Essere l’amore, la speranza

di

Eva Amore


Eva Amore  - Essere l’amore, la speranza
Collana "I Gigli" - I libri di Poesia
14x20,5 - pp. 70 - Euro 8,00
ISBN 978-88-6587-7067

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In copertina: «Happy cute little girl with colorful painted hands» © svetamart – Fotolia.com


Prefazione

Questo mio libro di poesie è intitolato all’amore, alla speranza.
Dall’amore, io credo, nasce la più minuscola cellula, sino al tutto universale, tutta la stupefacente bellezza e perfezione cosmica richiama la suprema potenza, scienza, bellezza e amore della Divinità.
Certo però il sentire, il contemplare il divino intorno a noi, credo sia anche frutto di un dono, forse a volte legato ad una ricerca. Ma, spesso, gli ipocriti farisei di tutte le religioni, hanno ucciso l’amore e la speranza. Con l’Inferno poi punivano chi non si inginocchiava ai loro sacrileghi crimini efferati. La storia non è mutata e ancora adesso il nome di Dio viene usato per coprire tutte le nefandezze.
La cultura maschilista poi, in maniera subdola, cerca o penetra anche nell’universo femminile.
Una donna può essere soggiogata e resa schiava da una certa cultura o religione, senza rendersene conto (l’infarinatura parte dall’infanzia).
In queste nostre società avanzate, la mercificazione, il consumismo, l’uniformismo, l’indifferenza, gli inganni più ripugnanti, la violenza, la mancanza di lavoro, ecc. ecc., rendono sempre più difficili i rapporti umani.
Tutto questo male, lo respirano soprattutto le ragazze, le donne; e nelle nostre cittadine e città è ben visibile questa assenza di amore, di speranza.
La Dea di noi donne non è certo così: è la Grande Madre, che effonde vita e amore in tutto l’Universo. È la Dea dell’infinito amore e della speranza.
Ogni nostro palpito, ogni nostro bagliore, i sogni più stupendi, gli amplessi innamorati, troveranno fantastiche aurore d’infinito.
Non ci sarà né purgatorio, né inferno, né malattia, né lutto, né pianto, né odio, né morte.
Oltre il mistero delle stelle, per tutte e per tutti, ci sarà l’eterna meravigliosa Beatitudine (che va oltre ogni fantasia ogni immaginazione).

Eva Amore


Essere l’amore, la speranza


Essere l’amore (la speranza)

Essere l’amore,
tra le armate di luce
della Dea della pace,
l’immenso stuolo di anime
volanti verso l’Eden celeste.
Essere l’amore,
tra i viscidi serpi del tempo
che avvelenano le pure colombe,
le macerie dei cuori infranti
dai terremoti della storia.
Essere l’amore,
tra gli sfolgorii seducenti
dei vani diademi terreni,
le buie spelonche
della crocifissa miseria.

Essere l’amore,
tra tutti i silenzi e le voci,
perché è la vera preziosa gemma.
Ogni palpito, ogni schizzo di vita,
solo in lui trova origine e senso
e l’intensa pioggia del dolore
si fa messaggera di gioia.


Notte di morte

Come ti è costata cara
la notte
senza la meraviglia
delle stelle!
Tra le spietate fauci
del Dio artificiale,
nelle sgargianti
luci mondane,
ti immergevi
in fatui paradisi,
nei voli
di allucinate estasi
rodenti il cervello
ed il cuore.

Come ti ha distrutto
la notte
senza lo stupore
della luna!
Tra fiumi straripanti
di alcool
annegavano i prati fioriti,
le primavere incantate,
mentre, assassinando
il silenzio,
ti dimenavi come barca
tra le onde del mare.

Come ti ha ghermito
la notte
senza il quieto riposo”
Con la tua divorante
tigre,
più veloce del vento,
della furia dell’uragano,

ti sei schiantato
tra le braccia
della strega
matrigna del tempo.

Come urla disperata
nella notte
la tua famiglia
intontita!
Come irriga
di lacrime amare
il campo sterminato
del dolore!


Morte sul Monte Bianco

Innamorati dei profondi silenzi,
dei pittoreschi paesaggi incantati,
i quattro amici fraterni
salivano sui giganti terrestri.
In tutte le stagioni del tempo
s’inerpicavano limpidi e forti
tra i sentieri erti e rocciosi,
i perenni ghiacciai insidiosi.
Quando il respiro si faceva più ansante,
quasi sommerso dall’immane fatica,
nel dolce sorriso del cielo
candida appariva la vetta
e alta, solenne, vibrava la vita.

Nell’aspro, inclemente gennaio
sferzati dal gelido vento
gli alpinisti coraggiosi salivano
le auguste pendici del Bianco.
Mentre intrepidi battevano i cuori
nel sogno della cima agognata,
un errore imprevisto arrivò
e all’improvviso la montagna
divenne terribile e grama,
non perdonò i suoi puri, fulgidi amanti.
Mentre i fiori sbocciati
dell’umano stupore
invano a casa attendevano,
li inghiotti l’eterno mistero.


All’acqua di montagna

Amo sentirti scrosciare
fra le rocce,
le fenditure di montagna.
Nei tuoi pressi
la mia dimora portare
e appisolarmi tranquilla
nel tuo notturno canto.
Amo vederti danzare,
spumeggiante e serena,
nell’incanto del tempo.

Nella tua pura,
immacolata natura,
voglio il mio mondo specchiare.
Amo immaginarti
limpida sorgente celeste
che disseta per l’eternità.


Al Monviso

Ancor piccola, ardita,
nel candore della vita,
con la colonia
in fitto cinguettante stuolo
m’inerpicavo verso la tua sorgente
e il Quintino Sella
raggiungevo con stupore.
Nel meriggio dell’età matura
ancora nei tuoi pressi ho camminato
scoprendo oasi d’incanto
tra le alte affascinanti stelle alpine.

Sulle tue erte pendici
mai mi accinsi ad elevarmi,
il mio sorriso
sulla tua vetta non sognai;
arduo era il tuo mistero
ed io non avevo ali d’aquila.
Ma, tra le braccia amorose del silenzio
nella mia dolce, divina solitudine,
con l’anima in ginocchio
io ti ho contemplato
innalzando alla Dea
con te tutto il creato.


