SISIFO
(ovvero della fatica dei poeti)
In quel fondale di interminabile tramonto
in quell’orizzonte liquefatto
nella metafisica del crepuscolo
come ombre cinesi
infaticabili da mesi da anni da secoli
gli attori si spogliano dei punti cardinali
(una famiglia l’albero che protegge la casa
un lavoro il fiume corrente della gente)
nudi
e ancora e di nuovo e sempre e mai
servi e semidei
guardiani inermi della notte
si dispongono all’assurdo lavoro
Ti potrebbero sembrare fantasmi di cicale
impigliati nella scorsa resinosa del gran pino
morti
allo stordente frinire nell’estate del mondo;
il vento li muove in danza armonica
ora di spalle ora di fronte
ora lontani ora vicini
a volte l’uno all’altro stretti
sembra non provino fatica i ballerini
nel piegarsi al carico, raddrizzare la schiena
nel salto del fosso, nella piroetta
e il muro delle pietre squadrate pare non avere fine
e il numero dei parallelepipedi divelti
spostati in avanti si perde
Non c’è logica, manca il significato:
quel muro costato fatica sudore
umiliazione pianto esilio dalla luce caduta
quel tempio bello d’illusione
quella multiforme chimera
dopo il tramonto e la notte
chiederà d’essere abbattuto
e riedificato, in avanti__ ancora
PRIMAVERA
NUOVO, IL SOLE
Sembrava spento il Mondo
Il Sole malato
oppresso dalla nebbia
battuto dalla Notte
strani incubi invadevano il buio
Controvento le oche selvatiche
s’innalzarono in volo – sulle cime e oltre
La luna galleggiava nelle valli piccole
Le stelle erano diamanti sparsi
sui ghiacciai incastrati tra le rocce
In formazione volavano
Instancabili volavano – ancora e oltre
e il vecchio anno fu scavalcato
e il vecchio tempo si frantumò
precipitando nel passato
Nuovo, il sole forò le nubi
si allungò nelle nostre menti
Noi, in fila, sparpagliati tra i monti
sentimmo la pelle della terra
solleticata dai germogli nuovi
Ci parve nell’aria il profumo delle viole
NEL MACERO DELL’ERBA
È in questo morirci dentro di languore e nostalgia
nella stanchezza della montagna sostenere
quel gelido candore anche quest’anno
nella spossatezza del nido spagliato
impiccato all’albero vuoto
questa fitta di malinconia
Nelle nostre rughe scavate dall’inverno
scorre invisibile un brivido di morte
Un volo tondo di sfiniti uccelli, qui
dove tutto si mischia
e nel macero dell’erba di ieri
succhia vita e sorride la viola appena nata
ESTATE
BRODO PRIMORDIALE
Tutto un fermento
un pullulare
variegato di larve
minuscoli fantasmi
festuche armate
lanciate nel futuro
spaventose chele orridi artigli
filamenti esangui
vividi colori
Schizzano divorano
s’ingrossano si scindono
palpitano affondano
Frenetica
caotica
ribolle la Vita
in una goccia di mare
MERCURIO
Fulmineo, guizzante
tanto da rendersi invisibile
capace di assumere ogni forma
oggi, come non mai
è in terra, è in cielo, nello spazio profondo
Lo trovi nei Parlamenti, nelle onde radio, nelle televisioni
ai mercati, alle fiere, negli studi dei notai
nei porti, per le strade
negli oscuri conciliaboli delle genti del mondo
Fluente, persuasivo
mette alla prova
ammalia
mentre tende tranelli
invero ruba
fingendosi tenero neonato nella culla
Apollo, sciabola di luce tuo fratello
rendicene intelligibili le squame
facci discernere fra la virtù e il danno!
E tu, Menrva, armaci all’occorrenza
donaci una corazza di saggezza
dacci la forza della Lucidità Mentale!
