ID( R )A-Il ritorno di Chiara Parola (Francesca Falchieri)


Roma, Sovera Editore, 2005


PRESENTAZIONE DELL’AUTRICE

Id( r )a – Il ritorno, come anche i miei due romanzi precedenti Id( r )a – Il sogno e Id( r )a – Il mare, è profondamente autobiografico. In esso non ho inventato niente, ma ho cambiato solo i cognomi e alcuni nomi delle persone: tutte le vicende che vi ho narrato mi sono realmente accadute, proprio negli anni, mesi e luoghi che ho menzionato. Vi ho raccontato pure un fatto di cronaca di cui sono stata protagonista a Genova nel 1997, quando l’anoressia mi ha portato in coma e sulle pagine di numerosi quotidiani.
La storia di Ida, riportata in forma epistolare, è un viaggio. Il viaggio di una persona e di un’anima. Di una donna e di una coscienza. Si tratta di una narrazione a due voci, dove il tutto si esprime e si amalgama alla ricerca di un difficile equilibrio interiore.
Il romanzo è costituito dalle lettere che la giovane protagonista Ida scrive a un’amica bolognese, l’anziana Verbana. Quando scrive Ida, con una certa ironia, si sdoppia e si guarda vivere, raccontando in terza persona le avventure di un personaggio di nome Idra che è sempre lei, la parte più autentica di se stessa: Idra è il doppio di Ida.
La scelta del nome Idra, con l’aggiunta a Ida di una r liquida, non è casuale. Infatti se, come sostiene Jung, l’acqua simboleggia l’inconscio, Idra rappresenta la parte più interiore di Ida. Le lettere sono quindi polifoniche: alla voce di Ida si alterna quella di Idra.
Per consentire al lettore di distinguere l’io di Ida, soggetto scrivente, dall’io dei monologhi interiori di Idra, mi sono servita di un artificio tipografico: l’uso del colore azzurro. Le parti comprendenti le riflessioni e i soliloqui di Idra vengono scritte da Ida non in nero ma in azzurro, il colore del pensiero, del flusso di coscienza e soprattutto il colore dell’acqua, tanto amata da lei.
Idra si sente distaccata dalla realtà materiale, dalle cose che la circondano e che guarda con un occhio diverso da quello comune. Forse è per questo che le piace tanto l’azzurro, che è il colore più immateriale: in natura è presente come trasparenza, fatto cioè di vuoto ( vuoto dell’aria, dell’acqua, del cristallo ).
I suoni e i movimenti, come le forme, svaniscono nell’azzurro, vi si annegano, si dileguano come un uccello in cielo. In sé immateriale, l’azzurro smaterializza tutto ciò che si avvolge in esso: è la via dell’infinito dove il reale si trasforma in immaginario.
Non è la prima volta che questo colore è il protagonista di un libro. Dà il titolo anche a un romanzo di Franz Werfel, in cui una lettera in “una scrittura femminile azzurro pallido” fa riaffiorare la storia di un amore cancellato.
Grande ai miei occhi è la forza dell’azzurro, che rappresenta quella del mio pensiero, grande è la potenza dei colori, che sono le azioni e le passioni della luce, come ha scritto Goethe nella sua Teoria dei colori, superando le barriere fra letteratura e scienza. Per Goethe l’azzurro è una contraddizione di eccitazione e di pace, e un vetro azzurro mostra gli oggetti in una luce triste. Anche la mia vicenda, riflessa nei monologhi azzurri di Idra, è triste, come la mia malattia psichica, la mia anoressia, le mie nevrosi, la mia paranoia: una storia intrisa di riso e di pianto.
Id( r )a – Il ritorno è dominato dal motivo del doppio, la cui ossessione è ben presente nella nostra tradizione letteraria, spesso legata al tema della vendita della propria ombra al diavolo. Hoffmann, Chamisso, Stevenson, Dostoevskij, Gogol’, Conrad, Poe, i francesi Gautier e Maupassant, i nordamericani Hawthorne e James, i sudamericani Quiroga, Borges, Ocampo, gli italiani Papini, Tarchetti, Pirandello, Bontempelli, Savinio e chi più ne ha più ne aggiunga.
D’altronde, se anche a voi capitasse di sentire che bussano alla vostra porta, di alzarvi in piedi, aprire e vedere una persona esattamente identica a voi, nel viso e nel sorriso, cosa pensereste? Oppure se vi trovaste in mezzo a una folla, composta da individui assolutamente identici a voi, nei tratti e nello sguardo, che fareste?


