Adam Smith: Fortuna e critiche

di

Emanuela Ferrari


Emanuela Ferrari - Adam Smith: Fortuna e critiche
Collana "Koiné" - I libri di Religione, Filosofia, Sociologia, Psicologia, Esoterismo
14x20,5 - pp. 44 - Euro 7,40
ISBN 978-88-6037-7593

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In copertina: «Lo scorrere del tempo attraverso lo studio» disegno di Maria Elisa Pollina e fotografia di Emanuela Ferrari


Prefazione

Questo saggio intende analizzare la figura di Adam Smith, un moralista scozzese conosciuto in prevalenza come economista, inserendolo nei dibattiti contemporanei con richiami ad alcuni aspetti, non solo economici e politici, del suo pensiero.
A lui sono stati dedicati due eventi celebrativi; il primo Centenario nel 1876 e il secondo nel 1976 con riferimento al suo trattato economico: Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni, edito appunto nel 1776. Interpretazioni sempre più accurate, letture e scritti autorevoli mettono in risalto la attualità dei suoi contributi.
Nello specifico, questo approfondimento si inserisce in un percorso di studio, intrapreso in ambito universitario, che richiede continue rivisitazioni e ricerche1.

Ringrazio sin da ora il lettore per l’attenzione rivolta al presente lavoro.