Terremoto in Abruzzo

Nel cuore della notte stregata
le viscere d’Abruzzo
con immane violenza hanno vibrato.
E le stelle incantate dei sogni
con tremendo boato
si sono sbriciolate.
Le vite straziate
in un attimo sono volate
tra le braccia
della misericordia Suprema.
Tra le rovine dell’atroce dolore
scorrono rivoli di lacrime amare.

Ma dall’anima buona del mondo
un fiume di carità ora sgorga
e feconda gli impervi declivi,
i disperati deserti dei cuori.
L’alba della speranza ritorna
fra i perduti, teneri amori
e sul cimitero del tempo
rinascerà il sorriso del sole.


La crisi economica

I perfidi schiavi
della corrotta materia,
i dinosauri dell’alta finanza,
del Dio che domina
le terre e i mari
si son riempiti i ventri
sino a scoppiare.
La serpe della cupidigia
avvelena i sacri templi
dell’economia mondiale.
Il fiume della crisi
con forza immane
irrompe sui e sulle tenere indifese
figlie del capitale,
sull’immenso stuolo dei e delle misere
pargole affamate.

La povertà impazza,
ma l’orgia degli e delle amanti del lusso
non è mai sazia.
L’affamata/o geme,
disperata/o barcolla,
non ha più speme.
E la collera monta, s’accende,
può incenerire il mondo
se la giustizia non si fa presente.
La terra deve avere
un unico anelito,
un solo precetto,
un uguale mandato:
sconfiggere l’egoismo,
vivere da fratelli e sorelle;
nella lode della Creatrice
e del Creato.


Ragazzo

Non avvolgerti ragazzo
nelle dense foschie
dell’oblio delle stagioni del cuore.
Non camminare tra le alchimie di cera
che infestano le strade del mondo.
O non seguire gli dèi mendaci
che imprigionano il tempo.
Non entrare nei templi
dove gli idoli impazzano.
Ti prego non volare
verso le artificiali stelle cadenti.

Inginocchia ragazzo
il tuo stupore candido
nelle verdi oasi d’incanto.
Frequenta le pure sirene
il cui libero canto
raggiunge l’infinito.
Nel solitario silenzio ascolta la voce
che ti pone nel grembo
della divinità.
Zampilla come limpida fonte
sugli aridi campi
della storia malata.


Ad un barbone

Tra il cammino oscuro del tempo,
il passaggio senza sguardo della gente,
trascini la tua odissea nell’ombra.
Vaghi fra le suadenti,
crudeli luci di città,
le gabbie di cemento e asfalto.
Non incontri la gardenia di un sorriso,
le dolci note di una parola amica,
nella bruta, frenetica
foresta del rumore
nessuno sembra pensare a te.
Tra le spire gelate dell’inverno
ti distendi nei tuoi cenci di miseria,
la notte ghiacciata
ti scuote, ti ricopre,
vuole ghermirti anche l’ultimo respiro.

Tu sei Cristo tra i gemiti d’attesa
della tua vita parca e amara,
sei Lui fra gli insulti e il disprezzo
di chi ti ignora e ti ferisce.
Sei Gesù fra i tesori rari,
le carezze, i palpiti della carità.
Sei tu che conduci al cielo.


Natale

Natale, non è un regalo di materia:
oh Natale è una cosa ben più seria.
Non è una vetrina color arcobaleno,
ma è il Sole divino che porta il sereno.
Non è uno spettacolo di umana baldoria:
ma è la Creatrice che sposa la storia.
Non è un farcito di spumante e panettone:
ma l’Amore vero che riunisce le persone.
Non è un presepe di gesso e cartapesta:
ma è uno Spirito rinato che diventa festa.
Non è una vacanza, un babbo assiso:
ma è la morte assunta in paradiso.
Non è un rito di cenoni e pranzi,
l’ebbrezza dei sensi e sputi di avanzi.
Non è un regno mondano di negozi agiati
splendor di brillanti e visoni assassinati.
È un Regno eterno, che non è del mondo:
lo puoi trovare se scavi nel profondo.
Natale non è pace lì per lì aggiustata,
che poi dopo un giorno viene bombardata:
ma è la pace indelebile del cuore,
nella Giustizia, sorella dell’Amore.
Non è un albero di cuccagna borghese,
dove la carne del misero/a paga le spese:
ma è Restituire il dovuto a chi ha fame:
Natale è Condividere il tuo pane.
Tu che hai ridotto la Terra a un impero,
convertiti a Lui e sarai un Uomo vero.
Eletto potente, borioso di vizio,
impara da un Re che si mette a Servizio.
E tu spogliata/o di ogni volto e sostanza,
nella tua Dea puoi trovare Speranza.
Oh tu che esplori ogni umana scienza,
impara da Lui la perfetta Sapienza.
Donna! Uomo! getta quel nero accecante velo,
alza la testa e volgiti al cielo.
Scopri la pietra che chiude il tuo cuore:
contempla la Vita, diventa Interiore.
Non correre impazzito/a dietro all’affare:
inginocchiati al suolo, comincia a pregare.
Non essere vecchio/a, triste e fasullo/a:
torna a sorridere come una fanciulla.
Non strisciare seguace del nulla:
torna a nascere, torna alla culla.
Natale è la semplicità di un Bambino:
Umile e povero, quasi Divino!


La fame

Come urla nei deserti di silenzio
la tua fame fratello! La tua fame sorella!
Invita i pachidermi dell’opulenta
contrada a lasciarti le briciole
della colossale abbuffata.

Disperata, bussa alla porta
dei colmi e fastosi granai del mondo,
per avere chicchi di giustizia
e nutrire di speranza la storia.

Invoca dal sole divino
l’aurora del giardino nel tempo,
quando l’albero dell’amore cresceva,
sfamando di delizie la terra.
Vuole far volare il pianeta
verso la manna del mistero futuro,
Chiede subito l’abbraccio
festoso alla nostra mensa.


Il seminatore

Il Seminatore
seminò semplici nascosti sorrisi,
verità in cui splende la storia,
amori che sposano
la terra col cielo,
parole esultanti
di vita immortale.

