al volante pericolo costante, ma oggi direi: donna al volante sicurezza e tolleranza.
La donna è fortunata; è fortunata perché Dio ha voluto che nascesse femmina, come tale, ha tutte le virtù per dominare l’uomo e qualche volta farlo anche fesso.
La donna d’oggi, però, ha il piacere e il difetto di mostrare troppo la sua femminilità. Io penso che in futuro le donne andranno nude per le strade. Allora sì che sarà un mondo moderno. Ma con tutti i difetti che si trascina dietro, sarà sempre la colonna principale della casa e della famiglia.
La donna è donna, mamma, nonna e serva. Allora è giusto che si dica che è un fiore che sboccia nelle stelle.
Parlare della donna non è mai un danno – come si diceva una volta –, ma è sempre un gran piacere, perciò, prepariamoci ad amarla e rispettarla, ma lei però, per ottenere questo rispetto, dovrà essere meno sofisticata e coprirsi un po’ di più.


La vita

La vita è bella! La vita è sempre bella.
È bella quando è appesa a un filo, quando ti cascano i capelli, quando non hai più lacrime d’asciugare, quando le lacrime si infrangono sul volto invecchiato, quando il buio trafigge il povero cuore malato, quando ogni attimo si perde nel tempo e svanisce nei turbati pensieri. Ma ecco apparire il sole, un sole malinconico con timore di non scaldare più, e un canarino che canta con flebile voce, e il suo sonoro canto mischiato nel vento scorre verso un tramonto che non c’è più.


Roseto

Roseto è un paese annidato tra rocce e monti e impetuosi venti. È un paese nascosto tra valloni e boschi, ma invaso dal profumo di ginestre. È un paese appeso ai pendii del – detto costo – e tra sentieri ripidi scomposti.
Squilla il campanone della chiesa grande e l’eco verso l’alto scorre, un’eco dolce e vibrante, ma frenata dalle pale eoliche che hanno soffocato il respiro alle nostre magiche montagne.
Ai suoi piedi nasce il Fortore, un piccolo ruscello che nasce, cresce e s’ingrandisce, lasciando questa terra arida e sconnessa, trascinando con sé i pensieri dei Rosetani verso il largo mare, e tra le onde attorcigliate tra di loro, vi sono i destini dei Rosetani, costretti ad emigrare e conoscere amarezze e delusioni, e imparare nuovi sistemi di vita e osservare nuovi tramonti che lasciano gli ultimi raggi del nostro caldo sole del Sud e il profumo di questo nascosto Roseto.


Angelina

Ogni anno, a maggio, Angelina torna nei cieli di Roseto a rinnovare il vecchio nido, e sempre sotto il vecchio cornicione, il cornicione di ogni anno, di ogni primavera e forse il cornicione di una vita.
Con dinamismo spicca il volo nel basso Fortore, in cerca di granelli sabbiosi per poi appiccicarli ad uno ad uno al suo nido.
Solchi questo cielo di Roseto, piccola rondinella solitaria! Strilli ad alta voce ai rosetani: sveglia! Io son tornata, son qui con voi, ma non per molto. Ma prima di partire, devo salutare tutti voi, che ogni anno accogliete i miei strilli sulle vostre case. Vi lascio con l’ultima sfrecciata sui tetti di Roseto, l’ultimo cinguettio, e poi un lungo volo mi aspetta.
Lascio Roseto con immenso amore, e se a Roseto fosse sempre maggio, il nido lo farei in ogni cuore.


Il cane Jok

Caro padrone, perché mi lasci solo? Io so che non vorresti, ma per me il destino è tanto triste.
Tu non potrai dire più: bello mio! E io non potrò più leccare la tua faccia. Sì, qualcuno mi fa delle carezze, ma io vedo solo il tuo volto, un volto che ho perso troppo in fretta. Ora solo il fiuto mi è rimasto e i ricordi d’un amico, ricordi che scorrono veloci sul mio muso.
Dalla collina do il primo sguardo, uno sguardo verso il cimitero, poi misuro la distanza, e passo dopo passo, raggiungo la tua fossa. Caro padrone, io sono qui accanto, sento la tua voce che m’incanta, una voce dolce e vibrante, una voce che nell’aria si perde. Mio cipresso, tu per tanto tempo mi hai guidato, tu sei cresciuto alto, dritto e folto, io ho perso il fiuto e a passi lenti vado verso la morte.
Caro amico, sono qui accanto alla tua fossa, restiamo insieme sotto la frescura del cipresso.


