Noi stupende femmine e donne in viaggio verso l’infinito

di

Eva Amore


Eva Amore  - Noi stupende femmine e donne in viaggio verso l’infinito
Collana "I Gigli" - I libri di Poesia
14x20,5 - pp. 84 - Euro 8,50
ISBN 978-88-6587-8217

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In copertina: «Girl walking towards the sea – people, nature and lifestyle concept» © Kar Tr – Fotolia.com


Vivo, o almeno cerco di vivere molto come sua figlia, in comunione con la Dea Madre. Questo mi spinge anche nel mio mappamondo, ad abbracciare l’umanità intera. In particolare, ho scelto di abbracciare con la mia preghiera innamorata, le mie sorelle femmine, di ogni latitudine e nazione. Le mie sorelle così spesso dimenticate e percosse, violate nella loro intima sublimità. La preghiera vera è amore in azione e contemplazione, non è colma di ipocrisia ed egoismo, lotta e vive per la vita e la gioia, la bellezza, l’armonia, la giustizia. Molto spesso la preghiera è “abitudine”, inganno, Questa può chiamarsi preghiera cadavere, fantasma. Eppure questo tipo di preghiera (a detta anche di persone autorevoli) stradomina nelle chiese cristiane e certo anche in altre religioni. Ma domina, anche se spero in modo molto minore, la preghiera bestemmia, che vorrebbe e chiede alla Divinità, la soppressione dei propri nemici e di fatto la attua. La terra è satura dal sangue sgorgato da queste preghiere omicide che di fatto negano (Dio o la Dea). Santificando l’orrenda loro putredine. Il dominio satanico dell’impero del denaro (che va combattuto credo con la bellezza, l’amore, la giustizia, la speranza, e una bella fede).


Vostra sempre Eva Amore


Introduzione

Vi stupirà questo mio riferimento molto accentuato alla Dea Madre e all’infinito anche nella sessualità, nel far l’amore. Ma l’amore, il far l’amore più profondo, con tutta l’anima e il corpo io credo, vada sempre oltre il tempo, come un’incommensurabile pura preghiera. Nel “vero” amore io credo che ci sia bisogno di dimenticare il proprio sé per dare all’altro/a il massimo del piacere e della gioia e viceversa. (Come viene calpestato l’amore, spesso ridotto a dominio, a possesso lubrico!).
Il maschilismo tende a calpestare la donna rendendola puro oggetto dei propri desideri, ed è il contrario dell’amore. La chiesa Cattolica, da parte sua, ha ridotto l’amore, la sessualità, alla pura procreazione, con l’imprimatur del matrimonio e ha quasi demonizzato la masturbazione.
“Ha ucciso la cosa più bella e naturale che è il sesso, l’orientamento di genere e di sesso, che può variare, studi psicologici alla mano, nonostante il corpo. Ha visto nel far l’amore, in ogni atto sessuale, sempre soprattutto il peccato, che poi può essere mortale e portare all’Inferno anche. È terribile come la chiesa Cattolica sia sempre stata così nemica del piacere, tanto da far dire a noi povere donne: “Non lo fo per piacer mio, ma per dare un figlio a Dio. Noi donne specialmente, siamo state defraudate da sempre dalla chiesa Cattolica del piacere e dell’amore. Siamo state spogliate di ogni ruolo, succubi del potere dei maschi. Siamo state rese fattrici (di bimbi) e madonne (povera Maria, come ha sofferto sotto il giogo degli ebrei e di Giuseppe!).
Ma Gesù no, non era così: come sono stata felice nel sentirmi sua fidanzata in diversi anni della mia vita!
Sono molto contenta nel sentirmi libera dall’oppressione clericofascista; ricordo che spesso andavo al confessionale solo per dire che mi ero masturbata.
Per un po’ riuscivo ad esser “casta”, ma poi il desiderio aumentava a dismisura (proprio come in seguito mi ha detto una psicologa) e allora mi masturbavo più di prima. Poi ci furono, per fortuna, anche i rapporti con gli uomini, da cui naturalmente mi sono sempre sentita molto attratta.
Io credo si debba fare “educazione sessuale” negli asili e nelle scuole sin già dall’età di 3-4 anni, con la necessaria tenerezza e verità; questo porterebbe a un grande beneficio. Un’educazione non maschilista, non omofoba, rispettosa della diversità. Un’educazione che continua nel tempo, cercando di coinvolgere le famiglie.
È questo credo il principale modo per sconfiggere il bullismo, per imprimere rispetto, per sconfiggere le malattie e le gravidanze indesiderate.
Ma forse siamo in un Paese troppo bigotto, sotto l’egida del Vaticano.
Bisogna anche dire che ci sono preti, suore e frati, che si oppongono decisamente allo strapotere ma vengono zittiti. Ci sono suore, io so, che sostengono i “diversi sessuali”.
Ci sono Teologhe in America che dicono chiaramente che l’erotismo, il far l’amore, portano alla Divinità. Ma ad esempio l’humane vite di Paolo VI e la voce da Imperatore di Papa Giovanni Paolo II hanno ucciso ogni germe di libertà sprigionatasi dal Concilio (è stata uccisa la Teologia della liberazione).

Vostra Eva Amore


Noi stupende femmine e donne in viaggio verso l’infinito


A tutte le sorelle donne


Alla piccola Orietta

Il tuo tenero fiore
era da poco sbocciato
al dono del tempo.
Rifulgevano gli astri
d’inviolato candore
nello sguardo stupito.
Sorrideva il divino
nei giochi fatati,
nel puro giardino.
La terra giace stravinta
dall’impero del male;
molti adoran la bestia
della pedofilia.
Sono lupi suadenti
e ghermiscono i bimbi,
li immolano lugubri
alla violenza sessuale.
Tu agnellina
di purezza infinita,
eri affidata
ad una belva feroce,
il tuo canto giulivo
veniva stroncato
dalla furia animale,
senza luce stellare.
Ora che l’angelo
ti ha vestita di cielo,
ora che l’aurora
non sprofonda nel buio,
prega per i bimbi
e le bimbe del mondo
che, nella fiaba incantata,
non incontrino mostri.


Mamma

Mamma!
Usignolo del canto della nascita,
fontana zampillante dell’amore,
verde oasi di pace,
regina dei sentimenti del cuore,
strumento prediletto di nostra Signora.
Che meraviglia tu ti sia riempita
del seme distribuito dall’Altissima
all’umanità per iniziar la vita!
Mamma!
Angelo della poesia familiare,
albero dai tanti dolci frutti,
sole splendente della gioia,
pane fragrante del dolore,
quieta preghiera alla Grande Madre.
Che stupore!
La vita che germoglia nel tuo ventre
e dona organi, cervello e anche un cuore!
Mamma!
Stella cometa della vita,
luna d’argento dello sguardo,
canto di ogni cammino umano,
giardino fiorito di ogni fiore,
pellegrina nella luce della fede.
Che miracolo!
Il frutto della tua passione
che lancia i primi vagiti sulla terra.
Mamma!
Strumento di ogni canzone,
pianeta stupendo di carezze,
balsamo di ogni ferita,
montagna immacolata del candore,
mistica attesa dell’universale Dea.


A Ilaria

Ilaria, braccata, raggiunta
dalle fatue meteore del tempo;
battuta, stordita dagli gnomi
maligni del mondo,
avvolta da una nube
densa e amara di lacrime,
cade nell’abisso della depressione.
I vividi arcobaleni di luce
diventano cieli di cenere;
il giorno e la notte rintoccano
le cupe note dei sepolcri.
E tra le forche piazzate,
i mille affilati coltelli,
Ilaria tenta di salutare la vita.
Tutta raccolta la schiera celeste
la salva dall’orribile sorte,
nel seno della Grande Mamma
lei trova luce, conforto.
I neri fantasmi del nulla
non bussano più alle porte del cuore;
la copiosa rugiada della Dea
scende tra i sorrisi dei fiori.
Verso il mistero
che porta oltre le stelle
Ilaria ora vola
verso la sublime Signora.