Lettera tratta dal romanzo di Chiara Parola, ID( R )A – Il ritorno, Sovera Editore:
Ginevra, 10 dicembre 1995

Cara Verbana,
un lunedì il professor Bongiovanni dice ai suoi studenti:
« In questo seminario sui narratori post-calviniani noi parleremo quasi esclusivamente di Del Giudice. Tuttavia voi, a casa, leggete anche i romanzi di Andrea De Carlo. Ricordate, dietro questo seminario c‘è De Carlo ».
Tornata a casa, Idra comincia subito a leggere Arcodamore di De Carlo. Voglio raccontartelo, cara amica. Il protagonista maschile è Leo, un fotografo d’oggetti che, dopo aver divorziato dalla moglie che gli ha dato due figli, corteggia senza slancio ragazze molto più giovani. Il cugino, anche lui separato dalla moglie, gli fa conoscere Manuela, una strana musicista, molto istintiva, che suona l’arpa in grandi orchestre classiche ma frequenta anche discoteche afro, vestita con giacche di pelle e jeans.
Manuela porta con sé un vortice esaltante di intelligenza, dolore, desiderio di vivere e paura, nascondendo una zona d’ombra e di pericolo. Leo s’innamora di lei e perde la testa: insieme precipitano nella passione, nell’odio, nella gelosia e si mettono nei guai.
Mmm… Leo fotografo: tutto ciò ha un valore metaletterario… De Carlo ha così tanta dimestichezza con le tecniche di ripresa, da non far differenza tra due modi di rappresentare la realtà così diversi, la letteratura e la fotografia. Questo romanzo è ricco di descrizioni fotografiche molto precise, con attenzione ai minimi particolari. La scrittura è franta, minimale, secca, con una sintassi paratattica. Guarda qui quanto sono frequenti i verbi “guardare” e “fotografare”!
Vi è una profonda differenza tra lo sguardo di De Carlo e le regard degli scrittori naturalisti. Nell’epica della realtà di questi ultimi, l’osservazione del creato era ancora d’intesa fra l’uomo e il mondo o fra il dentro e il fuori dell’uomo stesso. Lo sguardo di De Carlo, invece, testimonia l’avvenuta separazione fra il mondo e l’uomo, per cui la rappresentazione della realtà si pronuncia come la catalogazione disarticolata di ciò che esiste al di fuori dell’uomo, questa volta senza più legami.
Oh, quanto è diversa la scrittura di De Carlo dalla mia, tentativo abortito di un romanzo! Io non riesco a guardare, a descrivere, a fotografare la realtà. A me il “fuori” non interessa: io sono attenta solo al “dentro”. Arcodamore mi ha trasportato in un mondo diverso dal mio, che è fatto solo di libri e solitudine.
Per Leo che, nello stesso periodo, ha anche rapporti sessuali con due o tre donne, ogni storia d’amore è un arco, una linea curva che sale, poi scende e s’interrompe; tutti sperano che non finisca mai e invece dura sei mesi o un anno o due al massimo. Secondo Manuela, meno si conosce un uomo più sembra che possa nascondere cose interessanti ma poi, man mano che lo si conosce, la passione si riassorbe ed è una delusione terribile, una specie di truffa.
Per me invece l’amore è unico ed eterno: il mio sentimento per Gabriele è unico e non morirà mai. Mi sconvolge che in Arcodamore i rapporti sessuali del protagonista siano fotografati e descritti nei minimi particolari, come in un libro quasi “pornografico”.
Io ho orrore del sesso, che secondo me non è un fatto da uomini, ma una cosa da bestie che non mi appartiene. Il sesso mi è estraneo, perché riguarda la dimensione corporea dell’essere umano: vorrei quasi distruggere il mio corpo ed essere fatta di sola mente e spirito.
Per ciò che mi riguarda l’amore è solo spirituale e platonico ed esclude ogni corporeità. La mia passione per Gabriele non ha neppure bisogno di essere corrisposta: può vivere per sempre dentro di me.
Quando a Nizza, dopo l’avance del professor Moroso, sentii il bisogno di saperne di più sul sesso, al posto della Guida pratica per una felice vita sessuale, avrei fatto meglio a leggere Arcodamore!
Idra ha una grande paura del sesso, forse perché nell’infanzia, pubertà e adolescenza, i genitori non le diedero mai un’educazione sessuale. Ida però si arrangiò da sola quand’era bambina, rovistando e curiosando fra i libri della madre.
