Racconto premiato di Emilio LaBianca

Con questo racconto è risultato 10° classificato – Sezione narrativa alla XVII edizione Premio Letterario Internazionale Marguerite Yourcenar 2009


Con altri occhi

Lo sguardo fisso davanti a me, ho la sensazione di camminare, me 
ne accorgo da quell’andirivieni su e giù di tutto ciò che incontra la mia vista, solo da questo. Cerco, voglio, mi sforzo di scrutare ciò che mi circonda, ma una forza indecifrabile ed indefinibile non mi permette di muovere gli occhi a mio piacimento, secondo la mia volontà. L’osservazione si dirige altrove, magari dove non voglio, dove non avrei mai pensato di guardare. Vorrei incrociare lo sguardo di un passante ma l’occhio si dirige verso una bicicletta che arranca faticosamente, vorrei seguire con lo sguardo la sagoma di quel cane che attraversa il marciapiede ma in questo istante gli occhi vanno ad incrociare quelli di un indolente ed indifferente passante. Mi assale un’angoscia, qualcosa nel mio senso visivo non funziona, qualcosa ha inceppato o sta inceppando questo inestimabile senso? Eppure tutto ciò che vedo è nitido, non avverto nessun fastidio, sono solamente privo della volontà e possibilità di manovra, è come se vedessi ciò che un’altra persona vuole o ha voglia di vedere.
Se almeno potessi voltare la testa verso una, una sola di quelle trasparenti ma riflettenti vetrine che ogni tanto si incrociano, ma non ho la possibilità di comandare i miei movimenti, né lui, questo corpo, accenna minimamente ad interessarsi di ciò che lo circonda. Di chi è questo corpo? È di un uomo, di una donna? E se così è io, con la mia percezione visiva, non faccio altro che vedere continuamente ciò che fa, è come se lo pedinassi, ne seguissi ogni mossa, è come se fossi io penetrato in lui, o in lei, e vivessi insieme la sua giornata che non mi appartiene.
In questo istante si ferma al limite del marciapiede, vedo l’ombra di una mano che si agita, dinanzi a me, a noi, si ferma un piccolo mezzo pubblico, lo riconosco dal colore. Percepisco solo rumori, non voci, non lo avevo notato prima, è come se una di quelle sofisticate macchine che analizzano i suoni avesse portato in primo piano solamente i rumori di fondo isolando qualsiasi parola; il mezzo riparte ansando, non sento nulla, solo l’innestarsi nervoso delle marce, lo stridio delle gomme ogni volta che incontra una curva, un brusio lontano ed ovattato, la strada è tutta in salita, stretta, quasi angusta, ed ogni tanto gli occhi ad intervalli cadenzati vengono abbagliati dal riflesso del sole che si abbatte su una immensa azzurra distesa: il mare. Più il mezzo si inerpica più la distesa si allontana e si allarga. Si è fermato, intuisco che quel corpo è giunto a destinazione, intuisco che si sta dirigendo verso l’uscita. Ci stiamo dirigendo verso un negozio, ho un sobbalzo, forse posso intuire che persona è, di che sesso è da ciò che compra o ha intenzione di comprare, forse addirittura si specchierà per poter vedere se quel capo è di suo gradimento. Si avvicina ad una commessa e poco dopo ci ritroviamo in un locale dove fanno bella mostra un gran numero di abiti, direi adatti ad una festa mascherata. Ecco prende qualcosa. Di lato, non di fronte, intravedo uno specchio, lui o lei vi si dirige per vedere se ciò che ha scelto è di suo gradimento. È il momento che aspettavo. Si pone di spalle a quello specchio, poi come se volesse creare in un attimo l’impressione che può dare con quel capo si volta di scatto per vedere tutta la sua figura. Sono certo che in questo momento se il mio animo avesse un suo corpo, un suo viso, apparirei bianco e glaciale; riflessa nello specchio vedo una figura con un grosso mantello, un nero cappello con una piccola piuma gli copre la testa senza lasciare intravedere neanche una ciocca di capelli, il viso nascosto da una maschera che non lascia trapelare alcuna espressione umana. L’unica espressione che mi sembra di cogliere è quella di una certa soddisfazione, certamente il tutto è di suo gusto, certamente oggi, domani o quando, non ho più la cognizione del tempo, l’aspetta una gradevole e interessante serata.
Il pellegrinaggio dei miei occhi continua, il corpo che li possiede non conosce sosta, si sposta continuamente lungo questi piccoli, stretti ed affascinanti vicoli. Vorrei soffermarmi per qualche attimo a rimirare questi che intuisco essere graziosi ed accoglienti locali che si affacciano su entrambi i lati al piano terra degli edifici che li contengono, ma il corpo non me lo permette, mi assalgono briciole di piacevoli odori ora di senso floreale, ora di gustoso sapore, odori che conosco ma non ricordo completamente, effluvi di lontana memoria.