A Gilberta

Nel variopinto cuore
della terra d’Abruzzo,
Gilberta sfogliava i giorni
più ridenti di vita.
Nella sua primavera fiorita
sbocciavano gigli
di purezza incantata,
rose appassionate d’amore,
gardenie di feconda speranza.
Sul palcoscenico del tempo
Gilberta cantava
e coltivava i talenti
della sua ricca natura.
L’astro del futuro splendeva
all’orizzonte turchino.
Ma in quella notte
si scatenò il più orrido
mistero terreno
e mentre la sua anima
in cielo volava,
i suoi sogni
diventavano polvere.


A Jessica

Nella stagione del suo incanto di bimba,
tra i giochi fatati del tempo,
Jessica stringeva
tra le vele del cuore
la vita di Gesù amore.
E pregava
navigando nel mare dei sogni
verso un’isola di pace e d’amore.
E cantava con la voce
limpida e pura dell’angelo
della Grande Mamma!
Ma le burrasche del mondo
spingevano verso terre
rocciose e deserte
e la sua primavere fiorita
divenne arido autunno.
Tra le polveri foriere del nulla
Jessica era naufragata
e dalla Madre
più non si sentiva abbracciata.
Ma lo sguardo trafitto dal vuoto
non rimase per sempre ferito,
la Dea creatrice del mondo
lo guarì con balsamo eterno.
Gli occhi di Jessica ora contemplano
i paesaggi infiniti della speranza.


A Margherita

La notte pareva foriera
di limpida aurora di sole.
In un’aura di silenzio e stupore
luminosi le volavano i sogni.
Ma la natura maligna, questa volta
d’improvviso si scosse
e feroce assalì
quel lembo di terra,
i dolci, ridenti colli.
La sua linda dimora serena
barcollò, si frantumò atroce
e lei come sorpresa
da un orrido sogno
giacque tra le rovine della storia.
Una nicchia di buona sorte
la salvò dalla morte.
Ma gemeva, mutilata e ferita
dalle scorie del tempo
e piangeva sulla sua primavera
sepolta in quella tragica tomba.
I minuti ghermivano rapidi
le residue forse vitali,
le ore battevano lugubri
tamburi di disperazione.
Ma la speranza in Margherita
fluiva e come lei irrorava
i suoi angeli amanti.
Dopo due giorni
infernali di pene
la ragazza sorrise
si dissetò nella luce.


A Giacinta

In quella palazzina vetusta,
Nel cuore ridente e dolente del sud,
la nonna di Giacinta abitava.
Infusa di carità pura
La bambina cullava le notti
della veneranda ricamatrice
di sogni.
Ma i forsennati temporali
del tempo,
con l’aiuto delle incurie umane,
le fondamenta della casa
minarono.
E nel buio, percorso
dall’immane tragedia,
la costruzione crollò,
si sbriciolò come cartapesta.
Le fauci spietate
della morte
inghiottirono la vecchia immersa
nell’illusorio giardino.
Giacinta aspersa
dalla rugiada della buona sorte,
si destò immobile, prigioniera
tra le rovine del mondo.
I figli della vita
scavarono alacri
tra gli infimi scarti del tempo
e Giacinta come una reliquia risorta
rivide l’aurora
della speranza terrena.


Alla mamma di Cristina

Cristina era bella,
Cristina era dolce,
Cristina era in volo,
verso i più ridenti
lidi della vita.
Tu la contemplavi piena
di fertile speranza,
il tempo tuo specchiavi
nella sua soave danza.
Ma la notte rimbombò,
cupa assassina,
su quella strada di collina:
il viaggio di Cristina si coprì
di un manto spettrale.
Improvviso e feroce nell’alba,
ti assalì il dolore,
il tuo cuore ferito
non cessò di amare,
di pregare la Dea infinita.
Tristi scorrevano le tue preghiere
mentre sotto la croce
tu vivevi come Maria,
il supplizio e l’agonia.
Alla Signora tutto rimettevi,
A Lei eri soggetta in ogni cosa,
mentre andavi per la via dolorosa.
Ignoravi il perché di quella croce,
ma dall’alto ti parlò una voce,
illuminandoti il mistero.
Cristina era un dono passeggero,
dovevi restituirla al cielo.
Ora è beata in paradiso,
più nulla le deturpa il viso,
e mentre la tua vita va avanti
il tuo cuore è con Cristina,
insieme alla Divinità,
ed agli Angeli.


Ad Aurora

La dimora di Aurora si apriva
alle futili chimere del tempo,
tra i sordi schiamazzi del mondo
illusa appariva la vita.
Il cuore di Aurora, orfano d’amore,
si empiva di flebili note stonate,
di rivi di pianto,
di accorati lamenti
e, sul mare di rabbia
in cui navigava,
raggiunse l’isola della disperazione.
Tra la polvere intrisa
di veleni di morte,
nuvole d’inferno invadevano il cielo.
Ma nella notte, priva di stelle,
una speranza finalmente brillò
e, col fardello della sua fatica,
verso una dolce terra Aurora volò.
L’orrida, triste stagione
divenne una primavera fiorita:
mentre le pietre dei sentimenti
maturavano in morbido pane.
Dal regno dell’eterno presente
la Grande Madre un sorriso mandò
e, tra le fertili vallate
dell’anima,
il canto di Aurora libero echeggiò.


A Natascia

Natascia sui prati dell’infanzia
coglieva i fiori dell’innocente sapienza;
tra ulivi d’incanto volava
la rondine della sua primavera.
Ma dalla palude del tempo,
un ranocchio perverso sbucò,
ghermì il suo sorriso,
lo portò nel suo orrido nido.
Furono grida di obbrobrio e dolore
tra lo stridio di orripilanti catene.
Furono disperati silenzi e singhiozzi
nella macerata inutile attesa.
La vita come nascosta lumaca
viaggiava tra una foresta di spine.
Ma la speranza nel buio
che scioglieva i colori non tramontò
e, tra la vagante prigione,
un raggio di sole libero filtrò:
rapida come il pensiero
Natascia fuggì
nell’arcobaleno del giorno.


A Valentina

Quando parla Valentina
cantano stormi di usignoli candidi
e dopo il diluvio delle frasi morte
brilla l’arcobaleno
della parola vera.
Quando sorride Valentina
gli astri splendono nella cupa notte
e nel giardino dell’aurora
sboccia la rosa dell’incanto.
Quando ama Valentina
si effondono oceani
di suprema pace
e il leone e la gazzella
vivono abbracciati.
Quando prega Valentina
volano miriadi di colombe pure
e la Regina del paradiso
danza con le Beate.


A Floriana

Sorella Floriana fertilizzata
dalla bellezza
tu eri una primavera infinita.
Di preghiera inghirlandavi il mondo,
regalavi a tutti fiori di sogno
amavi anche la pecora smarrita.
Ma l’orrido angelo ribelle,
che con i suoi inverni il tempo gela,
amò un lugubre Adamo ghiacciato
che voleva profanare la tua rosa
e tu giacesti immacolata
nella sera.
Più di noi lassù sorella, ora sei viva
tra tanti lussureggianti giardini
irradiati dalla Divina eterna stella.
Ancor di più puoi pregare e invocare
che la nostra vita
non smetta mai d’amare.