In seguito, al liceo, a parte le scritte scurrili lette sui banchi e nei bagni, la sua conoscenza del sesso fu mediata esclusivamente dai testi letterari, come i versi di Catullo o il Decamerone. Rifiutò sempre i rapporti con i coetanei, che pure la corteggiavano.
Ida a Nizza, dove aveva frequentato dei corsi universitari di preparazione a un concorso per gli insegnanti, dopo l’avance fattale dal professor Moroso, si era comprata la Guida pratica per una felice vita sessuale. Dopo averla letta, Idra era rimasta così turbata, che aveva deciso di respingere l’avance di Moroso e tenere per sempre il sesso lontano da sé.
Idra rifiuta i comuni piaceri della vita: la buona tavola, il sesso, i divertimenti. Per lei esiste solo il piacere del testo letterario.
Ma com‘è possibile che Gabriele mi abbia detto di leggere De Carlo, un autore che scrive un libro così “erotico” come Arcodamore?
Allora forse io non conosco bene Gabriele. Forse anche lui come De Carlo ha una concezione dell’amore fondata sul sesso. Probabilmente Gabriele vuole avere con me solo un’avventura fugace e passeggera. Perché mi viene in mente quel professore dell’università di Bologna…Come si chiamava pure?…Ah sì, Montanari! Ci invitava a leggere Sade e la letteratura erotica del 1700. Durante una lezione disse:
« Vedete ragazzi, c‘è il matrimonio, che è un fatto sociale. Ma poi, al di fuori, ognuno, come nel 1700, si può gestire liberamente la sua vita sentimentale e sessuale ».
Ma no! Non ci posso credere! Non devo dimenticare che nel seminario di Gabriele non si parla mai di sesso, ma soprattutto di Del Giudice. No, se Gabriele mi amasse, nutrirebbe per me un sentimento esclusivamente platonico. Il nostro amore non sarà un arco, ma una linea diagonale che sale soltanto e continua dritta all’infinito.
Va a letto molto presto Idra quella sera, come sempre e come i genitori le imponevano quand’era bambina. Non esce mai, non guarda neanche la televisione, perché non l’ha e non la vuole. Sogna. Sì, e anche questa volta sogna voli di uccello, simboli di libertà e, chissà, forse freudianamente indici di una celata liberazione della sua sessualità ardente e repressa. Si sveglia alle tre, come sempre. Le piace alzarsi quando è ancora notte, per cogliere in tempo i frutti proibiti dell’oscurità. C‘è un gran silenzio. Idra ama appassionatamente la notte. In genere alle tre, dopo avere preso il caffè, si accinge subito a scrivere, prima di pettinarsi, prima che il pettine faccia cadere i sogni.
Quella mattina sente il bisogno di rileggere l’inizio del racconto La notte (incubo) di Maupassant:
« Amo appassionatamente la notte. L’amo come si ama la patria o l’amante, di un amore istintivo, profondo, invincibile. L’amo con tutti i miei sensi, con gli occhi che la vedono, con l’odorato che la respira, con le orecchie che ne ascoltano il silenzio, con tutta la mia carne che le tenebre accarezzano ».
Il Maupassant dei Racconti fantastici, Proust, Svevo, Calvino, Del Giudice: questi gli scrittori preferiti da Idra. Non De Carlo. Ma quel mattino Ida avverte poi la necessità di rileggere alcune scene erotiche di Arcodamore. Ecco che, improvvisamente, si affaccia alla sua mente un ricordo.
Mi trovavo a Nizza, quest’anno, all’inizio di febbraio. Erano le due di notte e io non mi ero ancora alzata. Nella mite Nice era venuto un gran freddo e io nel mio letto tremavo, perché la proprietaria del mio squallido monolocale non mi aveva dato sufficienti coperte, quei panni che non hanno mai riscaldato e mai riscalderanno un uomo vicino a me. Sono stata svegliata da lamenti femminili e soffocati, e mi sono chiesta da dove venissero. No, non era la voce di Louise, che abitava nel monolocale a destra e viveva sola. Non avevo ancora fatto amicizia con lei, non avevo ancora appreso che era alcolizzata, non avevamo ancora condiviso la sofferenza della nostra vita difficile. Louise, però, l’avevo già vista e sentita parlare: la sua voce era rauca, da quella cinquantenne fumatrice che è.