Roma, 25 marzo 2009

Emanuela Ferrari


Adam Smith: Fortuna e critiche


Ai miei genitori


Nella letteratura economica si è discusso a lungo sulla relazione tra le due opere fondamentali di Adam Smith, la Teoria dei sentimenti morali e la Ricchezza delle Nazioni.
Sono ricordate diverse posizioni assunte dalla critica. Henry Thomas Buckle afferma la non esistenza di contrasti tra gli scritti, anzi li definisce parti di una trattazione di un unico oggetto: i sentimenti umani. Quest’ultimi sono o egoistici o altruistici, le azioni umane possono rientrare in una categoria o nell’altra anche se nessun individuo ha un solo tipo di impulsi. Smith ricorse al sistema deduttivo1 per approfondire tali manifestazioni; la Teoria descrive le azioni in base al sentimento simpatetico, la Ricchezza con l’egoismo. Le due opere citate espongono l’argomento senza riferimento ad altri scritti infatti sono due contenuti distaccati che si completano per creare una grande scienza della natura umana.
Secondo Buckle le opere smithiane sono parti di una vasta indagine che si prefiggeva il compito di tracciare la storia della civiltà; questa era la finalità dell’autore. Studiò le origini ed il progresso delle scienze, delle arti, della politica, delle leggi, di tutte le conoscenze che hanno elevato l’uomo da essere selvaggio ad essere civile esaltando l’evoluzione della specie ma anche dell’individuo. In tale contesto si inserisce la volontà di investigare da parte di Smith, non sempre compresa dalla critica e su cui ancora si argomenta. Anche gli altri scritti smithiani fanno parte di questo piano; si ricordano le Considerazioni concernenti la formazione del linguaggio e della scienza moderna. Tutto è rivolto al percorso del cammino umano in ogni ambito. Nei frammenti postumi sulla Storia dell’astronomia, sulla fisica antica, sulla logica e metafisica, raccolti nei Saggi filosofici, si delinea il percorso dell’intelletto umano con progressivi avanzamenti2.
Molti scrittori3 evidenziano una contraddizione tra le due opere citate; la prima è l’esaltazione della “simpatia” e l’altra l’esaltazione dell’egoismo. In realtà la Teoria dei sentimenti morali esamina la “simpatia” come criterio di giudizio o di approvazione delle azioni morali.
È possibile far “crollare” questa posizione non veritiera mettendo in evidenza che una parte dell’opera del 1759 è legata all’egoismo; infatti ognuno tende al miglioramento della propria condizione però, per la vita associata, l’egoismo deve essere contenuto in certi limiti per rispettare la posizione degli altri.
Alessandro Roncaglia4 sostiene che Smith ha sempre qualcosa di nuovo da dire alle nuove generazioni; molte pagine sono state scritte per commentare le sue opere, ma è sempre attuale nelle soluzioni e nei contenuti5.
Ha dato contributi in diverse materie: retorica, economia, giurisprudenza, filosofia morale… ma è ben conosciuto per l’analisi economica; alcuni suoi concetti sono motivo di riflessione tutt’oggi, in modo particolare la divisione del lavoro per il funzionamento del sistema economico. Lo stadio raggiunto da tale principio è motivo di produttività. Egli voleva eliminare ogni ostacolo al commercio, così nel suo pensiero si delinea il liberismo.
Quindi come considerare lo studioso scozzese in base ai suoi lavori? La posizione di Roncaglia è chiara: non si può sostenere che Smith sia il fondatore della scienza economica perché, prima di lui, ci sono stati altri studiosi: Quesnay, Cantillon, Petty ecc. che hanno affrontato questioni economiche specifiche e generali; anzi Smith si “appoggiò” agli scritti già esistenti e li riprese nei diversi aspetti. Forse quest’ultimo è stato più “accademico”, più distaccato dai problemi esposti ed ha presentato le idee con definizioni più accurate, con la capacità di mediare tra le tesi più diverse per coglierne gli elementi positivi. Per tale motivo è un’impresa difficile interpretare le sue opere e le relative posizioni.
Roncaglia evidenzia una lista di argomenti che suscitano ancora problemi interpretativi sul pensiero di Smith: a) il liberismo, b) il confronto tra il libro I ed il V della Ricchezza, c) la controversia interpretativa nel rapporto tra economia e morale, cioè tra la Teoria dei sentimenti morali e la Ricchezza delle Nazioni.
Riguardo al primo punto il filosofo scozzese presenta un comportamento “progressista” per i temi politici della sua epoca; si ricorda la posizione assunta sul conflitto delle colonie americane e la loro successiva indipendenza. Nella Francia del tempo molti esponenti progressisti consideravano la Ricchezza con molto favore; nel 1791 Condorcet pubblicò un riassunto di tale opera. In Inghilterra, dopo la morte dell’autore, numerosi pensatori radicali: Thomas Paine, Mary Wollstonecraft, si rifecero al suo lavoro. Smith, come l’amico Hume, era pericoloso per gli intellettuali conservatori dell’epoca. Infatti, successivamente, l’opinione pubblica inglese muta atteggiamento verso di lui. Si assiste ad una crescente diffidenza sicché Dugald Stewart,[6] il primo biografo di Smith, si preoccupa di reinterpretare il pensiero dello stesso per renderlo più accettabile, evidenziando la distinzione tra liberismo economico e liberalismo politico.
La seconda disputa è incentrata sul confronto tra il libro I ed il V della Ricchezza riguardo alla divisione del lavoro analizzata con un atteggiamento contraddittorio. Nel I appunto è il fondamento della crescita produttiva mentre nel V l’autore si concentra sul carattere negativo, anticipando la teoria marxiana dell’alienazione. In realtà non si ha un aspetto antitetico; Smith fu una persona attenta ai diversi lati di una stessa questione, analizzava i vantaggi ma anche le conseguenze7.