Il seme cadde
su polverose strade
calpestate dagli zoccoli
dei desideri mondani
e non germinò.

Nel campo spuntò
la tenera pianta
vogliosa di luce,
ma fu soffocata
dai rovi e dalle spine
delle superbe ricchezze terrene.

Sulla superficie del tempo
si schiuse il chicco di grano,
ma l’esile germoglio
fu sradicato
dagli uragani del secolo.

La semente si adagiò
tra la fertile terra
innaffiata d’amore
e nel fulgore degli astri
rigogliosa spuntò
producendo miriadi di frutti
per l’eden celeste.


Canta una canzone

Non avvolgere il tuo cielo
di un mantello truce, nero,
anche se la bandiera
della vita
non sventola alta sul pennone,
canta una canzone.

Il canto zucchera le bevande
amare, mette le ali all’anima
e la fa volare
dove liberi vivono i sogni.

Ubriaca la vita di allegria,
l’amore, la speranza,
si mettono a danzare
se tu il fai giullare.

Non lasciarti ammutolire
dalla gente cupa e arcigna,
anche nell’oscuro regno
della confusione
puoi intonare una canzone.

Se la tua musica
non brilla in perfezione
nell’aula aperta dei boschi,
frequenta la scuola
degli usignoli.
Impara quella dolce, pura armonia,
espandila in ogni tua via.


A Rabindranath Tagore

Sfogliando i giorni e le notti
in una sinfonia profonda d’amore
Tagore viaggiava nel tempo
verso la luce da cui emana ogni cosa.
La sua anima nel cielo s’alzava
voleva fiorire come un’ aurora,
miriadi di stelle incantate
rendevano viva
la bellezza suprema.
Nel giardino della natura
si effondeva con stupito candore,
una goccia di rugiada coglieva
il mistero profondo di un fiore.

Mentre alla grande gioia anelava
oltre le nebbie dell’esistenza terrena,
come un diluvio nell’orrida notte
lo flagellò l’umano dolore
allagando le spiagge dei sogni.
Ma la lunga scia tenebrosa
sparì nel mistero del sole.
L’infinito gli fu prossimo, amico,
fratello, poesia di splendore.
Ai deserti di pietre preziose
preferiva la rosa del cuore
e, nei campi rigogliosi e fecondi,
alle fanciulle insegnava
la strada della sapienza,
l’arcobaleno della contemplazione.


Il vecchio solo

I giorni della danza armoniosa
sul fiume del tempo sono passati
e con la tua storia cadente
ti appressi alla soglia del mare.
Inviso al mondo che adora la Dea produzione,
che brilla di fatue meteore
e di elisir di giovinezza,
nascondi nel silenzio le pene.
Langui trafitto dalla solitudine
mentre il tuo tesoro di saggezza
si frantuma contro il muro dell’oblio.

T’incurvi sotto il peso dei bisogni negati
e abbracciando il coraggio
ti fai mendico di sorrisi e pane.
Le pietre giganti ancora schiacciano il cuore
ma dalla selva abbruttita
spuntano i colibrì dell’amore.

Il tuo giorno non è più vuoto di sguardi,
di sostanze vitali
e nel crepuscolo della vita presente
il sole ora splende.


Dopo il diluvio il sereno

Dopo il funereo grigiore del cielo,
i lampi, gli scoppi
che scuotono l’anima.
Dopo il mesto diluvio di lacrime
che ha ricoperto di fango la terra.

Ecco ora risplende il sereno.
Il sole con la sua aura radiosa
ha scacciato la cupa atmosfera.
La natura vestita di festa,
con trilli gaudiosi
accoglie la luce.
Aperta la sua tetra dimora
l’uomo si riaffaccia
ridente alla vita.
Candide le vette dei sogni
si stagliano all’orizzonte turchino.
Ancora sul labile tempo
scrosceranno torrenti di morte.
Ma un giorno la speranza sarà
gioiosa aurora infinita,
per le donne, gli uomini,
tutta l’universalità.


A tre amici

Avvolti dall’atmosfera del tempo,
pellegrini verso l’ignoto,
son transitati
fra le paludi e i prati fioriti
della terra.
Lasciate le mortali spoglie
nel grembo della speranza,
con ali candide sono volati
verso il sole dell’amore eterno.
Lassù non assale più
la belva del dolore
e la cicuta del male non infesta
l’anima ed il cuore.
Lassù fioriscono infinite aurore
di virtù e di beatitudine celeste,
risplendono in un soave incanto
le stelle della bellezza.


Alla verità

Il mondo distratto gioca
nel suo mare di opinioni.
Ma io so, Verità,
che tu esisti,
come il sole la vita illumini.
Io so, che tra le spade
sguainate della storia,
ricoperta d’infamia e di dolore,
sei sbocciata
in tutto il suo splendore.
In te lo schiavo ed il padrone
liberi
si abbracciano.

Per Te, le fiere e le gazzelle
siedono alla stessa mensa.
Con Te, le nubi delle pene,
le bufere della morte,
si trasfigurano
in arcobaleni di speranza.
Nel tuo eden fioriscono pure
le sapienze del creato.
Nel tuo abbraccio
l’anima trabocca
delle meraviglie della grazia.
Il cuore prende il volo
verso il paradiso della gioia,
il soave amplesso della felicità.

Verità eterna,
in Te risorgerà la terra.
Sublime universale amore!


Noi Poetesse e Poeti

Noi, non ghiacciate/i dal rigido inverno
dell’oblio dei raggi del cuore,
non protese/i verso gli ori e gli argenti
delle paludi del tempo.
Noi, asperse/i dalla rugiada divina,
con La musica della fantasia,
voliamo fra gli arcobaleni fioriti
di bellezza incantata,
e le tormente di piombo
delle fecce del secolo.
Noi, palombare/i degli oceani
palpitanti di storia,
c’immergiamo nei misteriosi fondali
brulicanti di sorrisi e di lacrime.

Noi, viandanti smarrite/i
fra le nebbie d’angoscia
delle tombe dell’Io.
Noi, stupite galassie
ridenti di stelle.
Noi, luci soffuse
fra le ombre calanti,
siamo ingenue/i bimbe/i innamorate/i,
in volo verso l’infinito.