A Veronica

Volava la candida farfallina
nell’arcobaleno fiorente dell’essere,
tra i giardini
che rigogliosi fiorivano
i sogni del futuro incantato.
Ma un sacro custode del tempio
della sua armoniosa purezza
si mutò in sacrilega bestia
per ghermire il suo tesoro nascosto.
Si difese la tenera amante,
dell’incanto che si specchia nel sole,
ma l’orribile mostro non ebbe pietà,
la violentò atroce.


Rinasca in Veronica
annientata; la gioia.


A una sordocieca

Non vedi il miracolo d’oro
del giardino del sole,
non senti le note soavi
della foresta incantata.
Ma, oltre i nembi oscuri del tempo,
i passi ammaliati della storia,
oltre le fatue chimere
che si annidano nel celebro umano,
splende l’astro
della Divina Madre.
Forse ti potrebbe guarire,
o consolare il pianto.
Al culmine del tuo giorno terreno
lascerai sorella le amare piaghe
che ti hanno infestata la vita
e volerai verso la stella
che non conosce tramonto.
In un oceano
di plenitudine celeste
danzerai leggiadra
e udrai il canto degli angeli
aspergere l’infinito di gioia.
Godrai con stupore sublime
della più fulgida eterna visione.


Alla mamma di Loredana

Giunta all’augusta cima dei suoi anni
la mamma di Loredana lascia il tempo
e tra le braccia della Fattrice eterna
reca la sua aureola di semplicità.
Porta le misere dolorose notti
della storia
vegliate al lume del candore,
le gioie delle fiorite stagioni
nel soave incanto
del giardino dell’amore.
Porta le croci dell’inverno
offerte alla Regina
delle speranze umane
i respiri del suo pellegrinare
sotto i raggi del sapiente sole.
Porta le sue terrene debolezze
frutto della caduca natura,
i fecondi, innamorati palpiti
della sua spiritualità.
Dai beati pascoli del cielo
sorriderà ad ogni creatura;
per arrivare all’infinito regno
sarà per Loredana la cometa pura.


In morte di Marinella

Eri giovane, nel fulgore degli anni,
la spietata belva del cancro
ti ha divorata la vita.
Eri felice, coltivavi
giardini di sogni,
la macabra madre di tutti i viventi
è venuta e ha distrutto i tuoi fiori.
Eri bella nella campagna in festa,
sposa soave di un romantico amore;
l’inverno spietato ha gelato l’incanto.
Ti ha ghiacciato il cuore.
Due pargoli con stupore allevavi,
figli della tua sacra passione;
hai dovuto lasciarli
nella valle del tempo
tra i temporali di lacrime
e i sorrisi del sole.
Ora non sei più
tra le stagioni terrene,
tra i furiosi uragani
dove impazza il dolore.
Sei volata tra le stelle del cielo
dove in gioia eterna
si trasforma la croce.


Le rose d’Africa

Le rose, che provengono dall’Africa,
hanno il calice colmo
del mortale veleno
che irrora le leggiadre fanciulle.
Hanno le spine conficcate
nel cuore delle tenere ragazze.
Le rose d’Africa,
hanno i petali rossi
del sangue delle giovani gazzelle.
Hanno lo stelo roso
dalla fame delle pure colombe.
Quelle rose non ornano più
il giardino della bellezza.
Come zizzania putrida
nutrono i vermi della sconcezza.


Ragazzine schiave

Covate in un umile,
misero nido,
le ragazzine sognavano
artificiali paradisi,
succulenti cibi,
serviti alle mense dei divoratori
del pianeta.
I mercanti d’anime
promettevano lo sfavillare
del tempo, matrimoni
di realtà e di sogno.
Ma la splendida reggia
era un’infame prigione,
le morbide carezze
stupro e bastone.
Le notti giacevano
maciullate dai mastini
del sesso,
con le fauci grondanti
vizi malati.
La vita dipingeva
calpestati sorrisi,
paesaggi infernali.
Ma, in un’aurora di luce,
apparvero gli gnomi
liberatori di quelle misere,
le ragazzine tornarono
a illuminare il futuro,
con il sole delle semplici.


In morte di Alba

Nel giardino fiorito
della sua primavera incantata
Alba danzava la vita.
All’orizzonte dei sogni
l’iride del futuro splendeva
coi suoi mille colori.
La festa dell’immenso creato
sembrava tutta per lei.
Ma la notte del tempo
s’addensò improvvisa
sui suoi limpidi giorni:
uno schianto crudele
sulla strada fatale
il suo sorriso ghermì.
Una sorgente di lacrime amare
accompagnò il suo commiato
dal mondo;
ma, oltre il pianeta
delle illusioni perdute,
Alba è volata
nella galassia infinita,
dove solo di gioia
canta la vita.


A Lara

Lara, sorgente d’acqua purificata
non zampillare mai inquinata.
Bianca agnellina ricca d’essere
non farti rapinare da statue in cenere.
Giuliva cerbiatta innamorata
non strisciare mai mercificata.
Volo di dolce allodola stellare
dal bieco tempo non farti fucilare.
Canto d’amore, usignolo del creato
fa che l’incanto non sia mai spezzato.
Primavera ingemmata di colori
ti supplico non appassire i fiori.


A Giorgia e Dalia

Giorgia e Dalia, volanti tra incanti
di terra e di mare,
come stupiti gabbiani
sono giunte alle isole di Sal.
L’oceano, immenso smeraldo,
attendeva la loro danza sull’onda.
La spiaggia d’oro splendeva
baciata dai raggi del sole.
Il cielo, dipinto da un artista sublime,
portava ogni giorno il sereno:
L’Eden invitava a restare.
Ma il viscido serpe,
che striscia nel giardino del tempo,
a due figli di Adamo
un potente veleno iniettò
e, nella notte stregata dal male,
Giorgia e Dalia supplicavano invano.
Tra le pietre dei cuori l’arena si aprì
e fu la loro tomba.


Risorgeranno le nostre care sorelle nel giorno dalla Dea Madre prescelto.


A Isabella

Dal fertile seno
di una famiglia in fiore
Isabella un giorno era sbocciata,
ma sin dagli albori
dei suoi respiri di tempo
era crocifisso il suo soffio vitale.
Una malattia
genetica gravissima
minava la sua tenera carne,
Seminava di dolore la vita
e immobile appariva il futuro.
Ma gli angeli dell’amore
da cui era sgorgata
come un raggio di stella
la tenevano viva;
col balsamo della tenerezza
vegliavano il suo travaglio candido.
Capaci ancora di sogni,
di pure visioni idilliache,
coltivavano un’ardita speranza
tra le braccia dell’umana ricerca.
Il cuore di Isabella
prigioniero smaniava
e nel parco dei suoi desideri
correva dietro a una palla
dipinta di sole.
Forse tra gli umani bagliori
la guarigione non sarebbe spuntata;
ma, oltre il tramonto
dell’olocausto terreno,
tra tutte le progenie del cielo,
ebbra di salute Isabella
certo sarebbe volata,
vivendo l’infinito incanto
di tutta la gente beata.


Comunione con mia madre

Quando, quasi di soppiatto,
hai lasciato madre
le tortuose vie della terra,
ho sentito singhiozzare
il mio silenzio
e il mare di pace
della mia solitudine
farsi burrasca di dolore.
Ho raccolto poi
nello scrigno del tempo
le preziose perle del passato:
ho rivisto le carezze
che a me e al mondo
avevi dato.
E ho capito
che l’angelo della morte
portava alla Divina Madre
i candidi fiori
dei tuoi giorni
e ti ho sentita viva
nel mistero dell’Eterno.
Tu, dai vertici della sapienza,
guidi i miei passi
sui sentieri della luce.
(Non si ottenebri mai l’intelligenza,
tra i futili fantasmi della Terra).
Tu, che dall’alto sei sorella
di ogni palpito, di ogni creatura,
sei la celeste compagna
della pellegrina mia preghiera.


