Il ragazzo di Montìcola
una storia tra vero e simile

di

Flavio Cerroni


Flavio Cerroni - Il ragazzo di Montìcola <br> una storia tra vero e simile
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14x20,5 - pp. 192 - Euro 12,50
ISBN 978-88-6587-4639

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In copertina: fotografia dell’autore


Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono immaginari. Qualsiasi rassomiglianza o riferimento con persone, cose, fatti o località realmente esistenti o esistiti, è puramente casuale.


PREFAZIONE

Questa è la storia complessa di un ragazzo semplice, la cui vita, liberamente rivisitata, viene raccontata non per se stessa, ma come espressione di ricordi volutamente disarticolati, ma reali.
I personaggi, anche se a livello emblematico, sono in sé veramente esistiti in un ambito ben conosciuto e datato, le cui coordinate, però, sono state opportunamente modificate e, quindi, non facilmente identificabili. Il ricorso all’immaginazione è l’espediente, che consente di mettere insieme tutti i pezzi di un’esperienza esistenziale strettamente personale.
All’interno, poi, viene narrata, fra le tante, anche la storia di un amore, fisico e platonico insieme, vissuto tra fedeltà e infedeltà, che tende a emergere dal contesto, storia che viene spesso sacrificata a favore di elementi di contorno. Al tutto fa da collante l’affermazione di valori irrinunciabili come la famiglia e la tradizione.
L’insieme risulterà gradevole, se la lettura verrà fatta senza pregiudizi di tipo intellettualistico o ideologico. Ciò che interessa all’autore è, infatti, che il lettore abbia la consapevolezza che la storia degli individui è grande per se stessa oltre che per la mole o la straordinarietà delle imprese, da loro compiute. L’equazione, che emerge da questo breve romanzo, sta, dunque, nell’idea che le persone umili possono diventare grandi per il fatto stesso che il successo è appannaggio di tutti.

L’autore


Il ragazzo di Montìcola <br> una storia tra vero e simile


A mio figlio Aldo


Un grazie di vero cuore a mia moglie per la
preziosa collaborazione offertami durante
la stesura dell’opera.