All’animale

Tu non hai un senso
di bene e male,
non ti addentri
nelle grotte del sapere,
non hai le nebbie e il sole
della Dea ragione,
non ti struggi
tra materia e spirito.

Tu sei predatore e preda,
coi tuoi pargoli
sei prodigo di cure,
ma non ti ergi
per virtù e infamia,
figlio dell’istinto.
Senza libertà
ti ha voluto la Creatrice.

Anche tu sei dai sensi deliziato
e hai spade che ti trafiggono
la carne, ma nel deserto
del nulla sfogli i tuoi tramonti,
non hai anima
che implora eternità.

Tornerà la Sovrana della storia
a far sbocciare
il seme della vita:
forse anche tu
senza speranza e fede,
nell’infinito arcobaleno volerai.


A Pasquale

Tra le smeraldine quiete colline
Pasquale cullava l’incanto.
Nelle distese di pace dei boschi
feconda alitava la vita.
Lui percepiva ogni fruscio,
palpitava per ogni mormorio,
nel grembo profondo del tempo.
Ascoltava radioso e rapito
i multicolori vagabondi dell’aria
e sul greto dei salmodianti torrenti
sostava avvolto da un mistico alone;
seguiva stupito il pellegrino canto d’amore.

Dopo fitti capricci del cielo,
in un giorno di bonaccia serena,
Pasquale costeggiava
la corrente impetuosa.
In un’ansa, fra i rami e gli sterpi,
prigioniero di un’atroce agonia,
implorante un capriolo gli apparve.
Vinto dal richiamo d’amore,
obliò ogni umana prudenza
e scivolò nel gorgo
che a valle scendeva.
Il suo guscio di tempo
in una maschera di morte
fu ritrovato.
Ma dai ridenti paesaggi del cielo
la sua anima invita
ad amare il creato.


Preghiera per i suicidi e le suicide

Quando il disperato
vagare della loro anima
tra le buie gallerie
del mondo sfocerà
in un agghiacciante
grido di ripulsa,
di ribellione alla vita,

quando il loro cuore
maciullato dagli ingranaggi
perversi del tempo
vorrà giacere
nella notte perenne
del nulla,

perdona
misericordiosa Dea Madre
l’inno soffocato a Te,
alla creazione.
Ricomponi
le mortali ferite
col soave balsamo
della carezza divina.

Accogli
il loro funebre ballo
nella danza armoniosa
e beata
del cielo.


Storia di un emigrante

Da un deserto di fame
e morte sei partito,
lasciando il palpitante seno
dei tuoi primi vagiti.
Sfidando le tempeste dell’ignoto,
tra le turpi gogne
degli usurai della storia,
ti sei fatto gabbiano
di terra e mare.

I sogni t’indoravano la via
e nelle notti insonni della nostalgia,
stelle di latte e miele
splendevano sugli osannati paesi
dei maghi dei consumi.
Dopo le doglie nel grembo
dell’onda, la speranza
partorì il paradiso bramato.

Ma non ci fu squillo di tromba:
tra gli scogli taglienti come spada,
non si udì l’arpa incantata.
Frantumò il silenzio una stridula
sirena, mentre mani forti
stringevano la preda:
un gelato muro rinchiuse
l’angelica illusione.

Sul rombante uccello del baleno,
implorando giustizia dal futuro,
sul tuo smunto campo
ritornasti nell’oblio.


A Najmul

Da una terra dove il grano dei sogni
sparisce nel ventre dei cannibali
della speranza, come un fagotto di vento
Najmul arrivò
nel superbo regno della sabbia.

La bestia del deserto
dall’emiro crudele
era saziata da re,
ornata di moine e di festa.

Tu, eletto pargolo dell’angelo,
ricoperto di gemme dal cielo,
giacevi sfregiato da violente carezze,
nutrito come un fantasma nel tempo.

E il cavallo del mare di sabbia
correva, correva mietendo gli allori
del turpe gioco vizioso
e tu come un cencio legato alle viscide
brame dei lerci gaudenti,
correvi, correvi
verso il traguardo fatale.


In Zimbabwe

In Zimbabwe l’albero della vita
non abbonda più
dei gustosi frutti del lavoro umano.
L’esistenza giace immobile, spossata,
sanguinante di malattia e di fame.
Mugabe, un terribile ragno nero,
ha teso la sua ragnatela
del terrore.
Il popolo oppresso geme,
in un cupo silenzio sepolcrale,
mentre l’economia
si è fatta carta straccia.
L’ipocrisia della laida bestia
non ha fine, si erge
a paladina della chiesa,
azzanna e divora i sacri figli.

Un unico desio sembra unire i cuori;
una sola speme,
urlare nelle anime:
“Vada lungi l’orrendo predatore,
si ritorni a dar luce ai sogni”.


In Sicilia

Tra le onde spumose e turchine,
i ridenti declivi amorosi,
le aspre quotidiane fatiche
dell’isola dai sogni infranti,
le ombre losche e crudeli
dei figli dell’impero del male,
proterve e arroganti
si sono posate.
E mentre si sprigiona dal cielo
un immane, impietoso diluvio,
nell’alveo del cataclisma
la gente giace travolta
da una valanga di fango.

La mesta funebre campana
che ora accompagna
il deserto dei vivi e delle vive,
a festa un giorno rintocchi
ad annunciare
la liberazione dal male


Conversione

Scivolavi nei profondi abissi.
Scavavi con l’odio
morte, dolore,
in cui stagnavano
le lacrime dei crocifissi amori.
Stringevi, tra gli artigli
del tuo cuore,
gli adorati preziosi del tempo.
Ora in te l’aquila
è diventata colomba.
In te le tenebrose serpi
sono annegate
nell’oceano della grazia.
L’anima dipinge
arcobaleni di infinito amore,
trasfigurata dalla speranza.