Ad Alida

Alida infusa di bellezza e di grazia
arpeggiava la sua giovinezza.
Palpitava di sogni a miriadi,
offriva sorgenti di pace,
perle d’amore e purezza.
Ma nel campo sereno del gioco
un giorno avvertì uno spasmo atroce
e la scienza con voce crudele
derimò ogni speranza di dubbio:
aveva imboccato la via del calvario,
sarebbe giunta ben presto alla croce.
La gioia pareva sciogliersi
nel mare dell’inconsistenza umana.
Ma Alida brillava di fede
e il divino non sparì dal suo viso:
se tutto questo la Dea lo voleva,
lei era pronta con il sì del sorriso.
Lei si donava all’umanità intera
alle pecore lontane e sperdute
e mentre il male impietoso avanzava
preparò le sue esequie di luce.
Volle che tutti cantassero a festa
nel giorno benedetto e sublime
dell’incontro con la Madre Divina
nell’alto regno dei cieli.


A Fortuna

Sbocciata dal profondo
giovane e innamorato palpito
di una splendida mamma
ansiosa di porgerle
le più belle e preziose
aiuole del creato,
Fortuna cominciò a volare
tra le favole colme di stupore
del tempo.
Ma, presto un mostro inaudito
apparve nel suo sereno orizzonte,
l’imprigionò in una orribile cella
senza porte e finestre,
senza sorriso dal cielo.
La defraudò del suo angelico sguardo,
della più intima essenza dell’essere.
In un estremo tentativo del cuore
la bambina cercò di fuggire.
Ma, quell’infame padrone,
padre di tutti gli orrori,
la scaraventò in un abisso mortale.


Rifiorirà la nostra bimba Fortuna,
nella soave, gioiosa, fortuna del cielo.


Ad Ana

Nata in una terra
dove il ventre del misero
si nutre ogni giorno di vento;
dove l’impero del mondo
ghermisce la montagna del pane;
Ana parte verso la speranza.
Ma la terra promessa, d’oro
rifulge per i lupi della creazione.
Le spighe mietono, i granai ricolmano,
gli avvoltoi della disperazione.
La rondine del sogno non ha trovato
la primavera del cuore.
Ana giace immersa
in una prigione di fatica e dolore:
arancia spremuta mai baciata dal sole.
Il tempo scorre lento
col suo fiume di pene
che spegne i lumini dell’anima.
Ma tra le feritoie della notte,
Ana fugge,
ricercando l’alba.


A Mara

Mara gustava
le prelibate vivande del creato;
il giardino del tempo fioriva
di dolci primavere incantate.
Le albe del futuro,
fulgide di speranza,
rincorrevano stupite
l’arcobaleno dei sogni.
Ma il grembo misterioso del mondo
partorì una terribile aquila,
che le ghermì il sole,
le divorò la luna.
L’amaro sale della malattia
su di lei si spargeva
come brina sul prato
e, tra i muti usignoli dell’anima,
si scatenò la disperazione.
Un giorno, inviata dal cielo,
un’amica la visitò,
le parlò della Madre Divina.
E Mara cominciò a sostare rapita
nell’intima essenza della Dea,
finché giacque invasa
dalla pura sorgente divina.
Il tormento non fu più carceriere
della sua vita dolente;
sotto l’astro splendente della Mamma
rigogliosa la sua fede cresceva.
Il dolore del mondo
non era più figlio
dell’inverno del secolo.
Sposata alla bellezza
della Maestra Suprema,
Mara illuminava la storia.


A Rosalba

Rosalba non si è seduta
tra i soffici profumati vapori
che oscurano la luce del sole.
Non si è persa tra gli inviti suadenti
del nulla che sul suolo natìo
abbaglia di fastosi splendori.
Rosalba ha seminato
le sue primavere incantate
nel campo dell’Eterna Madre.
Assisa tra il cielo e il mare
contempla l’orizzonte turchino
vestendo d’infinito la storia.
Nella pace della Divinità,
tra lo stuolo di anime
incantate d’amore,
lei canta al regno dei cieli,
adora la Dea della gioia.


Poesia per un’amica

Fiorella, cara amica di sempre,
dove sono finite le rose
della tua primavera incantata?
La corsa impietosa del tempo
ha calpestato la tua stagione in fiore.
Sul tuo fertile campo assetato
d’amore, il contadino della notte,
ha seminato i rovi e le spine
che soffocano il sorriso del cuore.
La crudele lama della depressione
ti ha straziata l’anima
e non contempli più gli arcobaleni
di luce nell’alba dei sogni,
non senti più i menestrelli
che invitano a danzare la vita.
L’oceano di piombo del nulla
tremendo ti ha invasa e la giostra
di parole, musiche e colori,
non ti sveglia dal funebre letargo.
Crocifissa amica, la mia voce
sulle ali del vento ti manda
i canti di gioia che tu non sai.
La mia preghiera sale
verso l’infinito cielo
invocando la pace che tu non hai.
Esci dalla tana del dolore,
corri felice tra le colline del sole.


Amore di mamma

Mamma,
fecondata dal tuo sposo
nella limpida luce
della Divina Madre,
tu mi hai ospitata nel tuo ventre
come in una reggia regale.
Poi genuflessa al tuo dolore
come tutte le Eve della Terra,
sostenuta da un immenso amore
hai voluto la mia vita sul pianeta.
Mi hai bagnata alla sorgente del Divino,
mi hai nutrita con il latte dei tuoi seni
mi hai colmata di moine e di sorrisi
mi hai riscaldata tutti i giorni
coi raggi cocenti del tuo sole.
Io crescevo certo un po’ monella
ma tu con dolcezza mi ammonivi
guidandomi per il retto sentiero.
Proveniente da una miseria antica
non lesinavi il lavoro e la fatica
per dare a me ancor più del pane quotidiano.
Se qualche male mi ghermiva
t’affannavi per lenire il mio dolore
con la speranza racchiusa nel tuo cuore.
Il tempo corre dietro al tempo
compagno della crescita umana.
Io sempre più maturavo la mia donna
mentre la tua chioma diventava bianca
e il tuo amore sempre più profondo.
Ora cammini piano
appoggiata al tuo bastone.
Oh, Mamma,
ti sei fatta vecchierella
ma su di me ancora prodighi le cure
come al tempo della giovanile esuberanza.
Mio padre ormai ti ha lasciata sola
siamo rimaste io e te
sole in famiglia.
Sono tante le tue ottantasette primavere!
Ma ancora di faticare non sei stanca
nonostante le malattie e gli acciacchi.
Oh, Mamma!
Voglio vivere con te
esserti sempre di sostegno nella vita
finché respirerai su questa terra.
Voglio accompagnarti con amore
con la speranza che la nostra Signora
ci ricongiunga un giorno lassù in Cielo.


una mamma assassina

Oh mamma cos’hai fatto, mamma!
Erano tuoi figli mamma!
Erano carne della tua carne,
sangue del tuo sangue,
cuore del tuo cuore.
Tu li hai voluti, mamma!
Come l’albero vuole i frutti,
Come il cielo vuole il mare.
Tu li hai amati mamma!
Come il pesce ama l’acqua,
come l’uccello ama l’aria,
come il leone ama la terra.
Oh mamma, mamma, cos’è successo?
La tua anima un fardello di dolore,
il tuo cuore avvelenato dal pianto,
il tuo cervello reso mostro di pazzia?!
Oh mamma, mamma snaturata, malata,
assassina dei canti dell’amore!