L’ultima controversia, che ha fatto molto discutere è sul rapporto esistente tra il testo del 1759 e quello del 1776. Nella seconda metà del secolo scorso gli economisti tedeschi8 iniziarono a sostenere una viva contraddizione tra le due opere: l’“interesse personale”, o l’“egoismo”, è la molla dell’agire umano nel testo di economia; il “sentimento simpatetico”, quindi la volontà di avere l’approvazione altrui, è appunto argomento dell’opera etica. Il cambiamento di posizione dell’autore, dall’ottimismo presente nel primo libro al pessimismo e realismo sulla concezione dell’uomo evidente nell’altra opera, fu la motivazione data dalla critica. Questa interpretazione è stata sorpassata considerando i testi come unica espressione di un ampio progetto di ricerca sul funzionamento della società umana da diversi punti di vista: etico, economico, giuridico, filosofico, artistico, ecc. Sono lavori complementari e non distaccati, o contrapposti, infatti tutta la vita di Smith fu dedicata ad un continuo lavoro di rivisitazione dei suoi scritti, attraverso successive edizioni ed ampliamenti.
Le riflessioni più recenti su questo autore si sono avute in occasione del bicentenario della pubblicazione della Ricchezza delle Nazioni. Sono stati riesaminati tutti i suoi scritti per focalizzare l’interesse sui sentimenti e ragionamenti che guidano le azioni. Nel 1976 si ricordano i contributi critici di diversi personaggi che presero parte alla celebrazione; le loro considerazioni sulla vasta opera smithiana sono state riportate in alcuni quotidiani9.
Lucio Colletti ricorda che il 1776 non fu solo l’anno della pubblicazione del testo di Smith ma anche della Dichiarazione d’indipendenza degli Stati del Nord America; sono due grandi avvenimenti del mondo moderno.
Il testo in esame è il “Vangelo” dell’età moderna anche se molte sue teorie appartenevano ad altri autori, ma Smith ebbe l’abilità di trattarle come nuove. Prese alcuni concetti da Mandeville, altri da William Petty10. Creò anche concetti nuovi come la “mano invisibile” risanatrice del mercato.
Rimane una questione da affrontare: l’“Adam Smith-problem”, cioè il mettere d’accordo l’economista col filosofo morale. Le recenti posizioni hanno confermato che la differenza non esiste, come MacFie11 ha più volte dimostrato.
Claudio Napoleoni elogia Smith e le sue opere, anzi il bicentenario risulta l’occasione idonea per rivalutare la sua posizione nel mondo accademico scozzese. Lo studioso ha trattato questioni di assoluta attualità, non c’è argomento teorico e di politica economica che non sia stato sviluppato, anche se allo stadio iniziale, in ciò risiede la grandezza smithiana.
Con Sraffa, dal 1960, c’è un ritorno alle posizioni smithiane, si riprendono concetti e pensieri proposti più di duecento anni fa.
Paolo Sylos-Labini12 partecipa alla conferenza organizzata a Glasgow, dal 2 al 5 aprile 1976, nelle aule in cui lavorò Smith per creare la sua vasta opera economica, insieme ad altri economisti di varie scuole13 e località per celebrare questo anniversario. Lo scopo era: cancellare l’usuale “cliché” attribuito, per tradizione, a Smith dovuto a letture superficiali. Non era un ottimista anzi un personaggio pieno di paradossi e di contraddizioni; ha scritto di economia, morale, politica, filosofia, ecc. perché era curioso di conoscere tutte le manifestazioni della mente umana; fu il tipico personaggio pessimista. Ci sono dei punti di contatto con Marx che sono emersi nella suddetta conferenza, soprattutto per tre questioni: a) la concezione del governo, b) la nascita della borghesia, c) la divisione del lavoro.
Riguardo al primo punto Sylos-Labini sostiene il contatto tra i due personaggi perché Smith, analizzando i quattro processi evolutivi da cui emerge un diverso tipo di produzione, riconosceva la disuguaglianza motivo di costituzione del governo, anzi esso era una combinazione di ricchi per opprimere i poveri facendoli permanere in tale stato.
Sulle origini della borghesia Marx si rifece totalmente al lavoro smithiano; questa nacque dal feudalesimo.
Il principio di divisione del lavoro analizzato dallo studioso di Kirkcaldy, nei suoi aspetti negativi e relativi vantaggi, è stato ripreso dalla concezione marxista per sviluppare il fenomeno della alienazione. In realtà di Smith è rimasto tanto ancora oggi, come afferma il professor Sylos-Labini. Egli ci ha dato una “lezione di metodo”, ossia il mondo in cui viviamo è stato originato dai processi da lui descritti; la sua visione d’insieme, il suo affresco sulle forze contrapposte ci permette di cogliere le connessioni e le leggi che operano nella società e le forze che si muovono al suo interno.
Per Harry Landreth e David C. Colander14 il contributo smithiano si può riassumere in tre grandi sviluppi: 1) la visione generale del funzionamento dei mercati, successivamente perfezionata dai microeconomisti; 2) le forze che determinano il livello del reddito e dell’occupazione; questo argomento fu a lungo sottovalutato, fino al 1930 quando Keynes pose l’accento su questi elementi di macroeconomia non adeguatamente analizzati; 3) la politica economica smithiana tramandata intatta fino al XX secolo nonostante le diverse critiche di Marx, Veblen ed altri autori eterodossi.
Allora Smith come deve essere classificato? Le risposte sono molteplici in quanto è ancora uno studioso al centro di diverse posizioni e dibattiti però si possono citare le tesi più attendibili. Se il criterio di valutazione15 si riferisse alle nuove tecniche di analisi economica il giudizio di Smith non sarebbe buono ma, se si considerasse l’originalità, il suo posto sarebbe vicino a quello di Turgot, Cantillon, Quesnay. La sua maestria consisteva appunto nel prendere in prestito da altri le idee migliori e fonderle insieme per creare un sistema economico e le basi della politica economica. Studiò la strategia giusta da adottare nell’esposizione del contenuto della Ricchezza delle Nazioni. La sua grandezza è stata paragonata a quella di un altro economista: John Maynard Keynes. In realtà la scienza economica moderna ha saputo aggiungere poco alle intuizioni di Smith.