Sensibilità-Bellezza

Sensibilità, bellezza,
come siete state maciullate
dai subdoli ingranaggi dell’apparenza,
come siete divorate
dal tarlo della velocità,
come siete oscurate
dalla notte della materialità!
Sensibilità, bellezza,
come soffrite
nella melma dell’opulenza,
come siete travolte
dalle valanghe della povertà,
come siete avvelenate
dal vizio e dall’empietà!

Sensibilità, bellezza,
voi risplendete
nelle filigrane d’oro
dei poeti e delle poetesse,
negli arcobaleni fioriti
dei pittori e delle pittrici,
nelle armonie universali
degli artisti e delle artiste.
Siete il puro celeste anelito
dei saggi e delle sagge e dei e delle sapienti,
la corona di gloria della bontà,
tutto il Creato nella sua divinità


Vittoria mondiale
(luglio 2006)

Tra le tempeste devastanti
del calcio italiano
i ragazzi hanno steso in cielo
l’arcobaleno della speranza.

Sui verdi prati tedeschi,
le farfalle azzurre,
possenti come aquile,
tra le maglie degli squadroni
avversari sono volate,
liberando nella notte incantata
l’urlo della vittoria.

Nel tempo che dà vita al sogno
è un mare di gioia
la danza impazzita.
E nell’universo che brilla stupito,
la luna e le stelle sono tricolori.


Tra le rovine dell’egoismo

Il sole che abbracciava
la terra del tuo cuore
oltre l’orizzonte è tramontato
e quattro passeri che non riescono
a volare nel nido del tempo
ti ha lasciato.

Non ci sono più sorrisi di stupore
le candide meraviglie dell’amore.
Nei giorni anneghi i sogni
in un oceano di fatica
tu lacrimi disperazione.

In una bieca amara patria
è cresciuta la tua pena:
mentre il misero e la miseria l’implora,
il potente lo sotterra.
Tu, tra le rovine dell’egoismo,
raccogli poche briciole
che non sfamano i tuoi pargoli.

Canto di speranza sboccia
nei cuori dei miseri e delle misere.
Alba d’amore sorgi
tra le buie notti della storia:
che tutti i figli e le figlie possano cibarsi
dei saporiti frutti del pianeta.


A mio padre

Ora, che le profonde ferite della mia mente
non accecano più
lo splendore dello sguardo;
ora, che la mia anima vive
in comunione con le stelle,
veramente io ti amo.

Adesso, che tu libero sei
dalle catene della carne;
adesso, che vivi nel mondo oltre la tomba,
in modo perfetto tu mi ami.

E c’incontriamo nel campo del silenzio,
dove la pace regna sovrana sulla terra,
dove la tua polvere attende
di essere trasfigurata nella gloria.
Io volo oltre il mare dell’umano,
per raggiungere il tuo mistero eterno.

Tu, dai vertici dell’essere,
“guidi” i miei passi sulla dolente valle:
perché la sirena della vanità
non mi seduca
e nella buia notte non mi perda.
Implori che mai la dolce musa
mi lasci in balia della grettezza umana.
Fai si che la mia vita diventi un fiore
nel giardino dell’orazione.


A Carlos

Tra le baracche dei miseri
del Brasile del nord,
Carlos mendicava pane e lavoro.
La turpe volpe che invitava a seguirlo
sembrava l’angelo della speranza.

Nel mistero il cavallo d’acciaio
divorava la strada,
la stella del futuro splendeva,
obliando gli amori lasciati.
Tra la distrutta foresta
Carlos infine arrivò
alla tomba del sogno.

In una radura di fango
la vita correva spremuta
dal torchio dell’immane fatica,
la farina del tempo lievitava
nei ventri di orchi rapaci,
serpenti di pietra con saettante veleno
vigilavano la perduta libertà.

Tra le abiette frustate dell’ira,
i macerati sanguinanti silenzi,
un giorno arrivò l’invito dal cielo:
Carlos vestito di vento fuggì,
tra lo smeraldo incantato.


Scricciolo d’uomo

Un passero in volo ridente
tra le gemme della primavera incantata,
ebbro di naturale fiducia,
volteggia sulle dimore degli umani,
Cinguetta chiedendo le briciole
della mensa imbandita:
ma il pane bianco
è una trappola
infame, che tarpa le ali,
che ghermisce la vita.

Anche tu scricciolo d’uomo
volante tra i sogni del tempo,
sei disceso tra regge dorate,
mendicando i semi
della speranza.
Ma i mostri del turpe denaro,
i rospi della palude del male,
ti chiudono in notti
di orrore e fatica,
scavano la fossa del tuo funerale.


Nel campo del dolore

Nel campo del dolore,
tra strazianti grida di obbrobrio,
si ergono le tombe del rancore.
Tra deserti di pietra
strisciano i serpi della disperazione.

Nel campo del dolore,
tra la crocifissa speranza,
sorgono le rovine della depressione.
Tra le mortali ferite
degli eredi della dissoluzione,
vagano gli sciacalli della creazione.

Nel campo del dolore,
tra il luminoso mistero,
nascono le rose della rassegnazione.

Nel campo del dolore
seminato dal risorto,
fioriscono i gigli dell’amore.
Ed appare la sublime speranza,
del futuro infinito gaudio.


A Olindo e Rosa

Olindo, Rosa!
Dove sono i vostri fratelli e sorelle?
Nel passeggero grembo del tempo,
la loro vita era in vostra custodia.

Ma voi, viscidi draghi ebbri di odio,
con la lama degli inferi avete sgozzato
i loro stupiti sorrisi,
il canto dell’innocenza.

Olindo, Rosa!
Il loro sangue grida verso il cielo!
In quale sperduta isola
di sogno avete lasciato
i flauti e le cetre dell’amore?
In quale mare in burrasca
di colpa e oblio avete navigato,
per schiantarvi tra gli scogli
della morte spirituale?
La nebbia della notte seppellisce
il vostro sguardo, il cuore
giace sopraffatto nella tomba,
l’anima s’inabissa
verso il nulla senza fondo.

Ma tra le montagne di ghiaccio,
le lapidanti pietre del rancore,
vola Carlo angelo del perdono.

Disperdete le fitte tenebre
del male, aprite gli occhi
ai raggi dell’aurora:
i semi della resurrezione
sono sparsi.


