LA MATURITA’
1 – Semplicità
Ad un parlar profondo
il semplice s’attrista:
non vuol pensier più forti
di quanto in cor comprende.
Pel suo sentir giocondo
par vano che s’insista;
per cui concetti corti,
che altro non pretende.
2 – La musica
O musica celeste,
del Divin linguaggio
sommo, a tutti aperto,
degli uman sollievo
in lor cammin sofferto.
Nel periglioso viaggio
m’allieti l’ore meste:
al Ciel un grazie levo.
3 – Destrieri selvaggi
I miei pensieri son destrier selvaggi
ribelli al morso, al pungol dello sprone,
si libran sciolti in forte lor ragione,
fuggendo credi e comodi servaggi.
4 – Inclinazione
Per chi mi dà ragione
io sento stranamente
maggiore inclinazione.
Di più: che intelligente!
5 – Opinioni
Pur se a fondo mi conosco,
che sia pio oppure losco,
conta sol quel che la gente
su di me s‘è fissa in mente.
6- Il cuore
Mille voci, un gran cianciare,
l’un che dice cosa fare,
l’altro invece: “E’ da rifare”.
S’accapiglian notte e dì,
l’uom da sempre fa così.
Un consiglio ti vo’ dare:
in ascolto devi stare
sol del cor che in fondo ditta
ed andrai su strada dritta.
7 – Scaramanzia
Tutti quanti noi diciamo:
“C‘è più tempo che non vita!”.
Ma a scongiuro poi incrociamo
di soppiatto le due dita.
8 – La nuova poesia
Dei forti paroloni, molti rari,
in scelta compagnia oppur da soli,
su mezzo rigo, un terzo, ancor spaziati,
di nuova concezione la sintassi,
un punteggiar amabile e giocoso.
Infin significati assai pregnanti
tra un dir incerto ed un negare.
9 – La maschera
Quel che vedi non è un volto
ma maschera di livore
per l’odio in me sepolto
ed or sputato in fuore.
Non più carne, io son la guerra
contro il bianco, il giallo, il nero,
contro il ciel e questa terra,
sol di morte messaggero.
L’uman razza insiem perisca
ai cento Dei, al bene, al male:
il più presto orsù finisca
questo caos universale.
Il trionfo sia del nulla,
è il pensier che sol mi culla.
10 – Sapere
Io so quel che so,
spesso per caso.
11 – L’ospedale
In nosocomio come radunati
ristanno insiem pazienti e familiari.
Tra lor un parlottio di fatti e dati,
ma casi inver opposti, ed anco rari.
12 – Caro figliolo
Siedi, mangi e qualche gesto fai,
ma chiuso nel tuo mondo te ne stai.
A chiederti qualcosa sono guai:
un bofonchiare oscuro e te ne vai!
13 – Bene vixit qui bene latuit
Non si sappia in questa terra
che tu sia e di tua morte:
così nulla in mano serra
chi vuol trista la tua sorte.
14 – La morte di Epicuro
Quant‘è bella questa sorte
regalataci da Dio:
se ci son non c‘è la morte,
se c‘è lei non ci son io.
Quindi è inutile pensarci,
il morir non può turbarci.
15 – Gioia e strazio
Ecco, mi ringrazio
di non aver rubato
e ancor non ammazzato,
domate le passioni
di poche mie ambizioni.
Di non aver creduto
al leader ognor venduto,
al chierico bugiardo,
al pubblico boiardo.
Amando le virtù
di non voler di più.
Mi dolgo e strazio
per certe male azioni
a spirti saggi e buoni,
d’esser stato cieco,
del tempo mio che spreco,
di non aver amico
fin dal tempo antico,
di non aver più fede
in chi soccorso chiede.
D’aver mirato giù
e poco assai Lassù.
16 – Incapacità
Ecco, ditta la coscienza,
probo vivi, l’odio arresta,
in bontade sii d’esempio,
vesti l’alma di virtute.
Mi par tutto una scemenza,
ragion grida forte e lesta,
se l’ascolti faran scempio
di tue spoglie volpi astute!
E nel dubbio fermo resto,
incapace d’ogni gesto.
17 – Memoria
Da quando ebbi arrivo
un tristo agir manesco
fé scura la mia storia.
E se talor rivivo
quel mal passato, n’esco
scacciandone memoria.
18 – Anni ‘ 70
Di corsa per le vie
le bande comuniste
brandivano il vessillo.
E ben con lor frammiste
le bianche cantorie
s’univano allo strillo.
19 – L’affare
Solo a dir ne trovi cento,
ma a concludere l’affare
poi li vedi incespicare.
20 – Cena ufficiale
Seduto, con l’occhio smarrito,
fisso questo e quel commensale
fidando che in risposta all’invito
m’accenni qualcun bene o male.
Fallita l’impresa, dal fondo
mi guarda solingo il piatto,
n’osservo il disegno, il rotondo,
mi fingo al vicin soddisfatto.
Un’ora, due ore, il frastuono
sovrasta un parlar senza senso:
cercando un pretesto un po’ buono,
a come svignarmela penso!
21 – Già detto
Molto vorrei dir,
ormai da troppi detto…
22 – I miei libri
“Me scegli….” mi gridano in coro.
Son belli, di ogni colore,
in fila dall’alto al più basso
mi lanciano inviti d’amore.
Li guardo, già gonfio nel cuore,
vèr loro si move il mio passo,
ne traggo uno fuori, lo sfioro
e tosto di lui m’innamoro.
Oh pagine tinte d’inchiostro,
maliardo è il fascino vostro!
23 – Briganti
Quei che incontri nell’ascesa
li ritrovi in tua discesa:
usa lor un far cortese
se non vuoi patir offese.
Pria che l’alma al Ciel sia resa,
certo avrai qualche sorpresa.
Sol che in vita i miei viandanti
furon tutti dei briganti.
24 – Biblioteca
Li conservo, dice il nome:
pur li perdo non so come!
Son così disperazione
del geloso mio padrone.
25 – Curiosità
Odiarvi tutte, o donne, io dovrei
ché l’una al grembo suo dettò il rifiuto
e l’altra diè sevizie agli anni miei.
Veder sarei curioso in altro mondo
se tal oprar in terra così bruto
degli inferi fé lor toccar il fondo.
26 – Le Confessioni
Ci dice l’Agostin di gran percosse
inferte dai mariti a lor consorti,
muovendo nel lettore chiaro sdegno.