Ripercorre a ritroso la stessa strada, si ferma al termine di questa, percepisco come al solito un rumore, prima molto attutito, ora più vivace, è quello di quel piccolo mezzo pubblico. Questa volta l’andatura è più vivace, il motore non ruggisce più, il mezzo sembra farsi trasportare dal proprio peso che lo spinge giù lungo quegli involuti e nastriformi tornanti. Un piccolo spiazzo sembra attendere tutti coloro che in breve tempo sono discesi da quello che poteva sembrare come un piccolo eremo posto a perpendicolo sopra quell’azzurra distesa.
Si dirige con passo svelto e sicuro verso il mare, intravedo un piccolo arenile con alcuni bagnanti, chi in acqua, chi sdraiato, chi steso sotto il sole, si ferma, scorgo un paio di jeans una maglietta Lacoste ed un paio di scarpe da tennis che vengono gettati con disinvoltura vicino ad un piccolo spazio riparato da una stuoia. Cosa fa? Si dirige verso il mare, ho un certo timore sono un principiante nel nuotare, si immerge comincia ad andare verso il largo. Provo con gli occhi, solamente con gli occhi, una sensazione stranissima, mi sembra di galleggiare trasportato senza alcun sforzo da un’onda calma e continua. Volge lo sguardo, i miei occhi, verso l’alto, i raggi del sole a contatto con l’acqua che si è depositata sulle ciglia creano una rilassante iridescente ragnatela. Assecondo con la volontà tutto ciò che fa il corpo in questo momento. Si lascia dondolare, avvolgere dalle poche onde di questo tranquillo mare, sta uscendo si dirige verso quel piccolo mucchio di indumenti, si adagia su un invitante stuoino, si muove è indaffarato in qualcosa, si pone disteso, vedo il cielo, qualche sporadica nuvola, sugli occhi cala un diafano velo, vedo piccoli puntini scuri nel mezzo di uno sfavillante e solare sfondo, piano piano mi lascio andare, non vedo più nulla, non provo alcunché.
Non ho alcuna cognizione di quanto tempo è passato, il corpo si sta rivestendo, lo percepisco dal numero degli indumenti che man mano rimangono in terra. Sembra incamminarsi senza meta, poi, con andamento deciso segue un ben preciso itinerario, il mare è sempre presente ora a destra ora a sinistra, per alcuni tratti di fronte e quando sparisce lo immagino dietro noi, dietro di me. Vedo improvvisamente uno strano paesaggio. Diverse porzioni di mare o di acqua marina sono imprigionate da strane porzioni di terreno, sembra una scacchiera dove la separazione fra le varie caselle ha uno spessore ma le caselle non sono alternate, alcune sono tutte scure, poi una chiara, più andiamo avanti più quelle chiare divengono numerose, il numero di quelle scure diviene quasi inesistente, scorgo delle costruzioni tutte bianche come delle piccole piramidi, eppure hanno un tetto o meglio un insieme di tegole che si poggiano su un cumulo di bianca materia. Il corpo si muove deciso e sicuro lungo queste strisce che sono divenute comodi camminamenti, vedo un edificio di normali dimensioni, anch’esso è coperto di tegole, ha un vero tetto; entra, si intravede una serie ben distribuita di tavolini, si siede, molto velocemente qualcuno poggia sul tavolo un piatto. In esso un ponticello di… riso? No è troppo scuro. Pangrattato? No è più consistente. Sembra quasi una mollica ben amalgamata che esperte mani hanno sapientemente ridotta in piccoli granelli tutti uguali. Sopra questo ponticello troneggia un piccolo pesce che sicuramente è stato fritto. È inconfondibile il colore che assume il pesce quando viene così cucinato. Sembra quasi di udire, con gli occhi, lo sfrigolio prima e la fragranza poi. Nel frattempo un piccolo mestolo inumidisce con un brodoso liquido quell’invitante miscuglio. Non riesco a provare nessuna sensazione dinanzi a tutto ciò ma gli occhi, solamente gli occhi mi portano a galla memorie di desideri, sapori, odori che non percepisco ma comprendo.
Una luce colpisce i miei occhi intorpiditi ed assonnati, mi rigiro in un letto a me familiare, è il mio letto, mi guardo intorno, mi trovo nella mia camera, è mattino, pian piano mi accorgo di essere nuovamente padrone di tutti i miei sensi, non può essere stato un sogno era tutto così preciso e chiaro nella mia mente. Devo sostituire questi pensieri con altri più piacevoli, devo concentrarmi sulla mia vita, mi aspetta una serata davvero interessante e fuori dagli schemi e ad essa devo dedicare il resto della giornata. La donna che da non molto tempo frequento mi ha chiesto una prova concreta di tutto ciò che le ho detto negli intensi momenti di intimità: che ovunque fossi stato, ovunque mi fossi trovato la avrei riconosciuta ed individuata anche in mezzo a migliaia di persone, che il suo profumo quello naturale, la sua camminata, il suo portamento fanno parte ormai dei miei sensi, che sentirei la sua presenza anche ad occhi bendati.