Solo per Te Gesù

Solo per te Gesù
l’ulivo fiorito della mia solitudine,
il volo della pura colomba
verso l’arcobaleno infinito.
Per te il mio silenzio armonioso
che si accompagna stupito
alla beata danza delle stelle.
Per te la mia celeste aquila,
le lucciole della preghiera
tra le notti del mondo.
Per te il nettare della mia voce,
il miele dolce e amaro della poesia.

Per te la mia femminilità fiorita.
Per te l’abbraccio d’amore
con i miseri e le misere,
le viscere che gridano giustizia.
Per te le preziose perle
delle mie sofferenze,
le capriole di gioia
sul prato della grazia.
Solo per te e per la Dea Gesù
ogni attimo del fiume dell’umano,
il mistero del mare della morte.


La tempesta del dolore

La tempesta del dolore
con furia immensa devasta la terra.

Distrugge il grano
delle anime,
travolge le colombe
dei pensieri,
annega le sirene
della gioia.
Manda i vascelli dei sogni
alla deriva,
flagella l’umile piantina
e l’albero che si proclama onnipotente,
rende funebri i respiri universali.

Ma la Grande Madre creatrice,
non ci ha lasciate/i in balìa
dell’orrenda fine umana.
I pianti e le ferite di noi tutte/i
puri/e e sacri/e, ci guidano alla gloria.


Andare

Lasciare i tumulti del tempo,
le sorde gelate corse dell’lo
e andare dove il mondo
è una foresta di ulivo,
dove libera vola
la colomba dello Spirito.
Dove, al suono dell’arpa incantata,
danzano le perle dell’amore
e i silenzi, le voci luminose
s’innalzano fra gli arcobaleni del sole.

Andare dove non impera più
il delirio della materia
e il vampiro del secolo
non succhia il sangue dei miseri e delle misere.
Andare dove l’ostia sacra del pane
si spezza per tuffi i e le viventi,
dove spariscono i funebri sguardi
e pura, gioiosa canta
la vita.

Andare dove la rugiada dell’incanto
stilla in tutte le anime,
dove il fiume dolce della poesia
irriga tuffi gli istanti.
Andare dove i fiumi e le nebbie
non appaiono più sul cammino del cuore,
dove nell’Eden del mondo
sboccia il giglio dell’orazione.


Compagno

Tra la soffocante afa dell’estate,
lo sguardo gelato della gente,
sventolando il vessillo rosso,
solingo te ne vai
compagno di “lotta comunista”.
Non ti spaventa il potente Dio denaro,
non ti annientano le delusioni della storia,
per te la verità suprema
s’incarna in Lenin e Marx.

E nel tuo ideale ti sprofondi,
lasciando ai e alle borghesi mari e
monti,
finirà la barbara stagione,
vi porrà fine la rivoluzione.
Il sangue sparso libererà il mondo
dall’infame giogo capitale;
non ci sarà più lo strazio del bisogno,
la terra sarà di tutti e di tutte: sarà un sogno.

Ma sul trono del tempo, compagno,
sta sempre assiso il vizio ed il peccato
e il vulcano dell’egoismo umano,
con la sua lava ci sommergerà.
Un giorno splendente d’infinito
tornerà la Dea Madre dal cielo
tutte le creature divideran
la gloria, la felicità
di tutti i secoli.


Il gioco del calcio

Quando, lo sfolgorio del sogno
brillava nel mio cielo,
quando, nel giardino dell’incanto
giocavo a rimpiattino con la gioia,
eri tu il mio mappamondo,
il sole splendente del futuro.

Le nuvole del tempo oscurarono
l’astro che avevo vagheggiato,
ma ardente di passione seguivo
le tue trame senza eguali.

Ora la stagione ha appassito
il giglio puro della tua lealtà;
ora non sei più felice corsa
tra l’arcobaleno della fraternità.
Sei tugurio di sguardi, di parole:
non hai anima
nella tua dorata vanità.


La mia vita non è qui

La mia vita non è qui,
tra le suadenti corse sfrenate
dell’essere che oblìa
la sorgente del sole.

La mia patria non é qui,
tra queste macabre danze di spettri
erranti nelle buie spelonche del male.

Il mio tempo non è qui,
fra questi vani trastulli
che portano alla tomba del nulla.

La mia terra non è qui,
in questo misero fango dove urla
senza speranza il dolore.
In questo gelido inverno
che ghiaccia le poesie d’amore.

La mia casa è nel grembo divino
da cui un giorno sono partita.
La mia vita tornerà là,
dove la perfetta sapienza
illumina il volo d’incanto.
Dove l’armonia della gioia
si sposa con l’eterno presente.


Giochi di bimba

Nell’aurora del tempo,
sui cavalli dei sogni,
galoppavo incosciente
fra gli incanti del West.

Nel verde mare con candore
guardavo Bufalo Bill
tuonare sul cibo dei miseri.
E sorridevo se fra le azzurre schiere
le orde rosse mordevan la polvere.
Ero contenta se Toro Seduto
invano invocava la madre terra
dal Grande Spirito.
E non piangevo se nel profondo Canyon
scorrevan rivoli di sangue e lacrime.

Come un semplice spensierato gioco
vivevo del West l’epopea atroce
e i miei splendenti eroi
bianchi e puri
erano le pantere della storia.


Amata dalla Dea

Quanto mi hai amata mia Dea,
quanto mi hai amata!
Le mie parole umane
muoiono nel silenzio,
non hanno suoni
per esprimere l’eterno.

Perdonami Divina Madre
se non so dire
quanto mi hai amata.

Da prima che tu seminassi
le sorgenti di questo fiume
dell’immensa creazione,
prima di ogni seme di vita,
io ero già prediletta
nel tuo cuore.
Sei stata tu a partorirmi,
non la carne.

La tua divinità creatrice
mi ha alitata vita
affinché cantassi al mondo
la tua gloria,
la soavità e il miracolo
del tuo amore.