Nel Darfur

I nidi delle candide, nere
allodole del Darfur
giacciono incendiati
dagli zolfanelli dell’odio
delle iene delle misere.
Le sorridenti gazzelle
del Darfur
hanno il cuore divorato
dai leoni sbrananti
l’amore delle semplici.
Le colombe di pace
del Darfur
sono state straziate
dalle tigri
nel mare del silenzio.
Le disperse angosciate
pecorelle del Darfur
sono nutrite dalle briciole
dei gaudenti impotenti.
I temporali di morte
del Darfur
aspettano gli arcobaleni
della vita.


A Cristiana

Ti ho incontrata,
con le mistiche preghiere di Taisé,
tra le speranze di giustizia e di pace,
tra i sorrisi e i canti universali.
Ridevi alle mie battute,
piena di stupito gaudio.
A Perugia raggiunsi
l’estro della tua fantasia,
instancabile percorreva il tempo,
ogni giorno creava una poesia.
In sogno salivi sugli altari,
nella storia della letteratura,
per omaggio e per lumi
pellegrinavi
sulla tomba di Cesare Pavese.
Eri fidanzata,
quasi sposa,
con uno scultore
nativo dell’Australia.
Emigrasti
ritornando dopo anni,
da quell’isola grandiosa.
Il matrimonio non cantava dall’allegria.
Tuo marito,
scuro e burbero,
ti maltrattava:
meditavi di fuggire via.
Dove sei?
Cosa fai?
Da tanto non ti sento!
È sempre nero il cielo?
Senza speranza il tormento?
Non canti più
ebbra di stupore
gli immacolati amori
nell’incanto dei fiori?
Risorgi, Cristiana,
vibra ancora
di meraviglia,
di bellezza!
Ritorna alla primavera,
alla giovinezza!
L’arte ti invita
a mietere allori,
la vita ti chiama:
ti dona i suoi tesori.


A nonna Jolanda

Nonna Jolanda ha cullato
i primi albori dei respiri
dell’innocenza
e, tra le preziose rughe del tempo,
dipinge grappoli di fiabe
per i sogni dei pargoli adorati.
Lei non sprofonda
nelle dorate trappole del mondo;
tra le alchimie, le tombe artificiali,
indossa sorrisi di semplicità.
Nonna Jolanda non cancella
le tracce della Signora della storia:
lei sa che ogni scintilla di materia,
canta lodi alla sua gloria.
Lei sa che la terra non ricopre
le virtù che inneggiano alla Dea
e, la sua preghiera paziente e docile,
si fa ponte tra la terra e il cielo.


A Marilyn Monroe

Bella, splendente
di seduzione fiorita:
quale abissale buco nero
ti ha risucchiato la vita?
La tua stella sembrava
regina della galassia,
i pianeti ti incoronavano
di diademi di luna,
meteoriti d’oro.
Seminata dalla Giardiniera amorosa
eri la rosa più meravigliosa,
dal tuo nettare miriadi
di api estraevano
il miele dei sogni:
quale crudele, sconvolgente
autunno ti ha appassita!
Famosa, ricca, osannata,
eri la Venere
dell’Olimpo umano:
quale blasfema onnipotente
guerra ti ha annientata!
I gioielli del mondo
ti rivestivano a festa,
le vivande del tempo
sembravano così succulente!
Quale malefico mago
ti ha spogliata!
Quale velenosa pietanza
ti ha finita.
I materiali sorrisi
non ti mantenevano viva,
avevi bisogno dell’amore,
che si librava infinito,
di un uomo che non ti squarciasse la vita.
Risplenderai gloriosa
nel trionfo della Dea.
Non s’adombrerà la luce infinita
della gioia incantata.


La dottoressa
(a una psicologa)

Nel sole della stanza del suo cuore,
la dottoressa accoglie le notti delle menti:
i fantasmi che macabri danzano
nel paese dell’assurdo.
Come luna s’immerge
nelle buie spelonche dei crocifissi Io,
lenisce le disperate piaghe degli esseri.
Paziente ascolta le storie del tempo
che come fiumi di piombo
hanno reso pesante la vita.
Le prigionie, le torture delle anime
che urlano il desiderio
di libertà e di pace.
I cinguettii di speranza
dal nido dei lugubri affanni.
Ascolta i risorti pensieri.
Ricamando la scienza con l’amore,
la dottoressa dona farmaci di serenità.
Tra le montagne di ghiaccio
offre carezze di umanità.


Noi donne tedesche

Noi, femmine, donne tedesche,
tra i sapori squisiti della festa,
abbracciando tutte luna e stelle,
danzavamo libere e felici.
Ma, provenienti da una notte oscura,
da un abisso di tenebre inneggiante
al più bieco, impietoso maschilismo,
in fitto, organizzato stuolo,
lugubri, assetati di violenza,
gli sparvieri della maschia
sessuale bestemmia,
si gettarono atroci su di noi,
eclissando i luminari del cielo,
ogni umano sguardo e sentimento.
Immondi, violarono la sacra intima essenza
della nostra femminilità indifesa.
Assuefatti
i potenti
osservavano distratti
e come Ponzio Pilato
si lavarono le mani,
vendendoci alla banca
falsa e ipocrita
della politica, della convenienza.


A Gigliola

Vagante tra le rovine
materiali del tempo,
nutrita da insulsi cibi della terra,
Gigliola sentì la voce
della Divina Madre
che l’invitava ad apparecchiar la mensa
dei più oppressi e poveri,
delle miserie del mondo.
Lei, umile e ubbidiente ancella,
si prostrò all’Universale Madre,
distribuendo sorrisi e pane
alle calpestate della storia.
Nel tempo dedicato
al sublime silenzio
dipinto di cielo,
l’arpa della Dea Celeste
le trasfigura la vita.
Ora, oltre il dolore del cosmo,
esulta in lei l’amore.
La fede e la speranza
non fanno più confini.


A Serena

Serena come il cielo
splendente di pace e d’amore
che azzurro si espande
all’orizzonte infinito dell’anima,
la ragazza danzava nel concerto dei sogni
i suoi anni più belli.
Nelle sere illuminate dagli astri
accesi dalla Regina Celeste,
dal tranquillo suo nido familiare
s’inoltrava tra la verdeggiante
natura assopita,
tra i candidi fiorenti gigli
alitanti respiri di vita.
Empita di poetico incanto,
la fanciulla dagli occhi di stelle
e dal sorriso di luna
innalzava alla Madre Divina
il dovuto tributo di grazie
per le meraviglie con grande dovizia
da lei elargite.
Ma, una sera di bellezza ripiena,
un apocalittico dragone
spense tutti i luminari del cielo
e la ridente pura fanciulla
nella notte stregata
giacque seviziata e stuprata.
Nell’aurora sfigurata
da perversi colori,
la delicata, splendida
Serena romantica,
perse l’arcobaleno della speranza.
Si sentì dilaniata
sin nelle più profonde
radici del cuore.
Uccisa nel sacro tempio
della sua femminilità,
del suo amore.
Tremante, tra le tenebre fitte,
arrivò ai binari del treno
e, urlando disperata
il nome del suo assassino,
immortalò sul web
la sua partenza dal tempo
maciullata.


Nell’aurora di luce della Dea Serena
vivrà l’incanto infinito.


Alla Dea Madre

Madre, nel tuo supremo amore,
hai trasfigurato in vita la morte.
Mamma di tutti i disperati pianti
che come fiumi in piena
attraversano la storia.
Grande Madre degli incantevoli sorrisi
che sbocciano nei cuori semplici.
Sovrana degli uragani dell’odio
che dissanguano gli abitanti del tempo.
Regina dei canti d’amore,
degli incanti innamorati della terra.
Dea Madre delle colombe e dei leoni,
dei gigli e dei crisantemi,
dei cataclismi e delle stelle splendenti.
Grande Sovrana di tutto il creato esistente.
Divina Madre stillante nell’universo
intero amore, gioia e speranza.
Divina Mamma, che fa splendere
nel tramonto l’eterna aurora.