Cap. I

Il protagonista della nostra storia era nato in tempi, ormai lontani, in un mondo tra il reale e il fantastico, come appaiono spesso i deliziosi paesini della nostra bella Italia.
Oriella, la madre, un giorno annunciò a Fabio, il padre, davanti al camino, dopo la raccolta delle olive, che aspettava da lui un figlio. Da allora i due, insieme ai frutti della terra, attendevano, con ansia e gioia nello stesso tempo, la nascita del figlio desiderato. Tutti gli animali, dalle lucertole alle galline, alle pecore, al cane Poldo, ai gatti Micio e Micia e agli altri, sembrava che avessero, nei confronti di Oriella, un rispetto e un’attenzione del tutto particolari da quando avevano intuito, per un istinto innato, la singolarità della sua nuova condizione. Corrado – così sarà chiamato il nascituro – deve aver sentito, stando nel grembo, questo tripudio di sentimenti da parte dei suoi futuri compagni di viaggio. E sembrava approvare se, come raccontava spesso la mamma, quando questi amici animali si avvicinavano a lei, avvertiva un festoso movimento dei piedini in formazione.
Papà Fabio, intanto, si dava un gran da fare per curare al meglio le sue piante da frutto, pensando, forse, a spremute future per il figlio in arrivo, così come le viti, gli ulivi e tutte le gustose varietà di ortaggi dispersi nel vasto campo.
Era piena estate quando nacque, nell’anno di grazia 1942. Nella modesta casa, l’ostetrica del paese si dava un gran da fare, tra pentolini e fasce, per rendere il più possibile naturale e indolore il parto. Sembrava così felice che non si sarebbe potuto distinguere chi delle due fosse quella che doveva partorire.
Di nascosto una capretta, con lo sguardo compiaciuto, osservava l’evento e, per la gioia, con le zampe anteriori graffiava la terra violentemente, scavando un solco profondo, alla stregua di un futuro papà di oggi, che cammina senza meta per i corridoi dell’ospedale, ansioso per la dolce attesa.
Fabio, nell’attesa, andava raccogliendo i fiori di campo, scelti con particolare cura, da offrire a Oriella, una volta divenuta madre, segno di un amore non sempre platealmente espresso, ma carico di significato e di concretezza.
Corrado era, dunque, di umili origini, essendo nato da padre contadino e da madre massaia da sempre, due persone degne di essere annoverate, a pieno titolo, tra i grandi della storia, per il ruolo determinante da loro svolto in ordine al progetto ambizioso della ricerca del successo umano e professionale del proprio figlio, come vedremo.
La loro casa, la casa del nostro protagonista, era modesta, ma graziosa, situata in un luogo lontano dai frastuono della città, contornata da boschi, valli e monti, una cornice naturale, che un pittore, per quanto geniale, non sarebbe in grado di rappresentare nelle sue tele. Un quadro, tra l’altro, mutevole con il variare delle stagioni.
Il neonato viveva allora in simbiosi con piante e animali, che popolavano, quasi persone, quell’ambiente. Si sentiva come un re nella sua reggia, con la piccola o grande differenza che, nel suo caso, la complicità fra esseri viventi era del tutto naturale: il mondo animale e vegetale, l’infante e gli altri esseri viventi costituivano un unicum.
In casa lo chiamavano affettuosamente Corradino. All’anagrafe, invece, era stato registrato, come è stato anticipato, col nome di Corrado.
Per la registrazione dovettero recarsi al paese, Montìcola, nome che alcuni fanno derivare dal latino montis+cola (abitante del monte) altri, invece, da un uccello, il “montìcola” appunto, un passeriforme. Tutte e due le interpretazioni possono essere ritenute valide sia perché nel paese vi era stata, nel lontano passato, la presenza di una gens dell’antica Roma, di cui rimaneva il rudere di una villa romana, sia perché, in quel territorio, nidificavano i passeri.
Il sindaco veniva eletto in una della due liste civiche presenti nel paese, che erano formate per lo più in base alle parentele, più che su precise appartenenze politiche.
L’addetto alla trascrizione dell’atto di nascita, lontano parente e amico di giochi di papà Fabio, modificò la formula “Oggi… è nato un bambino…” in “Oggi… è nato un bel bambino…”. L’aggettivo “bel” lo aveva aggiunto a matita. Uno strappo alla regola da perdonare in nome di una grande amicizia.
Subito dopo la nascita, fu allattato dalla mamma e, successivamente, anche dalla mucca Candida, che papà Fabio aveva acquistato, alla fiera del paese, qualche giorno prima del lieto evento, e che produceva latte in abbondanza.
Il neo papà per la gioia cantava anche, durante il lavoro, lui che normalmente rifuggiva da esternazioni di sorta.
L’estate sembrava, in quell’anno, mostrare tutta la sua potenza: un modo per partecipare all’evento. La robusta e vellutata ginestra faceva mostra di sé in mezzo ad una natura riarsa, ma non completamente, tanto che qualche passero faceva ancora capolino tra gli alberi ombrosi. Forse era lì a testimoniare che noi tutti siamo figli della stessa madre: la Natura.
Il padre sentiva la responsabilità del suo ruolo e quando, stanco, scendeva dai monti, lo accarezzava con le sue mani ruvide, ma calde del sangue comune.
Mamma Oriella dalla sua esperienza traeva spunto per inventare ninne nanne, frutto della fantasia e della realtà insieme:

“Dormi, dormi mio piccino,
non pensare al tuo destino.
Brutto o bello ch’egli sia,
correrai per la tua via,
che sarà – lo dico io –
controllata dal tuo Dio.
Ninna oh, ninna oh,
tu sei tutto quel che ho”.