Innamorata di Gesù

O Gesù, o amore!
Tu eri e sei un maschio.
Forse sei stato sempre e sarai
l’uomo più affascinante
della storia.
Anche per questo, io, Eva,
bramo con tutta me stessa
di essere totalmente tua.
O, seppur tra tante, mio agognato,
fammi prediletta del tuo cuore.
Vorrò essere la più bella
tra le figlie di Sion,
incantevole d’amore e d’ogni virtù.
O caro, o meraviglioso!
Nella mia femminile purezza
vorrei tu fossi mio in un Eden rinato.
E tu nell’amplesso supremo
della gloria mi guiderai.


In Congo

Le viscere del Congo
splendevano colme
dei tesori del tempo.

Il cibo dei ricchi
attirava miriadi
di bocche feroci.

Il fuoco incrociato
inceneriva
le misere
sostanze dei e delle semplici.

I morsi bestiali
straziavano
le virtuose colombe.

La morte macabra
danzava
in ogni respiro del vento.

In Congo
milioni di cuori
sono stati immolati
al satanico dio
dell’impero del lusso.

Quando i gioielli del mondo
come gigli orneranno
il cammino dei poveri e delle povere?


All’alta velocità

Alta velocità, malattia
tremenda, vitello d’oro
dell’orgia dei consumi.

Alta velocità, palio degli asini,
fatale corsa che nutre
i voraci vermi delle tombe.

Alta velocità, delizia
delle ghiacciate menti,
croce del canto dei poeti e delle poetesse.

Alta velocità, idolatrata dea
degli immolati
all’onnipotente tecnica;
fedele suddita,
dei distruttori della terra.

Alta velocità, freccia
che colpisce al cuore,
l’anima quieta
della contemplazione;
saettante folgore,
che incenerisce la preghiera.


La Primavera impazzita

La primavera, come fata impazzita,
è uscita dal suo castello d’oro
sul sole, sciogliendo nel vento
il gelo, la neve di gennaio.

I nudi alberi si vestono
di speranza, di gemme preziose,
i fiori schiudono gli occhi
contemplando l’astro sereno,
l’orso saluta la luce
uscendo dal regno dei sogni,
gli uccelli preparano i voli
verso la terra incantata:
rifulge di festa la vita.

Ma esule, nel vagabondo rifugio,
l’inverno rivuole la patria
nel tempo: armato di bombe ghiacciate
assalirà l’intrusa stagione,
annienterà l’arcobaleno fiorito.


La felicità eterna

Tra le trafitte chimere dell’io,
negli antri sepolcrali della storia,
mendicavo invano sorsi di felicità.

Tu, eterna immacolata luce,
nel fitto buio della mia vita
sei discesa, dando meta al labirinto
dei miei passi, splendore e pace
ai funebri silenzi.

Tu, con le ali dell’infinito,
mi fai volare oltre il deserto
dei desideri umani, le tombe
degli apostoli del nulla,
le spine lancinanti delle colpe.

Tu, mi hai riposta nel giardino
dell’aurora, nell’incanto oltre il sogno
delle stelle, mentre i
violini e le cetre
della mia anima stupita,
suonano per la terra intera.

Dal supremo monte della gloria.
è sceso in me il fiume della gioia
che scorre oltre le macerie, le dighe
del peccato, e porta al mare
della beatitudine.
Senza fine la mia felicità:
oltre ogni aspettativa.


A Gesù

O amore, amore meraviglioso,
amore terrestre e celestiale,
amore infinito, ineffabile.
O dolce, beato, inenarrabile,
amore, amore insuperabile.
Amore, resta nel mio cuore,
vivi e dimora per sempre in me.
Abbracciami, accarezzami, baciami.
Prendimi, penetrami, possiedimi.
O voglio essere tutta tua.
Non desidero che te,
non voglio più resisterti.
In un umano, divino amplesso,
ti prego sposami.
Gesù fai di me quello che vuoi.


Autunno

Se n’è andato
il calore dell’estate
e più fresca l’atmosfera
penetra il viandante
sotto il cielo incipriato,
La natura si sveste piano piano
dell’abito brillante
della festa della vita.
Le foglie gialle e rinsecchite
meste cadono dai rami
sulla tomba della terra.
Gli alberi nudi e spogli
tra poco diverranno
addormentati scheletri
tra sguardi desolati.

Ma dopo il mortale tempo
rifiorirà il miracolo;
sotto i raggi del sapiente sole
si risveglierà il creato.
Percorsi dall’infinito amore
non appassiranno più
le rose dei giardini
e gli usignoli innamorati
eternamente canteranno.


Gli artisti e le artiste Dell’Africa

Sul palcoscenico della strada,
illuminati dalle luci festanti
degli astri del cielo,
sotto lo sguardo pulsante e rapito
della semplice gente del popolo,
gli artisti e le artiste dell’Africa
sgranano le loro gemmule d’oro.
Danzano immersi/e in un vortice
straripante di gioia.
Cantano le travagliate,
feconde speranze
che inebriano di luce il futuro.

Ritmano coi tamburi battenti
le ferite e le delizie
degli uomini e delle donne.
La poesia vola nel tempo
struggente e amara,
palpitante di sogni.
Esplora i sacri misteri dei cuori,
solleva i veli delle inquietudini.
Come una fiamma arde d’amore
seminando chicchi
di giustizia e di pace.


All’artista

Da dove proviene artista
il miele dolce e amaro
della tua sensibilità,
quale somma, onnipotente ape
te l’ha donato?
E il tuo pesce d’argento
che nuota nel fiume della creatività,
forse da solo si è formato?
La possente aquila che si libra
oltre la cima del pensiero,
la colomba candida
che vola nel cielo della fantasia,
da che misterioso, affascinante
luogo provengono?

Tutta la grande arte umana,
l’incanto della sua bellezza,
sgorga nel tempo dal paradiso eterno,
dalla grande artista innamorata.
E allora dall’arcobaleno
del tuo universo splendido,
inneggia alla datrice di ogni dono,
dipingi la virtù dell’Infinito,
canta alla Sultana delle stelle,
diffondi un’armonia di pace.


Il giorno dei mort e delle morte

Sotto l’opaco, sbiadito cielo
di novembre
il giorno dei defunti e delle defunte
uggioso appare;
calma, solenne la processione umana
s’addensa nei grigi cimiteri.
I fiori che onorano i e le mortali
campeggiano sulle loro tombe;
commossi traspaiono i ricordi,
le gesta di chi giace nella polvere.
La nascosta Madre del mistero
oggi più vicina appare,
mentre divampava in seno al mondo
la crudele sorte
obliata e spettacolare.