Alle tredici ragazze

Investendo alla banca dei sogni
gli orizzonti luminosi del futuro,
chine sullo scibile umano
le tredici ragazze studiavano.
Un giorno che pareva donato
dal sorriso del cielo,
su un pullman vestito d’azzurro,
partirono per una festa agognata.
Il tempo scintillò di colori,
di limpide e pure risate,
i raggi sfolgoranti del sole
illuminarono l’intera giornata.
Quando già la nana gialla
tra le pitture del suo arcobaleno
da lungo tempo era tramontata;
quando già le sorelle stelle
a miliardi nell’infinito brillavano;
le tredici amiche, empite di gioia,
ripartirono verso
il loro sito lontano.
Ma, ad un diabolico tratto,
gli astri splendenti smisero
d’incantare felici.
L’autobus d’improvviso impazzì
e, le meravigliose figlie di Eva,
spezzate, a brandelli,
lasciarono la terra.


Vivranno per sempre le nostre sorelle,
tra le incantevoli feste del cielo.


Nelle braccia della Dea

Nelle braccia della Dea
non sento il male
dell’aguzzino del tempo.
Nelle braccia della Signora
non desidero più
i vanitosi gioielli
incoronati dal mondo.
Nel cuore della Mamma
non mi sbranano più
le belve feroci
divoranti l’amore.
Nell’abbraccio della Grande Madre
non m’incantano più
gli dei mendaci
della gloria terrena.
Verso il cielo con la Divina Madre
spandendo stormi di colombe,
incanti di preghiera e poesia,
latte e miele di fraternità.
Verso il paradiso con la Dea,
con voli di silenzio innamorato,
voci e solitudini
trasfigurate dall’infinito,
coi canti più stupendi della terra.


A Maura

Maura, miss Universo
di tutte le banche,
non ghiacciata dal freddo
calcolatore denaro.
Maura,
più che contanti
distribuisce sorrisi,
visioni incantate,
sogni di paradisi.
Maura,
colomba dal volo
calmo e leggero,
semplice canto stupito
che con l’ulivo di pace
circonda la vita.
Maura,
fiore dei pensieri
colorati dal tempo
che inghirlanda la storia
di chi il cielo
ha spartito con lei.
Maura,
stella che brilla:
di bellezza,
d’amore,
di dolcezza.


La Dea tra di noi

Splendente come luna
col sole tra le braccia,
bella più d’aurora
nell’Eden delle stelle.
Ristori con la gemma
del volto sorridente
il pianto di vite
grondanti la fatica.
Raccogli nel tuo cuore,
giardino sempre in fiore,
le erbe spinose del nostro egoismo.
Da te, in tutto il tempo,
zampillano sorgenti,
fiumi e anche mari
di grazia straripante.
Resta con noi per le vie del mondo:
Dea Madre tu sei pellegrina d’amore.
Sulle tue ali noi voleremo
con la speranza d’eternità.
Deserto rifiorito
diventa tutto il male
canto melodioso
risuona sul dolore.
Sii sempre innamorata
in mezzo a tutte/i noi,
Regina della luce,
rischiaraci la via.


A Gemma

Gemma s’è spogliata dei morbidi panni
delle borghesi speranze;
ha lasciato i ghiacciati vincoli
dei pregiudizi.
Libera nell’amicizia e nel calore fraterno,
è diventata una zingara.
Pellegrina nella carovana
del tempo,
condivide le ansie e gli affanni
della vasta nomade famiglia.
Vive il fascino sottile ed arcano
della vita che non soggiace
al ritmo prigioniero e sfrenato
dell’esistenza moderna.
Percorre le pure, serene avventure
cullate dall’incanto
di lidi vicini e lontani.
Immersa nel mare dello spirito,
Gemma non giudica le ombre nascoste,
le tetre fuliggini del male.
Lei, viandante in preghiera,
nella luce della Dea ama,
donando i tesori della sua umanità.
Ora il suo cuore,
incarnato nella Divina Madre,
è diventato gitano.


A Cora

Tutta suadente nel visibilio d’amore,
Cora viveva la vita leggiadra
dell’innamorata accolta e riamata
da Arnaldo, diletto del cuore.
Il creato pareva dipingere i giorni
e le notti di aurore incantate.
Tutto lo scibile dell’umano
vivere, del guardare e sentire,
era colmo di bellezza e di vita.
Ma, il tempo veloce e sfuggente,
disegnava sul viso di Arnaldo
ombre sempre più cupe e assenti.
Cora capiva, lacrimando pativa.
Inutile era per lei empire
il suo uomo ormai fattosi
statua annichilente di bronzo,
di moine e audaci carezze.
Tra i segreti che la tecnologia
apre, incoraggia e poi svela,
Cora scoprì il mistero
di quel denso buio spettrale.
Arnaldo ormai viaggiava lontano da lei,
dai graziosi frutti famigliari.
Un’altra donna l’aveva rapito,
l’aveva conquiso e imprigionato.
Folle di dolore e d’amore,
decisa ma con cuore soave,
Cora affrontò l’amato vitale.
Ma, ripieno di arroganza e sarcasmo,
Arnaldo la rigettò
come un fantasma sepolcrale.
Un giorno, nel sole temporale,
Cora in un bosco s’addentrò.
Dilaniato dalla cecità dell’odio,
reso mostro d’inferno e pazzia,
l’amato come belva feroce
l’assalì straziandola
in ogni fibra un alito di vita.


Possa la nostra sorella Cora
nel sole infinito della Dea
risorgere nel suo splendore Divino.


A Olimpia

Olimpia non indossa più
i vanitosi vestiti
del sarto del tempo.
Olimpia non si ciba più
degli indigesti alimenti
del cuoco del mondo.
Lei ora si copre
col vestito candido
ricamato dall’angelo.
Ora si nutre
dell’incantata poesia
della Sovrana del cielo.
Le sue notti si cullano
tra le braccia amorose
del ragazzo dei sogni.
I giorni stupiti adorano
accendendo
le luci alle anime.
Il futuro di Olimpia
col suo amore
volerà per sempre
tra le galassie infinite
che danzano eterne.


A Luna

Plasmata dall’infinito amore
con la somma corona dell’artista,
Luna immerge ogni aurora
nell’iride dei suoi fioriti sogni.
Sulla tela senza tempo dell’arte
dipinge in un’estasi di gioia
gl’incantevoli fiori variopinti
dei giardini della terra.
Nella luminosa festa dei colori
sublima i castelli del mondo,
le fulgide gemme preziose
del cammino della storia.
Pittura gli armoniosi paesaggi
distesi nella pace del pianeta
nello specchio magico del quadro
rende viva la natura universale
e nel suo paradiso di bellezza
trasfigura il male della società.


Grazie Signora

Grazie Signora,
per le meraviglie
della tua creazione.
Grazie per le immani galassie
che danzano festose nell’universo
verso l’infinito
del tuo eterno regno.
Grazie per le contemplanti
luminose stelle,
ancelle di te nel cosmo,
tue pure, illuminanti grazie.
Grazie, Dea Madre,
per fratello sole
che dona vita e amore
alla tua terra:
la rende specchio
della tua feconda luce.
Grazie, Grande Madre
per sorella luna,
speranza candida
della cupa notte.
Grazie per le immacolate vette
su cui salgono le anime verso il cielo.
Grazie per le tue sorgenti
che sempre spengono l’arsura.
Grazie per i fiumi, i laghi,
innamorati placidi,
maestri di virtù e di pace.
Grazie per i grandi oceani
su cui navigano
le conquiste umane.
Grazie Mamma Celeste,
per i deserti affascinanti,
messaggeri silenti d’infinito.
Grazie per i colli
scintillanti di smeraldi,
esuberanti, gioiosi nel sereno.
Grazie per i boschi, le foreste,
brulicanti di vita, di mistero.
Grazie per le sorridenti
incantate valli
fertili di speranza, di passione.
Grazie per le creature tutte
che cantano inni al tuo nome.
Grazie Dea Madre
per l’uomo e per la donna:
sudditi regnanti
del tuo terreno regno.