No, non era lei: quella era la voce di una donna giovane, che gemeva. Era un po’ coperta dal rumore del mare vicinissimo e mi pareva provenire dal monolocale a sinistra del mio. All’inizio l’avevo creduto disabitato, ma poi ci avevo visto entrare delle coppie e mi era venuto il sospetto che lo affittassero come garçonnière. Ma cosa fosse una garçonnière non lo sapevo veramente. Però mi vergognavo un po’ di abitare in quel postaccio, con il bagno sul pianerottolo esterno al monolocale, anche se ero vicina alla bella Promenade des Anglais. Dovevo vivere lì: non avevo tanti soldi. Ma ero felice, perché i miei genitori non sapevano dove fossi. Presto sarei diventata insegnante d’italiano in Francia, mi sarei fatta la mia vita e loro non l’avrebbero mai saputo. Amavo sempre Gabriele dentro di me, ma mi ero già rassegnata alla sua lontananza. All’università di Nice avevo ottenuto risultati brillanti e mi ero fatta delle amiche. Uno studente che, guarda caso, si chiama Fontana di cognome, mi aveva corteggiato un po‘…
E ora mi inserisco io, Chiara Parola, anche per interrompere un po’ il monologo delirante di Idra, e vi dico che a quel ragazzo, che ricordo con simpatia, non ho cambiato il cognome.
Perché? Perché adesso mi viene in mente quel detto belga che avevo appreso a Liegi due anni prima, quando ero fuggita da Strasburgo per insegnare l’italiano lassù? Eau douce, eau claire, je ne boirai jamais à ta fontaine! Acqua dolce, acqua chiara, non berrò mai alla tua Fontana!: un modo per dire «Non amerò mai veramente»! Eh già…io ho bevuto solo alla fonte delle lacrime, del dolore.
A Nizza ho ascoltato meglio quella voce di donna e ho sentito mescolarsi ad essa anche quella di un uomo. In quel momento ho provato una grande sofferenza e ho pianto, senza sapere il perché. Nel monolocale attiguo c’era un rapporto sessuale e per quella giovane, chissà, forse era la prima volta. Ma io nell’ascoltare quelle voci non l’ho nemmeno capito. Io, alla mia matura età di vent’otto anni, non sapevo veramente cosa fosse l’unione carnale tra uomo e donna, perché mamma e papà non avevano voluto dirmelo quando io l’avevo chiesto loro. Questo farà ridere i lettori del romanzo della mia vita! Per fortuna che non lo leggerà nessuno! Mamma, nella mia infanzia, pubertà e adolescenza, non ha mai voluto staccarmi da lei, mi ha sempre voluta nel suo ventre, nel liquido amniotico, in quell’acqua. Non ero ancora andata in quella libreria di Genova per comprare la Guida pratica per una felice vita sessuale, la cui lettura mi ha veramente fatto schifo.
In facoltà, dieci giorni dopo, il professor Moroso, spiegava dal punto di vista filologico alcuni verbi di una poesia di Petrarca. Io, con la minigonna e seduta nel primo banco, gli mostravo involontariamente le mie belle gambe e forse qualcosina d’altro. Il prof mi ha detto “Amare, dormire…”. In quel momento mi è parso di riudire i gemiti di quella notte, mi sono sentita attraversare, penetrare dalla voce del professore, in tutto il corpo e ho avuto paura. Sì, tanta paura, paura di perdere l’infanzia in cui sono sempre vissuta e vivrò sempre. Così sono scappata dall’aula, davanti a tutti gli altri studenti che continuavano ad ascoltare la lezione di Moroso.
Mentre camminavo per le strade di Nizza, mi sfilavano davanti agli occhi manifesti del film Il sesso è il potere; poi sono andata a Genova.
Genova. Libreria Feltrinelli. Un commesso munito di distintivo, con una barba brizzolata, si avvicina a Ida, che si sta guardando intorno smarrita.
«Posso esserle utile?».
Dalla bocca dell’infante escono solo le parole: «No…cioè ….ecco…sì. Io stavo solo cercando un libro di…» e poi, quasi con nonchalance « …educazione sessuale».
Malgrado il freddo pungente, una vampa di caldo rossore colora il bianco visetto di Idra, che guarda il libraio con l’aria di chi chiede pietà e indulgenza plenaria.
Il commesso, freddamente: «Secondo ripiano a destra».
Raggiunto il settore sexy-shop, Ida si perde nella marea di libri, pornografici ai suoi occhi increduli, finché non si presenta alla cassa, cercando con mille movimenti della mano di coprire il titolo, scritto in rosso fiammante a caratteri cubitali, di una Guida pratica per una felice vita sessuale. Titolo molto promettente ma alquanto compromettente, per la poverina. Paga come chi sa di commettere peccato. Che ridicola!