Non dice inver se l’ira che li mosse
nascesse giusta da muliebri torti,
financo a spazientirli a tale segno.
27 – Presunzione
Se un nudo pal rivesti
di abiti sontuosi,
lo vedi poi far gesti
da Cardinal, pomposi!
28 – L’amicizia
Fiumi, fiumi di parole
a caratteri di fuoco
nel gran libro della vita.
Per l’amico ci si duole,
s‘è compagni d’ogni gioco,
mai la fede vien tradita.
Forti insieme nell’abbraccio
di reciproci valori,
una sola le lor sorti.
Al riguardo, ebben mi taccio:
patimenti dei peggiori,
delusioni, gravi torti!
29 – Amore e odio
Siam miliardi a questo mondo
ma di testa molto pazza:
per virtù o spirto immondo
c‘è chi t’ama oppur t’ammazza.
30 – Giullare
Un, di spirto assai giulivo,
ebbe a dir sulla sua sorte:
“Spero almen che la mia morte
nel venir mi trovi vivo!”
31 – Curvo
Curvo, curvo vado in giro
con le spalle ben gravate
da pensieri e sofferenze.
Quando poi negli altri miro
fonde occhiaie dal mal scavate,
vo spedito in mie movenze.
32 – Tramonto
Son le cinque della sera,
ho un malessere un po’ strano
che mi lascia insoddisfatto.
Forse ho tutto, forse è vano
quanto detto e quanto fatto:
certo l’alma più non spera…
33 – Maestro
Abbandona il tuo maestro
ed uccidilo nel cuore:
sol così talento ed estro
sbocceranno in ampio fiore.
34 – Sfortuna
Il ciel mi fé svegliato
e sofferenze gravi
n’ebbe la mia mente.
Lo stupido, beato,
ristà tra matti e savi
e mai dolor non sente.
35 – Malasorte
Se a talun le tue ragioni
rendi franco faccia a faccia,
malasorte ti cagioni:
quindi è meglio che tu taccia!
36 – Male interiore
In cader riverso,
il petto percuote
poi tutto mi scuote
un male perverso.
37 – La bestia
L’un contro l’altro ci si scanna
seminando morte e lutti:
pel successo l’uom si danna
calpestando tutto e tutti.
Un più bestia a questo mondo
non potrìasi immaginar,
al pensier che giunto al fondo
tutto qui dovrà lasciar.
38 – Dicerie
Se diceria è grassa,
seppur a voce bassa,
di bocca in bocca passa.
39 – Odio
Chi ciancia che le donne son materne,
infante non conobbe la megera
che in furia mi condusse e nel rancore.
Or giace morta. E pur dall’ombre eterne
trarla vorria a quella vita nera,
tra pene mossa e senza umano amore.
In questo orror un fatto almen consola:
non tutte odio, ma quella serva sola.
40 – Sìsifo
Amar color che odi o ti dan strazio,
di Sìsifo mi par inver supplizio.
Ancor non hai tentato tu di amare
ch’a pugnalarti que’ si dan da fare!
41 – La serva
Restan solo oscure presenze
d’un passato di turpi violenze.
Pur se angoscia ancora m’assale,
ricordarle la pena non vale.
Ti rinserra una gelida fossa:
nè Iddio perdonare ti possa.
42 – Paradosso
Chi si dice ottimista
è un sincero pessimista.
Come a dir che l’ottimismo
è il più nero pessimismo.
43 – Progenie
“E’ nato, è nato”, gracchiano contenti
madre, padre e tutti lor parenti,
nel mentre lui, il pargolin piangente,
s’affaccia al mondo ed a sua trista gente.
Non v’avvadete, stolti, spinti al male
dal vostro basso istinto primordiale,
d’avere in pari tempo decretato
la morte all’innocente procreato?
44 – Ferite
Al prossimo m’apersi,
fidente, il cuore mite.
Sia lecito a sapersi:
mi lecco le ferite!
45 – Il nulla
Laggiù il deserto,
l’oblio profondo,
dolor, sconcerto,
del nulla il fondo.
Sol, disperato,
come son nato.
46 – O vita
Agra vita pien d’affanni,
quant’è dolce il tuo ricordo,
non per quel che m’hai donato,
ma pel poco che ho sperato.
47 – Credito
Se fai credito a qualcuno
prima o poi starai a digiuno.
Non sentir perciò rimorso
se non corri in suo soccorso.
48 – Gioia
In convivial simposio
sediam levando le fraterne voci,
ciascun rivolto a giovanil rammenti,
al par di pellegrini in gran castel trovati.
E surge l’un con ispirato tono
a gridar la gioia
di tanto affetto che un sentir giocoso
ci unisce tutti in festoso abbraccio.
49 – Sentìna
Chi spregia, tradisce o pur ammazza:
qual sentìna d’orror è la mia razza!
50 – Agrigento
“Ferma, ferma, han derubato,
due in moto, una turista:
han girato lì a sinistra!”
La pantera ha allor sgommato
con accorta mossa lesta,
poco il là, sulla sua destra…
51 – Maldicenza
Al risonar di vile maldicenza
giulivo porgo quest’orecchio attento,
trovando in capo sùbita accoglienza,
che tutto dentro fàcemi contento.
M’attristo poi per l’uccision del vero
che mi fa servo dei più bassi istinti:
il pentimento appar inver sincero,
i mali spirti combattuti e vinti.
Ma tutto muta nel girar di un’ora:
teso al mormorar sugli altri ancora!
52 – Carità
In lamentosa nenia
un volto levantino
stende la mano.
Fingendo pièta e venia,
mi atteggio persino
in gesto vano.
53 – L’amico scomparso
Movendo lungo l’adusato loco,
ove cotanto ragionammo insieme,
furtivo scruto per veder se noto
sembianza amica che nel petto preme.
Il posto appare desolato e vòto,
ma pur cred’io, a quietar chi geme,
che tu sia qui a ripigliar il gioco,
il labbro a piega, che sottecchi freme.
54 – Infanzia rubata
Solo dodici inverni passasti,
squassato da cavernosi affanni;
poi in volo su su nei cieli vasti
pietosa Morte si portò quegli anni.
55 – La mia pietà
Sol pochi morti vivono in me.
Li celebro cari nella mia mente
né curo il luogo ov’essi giacciono.
