Con questo racconto ha vinto l’ottavo premio all’edizione 2008 del Premio Il Club dei Poeti
Il viale dei cotogni
Ogni anno all’inizio dell’autunno, Lara amava percorrere in macchina quella lunga strada intervallata da dossi e rettilinei fiancheggiata da alti e nodosi alberi di cotogne, messi lì come per delimitarne l’inizio dei vasti poderi impervi e leggermente collinosi.
L’ora preferita per le sue solitarie uscite era il pomeriggio, quando gli ultimi raggi del sole al tramonto, donano sprazzi di calore e colore alla sera che sarà umida e breve, e le foglie con i loro vermigli bagliori regalano suggestivi momenti di bellezza all’ora vespertina che presto diventerà cupa e malinconica! Le piaceva ammirare la quiete triste e sonnacchiosa dei campi già pronti ad accogliere l’inverno. Le foglie degli alberi dai molteplici colori, i frutti gialli e odorosi dei cotogni che ancora apparivano sui rami, non più nascosti da un fogliame ormai caduco. Allora scendeva dalla macchina dopo averla accostata quanto più ai margini della strada, e cercava di superare le asperità del terreno per giungere a coglier alcuni di quei frutti che tanto le piacevano!
Quel pomeriggio di fine ottobre volle soffermarsi seduta sul ciglio della strada col suo carico di fogliame accartocciato e di vellutate cotogne, ne aspirava il profumo, delicato e al tempo stesso, persistente, ed iniziò a ricordare.
Noncurante della sera che sarebbe presto sopraggiunta, voleva godere della solitudine di quel luogo per dare vita ai suoi più lontani pensieri.
Le parve risentire la voce greve e piena di nostalgia della madre, di quando le raccontava squarci del suo passato di bambina felice per aver goduto di alcune stagioni che non le appartenevano.
«Mia zia Matilde, quando ci ospitava nella villa di campagna per festeggiare la vendemmia e dare inizio alla preparazione delle conserve per l’inverno, raccoglieva dal grande albero che sorgeva quasi a ridosso del portico della cucina, delle profumatissime cotogne, le metteva in un grosso cesto, le donava a mia mamma e con sussiego forse per voler sottolineare la sua generosità, immancabilmente ogni anno le ripeteva «Adelì, facci a cutugnata a sta carusiggha!».
Lara bambina, ascoltava incantata i racconti di sua madre che le parlava dell’opulenza di quei giorni vissuti nella vasta villa della zia benestante, delle lunghe passeggiate nei campi, della raccolta delle noci, delle mandorle. Dei canti delle donne nei vigneti, delle risatine maliziose delle contadine più giovani che raccontavano le loro prime esperienze amorose, durante la preparazione dei fichi secchi farciti di mandorle tostate, dei pomodori asciugati al sole e conservati nei vasetti con olio e peperoncino, delle marmellate di more, di uva e di cotogne.
Lara, nella sua infanzia, non conosceva nulla di tutto ciò; conosceva solo l’urlo sinistro delle sirene, la paura dei bombardamenti aerei, le corse ai rifugi, i morsi della fame, e che bisognava attendere la sera per poter consumare un piatto di minestra di fave, se andava bene, con qualche fetta di pane nero.
Così per Lara bambina, era difficile immaginare un altra realtà, che non fosse la sua. Anche perché quando si è fanciulli, il mondo che ci ha preceduto, ci appare avvolto in una cortina di densa nebbia; le persone, le cose, il cielo il sole, le stesse tenebre, sembrano allontanarsi ancor più dalle immagini reali ad ogni sforzo compiuto dalla mente, per riconoscere le stesse caratteristiche del mondo in cui si sta vivendo. Tutto rassomiglia ad un sogno offuscato da ombre, da figure lievi incorporee, prive di ogni veridicità.
Quella sera Lara si ostinava a rincorrere i pensieri più oscuri. Sembrava compiacersi nel farsi del male.
Ad un tratto un flebile miagolio la distolse, e vide un gattino strofinarsi alle sue gambe. Lo prese in grembo delicatamente, incominciò ad accarezzarlo, senti la bestiolina tremare e provò tanta tenerezza che decise di portarla con se.
Aprì il portabagagli, cercò qualcosa per sistemarvi il piccolo ospite. Non trovò nulla, allora tolse alcuni libri da una scatola, la mise sul sedile accanto al suo, vi adagiò il gattino che inizio a giocare con i trucioli di polistirolo.
Lara continuava a non avere alcuna fretta di tornare a casa, come se non vi fosse alcuno ad attenderla.
Finalmente mise in moto la macchina e riprese la via del ritorno. Dopo un breve tratto di strada, improvvisamente, frenò bruscamente: le parve udire una voce severa rimproverarla, ebbe un brivido. «Lara, quando finirai di raccogliere gatti randagi, sai bene che non voglio animali in casa, riportalo lì dove lo hai trovato!».
«Mamma, ti prego, lasciamelo tenere, non vedi come è piccolo e magro, avrà tanta fame!». Stupita si accorse di aver pronunciato le stesse parole di tanti anni fa, di quando tornava a casa, stringendo sul petto, nascosto dal cappottino, il gattino di turno, raccolto tra le siepi del giardino della scuola.
Capì la voglia di vagare di allora, di quando voleva ritardare il suo rientro in casa, soffermandosi in qualsiasi luogo al fine di distrarre la sua memoria, e rimandare l’incontro con la madre che non accettava i suoi piccoli protetti! Pensò «Il mio inconscio non intende liberarmi dalle ossessioni!».
Si rivide bambina percorrere quasi di corsa, le vie della borgata Santa Lucia, come in quel giorno, quando tenendo stretto a se un piccolo micio miagolante, incuriosita, si fermò immobile innanzi ad una porta aperta dove in una grande stanza, molte persone taciturne e meste, sostavano dietro a dei grossi ceri accesi, e si udiva sommesso il bisbiglio delle donne in preghiera. Al centro della grande stanza in penombra, vi era qualcosa che doveva essere un letto, colmo di fiori bianchi, su cui giaceva come addormentata, una fanciulla.
Un mesto sorriso sfiorò le sue labbra ricordando l’impaccio di quel momento, di quando corse via evitando che il gattino finisse tra i piedi delle persone raccolte in quella stanza in penombra! Dopo, provò lo stesso sbigottimento di quando capì di essere stata per la prima volta al cospetto di qualcosa da cui non si può sfuggire e che causa paura e dolore. Lara si chiese smarrita perché stesse ricordando episodi lontani che la sua memoria ormai da tanto tempo non le aveva più riproposto, il perché del rivivere situazioni che avevano turbato per lunghi anni la sua adolescenza, già incline alle apprensioni ed allo stesso timore del vivere.
L’aria intanto si era fatta cupa e fredda.
Finalmente Lara parve scuotersi dai suoi ricordi; volle però trattenere nella sua mente quello caldo e tenero di quando ogni anno in autunno, la madre, dopo aver preso con grande cura, da una grande credenza, le antiche e suggestive formette di terracotta, abbandonato il suo aspetto severo e taciturno, con un dolcissimo sorriso diceva: «Anche se siete abbastanza cresciuti per le marmellate, voglio prepararvi la cotognata».
Improvvisamente desiderò essere al più presto a casa, scaldarsi innanzi al caminetto acceso, assieme al suo protetto e assaporare la gioia calda e sottile nel preparare una profumata e dolcissima marmellata di cotogne!
Francesca Piazza