Dopo una notte insonne, eccomi correre in quella cabina, telefonare a mia madre e dirle: «Mamma, io, tu e tuo padre, dobbiamo restare sempre insieme, sempre uniti, in un unico abbraccio». Dimenticavo che il nonno era morto quando avevo tre anni, farneticavo. Quel nonno col quale mia madre aveva formato una cosa sola, unione che, nella mia infanzia, pubertà e adolescenza, lei ha voluto stabilire con me…
Ecco la mamma per le strade di Nizza, dove è venuta per cercarmi, anche se io non le avevo detto che abitavo in quella città. Ha come indizio solo il numero di quella cabina, ma mi trova, sì! Accidenti, mi ha visto! Mi ha trovato bene, molto in carne, bella, non più turbata. Ma mi ha accalappiato ed è venuta a conoscenza della mia residenza, che conosce anche oggi. Così io, anche se si è trattenuta con me a Nizza solo una settimana, mi sono sentita privata della mia libertà, la libertà di maturare, di essere donna. Una settimana dopo che è partita da Nice, ho cominciato a urlare parole apparentemente senza senso in quel centro commerciale. Ma lo conosco, sì, il loro significato più profondo. Il mio è stato, a suo modo, un delirium cordis, un delirio del cuore.
Passano i giorni e Idra sente dentro di sé qualche cosa di strano. A poco a poco, torna a soffrire di anoressia. Le ritorna infatti un sintomo che aveva avuto nell’adolescenza: fa fatica a deglutire. Mentre c‘è una parte di lei, Ida, che vuole piacere fisicamente al professor Bongiovanni, l’altra metà, Idra, vuole distruggere il suo corpo con l’anoressia perché lui l’ami solo per la sua mente, per il suo spirito.
Ida vorrebbe diventare l’amante anche sessualmente del professore; Idra aspira ad avere con lui un rapporto esclusivamente platonico, mentale e intellettuale. A Ida piace leggere Arcodamore e le opere di Sade; Idra è appassionata di Del Giudice e Petrarca. Ida mangia panini a più non posso, si compra abiti nuovi, indossa la minigonna e all’università si mette nel primo banco; Idra fa fatica a deglutire e si riempie lo stomaco solo di liquidi non alcolici.
Quando Ida, che è alta un metro e settanta, era arrivata a Ginevra, pesava cinquantaquattro chili. Ora Idra comincia a perdere peso. È più forte di lei, impiega tantissimo tempo per mangiare, ha sempre paura di non digerire e beve grandi quantità di acqua.
Provo un piacere indescrivibile nel bere acqua: c‘è qualcosa che la associa alla mia interiorità. Quando bevo, è come se volessi rinsaldare il legame segreto e profondo con la forza del mio subconscio. Mi sento riportata nel ventre di mia madre, da cui lei non ha voluto farmi uscire mai.
Ora, a Ginevra, sono i genitori che mantengono Idra: rifiutando il cibo, è come se lei rifiutasse inconsciamente il nutrimento che viene da loro, la sua dipendenza.
Come ben sai, dopo essere partita da Bologna, Idra per un lungo periodo non aveva più fatto avere sue notizie alla madre e al padre, non aveva più chiesto loro del denaro e si era mantenuta con le lezioni private e vendendo litografie di porta in porta. Era sempre senza un soldo, si nutriva solo di pane e latte, ma non aveva l’anoressia: mangiava tantissimo. Adesso i genitori, che le danno tutto il denaro di cui ha bisogno, sanno che lei abita a Ginevra, le telefonano spesso, e Idra fa fatica a mandar giù il cibo, a deglutire.
I compagni di università talvolta la invitano a mangiare fuori, ma Idra rifiuta sempre con un pretesto. Infatti si vergognerebbe tanto a mangiare davanti a loro leggendo un libro, a piccoli bocconi e con grande lentezza, come è solita fare. Così non stringe amicizie ed è sempre sola, ma senza soffrirne perché i libri le fanno tanta compagnia.
Quando si guarda allo specchio, ha una dolorosa sorpresa.
Ma guarda qui…non mi riconosco….non riconosco più la mia immagine…Sì, come succedeva a Maupassant!… È come se… in me si stessero affrontando due facce, due donne: l’Ida autonoma, indipendente, che vuole essere bella e piacere fisicamente a Gabriele, e l’Idra anoressica, dipendente dai genitori, che vuole annullare il suo corpo per essere fatta solo di mente e spirito.



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