QUARANTA GIORNI NEL DESERTO
Prima decade:
Al principio fu una casa
tre pennellate di colori allegri
lanciava onde di richiamo
Cupo ma Baldanzoso da dentro
Don Giovanni aprì la porta
smosse sinistro
un fiotto di vociar melmoso
un ramo di fiori del male
Bagliori viscidi
Matrioske da smontare
(Come Indiana Jones, dei serpi dentro la fossa)
Seconda decade:
La luce accecò la vista
nell’aria miraggi di candele e carovane
Gente in fila a testa china:
La sete
Colonne semoventi sulle dune lontane:
La fame
Pugnali a tradimento su spalle innocenti
le stelle cominciarono a spegnersi e cadere
la superficie di cartavetrata
esalava fantasmi di chimere
(come un guerriero, disarmato dal Sole)
Terza decade:
Si aprì il cielo d’intensi violetti
rossi sanguinei schizzarono dagli occhi
Era silenzio cavo di elementi
le macchie di colore parevano danzanti
ovunque similangeli vocianti
Ri-animata l’enorme Sfinge millenaria
ogni accento d’amore divorava
Sprigionavano nuove stelle dal vuoto
anche la luna tonda rotolò nel gorgo
si fece occhio bianco dell’incendio
(come sabbia, dispersa nella sabbia)
Quarta decade:
Non porto la Verità
non mi ha parlato Dio
Nel galoppo del vento
il deserto è il nulla o un punto
infinite strade senza
Niente da ricordare
nessuna voce importante
nessuna con accento di calore
solo rumore_____ a perdita di testa
Diffidate di chi torna con parole incendiarie
(Come una Medusa, paralizzata dall’orrore)
AUTUNNO
ADAGIO DI SETTEMBRE
Vieni, prima dell’alba, quando invisibili
sul mare cadono le rose bianche
e nelle vigne l’uva si gonfia di umori
Vieni lento, leggero come un’ombra di sole
col tuo violino – io porterò la viola
C’è fresco tra gli olivi
viottoli di sassi e terra chiara
Suona quest’aria pulita di settembre
quest’aria fina – io sarò una vela
Più facile sarà gonfiarsi d’aria
più dolce mantenere il volo
Suoniamo adagio
d’azzurro e d’amaranto
questa pace:
i viali d’oro e la gente serena
che parla piano e non si fa paura
Suoniamo adagio
questo tempo buono – questa fortuna
dopo l’ardore estivo e prima del gelo
La sera accenderemo fuochi di parole
le guarderemo, in fumi lenti
svanire nell’azzurrità dell’aria
UN PETALO DI CANDORE
C’è una farfalla bianca
che sul respiro del mare
si libra solitaria
una farfalla dalle grandi ali
abbandonata alle correnti d’aria
Un petalo di candore
volteggiando nell’azzurro profondo
come la mia anima
capriola serena
Oggi non si teme, oggi non si muore!
Abbiamo solo questi corpi imperfetti
per far scorrere
la nostra essenza di miele
e sembra fango e fa paura
ma oggi la mia anima crede
e come la farfalla si libra leggera
e come la farfalla freme
nel respiro trasparente dell’aria
ALLA LUNA
…non sono né giovane né vecchio
ma è come se dormissi
sognando di entrambe le età…
(T.S. Eliot)
Piena, di certezze splendente
fredda invisibile desolata
deliziosamente infantile
rigonfia sorgente
allegra sorridente
divorata dal tempo
vecchia giovane matura morta rinata
ad ogni istante mutata
:Incantevole Regina della Notte
INVERNO
IL PIANTO DI ADRIANO
La tua fronte, i tuoi capelli, le tue labbra
[imbronciate
il tuo sguardo malinconico e distante
soprattutto l’armonia del tuo corpo
Ti ho voluto ovunque
ovunque
concentrato di bellezza che non sfiora
Ti ho voluto
perché mi azzannino i ricordi
perché il tuo corpo mi sorprenda all’improvviso
Ti ho voluto
per sentire vagare la tua ombra
e della tue forme s’invaghiscano per secoli
perché la meraviglia dell’amore sconfigga i pregiudizi
E recido fiori freschi a ingentilirti il marmo
Per il vastissimo mio regno io ti ho sparso
[e vivi
di pietra bianca come il dio più bello
[e vivi
come un sublime tenero portento
ma io, che stringo tra le mani ogni potere
io non ti ho e sono morto
UNA DONNA
Ed è sera ed è mattina
una donna dei Nostri se ne è andata
era una madre ed era un’esteta
soprattutto Ci sapeva
[ascoltare
Una donna del mondo se è andata
una mattina che avrebbe voluto restare
Non chiedeva più di tanto: un vestito nuovo
una passeggiata lungomare
una raccolta di prugne selvatiche
soprattutto chiedeva di Non
[dover soffrire
Ed è sera ed è mattina
una donna se ne è andata
[senza rumore
SQUARCI DORATI
Buio profondo dietro il fantasma della nebbia.
Case chiuse. Lumi gialli in colonna.
Umido. Neanche un cane. Scompaiono
frettolose le poche anime.
Nel mentre, appartata la betulla
di foglioline gialle tutta agghindata
nella sua danza immobile
come una Salomè radiosa
foglia
dopo
foglia
si spoglia
[continua]