Così coltivo pièta con far ardente
fuor degli usi che agli altri piacciono.
Virtù diversa, diversa fé.
56 – La macchia
Pur se santo e intemerato
poi commetti un sol peccato,
per la vita sei macchiato!
57 – Irritazione
S’addensan libri e libri
attorno a me,
in assedio di pensieri.
E mai che dentro vibri
chiaro il perché
d’inquietanti misteri.
58 – Senza nocchiere
E’ sempre più vana
l’annosa ricerca
su questo straniero
che è in me.
Non par cosa strana
se il doppio mio alterca
profondo: nocchiero
non v’è.
59 – L’attesa
Un silenzio carico d’attesa
è questa vita che mal conduco.
Un bruco
attorto in debole difesa.
Un’ascesa
aspra, figlia d’un oprar caduco.
60 – Di dentro
Di fuori un cianciare
uggioso e risa a scoppi,
in irritante suono.
Di dentro un mosso mare
di turbe senza sbocchi,
ribelli, in gran frastuono.
61 – Lino
Oh Lino, dimenticare non posso
il lungo dialogar di tanta sere
pei viali che menavano al ritorno;
ognun di sue ragion convinto e mosso,
ponendo certe scelte a giuste e vere.
Or tu non ci sei più, né più mi allieta
il fitto parlottìo dell’ore antiche,
fraterna ragion dei nostri incontri.
Ma presto sarò giunto anch’io alla meta,
recando in sen le voci un tempo amiche.
S’avranno allor amabili riscontri
novando quel parlar di giorno in giorno.
62 – Ascolta
Ascolta,
questi versi non son versi,
ma voce di chi sempre invano
forte ha gridato in vita.
Talvolta,
ferma se puoi i pensier dispersi
sul breve respiro umano,
in rivolta infinita.
63 – Solitudine
In tanti son raccolti
attorno, in grande festa,
e mai ch’alcuno ascolti
la vita mia e le gesta.
E solo, ancor più solo
tra lor conduco il guardo:
altrove poi m’involo
e in fatti miei m’attardo.
64 – Letture
Odorosi scorron gli amati fogli,
forzieri pregni di scoperte attese,
compagni fidi d’ora, giorno e mese
a chi s’aggira tra gli umani scogli.
Abbrucian d’ansia questi occhi miei…
Rigeneran in voi sopite tracce
di giovin tempi e di maturi affanni,
facelle certe al ruzzolar degli anni,
sollievo grato a senil minacce.
Si posan avidi questi occhi miei…
Padre, madre e amici ancora siete
dai mille volti intricanti e cari,
sapervi lungi rende afflitti e amari,
accanto invece si fan l’alme liete.
Si levan sazi questi occhi miei…
65 – Esteriorità
Un gran cianciare di beltade,
d’orpelli ed altri finimenti,
in tuo calcar mondane strade:
esiston pure i sentimenti
e sovra tutto quella mente
d’ogni fondo pensier fucina.
Senza questi valor siam niente,
votezza sol con noi cammina.
66 – Mestizia
A fitte gocce scende
brumosa e fredda piova:
in tristi mie vicende
mestizia si rinnova.
67 – La mia signora
Signora del mio corpo è Atarassia,
con essa veglia e dorme la ragione
e par ch’ogni timor svanito sia,
risolta e in sé quietata ogni tensione.
Ma quando di bel nuovo l’io ricorda,
il retto dire tosto si confonde,
paure antiche allor si fanno orda
e spirto vil tremor più non asconde.
68 – Barboni
Sporco e miserevole,
inviso a tutto e a tutti,
trascini, vecchio, il corpo
nel cuor della città.
Anch’io d’affetti orbo,
di fede e vizi brutti,
men vo, ben spregevole
a chi guatando sta.
69 – Follia
In aspra sterpaglia
di turbe, delirante,
m’addentro.
70 – Commiato
Potevo aiutarti allor, ma nol sapevo,
né tu spiccasti verbo in tuo soccorso.
Rimorso
allevo
da tempo, non avendo ben mirato.
Ed or che più non sei, gemo il precoce,
veloce
commiato.
71 – Sogni
Scivolato nel sonno,
vivo storie di sogno,
che sveglio nulla pònno
al cotidian bisogno.
72 – Avidità
Da morto, in gran fretta
ti celeran sotterra,
ché sol denaro alletta
chi beni cerca e serra.
Perché allor t’abbui,
s’egual facesti altrui?
73 – Delirio
D’onnipotenza affetto, in gran delirio,
com’un dannato peno.
Ma poi condurre altrui è ver martirio
e le mie brame freno.
74 – Diversità
Impari
son gli affetti miei, i pensieri e l’opre.
Ma va!
Dispari
son i giudizi di chi i suoi vizi copre.
75 – Morfeo
Giro e rigiro in letto
e lo strusciar rimbomba,
poi quando men l’aspetto
ratto il sonno piomba.
76 – Maggiore età
Lo scocco di una data
t’incalza: mentre ascolto,
l’attesa invan celata
t’avviva e luce in volto.
77 – Opportunismo
Se molto t’appare il nemico
in certa contesa più forte,
al fin di scampare alla sorte
la meglio è farselo amico.
78 – Il rifugio
Quel cianciare a vuoto
con tesi e controtesi:
scenario troppo noto
di lucri vil sottesi.
Allor serrati i sensi,
ad imo mi rifugio
e ragionando indugio
sui forti miei dissensi.
79 – Consiglio
Son ebro e d’empito pieno
per chi meco s’è condiviso
in bacco, cibo e canto osceno,
movendo insieme in tanto riso.
L’indoman della baldoria,
approfittando dell’affetto,
sempre v’è chi mena boria
e non porta più rispetto.
L’esperienza ha d’insegnare:
se a qualcun vuoi ordinare,
la bisboccia è da evitare.
80 – Chiarore
Fratri, ancor mi sprona
memoria in vostro onore,
passata è la persona
ma vivo n’è il fulgore.
Col vescovo d’Ippona
confido il mio dolore:
se mòro s’abbandona
di voi ogni chiarore.
81 – Ambiguità
Di grandi imprese
fremon le attese,
d’impeto tese
a volgere i fatti.
Spento l’eccesso,
vuoto e poi flesso
vago dimesso,
in passi distratti.
82 – Geriatrico in libera uscita
Sediam attorno a un tavolo
in riso sgangherato,
il cavo oral sdentato,
niun capendo un cavolo.
