Voli nell’azzurro… il filo del tempo!

di

Genoveffa Pomina


Genoveffa Pomina - Voli nell’azzurro… il filo del tempo!
Collana "Le Schegge d'Oro" - I libri dei Premi - Narrativa
15x21 - pp. 238 - Euro 15,00
ISBN 978-88-6037-7579

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A mia figlia…

Il canto del vento…
Un mare che ride…
Una notte stellata…
Un canto del cigno nella sera…
Una bimba biondissima…
Una pianta che attecchisce,
Germoglia e produce rami
Che stanno sempre lì… assieme…
Un ramo si distacca…
Sogni infranti dove
Un dio vagabondo unisce
I colori di questi
Al colore ruvido del cuore
Che a volte arranca, a volte muto,
Lascia che il tempo lo cinga col dolore.
Un timido tramonto…
Trine di nuvole leggere e vaganti…
Una conchiglia trovata
Lungo una riva…
Sogni lasciati andare alla deriva…
Il ricordo di un viso,
Il calore di un sorriso,
La forza della mia fede…
La fonte delle mie lacrime…
Una speranza ritrovata…
Potrebbe l’albero germogliare di nuovo
Dimenticando l’inverno
O il ramo fiorire senza domandarsi il perché?

(mamma)


Prefazione

Nel romanzo “Voli nell’azzurro…”, Genoveffa Pomina alimenta la sua visione in un continuo fluttuare tra immagini sognanti e suggestioni, in una costante ricerca nel profondo del proprio Essere, fino ad indagare le fessure dell’esistere con le sue inquietudini, attraverso un recupero dei frammenti esistenziali che consente di riunire il tutto, di riplasmare ciò che può andare perso.
Si susseguono le vicende della vita, le profonde riflessioni che scavano nelle zone più segrete e gli spiragli della memoria, più o meno labili, tornano a risplendere o a far pensare.
Allo stesso modo, emergono le figure delle persone amate o solo incontrate, legate fra loro da un sottile filo della memoria, quasi a formare uno scrigno memoriale che ha il sapore d’una imprescindibile rivisitazione.
A volte, si ritrova a fare i conti con il silenzio che può derivare dalla perdita della persona amata, con la tremenda constatazione di essere “sola” davanti al manifestarsi dell’esistenza.
Quella stessa vita che è razionalità e sentimento, coscienza di sé ed immaginazione, gioia e sofferenza, amore e dolore, fino alla possibile riscoperta, non tanto della felicità, quanto della consapevolezza del proprio sé.
Genoveffa Pomina si lancia in un volo fantastico, come solo nei sogni si vola, con le immagini illuminate dalle sue parole, con una meravigliosa capacità di riportare in superficie “le trame nascoste della vita”.
Ecco allora che, nel raccontare e nel raccontarsi, emergono le emozioni, i giorni che passano veloci, le vicende che hanno contrassegnato il cammino di una donna, i momenti di silenzio in cui ci si tuffa nella ricerca di se stessi, della propria essenza, autentica e vitale. Una sorta di percorso esistenziale a ritroso, indagando e scrutando con sguardo attento, i fatti e gli avvenimenti dispersi nel tempo che passa: tra realtà e sogno, ricordi e consapevolezza.
Ritornano in superficie l’iniziale incanto di un matrimonio, le gioie dell’amore, i ricordi tra le necessità di muoversi nel mondo o nei luoghi magici dei viaggi, i giorni della malattia della persona amata, il tormento e le notti insonni, la presa d’atto d’una condizione sofferta.
Ecco allora, infine, l’atto di salvazione, scrivere un diario per salvare ciò che merita di essere salvato attraverso una ricerca interiore che vede svolgersi la vita in un flusso e, al contempo, un riflusso di rimembranze, di lampi onirici, di recuperi dal rifugio della mente, in un luogo dove versare le lacrime.
La nostra vita ha la necessità di essere sempre curata, alimentata e cusotodita, con un lavoro costante, quasi a perdersi tra le tracce lasciate dal tempo nei viaggi dentro se stessi, nelle storie da raccontare tratte dall’archivio dell’inconscio: un lento ma incessante processo che riporta alla luce le verità nascoste, che tenta di rivalutare l’importanza del silenzio, di capire i motivi delle discese nelle zone oscure, nel luogo delle ombre che soffocano la mente.
Le parole di Genoveffa Pomina “respirano”, ossigenano la trama esistenziale e rendono evidente l’universo di riflessioni ed emozioni, nel lento scandaglio che scende sempre più in profondità, negli stati d’animo, nelle lacerazioni e nelle dispersioni.
Tutto è pervaso da un lirismo che trae linfa vitale dalla capacità di mettersi davanti allo “specchio della vita” e le numerose poesie che accompagnano la lettura, sono strumento di verità, aiutano a fare chiarezza e portare luce dove v’è il buio.
Altre volte, capita di perdersi nel labirinto del tempo passato, di abbandonarsi alla vertigine dopo aver superato le llusioni, le speranze, le contraddizioni, il dissidio e il confronto con la solitudine, i dubbi e le paure, gli interrogativi per capire meglio la realtà e la visione di una possibile vita serena e felice, i sogni così come la “malinconica consapevolezza” che pervade senza tregua.
Eppure tutto questo manifestarsi è collegato a quel sentirsi “inadeguata”, quasi una “persona spenta” che si affanna a ricordare i “momenti felici” ai quali attingere nelle situazioni negative.
La memoria serve per salvarsi nel presente e scrivere diventa la possibilità di “quell’essere altrove”: nel recupero delle emozioni per sconfiggere quel senso di smarrimento, nel ritrovare il disvelamento possibile delle incognite, nel desiderio di esprimere pulsioni, pensieri e visioni oniriche.
Le ferite della vita, a volte, non si rimarginano mai completamente, proprio come scrive Genoveffa Pomina, ma, anche se ciò è vero, è fondamentale recuperare e rivitalizzare i momenti straordinari che plasmano il resto della nostra vita. Le zone d’ombra devono essere illuminate, il lato oscuro deve deve essere indagato e conosciuto nella sua totalità: ed ecco allora che, dopo qualche anno dalla morte del marito, si può diventare bisnonna, dopo essere stata una donna “ingenua e semplice”, e, finalmente, fare il resoconto della propria vita fino a quel momento.
Talvolta si può riuscire a trovare le parole “giuste” per descrivere le cose più semplici dell’esistenza in uno struggente personale diario. Proprio come fa Genoveffa Pomina.

