Con questo racconto è risultato 5° classificato – Sezione narrativa alla XIX Edizione del Concorso Marguerite Yourcenar 2011,
Questa la motivazione della Giuria: «La storia dello scudiero del marchese Ezzelino che, attraverso un dialogo interiore, cerca risposte alla sua dimensione con continue riflessioni sulla condizione esistenziale che deve affrontare. L’onore e l’onere nel seguire la sua missione si accompagnano all’accettazione finale della figura del marchese Ezzelino. Il racconto si dipana tra la forza del potere ed il desiderio di essere un uomo libero. La scrittura, limpida ed efficace, rende, nel miglior modo possibile, l’animo del simbolico protagonista».
Massimo Barile
Lo scudiero di Ezzelino
Mi domando ancora perché Ezzelino abbia scelto proprio me come scudiero.
Mi trovò tra i rampolli di Bassano, nemmeno tra i suoi più fidati soldati dello Schlegen. Quando la mia famiglia venne massacrata dagli sgherri del Sambonifacio, lasciai gli studi in seminario per impugnare la spada e vendicarli. Altri ragazzi come me lo fecero, eppure il marchese scelse me.
Non mi disse mai il motivo della sua preferenza nei miei confronti. Poche frasi di apprezzamento e di riconoscimento, saltuarie, non abbastanza perché io riesca trovare un motivo alla sua scelta.
La prima volta che lo vidi mi passò accanto e mi guardò dal suo cavallo. Ai miei piedi giaceva un miliziano veronese disarmato, il primo uomo che io uccisi. Gli trapassai il cuore, senza dargli tempo né di pentirsi dei propri peccati, né di soffrire. Il marchese Ezzelino si compiacque di me e mi domandò in tedesco perché l’avessi fatto. Io non risposi. Avevo solo tanta rabbia, e quella già traspariva dal mio volto.
Da quel giorno seguo e servo Ezzelino osservandolo in ogni gesto, cercando di apprendere la sua arte di governo.
Spesso cerco di capire se sto dando segni di imparare e poi la sera, chiuso nella mia stanza come ora, continuo ad arrovellarmi.
Perché scelse proprio me?
Questa preferenza è per me un onore e un fardello.
Mi accollo giorno dopo giorno qualche responsabilità e accresco il peso della sua fiducia. Ma quando vedo gli occhi della gente e dei padovani puntati su di me come tridenti acuminati, ferri rossi roventi e avvelenati per il solo fatto che sono il suo scudiero, quando guardo con orrore gli scempi e le mutilazioni commessi a danno della gente comune e dei soldati, le stragi di milizie, la violenza della guerra e la volgarità degli assedi, io sento di star precipitando verso un abisso: quest’uomo mi sta tirando giù con sé nel baratro del suo destino.
Ecco, se mai dovessi ereditare qualcosa da lui, credo si tratterebbe del destino, suo e della nostra epoca.
All’inizio, appena mi prese con sé, vagheggiai che fosse il mio padre naturale. La realtà, lottando con la fascinazione, fugò quella mia fantasia. Siamo troppo diversi nel corpo, io sono più alto, moro, gli occhi chiari ma diversi, ho i lineamenti tanto differenti dai suoi quanto simili a quelli di mio padre. Altrettanto diversi siamo per indole. La mia natura è mite, curiosa, timorosa, creativa, mentre la vera arte in cui Ezzelino eccelle è quella di spartire e di riorganizzare. Siamo agli antipodi. Io sono giovane, flessibile, carico di speranze, lui vecchio, corrugato, arcigno; io votato al curare le ferite nell’animo degli altri, egli al nuocere e al dolore; io al bene, ed egli a quanto noi siamo soliti chiamare male.
Proprio mentre facevo questi ragionamenti ho intercettato un pensiero che mi è balenato, proprio come l’arciere abile colpisce l’uccello in volo: stavo accettando Ezzelino. Non ancora completamente, ma già lo comprendevo.
Tutto intorno vedo solo uomini che lo seguono per meschinità, per servilismo, per timore o per brama di potere – ma secondo me non vi è differenza tra paura e desiderio di potere – mentre io non l’ho mai seguito per quello.
Forse mi scelse perché mi vide semplice e puro, anche nella rabbia in cui mi colse il giorno del nostro incontro, e scevro delle meschinità degli altri suoi attendenti?
Faccio un passo ancora, comprendo che Ezzelino è inevitabile. Ezzelino non può non essere Ezzelino e non può non esserci Ezzelino. Lo accetto per come è, per ciò che non può essere modificato.