Ci siamo conosciuti in casa di comuni amici. Mi è apparsa subito bella, ma non di quella bellezza statuaria, caratterizzata dalla perfezione delle forme, ma di quella bellezza che colpisce proprio per la perfetta armonia di fattezze non omogenee, ineguali, non corrispondenti ad alcun modello prestabilito, mutevole ad ogni espressione, ad ogni sorriso, ad ogni stato di umore. Sono stato subito attratto da lei e lei da me, ce lo hanno detto i nostri occhi, o come dice lei, siamo stati stregati l’uno dall’altra. In me, in particolare, di fronte a certe donne, scaturisce quell’ansietà che io sento come una passione miscelata di sacro e profano e che non si manifesta solamente con il desiderio di fare l’amore ma anche e soprattutto con il desiderio di dormire insieme. Questi due desideri, figli di una unica passione, in realtà rappresentano due fasi distinte se non opposte di un unico atto che si prolunga oltre l’attività sessuale..
«Quale occasione migliore – mi ha proposto – di quella festa mascherata alla quale siamo stati invitati da quel principe nostro comune amico, in quello splendido palazzo con centinaia e centinaia di persone? Ti aspetto là, – mi ha detto – non ti dico quale costume indosserò, né voglio conoscere il tuo. Vediamo se saprai mettere in pratica tutto ciò che mi hai detto più di una volta, vediamo chi dei due ha più istinto animalesco, chi dei due sarà più inebriato dall’odore e dalla presenza dell’altro e lo saprà distinguere per primo. Il premio per il vincitore sarà il possesso dell’altro per una notte, per un giorno intero o per tutta la vita come e dove lui vorrà, senza alcuna resistenza, senza alcuna inibizione».
È sera, sono pronto, il costume è perfetto, il travestimento ingannerebbe chiunque, anche me stesso, nessun particolare denota o denuncia la mia persona.
Oltrepasso un cancello, mi sembra di scorgere, abbarbicato sul muro di cinta, un nutrito numero di persone, alcune con un costume da dama, altre da cavaliere, musicista, soldato, dragone, nessuno mi guarda tutti mi volgono le spalle, la loro espressione sembra minacciosa, surreale, percorro un breve camminamento circondato da torce infisse nel terreno che emanano un gradevole odore di legna bruciata, comincio a sentire il vocio della gente ed una tenue e leggera musica di sottofondo; salgo una delle due brevi ed eleganti gradinate, sono nel mezzo di un bel salone ovale, c’è molta più gente di quanto avrei potuto immaginare, tutti sono in costume, hanno delle maschere. Entro in un’altra sala, il soffitto è completamente tappezzato da specchi con inclinazione diversa, man mano che avanzo mi ritrovo centuplicato o ridotto al nulla ad ogni passo. Il respiro mi si ferma alla gola, intravedo qualcuno che è vestito in modo a me familiare, ora ricordo è lo stesso costume che ha comprato quella persona, quel corpo, cerco di avvicinarmi ma alla mia destra ne scorgo un altro simile ed un altro ancora, differiscono solo per alcuni dettagli, devo e voglio assolutamente venire a contatto con loro, forse da un particolare da una sensazione potrei individuare quello che ho invano cercato tutta la giornata. Cerco di seguirne uno, ma così facendo mi stanno fuggendo gli altri, mentre il gioco degli specchi ora li moltiplica ora li fa sparire, devo trovare un posto strategico in modo da non perderli di vista e poi con pazienza cercare di avvicinarli uno alla volta per scrutarli attentamente.
Una mano improvvisamente afferra il mio braccio, appartiene ad un costume simile a quegli altri, mi trasporta nel mezzo della sala, mi stringe e si abbandona ad una voluttuosa danza. Ho i pensieri confusi, ho dimenticato perché sono lì, improvvisamente i miei occhi in una immobilità ormai a me familiare vedono, stretta al corpo che li contiene, la mia figura, il mio io, ne riconoscono il costume, l’incubo è ritornato, quel corpo sempre ballando mi conduce con una dolce risolutezza fuori dalla sala, all’aperto, e sotto gli sguardi fissi di quelle immobili creature, a ridosso di un piccolo gazebo comincia a togliere gli abiti alla mia figura come ad un manichino, vedo il mio io come riflesso in uno specchio, si sta spogliando anche lui il corpo, io sono immobile ma di fronte ai miei occhi. Si avvinghia a me e con un tono di provocante sfida mi sussurra «Come pensavi di riuscire a mantenere quanto promesso se non hai avuto la capacità di riconoscermi neanche vivendo dentro di me, vivendo con i tuoi occhi una giornata della mia vita, condividendo i miei occhi con i tuoi ed i tuoi con i miei? Ora mi sono meritato il premio!».
