Opere di

Franca Monticello


Con questo racconto è risultata 1^ classificata – Sezione narrativa al Concorso La Montagna Valle Spluga 2010-2011


«Voglia di città, amore per la montagna»

Daniele viveva con la mamma e il nonno in un piccolo paese di montagna, alle pendici del Pizzo Tambò.
Fin dalla nascita, il verde di pascoli e boschi e la grande montagna dalla cima spesso innevata avevano costituito il suo panorama e il suo orizzonte.
Per lui il mondo era quello, non aveva motivo per desiderare altro. Il nonno gli aveva insegnato a riconoscere le piante, gli arbusti del bosco e le orme degli animali selvatici; la mamma lo aveva abituato a vigilare sulle mucche, al pascolo.
La mungitura delle bestie e il loro rientro serale nella stalla scandivano la sua giornata, mentre le sere in casa trascorrevano serene, ascoltando il nonno raccontare episodi di guerra o fiabe popolate di elfi e gnomi.
La piccola malga in cui la famigliola viveva era lontana dal paese e raramente a Daniele capitava di vedere gente, ma non ne sentiva la mancanza. In mezzo a tanto silenzio, era cresciuto riservato, silenzioso a sua volta, un po’ selvatico, ma felice.
Tutto cambiò quando, all’età di sei anni, cominciò a frequentare la scuola. Il primo giorno lo accompagnò il nonno, lungo sentieri ripidi e disagevoli.
«Impara bene la strada» gli disse «io verrò con te solo per qualche giorno, poi dovrai percorrerla da solo, sia all’andata sia al ritorno, col sole, con la pioggia e con la neve».
«Ogni giorno, nonno?» chiese preoccupato il bimbo.
«Certo, se vorrai imparare tante cose!» rispose questi «Abitare fuori dal mondo non è un buon motivo per restare ignoranti!»
Quando la strada si fece più larga e asfaltata e comparvero le prime case e gli alberghi per i turisti, Daniele si sentì spaesato, ma il timore vero lo assalì quando arrivò davanti alla scuola.
Il nonno si limitò a lasciarlo solo in cortile, dove un gruppetto di bambini di varie età, scambiandosi ammiccamenti e spintoni, annunciò: «È arrivato il pastorello!»
La maestra, giovane e carina, prese subito in simpatia il piccolo Daniele che arrivava puntuale ogni mattina, dopo un’ora di cammino, scendendo dai pascoli alti.
Non fu facile per lui inserirsi. I compagni chiassosi gli facevano quasi paura, conoscevano giochi a lui ignoti, avevano persino un linguaggio diverso e spesso lo prendevano in giro. La maestra però era un angelo e Daniele, deciso a imparare il più possibile, assorbiva come una spugna ogni insegnamento.
In breve tempo imparò a leggere, a scrivere, a risolvere problemi che prevedevano di contare zampe di mucche e petali di fiori. La mamma e il nonno erano orgogliosi di lui, ma ogni tanto gli dicevano: «Ricordati che sei un pastore e un malgaro. Un domani sarai tu a occuparti di tutto, quassù. Quello che impari a scuola è importante, ma più ancora è che impari a fare del buon burro e del buon formaggio, perché quelli ti daranno da vivere!.
Questo discorso non piaceva a Daniele, fattosi ormai un ragazzino. Tutto quello che lo aveva spaventato all’inizio, adesso lo attraeva e sempre più desiderava stare fra la gente e visitare quei luoghi misteriosi e affascinanti che erano per lui le città.
Al pascolo, in mancanza di altra compagnia, confidava agli animali i suoi desideri e le sue inquietudini. Fra i vitellini nati in primavera, ce n’era uno particolarmente vivace. Daniele lo aveva chiamato Flick ed era il suo preferito.
«Tu sei come me,» gli diceva «questo pascolo ti sta stretto, hai voglia di muoverti, di vedere il mondo, di vivere qualche avventura».
Flick rispondeva con un allegro muggito e faceva delle lunghe corse nel prato, confermando a Daniele la sua voglia di spazi diversi.
Una mattina, il ragazzino non riuscì a trovarlo. Lo cercò chiamandolo a gran voce:
«Flick, Flick, dove sei?» ma del vitellino non c’era traccia. Corse allora ad avvisare la mamma e il nonno.