Le secche man rugose,
le voci ripugnanti
stonate in vecchi canti,
già persi in altre cose.
Vinti in corpi attorti,
sembriam viventi morti!
83 – Parenti
Chi ha parenti miete solo guai,
vorriasi amarli, fare lor del bene,
portarli accanto in ogni loco vai,
goderli a pranzo ed in mille cene.
Per lor invece tu non vali niente,
si fingon lieti in gran salutarti,
ma dentro al cor ciascuno invece mente
e poco lungi son già là a sparlarti.
Le tue ragion non sono mai valenti,
ti senti in patria come quel profeta:
a poco a poco van gli affetti spenti
e crolla tutta la tua forte pièta.
Parlare poi di chi ti son affini
è pari a volteggiar tra rovi e spini.
Li mando quinci tutti quanti al diavolo
ed a pensar a lor più non m’incavolo.
84 – Sofferenza
In viscere roso,
ogn’ora mi spengo.
Un viver penoso
che fuggo e rattengo.
85 – Invidia
Ahimè, mi dico mille volte e mille
che l’altro a forza s’è posato in alto,
involando fedi e pecunia e ville,
rapace e presto vieppiù del falco.
In vero di costui non son che il calco,
d’invidia pien, senza valor e smalto.
86 – Fiori letterari
L’uman pensier rimesco
tra detto ed in ridetto,
facendone mazzetti
di letterari fior.
Se in motti ancor me n’esco
di vieto o novo aspetto,
la speme è che diletti
memorie fitte in cuor.
87 - Perdono
S’affliggere o rimetter t’è concesso,
la tua possanza volgi in retta via;
ma se render giustizia incerto sia,
si guardi con favor quant’è successo.
S’avanza sempre il ben se pur di poco
a regola di vita al meglio dritta.
Perdón inver coscienza al core ditta,
lucrando gran mercede in Alto loco.
88 – Silenziosa Signora
Ogni anno che passa,
silenziosa Signora,
dei viventi trapassa
profana la storia.
Dei fatti in memoria
si affolla la massa,
che il tempo scolora:
e lo spirto rilassa.
89 – La questua
Non genti sorde
a chi in discesa
chiede conforto
in tanto sòno.
Ma chi mi morde
la mano tesa
non più sopporto
né più perdono.
90 – Libertà
Il corpo con prigion, tormenti e morte
potrai piegare al cieco tuo volere
o brigar che belle voci sian torte
o mal ragioni far passar per vere.
Di nutricar vittoria assai completa
si metterebbe in capo tal briccone?
In vero sta una forza ch’il divieta:
giammai questa mente avrà padrone.
91 – Certi poeti
Verseggiano ispirati
ammorbando intorno
con lor vision del mondo.
Pur io tra questi vati,
stranio ad ogni scorno,
in rime vuote abbondo.
92 – L’ironia
Non parlar con ironia
chè niun ti capirebbe:
chi cacciossi in questa via
grossi guai poi se n’ebbe.
93 – Arte
Sanza verbo, a mirar l’opra,
in fonde ragion m’attardo,
con l’occhio carezzando
genialità superne.
E la mente mia s’adopra
sul suo fattor; mentre ardo,
null’altro ben dimando
e d’ir non vo saperne.
94 – Creatività
Spento giace il corpo tutto
in ogni sua riposta fibra,
lo spirto vòto insiem piegato
al par di canna al vento mossa.
Poi ecco l’estro in divina scossa
levar il cor così prostrato:
di novo spiro l’alma vibra,
spronando il far, pria distrutto.
95 – Pesante il capo reclina
Pesante il capo reclina
sul petto, a regger pietoso
angosce più grevi d’un masso.
E l’io giù in fondo cammina
piagato al par d’un lebbroso.
E strida, in gran fracasso.
96 – Il viaggio interiore
Al viaggio interiore ecco m’appresto,
in speme di quei mondi discovrire
ove il viver d’ogni giorno meno mesto
s’appressi, a fuga d’un mortal perire.
Poi vago, vago, vago in labirinto
d’assilli antichi e novi, mai risolti,
che al fondo di vòtezze m’hanno spinto,
in scrupoli consunto, vani e stolti.
E rieder la coscienza mai vorria
a le brutture ed ore consuete:
quinci indugia confusa, in fantasia
d’un lume che disponga in dolce quiete.
97 – Mediocrità
Confuso, senz’arte né parte
stento la vita, che diparte.
98 – La farsa
Al fondo della curva stradicciola
l’inceder stanco si stagliava lento,
recando sofferenza.
E quando v’era assenza,
invano il guardo si portava attento
da cima a fondo in un far di spola.
Poi un dì, a vol di corte in corte,
recossi voce della tua scomparsa,
e fu comun cordoglio.
Doppiato l’uman scoglio,
la recita è finita, e pur la farsa,
né più l’usate forme saran scorte.
99 – Scempio
Eccomi intento a pressar la tempia,
il capo chino in oscillante moto,
da immensi vuoti combattuto e vinto.
In procelloso pèlago sospinto
senza ragione e colpa, invan mi scuoto
da sorte ria, che dentro artiglia e scempia.
100 – Generazioni
Ad una ad una Ėrebo rapace
azzera attorno compagnie stupite,
a pulizia di stirpi.
In accorati spirti,
leggiam che insieme se ne sono ite
ragioni nostre, e star più non ci piace.
101 – Se questa è arte
Un dir a tamburello:
“E’ summa degli artisti,
va, presto!“. E’ un ritornello
cui ormai più non resisti.
M’aggiro allor per sale
di sgorbi piene, vòte
d’idee, ché nulla vale,
e l’ira il petto scòte.
Poi a questo e quell’amico,
a tutti mal ne dico.
102 – Nel livor del verno
Nel livor del verno
la folia,
al suo perir sottratta,
nel gel ristà contratta.
Viv’io in freddo Averno
e dolia
diuturna il Ciel m’arreca,
prigion di forza cieca.
103 – Alla finestra
Messagger di diacce falde,
tramontana qui t’ha spinto:
sospettoso vai pipiante
presto al vol, ché niun t’adocchi.
Quante voci in me ribalde,
in un diaccio stretto e vinto,
l’alma egra, sì, disiante
ch’ora eterna tosto scocchi.
S’apre all’urlo questa bocca:
nullo sòno gola stacca.