[continua]


Note

1 Adam Smith, Ricerche sopra la natura e le cause della Ricchezza delle Nazioni, Utet-Torino 1948; tra il metodo deduttivo e quello induttivo, Smith scelse il primo perché permetteva di esaminare meglio le azioni umane ed i loro impulsi. Per un’indagine più dettagliata sulla scelta metodologica si consulti: David Hume, Estratto del Trattato sulla natura umana, – Laterza – Bari 1998: Introduzione.

2 La posizione di Buckle appare troppo focalizzata sul metodo smithiano; la metodologia deduttiva è adottata in entrambe le opere fondamentali per isolare le cause, ricercando poi i principi costanti attraverso il tempo e lo spazio. Si deve riconoscere che, in Smith, c’è una profonda analisi psicologica sulla natura sociale dell’uomo.

3 Adam Smith, Ricerche sopra la natura e le cause della Ricchezza delle Nazioni, op. cit., pag. XV e ss.

4 Adam Smith, Ricchezza delle Nazioni, Newton – Roma 1995, pagg. 1-11.

5 Adam Smith, Ricchezza delle Nazioni, op. cit.; Introduzione.

6 D.D. Raphael, Adam Smith, Oxford University Press – Great Britain 1985; pagg. 105-107.

7 Adam Smith, Ricchezza delle Nazioni, op. cit.: si può sottolineare un contrasto apparente tra Smith e Marx, evidenziando la superiorità del primo riguardo alla divisione del lavoro. Per Marx, come per Smith, tale principio aveva delle implicazioni negative ma in una società comunista, raggiunta attraverso la rivoluzione del proletariato e la successiva dittatura, questo tipo di lavoro costrittivo era superabile; si assisteva ad una piena liberazione dal lavoro. Invece per Smith il superamento della divisione del lavoro era irraggiungibile poiché la crescita produttiva ed il benessere economico erano possibili solo con l’approfondimento di tale principio che costituiva la pre-condizione del progresso nella società umana.

8 Adam Smith, Ricchezza delle Nazioni, op. cit., pagg. 10-11.

9 Adam Smith, Ricchezza delle Nazioni, op. cit., pagg. 13-23. I contributi critici pubblicati nei diversi quotidiani, in occasione del bicentenario della pubblicazione della Ricchezza di Smith, sono di Lucio Colletti sul Corriere della Sera, Claudio Napoleoni su La Repubblica, Paolo Sylos-Labini su L’Unità tramite un’intervista fatta da L. Tamburrino. Per le stesse notizie si può consultare anche Vincenzo Merolle, Adam Smith, Politica e società, Edizioni Bizzarri – Roma 1984; pagg. 165-190.

10 Da entrambi aveva ripreso il concetto di divisione del lavoro.

11 Le ricerche di A.L. MacFie sono presenti nell’introduzione al testo: The Theory of Moral Sentiments, Clarendon Press – Oxford 1976.

12 Adam Smith, Ricchezza delle Nazioni, op. cit., pag. 20.

13 Gli economisti che parteciparono furono: Lewis, Stigler, Von Hayek, Kindleberger, Fabiunke, Kaldor, Robbins, Roll, Phelps Brown, Skinner, Shigeto Tsuru e due italiani: Sylos-Labini e Barucci. Tutti hanno riletto le opere di Smith per interpretare meglio il suo pensiero.

14 Harry Landreth, David C. Colander, Storia del pensiero economico, Mulino – Urbino 1996, Cap. III, pagg. 111-161.

15 Harry Landreth, David C. Colander, op. cit., pagg. 124-125.


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