Ad Angelica

Angelica non vede più tra le ansanti
stagioni il viso solcato dell’amore,
dagli affanni e dal dolore di colei
che cullò il suo primo stupito vagito.
Non sente più le note
della cara voce che accompagnava
il flauto incantato della sua giovinezza,
e, nel meriggio dello svanire dei sogni,
empiva come un suono di luce
i deserti di buio,
arpeggiava la sua allegria.
Angelica si sente sola e tra i dipinti
del commiato del sole, raggiunge
la quieta dimora dei morti/e.
In mezzo alla carne assopita, il suo cuore
di pace s’imbeve e, a sua madre
che vive oltre la tomba del tempo,
confida i tormenti e le ansie
a cui son condannate le anime.
Dal mondo infinito un raggio d’incanto arriva,
e Angelica vola verso lo splendore
del mistero, squarciando il telo
che soffoca le persone della Terra.
La colomba della preghiera s’innalza
e, nella festa della Dea Madre,
la mamma conduce Angelica alla vita.


Amo stare con te

Amo stare con te Mamma,
perché sono la tua bambina piccola
e il latte del tuo cuore, Grande Madre,
fa fiorire in me
le più splendide orchidee dell’amore.
Amo stare con te Dea dell’Universo,
perché dei serpenti m’insidiano
e tu ti fai possente Aquila
per predare il loro veleno torbido.
Amo stare con te Divina Madre,
perché nel buio
mi fai mistica e splendente stella
tra le miriadi di stupende sorelle
in volo con me
verso l’infinito dei sogni.
Amo stare con te Dea,
perché mi fai gioiosa aurora,
in un’iride di bellezza e incanto
innamorata e sposa
nella tua Divinità.


Ad Alma

Assisa in un nido d’amore
Alma accoglie
gli erranti del secolo,
le affrante pargole perdute
nel deserto di piombo
del vizio e della solitudine.
Riceve i miseri figli feriti
dalle frecce dell’esistenza,
le succubi e violate donne
dal male del mondo.
Per tutti/e ha stelle di bellezza,
lune di pace e di saggezza
e, negli antri tenebrosi delle vite,
entra con la luce dell’aurora
risvegliando le virtù assopite.
Lotta contro gli apostoli del male,
i mostri che crocifiggono la storia
e vorrebbe disegnare
sui volti sanguinanti
limpidi arcobaleni di speranza.


A Dajana

Il giorno variopinto di luce
dell’incontro con Demetrio,
ben presto era eclissato
in una lontana buia galassia.
Un subitaneo lampo romantico
aveva conquiso il puro e ingenuo candore,
la bellezza di Dajana in fiore,
che in un effluvio sognante e sacrale
aveva abbracciato Demetrio
come l’innamorato suo sole.
Ma, dopo le primigenie false carezze,
dal cuore bruto dell’uomo,
nascevano biechi sguardi di pietra,
parole intrise di spregevole
umiliante veleno.
Con l’aspide della sua gelosia,
Demetrio le blindava
ogni musica di tempo,
ogni sguardo di sapienza e incanto.
Intriso di virulenza cieca,
spesso, senza motivo, la picchiava.
Dajana, giaceva, annichilita, prigioniera,
principessa spodestata
spogliata della sua incantevole poesia.
China sulle sue profonde
e laceranti ferite,
ogni giorno Dajana
perdeva la speranza.
Un giorno di sfibrante tortura
fuggì dall’orrenda prigione.
Ma il lugubre schiavista
della libertà e dell’amore,
non volle perdere la schiava
della sua brutale passione.
Nel disparire delle stelle,
con le tenebre dell’odio la scovò,
e ogni suo respiro,
ogni suo stupore annientò.


Possa la nostra sorella Dajana
continuare a vivere nel cielo
della meraviglia e dell’amore.


A Carola

Per strappare poche briciole
dalla mensa del mondo
Carola svolgeva nel tempo
la sua quotidiana mansione.
Una sera come ogni altra,
calma e placida, col sorriso nel cuore,
sotto lo sguardo romantico
della luna sorella,
lo stupendo sfolgorìo,
di tutti gli astri celesti,
pura e leggiadra,
Carola tornava alla casa natale.
Ma, tutta la bellezza universale,
d’improvviso si sciolse
ingoiata dallo spirito del male.
Due mostri dai loro cupi e neri antri,
all’improvviso sbucarono.
La ghermirono portandola
nel loro nido infernale.
Come i macellai più orrendi,
per tutta la notte,
anima e corpo le straziarono.
Nel loro buio brutale
per sempre volevano rinchiuderla.
Ma, piena d’amore l’aurora candida,
per un fuggevole attimo
le offrì un suo bagliore.
Rapida più di un baleno
Carola fuggì invano inseguita
dalle bestemmie dei due demoni.


Ritornerà la poesia ed il canto
nel cuore di Carola, nostra sorella.


A Diana

Splendente di gioventù e bellezza,
per il suo sostentamento e benessere,
Diana prestava le intense sue cure
in una famosa privata clinica
di aspetto integerrimo.
Ma l’illustre mago che vi dominava,
era un orrendo mostro
strisciante e nascosto.
Addormentava le donne
per rubarne gli ovuli fecondi di vita.
Mentre Diana riposante e ignara
nel suo candore placida dormiva,
orribilmente violata
cadde in un lungo artificiale riposo.
Si risvegliò imprigionata
e d’ogni cosa spogliata.
Aiutata da un angelico volo,
Diana si eclissò.
Trovò un telefono amico
e i militi ignoti
ben presto apparirono.
La clinica degli orrori
fu chiusa, annientata.
Ma Diana trema al pensiero
non troppo azzardato
che la sua essenza feconda
inconsapevole si sposi
con il fraudolento sperma del mondo.


A Clorinda

Nei campi sgominati del sud,
templi sepolcrali immolanti
alle dea produzione,
Clorinda, vittima e schiava
di una perenne, atroce indigenza,
per pochi spiccioli si offriva
come al più sontuoso, lauto banchetto
implorato e accettato.
La sua vita era per molte ore sospesa,
umiliata e imprigionata
dagli infami segugi
a servizio della mafia
manifesta e occulta,
stritolatrice della carne e dell’anima.
Clorinda respirava l’immane fatica,
racchiusa in una tenda
invasa dai cocenti raggi del sole.
L’astro splendente di bellezza,
di vita e d’amore,
per Clorinda era stato ridotto
ad uno sgherro infernale,
al più bieco e impietoso torturatore.
Un giorno il re sole
rifulgeva d’incanto;
molte sue sorridenti sorelle
distese come beate sirene
tra le spiagge dorate
e le onde turchine del mare,
godevano la plenitudine
sfavillante d’estate.
Ma Clorinda era sempre più avvilita
e soffriva, soffriva
nella sua asfissiante prigione.
Il suo respiro era sempre più fioco… fioco…
finché più non si udì, tacque e sparì.


Possano tutti gli astri del cielo
essere compagni alla nostra sorella
verso l’estate estasiante
e infinita del cielo.