104 – Insieme
“Dimmi, viandante, dimmi:
hai sì trovato pace
in tuo rotar pel mondo?
Orsù, t’ascolto attento!”
“Ahimè, ognor colpimmi
fera sorte, in rapace
attacco. E non ascondo
pianto, e spiro a stento.”
“Allor, le membra treme,
l’andar ci veda insieme!”
105 – Men vo smarrito
Men vo smarrito in pensieri storti,
qual prora scossa in aperto mare
da vento infido.
Né vedo lido
a saldo approdo d’un diritto oprare
che tragga l’alma in sereni porti.
106 – La vedova
Compiangemmo insieme
quel tuo fuggir sì lesto,
e forse ancor t’aggiri
in riva al Lete, mesto.
Or sposa tua mi preme
con disinvolto tono,
ma in me ancor sospiri
lamentan l’abbandono.
107 – Incubo notturno
Pel collo tratto dalla mano boia,
piegato sono alla feral mannaia,
ballando in preda a ferina foia
la folla intorno improperi abbaia:
“Vissuto assai, tu sia messo a morte
pel troppo tempo ch’hai sprecato indarno,
di tua presenza siam seccati forte,
la lingua frena in proferire scarno!”
Ed io,
in brute man trastullo,
invano priègo e strillo,
rassegno ogni mio fallo
al vulgo mai satollo,
ma niun m’è più fratello.
Addio!
108 – Congedo
Addio ai nostri tempi,
ai compagni scomparsi,
ai ricordi dispersi.
I tanti gesti persi,
i dubbi sul da farsi,
il duol d’annosi scempi.
109 – Serenità
Per l’aere libran i pensieri a frotte,
tra i molti grevi forse alcuni lieti,
memorie tese di diuturne lotte
a franger maglie di dolenti reti.
Lassù sospesi van gli augelli in volo
e in lor volute stan confusi e sciolti,
canori sòni fan cadere al suolo
e poi di nuovo verso l’alto volti.
110 – Siam monatti
Allor che il volto glabro
lucea d’eterno riso
fraterno era il labro
e l’alma in paradiso.
Stringiam, amici, i patti:
giuriam di star compatti.
Poi pel fiorì sul viso,
il ben non resse al male
e come d’mprovviso
amor si fé di sale.
Ed oggi in cor disfatti
viviam come monatti.
111 – Futuro
Fanciullin paffuto,
le pupille accese,
le manine tese,
il capel ricciuto:
questa mia carezza
sia per te, che un giorno
di talento adorno,
mi darai salvezza.
112 – La quiete
Cercavo la pace
nei pensier frugando,
ansia sol cavando.
Or che mente tace,
l’io quietato giace.
113 – Non siam più noi
Chi sei che mi saluti
e questa mano stringi?
Ma forse pur tu fingi,
da certi sguardi muti.
E’ ver, del tempo andato
saggiam prudenti i fatti,
poi dai, ribatti e batti
sovvien memoria, e fiato.
S’affligge allora il core,
tanto appar l’ingiuria
che in volto fa spessore.
Pensiam: non siam più noi.
E via, in fretta e furia,
ciascun pei fatti suoi.
114 – Il verdetto
Afflitta piangi pel verdetto atroce
ch’al tuo peregrinar ha posto un cippo:
e nel parlarti cerco un qualche inghippo
che ponga ferma la tremante voce.
E’ questo il trar a sorte di quel Tale
ch’ognun vorria paterno e a sé pietoso?
Gli imprechi contro con gestir rabbioso,
poi, spenta l’ira, cedi mesta al male.
Mentre tuo respir la soglia varca,
stolto io confido in miglior sorte,
pensando che sia lungi la mia Parca.
E sento che tu capti i sòni vuoti
in me che sosto in pièta alle tue porte,
che già gli usati verbi ti son noti.
115 – Invito a nozze
Coniugio sorse con promissa eterna
di mutuo affetto e comun soccorso,
poi tutto ruinò in breve corso,
conchiusa mal la società fraterna.
Ed il figliuol, che muto non capisce,
malinconia coltiva in freddo core
e a poco a poco dentro se ne more,
insieme a pien fiducia che perisce.
Or tu con nova femina convoli,
ch’ha novo frutto in seno generato,
e tutto in fresco amore ti consoli.
Inver mi pare padre e sposo vero
chi forte in suo tempo ha pazientato,
mostrando d’invecchiar l’amor primiero.
116 – Il silenzio è d’oro
Taci, vuoi far un poco di silenzio?
Rintrona il capo tutto, mille voci
d’ogni dove l’han confuso.
Ed anco i versi miei che pur licenzio
per molti son inver pesanti croci,
che troppi ne ho profusi.
117 – Tradimento
Il tuo parlar s’empiva
di fede e d’amistà.
Intanto s’adempiva
di già la tua viltà.
118 – Quale poesia
Si vuol questo in poesia:
un pensiero forte e chiaro,
un parlar non troppo raro,
ritmo, modo ed armonia.
119 – Grancassa
Chi al ben s’adopra è ver non fa notizia,
grancassa batte invece la malizia.
120 – Con Teresa
In mio cader fûr molti ad aiutarmi
e niun che man stendesse per rialzarmi.
121- Stanotte
Stanotte il sonno mio sarà beato:
Eràto oggi in capo m’ha danzato!
Là dove nulla c’era ho creato,
son solo tracce; e dentro son rinato.
122 – Le porte
La vita, la morte,
la culla, la bara:
un niente separa
codeste due porte.
123 – Discendenza
Per un cieco amor di schiatta
posi in luce e vita e morte.
Nella scelta sì mal fatta
ebbi vista e mente corte.
124 – Ělide
Immota e fredda giaci
prigion del sonno eterno,
ai nostri lai tu taci,
spiccato il vol superno.
Il volto cereo asconde
fraterne scorse intese,
domestiche, gioconde,
talor da liti offese.
Credevi in altra vita,
da altra vita giunta,
dicevi divertita.
E tale fede spunta
in espression stupita,
da lieve piega assunta.
125 – Il chiasso
Ragion stordisce al montar del chiasso
d’insane idee, che in gran fracasso
tra lor nel capo se ne van cozzando.
Allor men sto in panciolle oziando
fin quando lenta la gazzarra cessa
e sciolta sia dei pensier la ressa.
Il vuoto regna nella stanca mente
e fuggo i passi dell’odiata gente:
sì sol discende nel mio cor la pace.