Il contadino

Zappa, zappa, padre mio da mattina a sera, che presto un dono ti farai, sarai fiero di te stesso e di tutto ciò che fai. Con amore solchi la tua terra e il sole abbronza la tua pelle. Questa terra che non tradisce mai e tutto ciò che dai te lo restituisce.
All’infuocar del sole scorre in fronte un fiume di sudore, e tra una zappata e l’altra, il viso si asciuga al sole e un venticello fresco affiora.
Sei fiero di te stesso, contadino. Guardi il tuo campo verde giù a valle, guardi i girasoli che t’abbagliano lo sguardo, spezzi un ramo di ciliegi, un grappolo d’uva nel tuo vigneto, e mostra a colui che sghignazza sul tuo lavoro, che senza il tuo sudore il mondo crolla e muore.
Tu non usi l’orologio, tu misuri il tempo con il sole e non distingui più la notte dal giorno, e mentre il tempo scorre silenzioso, tu fai i conti con lo scricchiolio delle ossa. Zappa, zappa, dunque padre mio, fino al calar del sole, per un bicchier di vino e una mangiata scarsa.
Questa è la vita di chi zappa e onora la terra, ma all’occhio altrui, rimane solo uno zappaterra.


Il treno

Attendo con ansia e passione il treno su cui forse c’è lo sposo mio. Il treno si avvicina lentamente alla stazione e lei con forza lo rincorre, ma lui con indifferenza scorre. Ma perché quel treno non si ferma? Perché brucia le attese e le speranze e lascia alle sue spalle gran dolore? Grido a più non posso per fermarlo, ma lui ignorando le mie grida, scompare all’occidente, tra il grigio scuro del tramonto. In ogni treno che transita, appare il volto dello sposo mio, sembra di toccarlo con le mani, e nell’affanno si congela il cuore.
La stazione, luogo di attesa e speranza, ma anche di tristezza e delusione. Lo sposo mio è lontano, forse si è perso nei tramonti, e io che ho tanto atteso, il treno mi ha lasciato solo un vuoto.


Il cieco

Io sono cieco, ma ci vedo più della civetta.
La gente che mi sta attorno mi saluta e mi rispetta, e qualcuno mi lascia anche qualche soldo nel cassetto.

Fare il falso cieco è un mestiere, però è anche una vitaccia, con la finanza che mi sta sempre tra i piedi e che mi dà la caccia.

È vero che faccio il cieco falso, per questo non sono caduto mai in qualche fosso.

Sì, è vero che sono un imbroglione, però nessuno mi può dire che sono fesso.

E ora che sono intrappolato e son finiti i tempi belli, vado a fare lo spione dietro a un cancello.


Rinchiusi

Sono in trentaquattro dai tre agli otto anni, se sono tutti insieme oh mamma… che succede! Succede un vero guaio, la gente si dispera, ma a noi non importa, giocar pur dobbiamo. In cortile non andare, per le scale non si può, prigionieri siamo ormai, prigionieri e senza un fior. Il cemento che ci ha fatto? Ha distrutto i nostri volti, dei reclusi ci hanno resi, ancor più di una prigion.
Non c’è verso, non c’è sole, c’è soltanto malumore. Prigionieri siamo ormai, sol con i segni ormai si gioca, sorridendo con le mani, si conclude il nostro gioco. Il sorriso d’un bambino è una foglia verde in cielo, se la foglia non è verde come i cuori dei bambini, questo mondo tanto grande nello sguardo dei bambini, ma tanto piccolo da negare il gioco ai più piccini.

[continua]


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