«Questa non ci voleva» si lamentò il nonno «È la prima volta che ci succede una cosa simile; possibile che sia scappato? Proprio oggi che tua madre ed io non ci possiamo muovere: abbiamo troppo da fare!»
«Nonno, ti prego,» supplicò Daniele «lascia che vada io a cercarlo!»
«Tu? Credi che sia facile?» obiettò il nonno «Se Flick è entrato nel bosco, può essere finito chissà dove! Il bosco è grande e fitto, se perdi l’orientamento, chi ti ritrova più?»
La mamma intervenne: «Preferisco perdere un vitello piuttosto che un figlio!» ma Daniele insistette tanto e fu talmente persuasivo che, alla fine, il nonno capitolò. Gli fece un sacco di raccomandazioni e gli spiegò mille strategie per non perdersi, gli diede una pacca sulla spalla e gli intimò: «Appena comincia a imbrunire, sospendi la ricerca e torna a casa».
La mamma l’abbracciò, gli diede una provvista di pane e formaggio e gli raccomandò: «Non farci preoccupare. Torna presto, con Flick o senza di lui».
Daniele partì. Attraversati i pascoli dove le mucche ruminavano placidamente, raggiunse il bosco e vi si addentrò, gridando forte: «Flick, dove sei? Vieni da me!»
Gli rispondevano cinguettii di uccelli, squittii di scoiattoli e lo zampettare veloce di animali selvatici in fuga. Camminò a lungo seguendo il consiglio del nonno di segnare con una tacca la corteccia di un albero ogni dieci passi e, finalmente, a un certo punto, sentì dei muggiti lontani.
Speranzoso, prese a correre, dimenticando persino di marcare gli alberi. Il bosco si apriva in una radura da cui partiva un viottolo sterrato e lì, seminascosta, c’era una piccola stalla: proprio da lì venivano i muggiti. Daniele riconobbe la voce di Flick e si precipitò alla porta, ma era chiusa da un lucchetto. Si arrampicò allora su una finestrella con solide inferriate di ferro e vide che, all’interno, c’erano tre vitellini. Due non appartenevano alla sua mandria, ma il terzo era Flick.
«Flick, amico mio!» lo chiamò forte. L’animale volse verso di lui il muso triste e muggì lamentosamente. Essendo legato, altro non poteva fare.
Daniele avvertì il rumore di un camion in arrivo, si nascose e spiò. Era un grosso furgone, adatto al trasporto degli animali; ne scesero due uomini robusti che aprirono la porta della stalla ed entrarono.
Daniele capì all’istante che quei due erano ladri di bestiame e, senza pensarci un attimo, s’infilò nel cassone e si nascose sotto un mucchio di fieno. I due figuri, con grida e spintoni, fecero salire i tre vitelli, li legarono, richiusero la sponda posteriore e partirono lungo la strada sterrata.
La prima parte del viaggio fu un incubo. Il camion sobbalzava violentemente e le povere bestie muggivano da far pietà. Daniele, benché spaventato e con lo stomaco sottosopra, uscì dal suo nascondiglio e tentò di calmarle con carezze e voce quieta.
Dov’erano diretti? E che cosa sarebbe accaduto all’arrivo? Il tempo passava e il bambino si rese conto che non avrebbe mantenuto la promessa di rientrare prima del buio.
A un tratto il furgone prese a filare senza sobbalzi e Daniele, spiando attraverso una fessura fra le sponde, costatò che il panorama era completamente cambiato. Adesso si trovavano in pianura, lungo un’ampia strada asfaltata, costeggiata da case e capannoni. Era chiaro che si stavano avvicinando a una città.
Daniele slegò Flick e lo avvertì: «Tieniti pronto; appena possiamo, scappiamo».
«Mi dispiace,» disse poi agli altri due vitelli «non posso portare anche voi, ma avvertirò la polizia che vi verrà a liberare».
Quando il mezzo si fermò davanti a un bar e i due ladri entrarono per bersi una birra, Daniele non perse tempo: abbassò la sponda, dispose a mo’ di scivolo una tavola di legno che era all’interno del camion, fece scendere Flick tirandolo per la corda, richiuse e lo trascinò a nascondersi dietro un muro.