In questa dolce ritrovata quiete
in alto vola l’alma e si compiace,
donando speme e sprazzi d’ore liete.
Ma so che dentro in finto sonno giace,
d’affanni pronta a rilanciar la rete.
126 – Passato, presente, futuro
La mia piagata pelle
da un passato afflitto
ora mutai per sempre.
Tra le rinate tempre,
il cor allor sconfitto
s’apre a vie novelle.
Almeno il verso spera
che durin fino a sera.
127 – Genialità
Cari Eletti baciati dall’Uno
che con l’opre stupite i millenni
delle menti rompendo il digiuno,
siete àncore a che non dissenni.
Dite o fate in modo diverso,
pur seguite lo stesso sentiero:
il riscatto d’un mondo disperso,
uno sprone all’umano pensiero.
Miserando al raffronto mi sento,
il mio nulla ho cullato e mi pento.
128 – Amore e morte
Donna, donna, sii maledetta o donna,
che d’ira accendi il cor dell’altro sesso,
in contrasto eterno.
Satanasso, per via di miser gonna
volgesi l’uomo a fatal eccesso,
a fuga da un inferno.
129 – Affronti
L’uom ribelle vuol disfare
la natura e le sue ere:
forte fio dovrà pagare
col perir di stirpi intere.
130 – Presunzione
Par che a scuola, adolescente,
fossi alquanto presuntuoso:
e mio padre lo riseppe.
La rampogna che mi dette
fu miglior delle pandette!
Fui da allora riguardoso:
gliene son riconoscente.
131 – Vanaglorioso
Mentre d’altri tesse lodi,
chiara è l’ansia che lo rode:
“ Per favor, parliam di me! “
132 – Libertà di parola
Urlan tutti a squarciagola:
“ Di pensiero e di parola
ora e sempre LIBERTA’ ! .”
Poi se provo a dir la mia
non che un ragion mi dia.
Uh! che bella società…
133 – Il caro estinto
Chi sotterra freddo giace
gode alfin d’eterna pace.
Pur l’orbato che qui resta
piange un poco e poi fa festa.
134 – Turpe gesto
Ebbi un fato assai manesco
che fé scura la mia storia:
ecco allor con turpe gesto
io ne scaccio la memoria.
135 – Vanità
Nel fare il generoso
mi sento un vanitoso:
mi spiego allor perchè
l’ingrato sia com’è!
136 – Sulla tomba paterna
Quarant’anni di silenzi penosi
sono passati da che ci lasciammo.
Or che è morta tua trista compagna
da te morto io son ritornato.
Preferisti i connubi ingiuriosi:
al pensier d’ira ancora m’infiammo!
Però adesso, cessata ogni lagna,
son da affetto filiale tentato.
137 – Il carrierista
Il furbo ei facia, e in generale
le scatole rompeva a tutti quanti.
Gran genio si credeva d’esser nato,
ma storpio nel cervel e volto al male
al dio danar scioglieva preci e canti.
Un tristo funeral gli ho predicato.
138 – Sciopero
Nei manifesti affissi
d’ingiurie grevi lessi
e all’ira più non ressi.
Vendetta in cor mi dissi.
E a fin del mio mandato,
da mente vi sottrassi
né più vedeste i passi
dell’uom da voi sgarbato.
139 – Quel Sindaco
Dai banchi ti sgolavi
in forte opposizione,
poi per locale svolta
il cadreghin mutavi.
Pur reca la dizione
lo stampo d’una volta.
140 – Il comunista
A cavalcion di bici
giravi per gli uffici,
il pubblico scansando.
Ma non bastò. Fin quando
un dì di carnevale
fu maschera triviale.
Il personal rideva,
incredulo a tal vista,
ed il poter taceva
perch’eri comunista.
Ora leggo dal giornale
che Sinistra cittadina
Segretario suo locale
t’ha prescelto stamattina.
Come a dire che i peggiori
i migliori fanno fuori.
141 – Il sindacalista
All’ingenue maestranze
anche il sole promettevi,
poi ai padroni le svendevi
nel bel chiuso di lor stanze.
142 – II buon Cantore
Chi nomasi Poeta?
Chiunque metta in fila
sonanti verbi oscuri,
oppure demenziali
ragion dal fondo cavi,
od anche disconosca
la regola purista?
Il buon Cantor s’allieta,
poi soffre, poi compila,
con metri ben sicuri
in alto punta l’ali.
Poi torna ai primi scavi,
il dir dal più disbosca,
cesella al par d’artista.
Fin quando ben risenta
che l’ovra più non menta.
143 – Consiglio
Se di te si dice bene
non ti devi insuperbire.
Volgi invece le tue mire
a chi senza complimenti
di te poco conto tiene.
Quando belli son gli accenti,
certo sono parole flosce
di chi ben non ti conosce.
144 – La nascita
Prima un magma denso e informe,
vaghe poi s’appressan l’orme,
quinci ratto in suo cammino
nasce il verso cristallino.
145 – Pensier sgraziato
Ogni dì appen svegliato
sulla morte mi soffermo.
Mi par certo punto fermo
l’esser stato risparmiato.
Poi un pensier inver sgraziato
con angoscia il cor m’assale,
come in Lot mi fo di sale:
perché mai quaggiù son nato?
146 – Arido campo
Arido campo indarno vo zappando
dacchè maggior divenni a questo mondo,
stimando di cangiarlo presto e quando
avessi in lui sferrato il grande affondo
del mio saper vorace di giustizia.
E subito men venne sol mestizia
rendendo duri e mente ed alma e core,
financo all’odio, rabbia ed al rancore.
147 – Odioso parto
Un grosso baruffar quest’oggi è stato
tra epici confronti in voci avverse,
ciascun da suoi valor ossessionato,
ostile in tratti e voce di furore.
E mai nell’urlo sprazzi di chiarore
a stender pace di comuni accenti
su ragion alte fino allor diverse.
Un procelloso ciel di nubi e venti,
aspro e volto ad impetuosa pioggia,
odioso parto dell’umana foggia.
In tal vòtezza d’alma e di pensiero
è sol volata l’uccision del vero.
148 – Ansia
Tutti alla ricerca di qualcosa,
e non sappiam che cosa.
Dentro, ansia che divora.
149 – Lo schianto
Di frenata un gran stridìo,
poi nell’arco d’un respiro
nella notte un forte schianto.