A Milada e Romualdo

Nel magico, meraviglioso palpito
della sua primavera incantevole,
Milada intrecciava corone
d’oro e d’argento
per Romualdo, l’unica meta del cuore.
Anche il suo ragazzo gaudioso le offriva
avvolte in una sinfonia di sogno,
tutte le perle preziose della terra.
Nella calda atmosfera dell’estate,
tra la quieta natura assopita,
nascosti agli strali e ai fulmini
delle schiere arcigne e bigotte,
avvinti nel più sacro e orante
umano desiderio e mistero,
Romualdo e Milada facevano l’amore.
Le stelle plaudenti assistevano
a quel divino gioioso piacere.
La luna come fata celeste
li empiva d’incanto romantico.
Ma, in una sera accecata
dal buio planante,
frastornata da tuoni e da lampi,
Romualdo e Milada tornavano
al loro umile nido accogliente.
Ad un tratto, in un’orrida curva,
la loro minuscola
fragile auto sbandò
e il sinistro maciullante fragore
di un fatale camion incontrò.


Avvinti nel loro ultimo
abbraccio alla terra
i due amanti gloriosi volarono
verso il loro eterno amplesso celeste.


Ad Hamani

Nata in orrendo Paese
dove le donne sono meno di nulla,
baciata in fronte dalla signora fortuna
nella sua difficile infanzia,
Hamani con la sua famiglia emigrò
nella molto più accogliente Italia.
Qui, pur in mezzo al travaglio
di tante femminili nature,
la sua vita palpitava
di libertà e di sogno.
Cresceva in bellezza e sapienza
aspettando il ragazzo del cuore.
L’inferno di ogni giorno
delle sue pure, inconsapevoli sorelle,
capiva in modo assai più profondo,
respirando un clima più rosa e azzurro.
Un giorno che appariva
come un breve transito doveroso,
con la sua famiglia tornò
al nido, alla patria natìa.
Ma il sole che splendeva
benigno e gaudioso nel tempo,
per Hamani presto diventò
una nera nube gelata.
L’arcobaleno del suo futuro
veniva rubato e venduto
ad un truce, violento cugino.
Come despota assoluto la trattava,
come suo padrone di vita e di morte,
la considerava.
Ma un barbaglio di luce e calore
la Dea Madre le mandò
e rapida come il vento,
rivestita di speranza,
Hamani fuggì verso la sua alba.


A Olinka

Nel cuore della sua Europa,
Olinka svolgeva con straordinaria
lieta passione,
la sua universale missione.
Dopo aver calcato le orme
del globo intero e aver distribuito
non effimeri sorrisi
di speranza, giustizia e amore,
nelle terre più genuflesse e straziate,
con estremo coraggio si batteva
per le ultime, per tutti i reietti del mondo.
I suoi sermoni, nutriti
di umanità sacra,
svelavano i putridi, segreti disegni
dei tetri e omicidi
avvoltoi della creazione.
Denunciava i maschilisti e omofobi,
i razzisti di ogni genere e specie.
Dal loro nido negli inferi,
le sataniche voci le lanciavano
messaggi sanguinosi di morte;
come Gesù volevano annientarla.
Ma Olinka, sorretta
da un tripudio angelico,
invitava ancor più
i calpestati e le escluse
alle divine nozze offerte
dalla Dea Madre del cielo.
Ma venne il giorno delle tenebre fitte
dei nembi tuonanti
oscuranti ogni luce.
Un Satana armato all’improvviso sbucò
e la fiorita rosa di Olinka
dal tempo eliminò.


Ma, dopo lo strazio terreno,
la nostra cara sorella
presso la Mamma Celeste fa festa.


Alla Mamma Celeste

I nostri sguardi,
purificati dalla divinità
ti contempleranno Dea Madre
Regina del Paradiso,
più fulgida e potente stella.
Ci inonderai di beatitudine celeste
che tu donerai in sommo grado
a noi tutte tue creature
dalla terra molto martoriate.
Ci stringerai tra le tue braccia innamorate
ci cullerai come bimbi,
come bambine ormai rinate.
C’illuminerai su ogni mistero
che vive tra la terra e il cielo.
Sarai per noi maestra
d’incanto e di bellezza.
Ci elargirai ogni totalità e tenerezza.
Ci espanderai in un amplesso
a noi più caro e amato,
in una mistica estasi stupita,
nell’amore e nella gioia
per tutta l’eternità.


A Charles Darwin e a Emma

Toccato dall’infusione divina
dello scientifico genio,
Charles Darwin esplorava
tutti i respiri nel tempo
della misteriosa materia.
Il fitto mistero dell’aurora di vita.
L’alba primordiale,
sino alla più grandiosa
evoluzione dell’essere.
Con la sua razionale natura,
Charles altresì soppesava i pro e i contro
della matrimoniale scelta.
A dissolvere ogni sua nube,
fu la splendente Emma;
già compagna dei sognanti,
infantili suoi giochi.
Nei tempi infausti e bigotti
della vittoriana era,
lei pur molto religiosa si ergeva
nella libertà dell’amore.
Con tutta se stessa seguiva il marito
e lo sosteneva nel suo cammino
erto e difficile che gli ipocriti
consideravano ateo.
L’immane fatica empiva
di sofferenza il suo corpo e la mente.
Ma Emma, col paradiso
della sua femminilità,
in ogni modo lo curava
e lo incoraggiava
per i giusti frutti dell’albero
dei suoi studi, del suo sapere.
Tra i più soavi sospiri del cuore
Emma scrisse a Charles
la più meravigliosa lettera
di una donna pazza d’amore.
Tesoro, gli sussurrava candida,
senza di te la mia vita non è niente,
non vorrei più neanche esistere.
Charles, amore, amore mio,
ti prego non mi lasciare.
Sai, senza di te mi sento triste, sola
e anche l’eternità sarebbe nulla.
Sarò sempre tua, tutta tua,
anche in paradiso.
E Charles, eletto maestro di ogni scienza,
ma dal cuore tenero e romantico,
poneva quella lettera sublime
nello scrigno più profondo di se stesso.
Tra le nubi e le stelle di ogni giorno,
Charles innaffiava il suo incontro d’amore
invaso da una musica
di commossa gioia,
con le più stupende, alte e feconde lacrime.


Fu la fulgida, innamorata Emma
in morte del grande suo Charles Darwin,
ad illuminare quell’era
così cupa e buia,
portandola alla luce della scienza,
con gli scritti dell’intrepido marito.


Charles Darwin che continua a illuminarci.


In te Dea Madre

In te le grida senza consolazione
sospese sui profondi abissi del nulla,
trovano soccorso in soffici distese
di splendenti albe,
in cui cantano
gli usignoli della speranza.
In te gli acquitrini della disperazione
si mutano in incanti fiabeschi
su cui danzano
le meraviglie della gioia.
In te le candide delicate farfalle,
come leoni ruggenti sbranano
i draghi della morte;
come possenti aquile si librano
nel cielo infinito.
I ciechi adoratori
dei paesaggi del male,
i travolgenti tornado dell’orrore
che popolano di scheletri la terra,
a te Grande Madre
si piegheranno tremanti
quando in un tripudio di stelle
apparirai all’imbrunire del tempo.
E sarà pace, gloria, e felicità eterna.


Tu Divina Madre

Il mondo si sprofonda
nelle dorate sabbie mobili
e divora i frutti di passione
dell’albero del tempo.
Noi, semplici gigli sbocciati
dal tuo cuore innamorato;
noi, sorelle lucciole
nate dalle tue nozze
oltre il tempo,
come stelle marine c’immergiamo
nell’oceano infinito del tuo amore.
Le notti si trasfigurano di astri
che illuminano le buie
strade della storia.
I giorni in un volo libero
si uniscono ai canti beati in paradiso.
Tu splendida Creatrice
di ogni meraviglioso incanto,
tu Divina Madre e maestra
delle nostre contemplanti estasi,
fai spuntare su ogni nostro sguardo
la tua luna gravida di grazia.


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