Il mio signore rappresenta un’epoca, la sublima. Incarna tutti i caratteri del monarca perfetto fuorché la clemenza. Se amo quest’epoca – e non posso fare altrimenti giacché è qui che vivo e non posso non amare la mia vita – allora io amo anche l’uomo che la incarna.
Quando ascolto i sussurri dei suoi detrattori, il sibilo degli adulatori che si riposano dalle attività di palazzo confidandosi con i propri compagni di mestiere, odo soltanto odio e risentimento, ma soprattutto il rifiuto. Lo rispettano o lo evitano, ma tutti lo rifiutano.
Quest’uomo è solo al mondo.
E io sarei il suo unico compagno in questo mondo, l’unico che sappia accettarne i lati negativi e stimarlo per quelli positivi, riconoscere in lui la scintilla del bene anche quando tutti gli altri non vi scorgono che il male? È davvero un pregio mio questo, così raro? Temo a dubitarlo.
Sono l’unico che prova sincero dispiacere per quell’uomo.
Allora sono solo anch’io.
È vero. Sento di essere anch’io unico, in questa città in cui tutti fanno a gara a essere più uguali.
Là dove gli altri hanno già la risposta pronta, io la metto in dubbio e penso all’alternativa, vedo il cambiamento. Cerco e vedo il possibile, l’altra faccia, l’altra strada. Ho mille strade di fronte a me e per ciascuna una possibilità. Per questo non sono mai arrivato da nessuna parte: eccezion fatta diventare lo scudiero di Ezzelino.
Mi avvedo ora di questa mia caratteristica, come la luce forte del sole squarciando una nube balza inesorabilmente all’occhio. Sono un inseguitore di possibile, ed Ezzelino, colui che ha una e una sola vita ben definita da un destino funesto e dalle proprie azioni, ha scelto me. Perché?
È possibile che, pur di fronte a tante riflessioni e intuizioni su me stesso, io continui a porre come problema più importante il rapporto con il mio signore e l’opinione che egli pone in me?
Le nostre esperienze sollevano in noi emozioni differenti. Io mi sento perennemente percorso dallo stupore, mentre Ezzelino è una roccia consumata dalla disillusione. Non si scomporrebbe neanche se gli comparisse davanti Lucifero in persona. Si distacca dal variabile fluire delle cose affrontandole con un unico atteggiamento, quello della rabbia radicata.
Eppure a volte cerca di attuare mosse impreviste, all’apparenza sensazionali, talvolta burlesche. Credo lo faccia per compiacere gli altri, non per farsi adulare. Oppure, ed è quel che temo, lo fa per convincersi di non odiare, perché teme se stesso.
Ha fatto così con la sua nuova moglie. Il ricordo di un mese fa è ancora vivo non solo in me ma in tutti quelli che erano presenti. Non lo fece per interesse politico, per lo meno non per l’unione tra famiglie: avrebbe potuto trovare partiti ben migliori, è stato genero dell’imperatore.
Ebbe uno scatto di ardore, mi sembrò più per un bieco impulso della mente che per un istinto del ventre. Desiderò mostrarsi a un tratto giovane e diverso, capace di riproporsi sempre nuovo e originale, così prese il padre di lei in disparte, la sera stessa che l’ebbe conosciuta, il tutto appunto in un bizzarro guizzo d’ingegno più che per vera volontà. Tanto meno in nome di un qualche sentimento. Non a caso ora degna la nuova sposa a malapena di uno sguardo e si preoccupa soltanto di non farla finire in mano ai suoi rivali.
Distinguo l’Ezzelino di oggi da quello che poteva essere prima di incontrarmi. La superbia – una delle poche cose che ci accomunano è questo vizio – mi illude di aver cambiato anche solo in parte la sua vita.
Non solo, la superbia mi fa credere che non è solo Ezzelino a dare a me qualcosa, infondendomi pian piano la conoscenza e di pari passo la disillusione delle cose della terra, tacciando il mio stupore come mera progenie dell’ingenuità: mi illudo di infondere anch’io la mia spontaneità a Ezzelino. In entrambi i casi è come se cambiassimo il sapore degli alimenti, li speziamo a vicenda ma senza cambiarne la sostanza.
In realtà, tuttavia, il suo animo sta declinando in peggio.
Tutti convengono che fino a pochi anni fa il carattere del marchese era ben diverso, prima che il potere lo inorgoglisse e lo intimorisse. Ragionando, in tutto ciò non c’entro io. L’unico che può decidere dell’animo di Ezzelino è Ezzelino.