Per quel tal, destino rio:
un biglietto sol d’andata,
per chi resta un breve pianto.
E’ la vita, corsa pazza
vèr la morte che ci ammazza.
150 – Eredità
“Quando andai a Medicina,
col cappotto rivoltato
nonno tuo mi ci mandò!“
La natura è ver cammina
non a salti: nell’immutato
pur mio padre collocò.
Era ei un benestante,
ma ritenne che il moccioso
da straccion dovesse andar.
Dentro al cor assai distante,
sol per quella premuroso,
il suo sangue a maltrattar.
Così vissi con vergogna
tra compagni dignitosi,
fino a mia maggiore età.
Tra sussulti ancor si sogna
di quegli anni sì penosi
quest’inconscio, e mal mi fa.
Che l’Inferno ciò riecheggi
ed i conti almen pareggi.
151 – Il bastardo
In collegio in capo al mondo
dal mio avo fui mandato,
dove vissi abbandonato
come tal meschino e immondo.
Ben lontani dal mio sguardo,
padre e serva in noti panni
si godettero quegli anni:
lei Eloisa, lui Abelardo.
Senza mater, senza amore,
là scoprii, dodicenne,
d’essere figlio d’enne enne:
capii presto il disvalore.
Ero e vissi da bastardo,
nascondendo il fatto grave:
proli spurie eran prave
per quei tempi in gran ritardo.
Quando infine maggiorenne
rinnegai quel ruol paterno,
ei sposò l’amore eterno:
ci lasciò però le penne!
Un infarto raddoppiato
ed Altrove se n’è andato.
Visse a lungo l’Eloisa
al mio cuore sempre invisa.
Ora in terra nera giace:
che Laggiù non abbia pace!
152 – L’ubbidienza
Militar con la divisa
ero allor solo di leva,
per la Patria un dì a salvar.
Lunghe marce, tanta sete,
con il Garand giù a sparare,
e il Sergente a tormentar.
Quanta fam di buon mattino,
sotto il sole già cocente,
fin i rovi a rosicchiar.
Signorsì, e a batter tacchi,
le latrine da nettare,
gran pignatte da lavar.
Poi il rientro da civile,
tanti anni di lavoro
per riuscire un po’ a campar.
Ma col tempo tornò chiaro
che dapprima l’ubbidire
poi t’insegna a comandar!
153 – La ballata d’Epittèto
Sian gran feste, e canti e balli
leccornìe in quantità,
per città, pianure e valli
tutti quanti su a brindar!
Vanno a frotte i delinquenti,
prostitute e lor magnaccia,
in gran massa coi potenti
i lacchè, i voltafaccia.
Gli imbroglioni sempre a caccia
di persone buone e oneste.
La terrena peggior peste.
Dalle case imbandierate
urla, lazzi, oscenità,
per le strade illuminate
fin le bande giù a suonar.
Poi, lor dietro van gli eletti,
i pomposi cardinali,
quinci que’ che non rispetti
per i torti, i tanti mali.
Finti amici, i partigiani,
traditori, gli evasori,
tutti stretti in vasti cori.
Lo straniero a dimandare:
“ Chissà cosa mai sarà? “
Gli risponde un tal volgare:
“ Siamo tutti qui a vociar!
Oggi è morto un gran fetente,
l’Epittèto che tuonava.
Ei voleva che la gente
fosse onesta, buona e brava.
Il suo dire non salvava
niun di noi. Quel menestrello
ci menava col randello . “
Solo un sogno. Il soprannome,
da me scelto in verità,
per nascondere il cognome
e ch’io sia non disvelar.
154 – Regolamento comunale
Ciro il Vecchio all’antistadio,
tavolin con l’ombrellone,
un panino ed una birra,
salutava, il dì di festa,
l’iniziar della partita.
Al custode, inorridito,
dissi allora di vietare
quello sconcio sotto il naso
che violava le sue norme.
Era Ciro troppo forte,
da trent’anni e più al potere:
l’indomani senza indugio
mi sedetti in altro Ufficio!
155 – L’asfaltatore
Era Ciro un gran sportivo
ma con vezzi un po’ da divo.
Quando il Giro qui passava
molte strade lui asfaltava.
156 – Il duro
Scioperavan i dipendenti
proprio sotto la sua Loggia
per la paga un po’ aumentar.
Ciro il duro, tra dieci o venti,
dolcevita alla sua foggia,
va imprudente a scazzottar.
Il padron delle ferriere
lor vuol dare quasi niente:
deve in fretta svicolar.
Molto bravo a darla a bere
per tant’anni alla sua gente.
Ma con noi dovè mollar!
Vinse infatti il Sindacato
dopo un mese di vertenza:
qual ragione il suo negar?
Il contratto rinnovato
al sonar della scadenza
è un impegno da onorar.
157 – Escrementi
“ Ahi, sentio me cacavi “,
disse il grande Aurelio
in punto di morir.
E ridde di poeti
si fan la cacca addosso,
e manco poi lo san!
158 – Sbaglio di persona: era Remo Sampaolesi
Nel primo dopoguerra,
la Patria appen salvata,
la fame tutti serra.
La gente è controllata
in atti ed in pensieri
da nova classe nata.
Son quelli ancor di ieri.
C’è Pietro e il suo crociato,
in procession coi ceri.
Par nulla sia cambiato:
di sopra sta il potere
e giù il proletariato.
E’ inutil dar spallate,
l’Ufficio del Governo
ti scheda più e più fiate.
A lavorar, fraterno,
mi posi in tal ambiente.
Fu subito l’inferno.
Ma per non esser niente,
di diventar cislino
richiesi ad un esponente.
Era d’aspetto fino
ma della cigielle:
sbagliai il tesserino…
L’occhiuto mio padrone
grugnì dei grossi guai.
Mutò la situazione:
in basso sprofondai.
159 – Cambio di generalità
Lo sconcio nom mutasti in una stella,
ma l’odiosa spocchia è sempre quella!
160 – Tessera sindacale
Il capo e il core candidi,
in Casa del mio Sindaco
men stavo a lavorar.
Un dì chiesi la tessera
a un rosso. Dopo un attimo
la C.I.S.L. mi denunziò.
Il sicofante sudicio
usava l’occhio strabico
per tutti noi spiar:
“ La serpe, in sen, all’indice
va messa fin da subito,
ch’allevarla è mal ! ”
In freddo sudor madido
invan e dico ed esplico:
dovetti traslocar.
