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Francesco Resta

Considerazioni dell’Autore

Sono di origine pugliese ma vivo a Sondrio da oltre vent’anni, dove insegno. I primi tre anni di precariato li ho passati in Trentino e poi, per il passaggio in ruolo, mi sono spostato in Valtellina. Le regioni dell’arco alpino le conosco come le mie tasche e quindi ho conosciuto anche la gente del profondo Nord; gente umile, laboriosa, rispettosa e con senso del dovere. Qualità che difettano in molti meridionali, ma in cambio noi “terroni” abbiamo qualcosa che a loro manca: calore umano, personalità solare, senso dell’ospitalità. Naturalmente i “polentoni” sono pronti a riconoscerlo.
Col passare degli anni perciò, noi meridionali trapiantati nel profondo Nord, nonostante abbiamo ottenuto tutto quello che si può desiderare dalla vita: un lavoro sicuro e soddisfacente, agiatezza economica, affetti familiari, ecc..; accusiamo nell’animo un vuoto insopportabile e ci voltiamo indietro mestamente col pensiero a ricordare ciò che avevamo lasciato: il suolo natio; il clima mediterraneo e quindi la vita all’aperto, gli odori e i sapori della nostra terra; i dialetti e le tradizioni dei nostri paesi, le parentele e le amicizie della gioventù ormai lontani. Tutto ciò costituisce solo oggetto di chiacchierate e discussioni, la domenica mattina nella piazza principale della città dove ci riuniamo tra di noi, come lucertoloni al sole, per ricordare i tempi andati.
Verga aveva ragione, il meridionale non può allontanarsi dalla sua terra ma deve rimanere, come l’ostrica, attaccato al suo scoglio.
Nasce da queste motivazioni la decisione di scrivere questo romanzo.
“Oggi ho perso anch’io” ha la pretesa di voler raccontare, attraverso il filtro della vicenda individuale di Nicola che “fugge” dal suo paese di provincia, una triste pagina della nostra storia nazionale, quella della fine di un’epoca: la scomparsa degli ultimi contadini del Mezzogiorno con tutti i loro valori, le tradizioni e i modi di vivere.
La storia è in parte autobiografica e racconta le vicende di questo giovane che dopo il servizio militare ritorna nel suo paese d’origine, sull’altopiano della Murgia, e si trova a fare i conti con una realtà ben diversa da quella che si immaginava.
Al suo ritorno, Nicola scopre che Tonino, suo compagno d’infanzia, è stato ammazzato in condizioni del tutto misteriose, infatti non si conosce il movente e tanto meno l’assassino. Attraverso una cocciuta voglia di scoprire i misteri che avvolgono questo intricato caso, il giovane protagonista insieme agli amici di scuola, Giuseppe, Mimmo, Marco, Gigino, ha la possibilità di aprire gli occhi sulle piaghe e le contraddizioni che da sempre affliggono la sua terra: la corruzione politica, la povertà e l’emarginazione sociale, il malcostume dilagante, una piccola borghesia miope e arroccata nei suoi privilegi.
E mentre il mondo intorno si muove, scosso da avvenimenti quali la caduta del muro di Berlino, i ragazzi si interrogano sul loro futuro, sulle loro prospettive, sognano grandi cambiamenti e grandi ideali, in una terra in cui tutto sembra rimanere immobile e sempre uguale a se stesso. Ma una volta laureato in legge, Nicola deve fare una difficile scelta: diventare un servo di partito per inserirsi nel mondo del lavoro o rimanere un uomo libero. Sceglierà le seconda strada ma pagherà un prezzo altissimo, sarà costretto a lasciare il suo paese per andare a lavorare al Nord. Decide di partire, tuttavia, quando per necessità di cose vede tutti i suoi amici, uno dopo l’altro, abbandonare quegli ideali che in un primo momento avevano condiviso insieme. Fugge lontano, dove la realtà è diversa, lasciandosi alle spalle sogni e aspettative, con la consapevolezza di aver perso la propria battaglia.
Procedendo nella lettura del romanzo appare avanti agli occhi una realtà sociale chiusa su se stessa, malata, distesa sul tavolato della Murgia come un vecchio abbandonato con tutte le sue contraddizioni tipiche dei paesi di provincia e per questo il lettore potrebbe immaginare un posto qualsiasi del Mezzogiorno, se non addirittura identificarsi nel proprio luogo d’origine.
Siamo alla fine degli anni ottanta e sin dalle prime pagine, dietro le diverse realtà descritte, che fanno ricordare le tipiche frasi dialettali (ih cud cristiane!), i luoghi caratteristici e personaggi indimenticabili come Peppino il fiammuso, traspare un profondo scavo psicologico. L’ambiente familiare, le giornate dei contadini, le lunghe ore di studio, i ricordi d’infanzia, le partite a pallone alla Prichicca, le noiose serate trascorse sul Corso cittadino, sogni e illusioni che non si esauriscono alla pura descrizione ma alludono a un significato meno apparente: suggeriscono ai protagonisti, un gruppo di amici di diversa estrazione sociale, il loro essere effimero, sfuggevole e precario, la fine imminente del loro mondo.
Il declino del protagonista è anche il declino di un certo modo di guardare la vita e non a caso il 9 novembre 1989 data della caduta del Muro di Berlino, coincide con il crollo di un mondo e la perdita dei valori in cui si identificava il protagonista: la morale, la religione, la famiglia, da cui scaturivano comportamenti come l’obbedienza, la rassegnazione, la sopportazione, il sapersi arrangiare e accontentare. Valori in cui Nicola crede ciecamente e assiste impotente, dietro un caotico fenomeno di incomprensibili trasformazioni sociali, al loro tramonto. E scaturisce da ciò uno struggente e lucido addio alla propria terra, la sua terra “tanto amata quanto ingrata”, per riconoscere la propria sconfitta senza alcun tipo di rivalsa e pregiudizio ma accettando con rassegnazione l’umano epilogo.
“Oggi ho perso anch’io” vuole essere anche un preludio alla tragica venuta del consumismo e alla conseguente scomparsa di quei punti di riferimento che rendevano la vita dei giovani di allora piena di privazioni e sacrifici ma davano anche la libertà di sognare e illudersi in un futuro migliore.

Francesco Resta


Scrittore, nel mese di marzo 2007 ha pubblicato con la Casa Editrice Montedit il libro Oggi ho perso anch’io – Collana I salici (narrativa)

Oggi ho perso anch'io


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