Non esiste un marchio a fuoco su di me che mi imponga di essere qualcosa. Nel mio fluire in torrenti e fiumi e foci io potrei anche assumere sostanza e forma di Ezzelino. Di solito mantengo la mia spontaneità e continuo a essere me stesso, ma so che potrei comportarmi come lui, e magari esser capace anch’io di far spallucce al cospetto di Lucifero.
Un pensiero mi si affaccia ora.
Ho lasciato che si dipartissero mille strade davanti a me e altrettante possibilità. Concedo e accetto la visione di chiunque, entro nei suoi panni, lo comprendo. Lo faccio divenire parte di me, come l’albero si ingrossa della terra in cui è radicato.
Ezzelino questo l’ha veduto. L’acutezza del marchese è fuori dal comune. Ha visto che non lo rifiuto e ora mi cerca, come l’ape regina cerca l’albero in cui colonizzare il nuovo alveare.
Credendolo possibile, lo libero dal timore di non essere.
E se si approfittasse del fatto che lo accetto?
La mia bontà potrebbe rendermi oggetto delle sue macchinazioni. Al suo posto anch’io farei così, è la necessità di chi non è accettato. Si appiglia su di me perché sono l’unico a porgergli la mano. Si approfitta perché non è abituato allo scambio reciproco di amore.
Dovrei abbandonarlo? Schiacciandolo, così, rivalendomi, come se in questa furibonda legge del più forte potessi vincere una battaglia di affetti.
Potrei fare qualcosa per risvegliare la sua umanità sopita? Davvero lo voglio? A volte mi illudo che questo sia il mio scopo e forse il motivo per cui mi ha scelto: riportarlo all’umanità. Ho la superbia che prendermi come scudiero sia stata la sua prima muta richiesta d’aiuto. La formulò dalle profondità di quell’abisso verso cui egli mi tira ogni giorno e mi cattura. Sta a me diventare più forte, seguendo il suo esempio, e trarlo invece a me, riportarlo su, accogliere la sua dignitosa supplica e salvarlo.
Ma continuerei a essere me stesso assumendo la sua forza? Oppure la mia indole è così perché sono debole, e quindi non sarò mai forte, tanto meno per portarlo in salvo? E se acquisissi la forza, diventerei forte quanto – e come – Ezzelino, e così potente? Potente quanto lui, che non può decidere della propria umanità se non tramite altri, o di più, in grado tanto di esercitare il controllo sulle cose della terra quanto di mantenere l’integrità dell’anima?
Oppure mi lascerei corrompere, e diventerei ancor peggio? Almeno Ezzelino contiene l’odio tra le morse della propria coscienza disillusa.
La crudeltà è forse il connubio tra il desiderio di forza e un destino avverso? In tal caso io, ereditando il suo destino, sarei vittima di una crudeltà più debole e meschina, come i suoi consiglieri.
Qualunque sia la verità, i nostri destini si sono ormai incontrati e seguiamo una parte di cammino insieme. Non posso lasciare il marchese al suo declino. Delle mille strade che ho davanti, mi rendo conto solo ora che ne ho già imboccata una.
Questa intuizione è stata mia, ma sono riuscito a vederla perché si è riflessa su di lui.
Non ci saranno più altre notti insonni. Il mio compito è diventare più forte e salvare Ezzelino, e così tutta la marca e l’Italia e il mondo intero – Dio perdoni la mia superbia! – dal suo potere ora mutilato dal troppo odio.
Lo seguirò fino alla fine, fino alla sponda del fiume che si attraversa una sola volta. In questo mio atto di fedeltà c’è la mia riconoscenza per avermi formato nell’arte dell’amministrare gli uomini e nella padronanza delle cose del mondo. C’è anche il mio amore verso di lui: così come tutti noi, si è comportato così a causa delle circostanze della propria vita. Non ha senso che odi lui, non ha senso che odi le irrevocabili circostanze del passato.
Non sarò ricordato, ciò che conta è che ad accompagnarmi sia la gloria, quel senso di appagamento che ci accompagna al termine di ogni strada percorsa fino in fondo. Sto imparando molto dal mio padrone, gli auguro di riscoprire se stesso prima o poi. Non lo giudicherò più. Egli è libero di esprimere al mondo la propria natura, mentre io rafforzerò la mia: in questo modo, soltanto nell’equilibrio di forze, rispetterò con gratitudine il mio signore e proseguirò sulla mia strada.
Francesco Brocchi