161 – Il nuoco Cancelliere non apprende con sufficiente rapidità
Il giovin Cancelliere,
di fresco nominato,
portò gran dispiacere.
Di timbri alluvionato
e privo di consegne,
l’avevano isolato
in stanza senza insegne:
il nuovo disturbava
l’oziar di teste indegne.
Su tutte ben spiccava
un Cancelliere, il vecchio,
schiumante fin di bava.
Qual di virtù una specchio,
la Giunta comunale
a lui prestava orecchio.
E l’avido marpione,
recando pregiudizio,
spostò la sua pensione
e ancor restò in servizio.
S’ebbe così in delibera
quel ch’ei sputò da vipera.
Or so di mala sorte
che gli è toccata in sorte.
162 – L’Assessore democristiano
Ogni venerdì di Pasqua,
detto Santo in tradizione,
era il giorno più temuto
da noi paria: “ In Chiesa, via! .”
Dopo i quattro tocchi d’acqua,
tutti quanti in confessione
a sbiancar lo spirto bruto,
poi col Ciel in armonia.
Noi s’avea per Assessore
una pia scudocrociata:
due poter tra lor saldati
a ferrar la gente ignara.
Quel permesso di tre ore
era invero una trovata:
controllar negli impiegati
mala fede oppure chiara.
Sembran fiabe date a bere:
parol mia, son cose vere!
163 – La bidella
Ben sgridavo la bidella
pel lavoro trascurato
nella scuola elementare.
Quella allora si ribella:
“ Tanto mal le ho augurato
che dovrebbe ormai crepare!.”
Di rimando io ad ella:
“ Così ben non son mai stato:
Lei dovrebbe continuare…”
164 – Il beneficio
Ai Tributi io tassavo
gente bassa, gente agiata,
chi sfuggiva, lo pescavo.
Poi un bel giorno, in mattinata,
s’appressò un commercialista
per l’imposta già accertata.
Appoggiando bene in vista
la mazzetta in altre carte,
fuori uscì da buon regista.
Ricomparso, come ad arte,
guata intatta l’esca tesa,
la riprende e se ne parte.
Più nol vidi. Ed il Potere,
con accorto beneficio,
presto fecemi un piacere:
mi passò ad altro Ufficio.
165 – Il padron dalle belle braghe bianche
Fino a ieri ei tuonava
dalle file di sinistra
in veemente convinzione
delle masse da salvar.
Alla fine dai e ridai,
abbioccato il centrodestra,
gli riuscì la bella impresa
d’esser prim nella città.
Con la fascia tricolore,
già docente, deputato,
ed ancora cavaliere,
le prebende in quantità.
Come in culto staliniano
grazie tante appese ai muri,
a braccetto parrocchiale
pe’ consensi da lucrar.
E le masse, sempre quelle,
sempre quelli del balletto,
le narici ben turate
che continuan a stentar.
166 – Canto poetico
In mio cantar s’affiora il terzo occhio,
e più non son festuca al suol
da vento scossa.
167 – Non tutto è oro quel che luccica
A terre lontane
non portar lo sguardo.
Tra l’erbe montane
sta, spinoso, il cardo.
168 – Ignoranza
Se v’è chi ti loda,
o ciel che tu non oda;
se alcun ti dispregia
sìati cosa egregia.
Né l’un né l’altro infatti
san ben come siam fatti.
169 – Sprezzi
Ricchi, potenti, notabili e preti:
sprezzo conobbi e sol presunzione.
170 – Affollamento
Ricordi alla rinfusa
s’affollan nella mente
in ore tarde e quiete.
Poi da Morfeo confusa
la notte dolcemente
ogni affanno miete.
171 – Il quadro
Per un quadro assai malfatto
tu ti sgoli e gridi: “ Artista ! “.
Guarda, amico, che la vista
vuol gran studio e forte tratto.
172 – I due guanciali
Se qualcun ti vien dappresso
sventolando i suoi ideali,
fuggi via di gran carriera.
Ti vuol far di certo fesso:
lui a dormir tra due guanciali,
tu a perir di morte nera.
173 – Preoccupazioni inutili
Stenta il sonno a sera
pe’ crucci parassiti:
poi un’ombra di preghiera
acquieta ansia e liti.
174 – Il miserello
Qual miserel mi sento,
e tiro avanti a stento.
E’ vano che mi dolga
ed in lacrime mi sciolga.
175 – Presenzialismo
Sprechi un sacco d’energia
dietro a cento, mille impegni.
Donde questa frenesia?
Par che il saggio bene insegni:
alla fonte della quiete
spegni vil mondana sete
e sul becero scenario
cali rigido il sipario.
176 – L’affronto
Cosa assai forte
pugnar tra nemici,
ma nulla al confronto
di quando un affronto
sospinge gli amici
a un odio di morte.
177 – S’anco cent’anni
S’anco cent’anni con lei vivrai
d’una stranezza t’accorgerai:
sempre d’avere tu convissuto
con un marziano inconosciuto.
178 – Un fatto strano
M’occorre un fatto strano:
allor che fo del bene
m’appar qual gesto vano.
E dubbio man rattiene.
179 – La scusa
Vorrei io far del bene,
ma tutti quanti attorno
si danno un gran daffare
a spingermi nel male.
La mente allor confusa
s’inventa qualche scusa…
180 – Il bello e il brutto
Bello è ciò che assai ci piace
o sol quel che piace a tutti?
La question sul piatto giace,
come i figli: belli o brutti?
181 – Il mandrillo
Passava Ciro lungo il Vanvitelli.
Gli cadde l’occhio verso un armadione
con l’ante avvicinate ad angol retto,
vibranti in gran sussulto e cigolanti.
Pensando a possession di spiritelli,
proprio lì, ov’era comunal Magione,
l’ebbe a spalancar con gesto netto.
Un Capo Dirigente a lui davanti
scopava in piedi al pari d’un mandrillo.
E lei se ne fuggì con picciol strillo…
182 – Il Gran Potere
Contro il Gran Poter feci ricorso
in numero di cui ho perso il conto,
fidando nel rigor della Giustizia.
E sempre poi sentenza surrettizia
seppe sputacchiare e senza sconto,
frenando quelle istanze in duro morso.
Or sol sollevo e spiego le ragioni:
s’era in man d’un gruppo di massoni.