Opere di

Francesca Mascheroni

Con questo racconto è risultata 1^ classificata – Sezione narrativa alla VI Edizione del Premio di Scrittura Creativa dedicato a Lella Razza 2010


La coperta patchwork

12 agosto.

Ore nove. Reparto di Radiologia. La mia prima mammografia, giusto il giorno prima di andare in ferie.
«Ma sì, così parti per il mare tranquilla», mi ha detto la mia amica Manu, che vede sempre il lato positivo delle cose.
Mentre percorro i vialetti tra le aiuole fiorite che portano al Reparto, penso che tra poco più di mezz’ora li ripercorrerò con un pensiero di meno… Dopotutto è un controllo di routine, ho 41 anni, devo abituarmi.
L’infermiera è gentile. Mi spiega che prima farò l’esame con il radiologo, poi passerò nell’altra stanza, alla visita con la senologa, che mi farà anche l’ecografia. Mi lascio “posizionare” docile davanti all’apparecchiatura (più avanti, si pieghi a sinistra, stia immobile), come una bambola di pezza. Se non fosse per il rivolo di sudore che mi rotola inesorabilmente dall’ascella lungo il fianco…
Poi sdraiata sul lettino, la manopola dell’ecografo che slitta sulla gelatina.
Spio il viso della dottoressa, sperando di leggervi qualcosa. Sul seno sinistro mi sembra che il suo sguardo si faccia più concentrato. O è mia impressione? Finalmente mi pulisco e mi rivesto. Allora? La voce della dottoressa è gentile ma distante: «Signora, nel seno sinistro c’è una masserella che merita un esame più approfondito; forse un fibroadenoma benigno… Le suggeriamo una biopsia».
Ripercorro i vialetti tra le aiuole fiorite, ma senza il senso di leggerezza che immaginavo di provare. Anzi, con un presentimento cupo che mi rode dentro. Una masserella che merita un esame più approfondito.
Ci penserò dopo il mare. Non mi va di rovinare le vacanze ai ragazzi. In fondo, dieci giorni in più o in meno…

29 agosto.

Ancora in ospedale. Ancora una senologa che scruta il mio seno sul monitor dell’ecografo. Questa volta l’interpretazione è più esplicita: «Signora, probabilmente è un tumorello». Masserella, tumorello. Strano, quest’uso di vezzeggiativi quasi per sdrammatizzare una realtà che invece si fa sempre più livida, cruda. La dottoressa mi illustra nei dettagli il percorso che mi aspetta. Prima la biopsia. Ma conviene già fissare anche l’intervento. «Nel corso dell’intervento le sarà asportato anche il linfonodo sentinella: se risulterà intatto, la cosa finisce lì. Se invece è già stato intaccato, sarà probabilmente necessario un altro intervento per “ripulire” la zona…».
Le parole rotolano. Non riesco ad afferrarle tutte. Vorrei chiederle: ma non possiamo affrontare una cosa alla volta? Invece lei sembra tutta soddisfatta dell’”informativa” esauriente che mi ha fornito.
Mi sento come il protagonista di quel racconto di Buzzati, come si intitolava? Sette piani, mi sembra. Parlava di quel signore ricoverato al settimo piano di una clinica, il piano dei meno gravi. Che a poco a poco viene fatto scendere più in basso, fino a ritrovarsi al piano terra, quello dei senza speranza.
Eccomi catapultata nel mondo dei malati di cancro. Eppure nessuna donna della mia famiglia ha avuto un tumore al seno. Ho allattato tre figli, tutti e tre per un anno. Non dovrei essere fuori dalla casistica?
Fissiamo la data dell’intervento: «Le va bene il 15 settembre?». Non riesco a fare a meno di pensare che è il primo giorno di scuola. Di solito quel giorno invito a pranzo anche gli amici dei miei figli: mi piace guardarli mentre “spazzolano” la tavola affamati, ascoltarli mentre mi raccontano…Quest’anno non potrò farlo. «Va bene», sento la mia voce che risponde alla dottoressa.

14 settembre.

L’esito della biopsia non si è nascosto dietro carezzevoli vezzeggiativi: “carcinoma duttale infiltrante della mammella”, c’è scritto, nero su bianco. Per lo meno, dice le cose come stanno. Domani l’intervento. Sono stranamente tranquilla.

20 settembre.

E’ andata. Il tumore è stato tolto, il linfonodo era intatto. Faccio un po’ di fatica a muovere il braccio, ma con un po’ di esercizio… Passo dalla dottoressa per la medicazione: oggi si torna a casa!
Mentre sono sul lettino le chiedo informazioni sulle recidive di questo tipo di tumore. Lei ride, ma non mi dà una risposta: «Già stiamo pensando alle recidive?!». Poi, sedute alla scrivania, mi informa che il mio percorso non è finito. Mi aspettano un’ecografia all’addome (da prenotare subito, sa, i tempi sono un po’ lunghi) e una scintigrafia alle ossa. E poi, “di prassi”, si fa la radioterapia: tutti i giorni, cinque giorni a settimana, per cinque settimane. Più avanti mi farà sapere se dovrò fare qualche altro trattamento: il mio caso deve ancora essere discusso….
Questa volta, quando esco, mi metto a piangere, cosa che non avevo ancora fatto. Come farò con la famiglia, il lavoro, la mia vita? Quanta parte di me mi sarà rubato? D’ora in poi i miei giorni saranno scanditi dagli impegni medici…

8 ottobre.