Il suo viso, il suo corpo, quel corpo che più di una volta ho osservato abbandonato nel sonno nelle pose più caste, più voluttuose e più volgari nello stesso tempo, splendido nella sua nudità, appaiono improvvisamente davanti a me, ai miei occhi che sembrano per un attimo tornati al loro posto naturale.
È mattino inoltrato, il paese pian piano, con indolenza, comincia a risvegliarsi dopo una notte che con la sua corroborante umidità ha ricoperto le strade di un candido velo che col passare del tempo si è via via trasformato in un compatto strato di invisibile acqua. Vicino ad un improvvisato gazebo, sul muro di quella sontuosa costruzione, alcuni inservienti si imbattono in due strane statue, senza gambe, come se le stesse fossero sprofondate all’interno del muro stesso fino alla cintola, con indosso eleganti vestiti adatti ad una festa mascherata e nell’atto di raccogliere qualcosa da terra. Un inserviente si avvicina, si arrampica, toglie un poco di quell’umido strato dal viso di uno dei due ne contempla la precisione e la bellezza quasi umana dei tratti, manca qualcosa, guarda in terra, ridiscende, si china, cerca ma trova e raccoglie solamente due piccole vitree e marmoree sfere e con cura e delicatezza le rimette al loro posto, una per ognuna delle due statue, lì sopra il naso e sotto le sopraciglia dove si nota solo un pronunciato incavo invece dei naturali due. Le due statue, anche se ognuna orba di un occhio, sembrano quasi ringraziare con un sottile e freddo sorriso.
L’inserviente, rivolgendosi all’altro con tono indolente e distratto «Che strano questa mattina ho contato due figure in più rispetto a quelle che mi sono sempre divertito a contare dopo ogni volta che il Principe ha organizzato qualche ricevimento».
Un acuto e stridente sibilo, che percorre il lungo corridoio e penetra dalla porta ed al quale ne fa eco un altro che sembra entrare dall’oblò, improvvisamente mi scuote e per un attimo credo di precipitare dal mio letto posto fra il soffitto e il sottostante giaciglio in quella non certo comoda cabina della nave. Mi sporgo, sotto non vedo nessuno. La mia compagna deve essere uscita, già da ieri sera non riusciva a dormire tranquillamente, forse starà girovagando. Il porto ancora non si vede, ho tutto il tempo di rimettermi in sesto nell’aspetto e nella mente, voglio essere più che presentabile dopo questa notte da incubo. Apro la porta percorro un breve corridoio salgo per una ripida scala, una piacevole brezza avvolge tutto il mio corpo, sono su uno dei ponti, mi dirigo verso prua e lì stagliata su uno sfondo di un caotico porto che si avvicina sempre di più intravedo la sua figura: la riconoscerei ed individuerei anche in mezzo a migliaia di persone, perchè il suo profumo quello naturale, la sua camminata, il suo portamento fanno parte ormai dei miei sensi, sentirei la sua presenza anche ad occhi bendati anche se si travestisse a tal punto da divenire irriconoscibile.
«Sai,» mi dice «non riuscivo a dormire e così per passare il tempo ho fatto un programma per le nostre prime giornate. Prima potremo visitare Erice ed i suoi dintorni, poi potremo fare il primo bagno di questa nostra fuga, quindi pranzare in qualche posto particolare, ho sentito dire che nelle saline vicino Trapani è possibile degustare dei piatti particolari. Il giorno dopo potremo dirigerci verso Bagheria, trascorrere una giornata completamente diversa, visitare qualcuna di quelle ville barocche che, insieme a noti richiami letterari, hanno reso particolarmente suggestivo questo paese. Nel frattempo io preparerò qualche programma per i giorni successivi».
La ascolto, acconsento alle sue proposte, solo ora mi accorgo che, rapiti dalla passione che ci ha travolto sin dall’inizio, ci siamo dimenticati di parlare di noi, di dirci chi realmente siamo, come abbiamo vissuto fino al momento in cui ci siamo incontrati, ma non voglio deludere le sue iniziative, forse in un altro momento le racconterò che io in questi luoghi ci sono nato ho vissuto da bambino la bellezza e le contraddizioni di questa terra e di essa mi accompagnano sempre vaghe ma profonde sensazioni, intensi odori e delicati sapori.


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