Nel tempo che soggiace alla materia,
fra il folle annientamento del pensiero,
nelle insidie dell’esteriorità,
dal campo del silenzio
una speranza grida ancora:
“L’anima immortale ascende al cielo,
risorgerà la carne dalla tomba”.


In Messico

Ancora nel coriaceo Messico,
nella terra liberata
in cui nacque Emiliano Zapata,
i serpenti del degenere progresso
vogliono avvelenare la vita,
la cultura degli e delle indios del Morelos,
il loro libero canto.

I figli e le figlie della poesia del tempo
dalla loro madre terra
hanno imparato a leggere
la nebbia, il freddo e il calore,
ad ascoltare il suono puro
dei ruscelli,
a colloquiare con il vento.
Parlano dell’acqua il linguaggio
e danzando le chiedono
di scendere dal cielo.
Quelle persone che contemplano
gli spazi immensi all’orizzonte
dove si baciano col cielo,
sanno che la loro lotta
è per la sopravvivenza.
È grido di fraterno amore
che echeggia per l’universo intero.


I sei ragazzi

Dopo un rapido volo
fra le braccia della quiete domestica,
i sei arditi ragazzi
tornavano alla missione bramata.
Seminavano chicchi
di futura speranza
tra le rovine della pace annientata.
Dall’orrido tunnel
del consacrato terrore,
guidato da mani suicide,
un veicolo di morte sbucò
e, tra i poveri soldati italiani,
con atroce fragore divampò.

Non valsero scudi,
corazze blindate,
i sei sorrisi
giacquero al suolo straziati
assieme alle carni
dei miseri afgani.
Ma oltre le tormente del tempo
vola la vita:
al di là delle stelle
sono vivi gli incanti d’amore.


La neve

Cala dolce, felice,
immacolata e pura,
consola la natura,
diventa sua pittrice.

Cala intensa, radiosa,
innamorata, amena,
come mamma serena,
come fulgente sposa.

Cala vergine, bianca,
lieve come un sussurro,
il cielo non è azzurro,
ma la poesia non manca.

Contempla affascinato
Quel dono dell’Amore,
accogli nel tuo cuore
il suo messaggio inviato.

Non lasciarti distrarre
Dall’asfalto intasato,
non è un gran peccato,
la vita puoi ritrarre.

Torna docile sposo
Nella natura amica,
non sentirai fatica
ad essere affettuoso.

Torna candido, puro
Profondo come neve,
il tempo meno greve
sarà pur meno oscuro.

Torna a vestire il mondo
Di pace e di stupore,
diventa con ardore,
un solo mappamondo.


Alla Terra

La vetusta, generosa terra
impavida e solenne ha resistito
ai violenti cicloni e cataclismi
delle universali ere.
Ma ora giace attonita,
ferita e moribonda,
straziata dalle infime
percosse della storia.

Più non splende
di cristallo l’atmosfera,
non è più lo specchio terso
della sua prima aurora.
Nell’aria vola un vapore opaco,
pesante e tossico
come nuvola di piombo,
mentre le caste, diamantine acque
son diventate torbide
per le incurie umane.
La terra feconda di saggezza,
giace ostaggio della scelleratezza.

Tutti gli amanti,
i maestri del cosmo,
si alternano al suo capezzale
stilando diagnosi cupe.
L’illustre ammalata
ha bisogno di energiche cure:
di una viva sorgente di purezza,
di un incanto
che vibra d’amore e di bellezza.


A un kamikaze

In quale lontano
pianeta misterioso
hai lasciato la primavera
d’amore del tuo cuore?
Da quale inferno d’odio
e di disperazione
hai tratto la sostanza dei tuoi giorni?
Tu vivi gli spasmi dell’attesa
di ridurre in briciole le vite,
per questo tu ti struggi, t’immoli,
come demonio che aspira al cielo.
Il celato, chiaro
politico potere
sfrutta il tritolo dei tuoi sogni,
vestendo di puro religioso credo
il turpe abominio della tua azione.

Non hai pietà di donne e bambini/e,
di ignare/i viandanti della storia.
Il delirio ti rende cieca l’anima,
il fanatismo ti straluna gli occhi.
Lascia il suicidio macabro,
dimentica le strazianti
orge della morte.
La verità risplende
nella festa della vita,
nel grande, sublime Amore.


A Viareggio

Era estate e Viareggio
pulsava di vita;
l’orizzonte dei sogni turchino
si fondeva con le onde del mare.
Ma, dalla nebbia del tempo,
macabro arrivò un tragico errore
e il vagone del treno sussultò,
deragliò atroce.
Nella notte calma e serena
s’udì un tremendo boato.
Le fiamme vorticose si alzarono,
invasero intorno le case.

Le tenere carni, arse dal fuoco,
diventavano statue di cenere,
mentre le torce umane
impazzite correvano,
frastornate dall’orrendo destino.
Le vite sfuggite al falò dell’orrore
piangevano sui miseri resti
terreni.
E tremavano con frasi spezzate
di spavento e dolore,
immerse in un buio antro d’angoscia.
Ma la città è forte e valente,
saprà sciogliere nel sole le lacrime.
Potrà veleggiare ancora felice
nel mare del futuro.


Il mio ulivo della gioia

Discesa dalla suprema stella
del mistero
tu gioia ti sei deposta su di me,
triste pianeta derelitto,
scacciando le tempeste del dolore
i funesti temporali dell’assurdo.
E la mia fredda, desolata terra
è diventata un giardino di speranza,
sbocciando orchidee di bellezza,
gigli candidi di sapienza,
alberi da frutta del Divino,
rose rosse nel sole dell’incanto.

E la carne in cenere del tempo
non risplende più
all’orizzonte del mio sguardo.
I tuoni e le gramigne universali
non infestano e non scuotono
il mio ulivo della gioia.
Ora i sogni hanno ali
d’infinite aurore
e gli usignoli cantano
una beatitudine celeste.


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