I due ladri uscirono, risalirono in cabina e partirono verso la loro destinazione.
«Sai Flick,» gli disse il bimbo «penso proprio di averti salvato la vita. Credo che i tuoi due compagni di viaggio stiano andando al macello. Dobbiamo avvisare la polizia al più presto».
Daniele si guardò intorno: dunque era questa la città! Il traffico era intenso e rumoroso, e alti palazzi, uno vicino all’altro, costeggiavano la strada. Seguendo un cartello indicatore, imboccò una via laterale che portava in centro. Là, certamente, ci sarebbe stato qualche vigile o poliziotto.
Daniele non si aspettava di suscitare tanta curiosità: tutti i passanti lo osservavano divertiti e lo indicavano con il dito. Le macchine rallentavano, i conducenti abbassavano il finestrino per ammirare lo strano spettacolo di un bambino che si portava appresso un vitello, lungo un marciapiede di città.
Non ebbe bisogno di cercare la polizia, fu lei a trovarlo, fatti pochi passi.
«Ragazzino, che stai facendo? Sei pazzo? Al massimo un cane si può portare a guinzaglio qui, non certo un vitello! Non si è mai visto niente di simile!»
Daniele raccontò per filo e per segno la sua avventura e fornì anche il numero di targa del camion.
I poliziotti furono molto colpiti dal suo coraggio, perciò lo scortarono fino in caserma dove Flick fu “parcheggiato” in cortile e rifocillato.
«Domani» gli dissero «organizzeremo il vostro rientro a casa; per oggi, ormai, è tardi, dovrete trascorrere qui la notte.
Vista la preoccupazione del ragazzo per la sua famiglia, i poliziotti si misero in contatto con i colleghi di un paese vicino al suo, in modo che andassero alla malga ad avvisare».
Il bambino rimase in caserma insieme con il piantone di turno e gli raccontò la sua vita e il grande desiderio di vedere un po’ di mondo e di conoscere la città.
Il piantone, la mattina seguente, riferì tutto al tenente il quale autorizzò Daniele ad accompagnare la pattuglia. A bordo della pantera percorse la città in lungo e in largo: vide bellezze architettoniche che lo lasciarono senza fiato, visitò un immenso centro commerciale, dove si sentì girare la testa. Provò pietà per chi era costretto a vivere in enormi palazzi grigi, fu turbato dal traffico caotico e rumoroso e respirò l’aria satura di smog.
«Allora, che te ne pare?» gli chiese il poliziotto.
Daniele si trovò in difficoltà a rispondere.
«È interessante,» disse «però da me c’è tanto verde, nel silenzio si sente il respiro della natura, l’aria è frizzante, il cielo è di un azzurro…»
«Ho capito, ho capito!» lo interruppe il poliziotto «Sei contento di aver visto la città, ma non vedi l’ora di tornare sulle tue montagne. È così?»
«Sì!» rispose semplicemente Daniele.
Al loro rientro in caserma, Flick e gli altri due vitellini erano già stati caricati sul furgone, pronto per partire. Daniele stavolta si accomodò in cabina, accanto al guidatore e da lassù si godette tutto il viaggio fino al suo paesello.
Qui giunto, il camion si fermò nella piazza del paese, dove si era radunata una piccola folla: c’erano la mamma e il nonno, ma anche i pastori delle mandrie dei dintorni e c’era perfino il sindaco.
Daniele fu accolto da un grande applauso.
«Bravo, ragazzo!» esordì il primo cittadino «Grazie a te e al tuo coraggio, la polizia ha sgominato una banda di ladri di bestiame che da mesi operava sulle nostre montagne. D’ora in poi, ogni pastore potrà sentirsi più tranquillo e sicuro.»
Fu una grande festa per tutto il paese: Daniele divenne un piccolo eroe e, per lungo tempo, lassù non si parlò d’altro.
Che cosa pensava adesso della città? Era sicuramente un posto pieno di opportunità e un domani, ci sarebbe andato a studiare. Non voleva fare il pastore per tutta la vita, ma, per il momento, era ben contento di godersi la sua montagna.

Franca Monticello



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