Opere di

Emanuela Grillo

Con questo racconto è risultata 2^ classificata – Sezione narrativa alla VI Edizione del Premio di Scrittura Creativa dedicato a Lella Razza 2010


«Nina»

Cosa c’è di insopportabile nella mia vita? Il mio dolore?
No. Quello non da fastidio. Il dolore per te.
Ti sento molto vicina Nina, ma anche molto lontana.
Che cosa è successo? Che cosa posso fare io, per alleviare?
Non ho la medicina.
L’unica cosa di cui sono certa, è il bene che ti voglio.
Ma non so se basta. Non basta. Non posso crescere al tuo posto. Quante domande albergano nel mio cervello. Ho un continuo bisogno di sapere se sto facendo la cosa giusta.
Il timore di sbagliare è immenso.
Ma il cuore mi porta dove tu mi vuoi.
Fuori nevica piccola mia. Dentro di me, una tempesta.
“Una diciassettenne cui si rompe un preservativo non aspetta che le venga il ciclo. Va in pronto soccorso e si fa dare la pillola del giorno dopo!”
Non posso soffrire al tuo posto. La tua vita non è la mia.
Eppure, mi hai toccata. La donna, la gravidanza, il dolore.
L’aborto. Il messaggio paranoico di tua madre: ”Nessuno dovrà sapere di questa cosa e… tu stai uccidendo un bambino”
Disperata, mi ritrovo a dirle: “Lo vedi già che cammina e ti chiama nonna?”
“No”
“Bene”
Stai male ma non ti lamenti. Chissà quanto è grande il tuo dolore. La vita è crudele. Ti culla. E subito dopo ti fa cadere. Due settimane così: mi svegliava, al mattino, la sensazione che dentro di te, un piccolo dubbio e un feto si facessero compagnia, da giorni ormai.
Nel pomeriggio, un controllo veloce a casa, da te, per assicurarmi che le parole di tua madre non ti facessero saltare. E quando arrivava la sera, mi rendevo conto di quale fosse stato il pensiero dominante della giornata.
Aveva preso in affitto, ormai, una parte del mio cervello.
E in tutto ciò, mille domande. E le risposte? Nessuna risposta. Quanto stai male? Quando arriva lunedi? E mia madre? Quali pensieri? Mio padre? Quali convinzioni?
Che stanchezza.
E’ domenica pomeriggio “Tati sono confusa. Non per la paura; forse io lo terrei. Non dire niente a mamma”
Eliminare messaggio? Si, elimina.
Perché mi stai dicendo questo? Hai bisogno di una madre?
Presente. La tua madre naturale è chiusa in bagno.
Piange, seduta sulla vasca.
Ok parliamo di questa cosa. “Un bambino non è un giocattolo. Una gravidanza, non è solo il dopo. È anche il mentre. Il mentre è una pancia che diventa sempre più grande. Il mentre sono le nausee, i mal di schiena eccetera eccetera eccetera.
Scordati pure i tuoi bei vestitini Nina. E le uscite con gli amici. Saluta la scuola e preparati a crescere questo bambino da sola. Chi ti prenderà a lavorare con un figlio e senza un diploma? Dove vivrai fra qualche anno? E quando non starà bene? Hai ancora molto da imparare. Pensi di riuscire a educare un bambino? Sarà un orfano, con i genitori vivi. Io posso solo mostrarti una fotografia della realtà, ma la scelta sarà tua”
“Hai ragione, Tati”.
Quando vide entrare la barella in stanza, il mio cuore spiccò un salto. Anzi due.
Le infermiere ti sistemano nel letto “Se sente freddo, in questo armadio ci sono alcune coperte. Chiamaci quando finisce la flebo” Hai gli occhi semi-aperti. Ti bacio.
Cerchi la mia mano. La tieni stretta. Tremi. Ti metto il pigiama, come facevo quando eri piccola. Piego una gamba e infilo i pantaloni, poi faccio la stessa cosa con l’altra.
Ti sollevo il bacino, se no il pigiama rimane a metà ed è fastidioso e poi è freddo e poi..e poi…e poi basta. Smetto di pensare per colpa di due lacrime silenziose. La flebo è finita. La chiudo, ma non chiamo le infermiere. Verranno
dopo. Arriva tua madre, era scesa per il foglio del ricovero. Entrano per primi i suoi singhiozzi. Le faccio un cenno; non hai bisogno di questo. Non adesso. Si avvicina a te. Cerca di accarezzarti la fronte. E’ impacciata. Non è mai stata brava con le dimostrazioni d’affetto, lei.
E’ distrutta e felice.
Mi chiedi di sdraiarmi di fianco a te e cerchi ancora le mie mani. Le tue sono minuscole, in confronto alle mie.
Mamma è fuori. Sta poco in questa stanza. Ti svegli, vorresti stare un po’ seduta.
Io esco un attimo. La luce del sole mi colpisce il viso, come acqua gelida. E proprio in quel momento capisco quanto ti amo. Sì sorellina, io ti amo. Nulla contava più di te.
Dov’è l’edicola? Ah si, devo solo attraversare. Non ho idea di cosa prendere. Ma quanti giornali inventano? Chi se ne frega dei soldi adesso. Il giornalaio mi guarda sbalordito.
Ho preso qualcosa anche per mamma. Ritorno su. Sorridi.
Eh si, Zac Efron fa quest’effetto.
E’ ora di pranzo. Esco di nuovo. Intanto telefono alle mie migliori amiche: una fetta di normalità in questa giornata di merda.
Quando rientro ci sono le tue compagne insieme a te.
Involontariamente ascolto frammenti della vostra conversazione: la prof di francese, la verifica a sorpresa, il programma di Maria De Filippi. Sorrido. Vado a sedermi fuori, nel corridoio, accanto a tua madre. Le ho portato un pezzo di pizza. A dire il vero c’è anche per te, ma la mangerai più tardi, ora non puoi. Le mani vanno a coprire il viso. La testa si abbassa e comincio a singhiozzare.
Forte. “Perché stai piangendo?”
Datti la risposta che preferisci, mamma. Intanto, io non riesco a smettere. La gente passa, si volta. Amen. Dove devo andare per piangere in santa pace? Da nessuna parte.
Le mie gambe non reggono. Mi fanno malissimo e così mi tengono incollata alla sedia. A nostra madre parte la logorrea, per spiegarmi meglio quanto dolore sta sentendo.
Perdio, mamma, piantala. Almeno adesso.
Un’ora è passata così. Vuoi sapere quando ho smesso? Quando ho visto le tue amiche uscire dalla stanza e venirci incontro, per salutarci “Noi andiamo, fra poco passa il bus”. Le ho ringraziate della visita. Ad alta voce, per te e in silenzio, per me.
Ore 17. Mi sdraio un po’. Chiudo gli occhi. Non riesco a prendere sonno in questo posto che sa di medicinali, sangue e dolore.
17:30 – vengono a chiamarti per la visita. Bene, fra un’ora saremo a casa.
Sono molto stanca e in ansia per il viaggio di ritorno.
Guiderò lentissimamente.
Arriviamo. Vorrei andare a casa mia ora. Cerchi la mia mano. “Stai qui Tati” questo me lo dicono anche i tuoi occhi. “Dormiamo insieme”. Ti rannicchi. E ti fai abbracciare.
In quel pochissimo spazio che passa tra i nostri corpi, circola solo calore.
Non abbiamo bisogno di coperte questa sera.

Emanuela Grillo


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