Non gli venivano narrate storie di lupi cattivi o di orribili orchi; al contrario, gli venivano fatte descrizioni di valli e monti popolati di ogni genere di animali, tra cui anche quei lupi e quegli orchi, che, per i genitori del nostro Corrado, altro non erano che leali compagni di viaggio.
La povera mensa era imbandita in modo semplice, ma con cibi genuini e abbondanti: latte fresco di mucca, di pecore e capre con rispettive ricotte e formaggi, carni degli amici animali, immolati per il bene di tutti, e frutti odorosi.
Il giorno del battesimo di Corradino nell’aia era tutto pronto per la festa. Il recinto era stato ristrutturato di tutto punto e festoni con fasci di biada lo adornavano con grande evidenza. Al centro un nuovo soggetto pascolava allegro: un asino, che papà Fabio aveva acquistato per l’occasione, lo stesso che avrebbe portato in groppa fino alla chiesa del paese il piccolo Corrado in braccio alla mamma, alla stregua della famiglia di Nazareth.
Il parroco della chiesa di S. Bartolomeo, don Severino, venne ad accoglierli sul sagrato, come un padre putativo, che gioisce nel fare la conoscenza del figlio voluto da Dio. La capretta, non vista, aveva seguito il corteo battesimale e, come era nella sua indole, si era messa a spiare da una porticina laterale della chiesa, lasciata semiaperta da un distratto fedele.
Le poche persone all’interno intonavano canti, che di sacro avevano soltanto i testi, essendo la melodia molto simile ai canti di montagna, perfettamente in tono con l’ambiente.
“Io ti battezzo…”. Corradino, inondato dall’acqua purificante, invece di piangere, rideva e gli occhi splendevano di una luce simile all’azzurro del cielo e al bianco scintillante delle nevi.
L’allegra comitiva, tornata a casa dopo la cerimonia, si ritrovò nell’aia rivestita a festa e, mentre Corradino beatamente dormiva, si consumavano i genuini prodotti della terra e si sorbiva il vino conservato per le occasioni importanti, quasi nettare degli dèi. Il più allegro di tutti era papà Fabio, che aveva dismesso le vesti austere del pater familias e sembrava tornato bambino. Mamma Oriella, invece, ogni tanto si avvicinava al lettino di vimini per cullare il protagonista, che era ovviamente inconsapevole della festa. Tutt’intorno l’allegra compagnia degli animali: chi belava, chi ragliava, chi abbaiava, chi miagolava, e sull’albero, in posizione privilegiata con vista a trecentosessanta gradi, cinguettava, orgoglioso per l’indiscussa bellezza del suo canto, un usignolo, venuto per la circostanza non si sa da dove.
Stanchi, ma felici, a sera inoltrata tutti gli invitati alla festa se ne andarono a letto e sognarono un mondo d’amore.
Cresceva veramente bene Corradino, mangiando frutti selvatici, bevendo il fresco latte delle pecore, delle capre e della mucca Candida, coccolato dai sornioni Micio e Micia e protetto dal vigile Poldo. Veniva su robusto: prometteva bene anche per la lontana, ma realistica successione. Quando il nostro cominciò a camminare, anche se con passo incerto, papà Fabio lo portò ad esplorare i luoghi, che circondavano la casa fino a quel viottolo verso la collina al culmine del quale si ergeva un’edicola sacra, che egli aveva eretto con le sue mani callose in onore di un santo non meglio identificato, data l’immagine approssimativa, che era stata dipinta all’interno. Egli diceva che era dedicata al Santo Pastore: il santo, infatti, era contornato da figure di improbabili pecore e capre.
Trascorsero i giorni e la nuova vita non turbava, anzi dava senso ad ogni azione. Il piccolo rideva e piangeva, segno che cresceva e sembrava prendere coscienza del suo ruolo di protagonista. La mamma lo cullava nel lettino di vimini dal profumo di biade non contaminate. Giocava con le galline uscite dal pollaio e, in particolare, con quella capretta, che lo aveva atteso con impazienza e che lo aveva visto nascere.
Era un piacere vederli i due, Fabio e Corrado, al tramonto, assistere compiaciuti al calare del sole. Un pretesto per il padre-pedagogo per convincere il figlio, vispo e interessato, ad essere come il sole: andare a dormire, dopo una giornata vissuta alla scoperta di cose meravigliose con lo stupore del “fanciullino”, insieme al genitore egli stesso fattosi fanciullo.
Corradino non fu mandato, a tempo debito, a frequentare l’asilo a causa della distanza, che separava il podere dal paese. Le strade rurali, inoltre, sconnesse e spesso innevate, non consentivano un agevole cammino.
Ciò non pregiudicò l’educazione del bambino, che, anzi, aveva la possibilità, forse un’agevolazione, di imparare direttamente dalla natura, con cui era continuamente a contatto, le leggi eterne della vita. E il papà e la mamma gli davano insegnamenti, frutto della saggezza proverbiale dei contadini e dei montanari.
Un giorno accadde un fatto straordinario: la mucca Candida aveva le doglie. Papà Fabio lo portò nella stalla e lo fece assistere al travaglio e al parto. Lo stupore del bimbo traspariva dalla luce beata dei suoi occhi.
“Come lo chiamiamo il vitellino?” gli chiese il padre.
“Celestino!” rispose con orgoglio e senza esitazione il piccolo Corrado.
Il bambino forse voleva celebrare con questo nome la bellezza del cielo, che era abituato ad osservare dalla nascita, e, nel contempo, sottolineare che la nuova creatura era un dono di Dio.
Celestino diventò per lui quasi un fratello, come se Candida fosse quasi una seconda mamma. Del resto era anche e soprattutto lei che lo nutriva con il suo latte. Capretta e vitellino erano dunque ormai per lui componenti a pieno titolo della famiglia. Non nascondeva la sua gioia quando al risveglio i due lo attendevano fuori dalla porta di casa per iniziare insieme la giornata. Con loro giocava di gusto facendo capriole sul prato sempre verde a primavera e ricoperto di neve in inverno.
La mamma osservava la scena da lontano e sorrideva compiaciuta nel vedere quegli strani amici di gioco, che sembravano non curarsi della pur evidente diversità.

[continua]


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