Il mio caso è stato discusso. Data la mia età, e il tipo di tumore, mi si consiglia un ciclo di chemioterapia. Da cominciare subito, entro questo mese. «Effetti collaterali?». «I capelli… Ma ricrescono, sa?…».
Più del fatto di rimanere calva mi preoccupano i racconti sentiti in passato di gente che ha vissuto questa esperienza: giornate in bagno a vomitare, senso di sfinimento.
Mi trasformerò in una larva che non riesce più a pensare, a fare? Chi accompagnerà i ragazzi al tennis e in piscina? Chi andrà a parlare con i professori? Chi li seguirà nello studio? Sarò ancora “io”?

22 ottobre.

Prima giornata di chemio. Mi ha voluto accompagnare Manu a tutti i costi. Mi fa bene averla vicino. Mi abbraccia e mi bacia prima che entri. Poi si sistema in una poltroncina del corridoio, con una pila di riviste e gli occhiali: «Ci sono un sacco di articoli che mi ero ripromessa di leggere… Finalmente ho un po’ di tempo!». Cara Manu. Sembra che sia io a fare un piacere a lei…
Entro. Lo spettacolo è desolante. Dalle poltroncine mi guardano occhi incavati. Sono tutte donne. Teste pelate. Parrucche. Foulard. In una parte della stanza tende tirate danno una parvenza di intimità a pazienti che devono riprendersi da non so quale esame invasivo…
Però tutte mi salutano, mi sorridono. «E’ la prima volta?».

12 novembre

Secondo appuntamento con la flebo. La prima non è andata male. A parte i capelli, che hanno cominciato a cadermi a ciocche. Allora sono andata dal parrucchiere e mi sono fatta rasare a zero. Se devono cadere, meglio farlo subito, così non ci penso più. Il negozio in cui comprare la parrucca me l’ha consigliato Sabrina, una mia “collega di poltrona”. A poco a poco sto cominciando a conoscerle. Ognuna con la sua storia. Sabrina ha scoperto di avere il tumore al seno mentre era incinta. Erano 14 anni che cercava questo bambino, e la sua felicità era così piena che all’inizio non voleva proprio crederci, che una malattia così brutta si fosse insinuata in lei in un momento così bello. Ha dovuto fare nascere prima il suo bambino per potersi curare. Ora è quasi alla fine. «E’ stata dura», ammette. «Anche perché Tommaso ha sofferto di coliche notturne…» Quando parla di suo figlio, però, ha gli occhi che brillano, lo fa vedere a tutte nelle foto del telefonino.
Elisa la parrucca non l’ha voluta: «I miei capelli erano rossi, lunghi, ricci. Qualsiasi parrucca di questo tipo sarebbe stata troppo “finta”. Aspetterò che ricrescano». Ha una sorella gemella che per solidarietà si è rasata i capelli anche lei.
Anna sta combattendo con una recidiva: il tumore al seno le era già venuto 20 anni fa. A casa ha una madre anziana, malata di Alzheimer, che l’aspetta, che fa conto su di lei.
Serena è bravissima nei lavori a maglia: “Se tieni impegnate le mani, la testa “lavora” meno”, dice, con semplicità. Sta facendo una bellissima coperta patchwork, di tanti colori…

3 dicembre

Ci sono, i giorni in cui mi sento uno straccio. Ma c’è anche un giorno dopo, in cui sto meglio.
«Fai finta di star facendo una scalata in montagna», mi ha detto un’amica psicologa. «Concentrati sul masso alto più vicino. Un passo alla volta, ce la farai».

22 dicembre

E’ quello che sto facendo, anche se lo specchio, al mattino, mi rimanda un’immagine che non riconosco. Sembro un’ebrea in un campo di concentramento. Mi trucco, mi metto gli orecchini. «Sei bellissima anche così», mi dice mio marito.
Tengo duro. Gli effetti collaterali sono diventati più pesanti, ma ormai vedo la fine del tunnel.
Ogni volta arriva una “nuova”. Lo sguardo spaesato che si guarda attorno. Adesso tocca a me sorridere. A volte basta uno sguardo per comprendersi. Altre volte parliamo, con quel modo diretto e confidenziale che solo noi donne riusciamo a instaurare. Passo informazioni, suggerimenti. Passo la fune, per aiutare altre a fare la scalata.

8 febbraio.

Ci siamo. Sono all’ultimo appuntamento. So che il mio percorso non è finito. Mi aspetta la radio, poi un’altra terapia. Ne avrò per circa un anno. Ma non ho più paura. Sento che sono diventata più forte, più sicura. Andrò avanti, un passo alla volta. Continuando a vivere, nel frattempo. Come queste donne che ho intorno.
Con le loro pelate, le loro parrucche, i loro foulard. Che ormai guardo con occhi diversi.
Serena sta finendo la sua coperta patchwork. Ogni quadratino è diverso. Come me, come Sabrina, come Elisa, come Anna. Ognuno ha un colore: rosso, nero, azzurro, verde. Come l’amore, come la paura, come la tristezza, come la speranza. Come la vita.

Francesca Mascheroni


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