Massimo Barile


Voli nell’azzurro… il filo del tempo!


Racconto di una vita… che importanza può avere una voce soffocata per anni nel nostro intimo piuttosto che dei foglietti scritti a volte pieni di correzioni, cancellature e quindi difficili da decifrare? Una vita vissuta o immaginata? Un canovaccio da cui dipanare un filo conduttore per fissare punti di riferimento o pensieri in cui ci si rende conto di quanto sia difficile raggiungere la vera profondità di un altro essere… Tutto resta dove esattamente? Nella realtà oppure sospesi in un’atmosfera irreale come deve provare un bimbo abbandonato che piange sulla riva di un oceano? Certo si troverebbe la pace se si riuscisse ad ascoltare la musica che lì risuona… una musica che pervade l’infinito… ma è anche un canto troppo nostalgico e struggente per essere accessibile, per acuirne le sensazioni e captarne le impalpabili sfumature. Questi toni esitanti, indecisi, ma anche mutevoli ci fanno passare da uno stato all’altro senza rendercene conto… un po’ come quel bimbo che ascoltando una fiaba si avvia dolcemente verso il sonno. Essere liberi dai ricordi non potrebbe essere l’inizio di una nuova vita, o la fine di un’altra? Troppo spesso fluttiamo ancora nelle zone di rimpianto o nostalgia, ma se appena ci insinuiamo dentro queste notiamo che nulla è mai concluso perché la vita continua a circolare nello spazio per superare i gradini del tempo così ciò che si è sempre desiderato è ricomposto in noi stessi…quindi ogni attesa può sembrare inutile…perché altrimenti si è stati quaggiù con i dolori e le pene? Può darsi che il miracolo accada, restituendoci un pezzo alla volta gli avvenimenti di un’esistenza e consentendo infine alla corrente di riunire le due parti separate. A volte capita di chiederci se ci siamo mai separati dalla persona che abbiamo amato di più… se ci siamo mai persi in quel lembo di terra… o se senza il nostro incontro non ci sarebbe stato destino. Ci sono anche moltissime cose che nessuno ci ha mai raccontato sulla morte e una delle più importanti è… quanto ci vuole perché le persone che hai amato muoiano nel tuo cuore? È un segreto ed è giusto che sia così, perché altrimenti chi è che vorrebbe legarsi a qualcuno sapendo quanto è difficile separarsene quando non c’è più? Nel nostro cuore muore a poco a poco come una pianta che hai smesso di annaffiare… Quello che accadrà non potrà essere altrettanto reale di quanto effettivamente è successo? Forse sarebbe soltanto sufficiente mettersi sulla strada del ritorno quando si vorrà e dove si vorrà…

Gli avvenimenti di una vita non sono soltanto rose e poesia ma il carattere delle persone che la vivono… conviene mantenere integra la memoria soprattutto man mano che le fila dei protagonisti per forza di cose, vanno assottigliandosi e la distanza del tempo tende ad offuscarne i ricordi. È uno stimolo a contribuire a formare un archivio, perché tutto il materiale quello che può apparire da solo insignificante o anche di minor rilievo, connesso ad un corpus acquista un valore rilevante… momenti che accompagnano sempre la nostra storia, quando le vicende nel concludersi assumono le caratteristiche di grandi svolte… Partiamo ma non sappiamo nemmeno bene dove possiamo arrivare… è un leit-motiv che lascia tanto spazio alle emozioni, alla narrazione dei sentimenti perché l’essere rimasti soli dipende soltanto da se stessi, fa sì che tutto un mondo di affetti e di lutti resti nel non detto e ci fa conoscere la misura dei silenzi per capire che il domani può essere ancora vissuto. Ciò che spinge le persone a fare o non fare è incomprensibile, ma l’esistenza stessa è sentimento, ragione, coscienza… (o irragionevolezza e incoscienza), è pura immaginazione o una realtà che patisce la sofferenza e il dolore… ma da sempre è un sentimento esaltante l’amore e la felicità. È impossibile nascondere il modo in cui compiamo le nostre azioni… possiamo cambiarne l’aspetto ma il nostro comportamento segue comunque la logica interiore e ciò che di conseguenza facciamo dipende da pulsioni psicologiche. Mi seggo accanto alla finestra… piove ancora e guardo la città… dal traffico si leva un rumore attutito dai vetri chiusi… è simile ad un gemito… sto diventando nostalgica pensando a quanto tempo della mia vita è passato e così ogni anno che passa relego in un passato confuso e poco comprensibile anche quest’anno con le sue burrasche o il cielo sereno, l’avvenire irraggiungibile e le rassegnazioni inaccettabili. Quando rivado con la memoria ad alcune immagini dalle tinte scolorite, penso che forse è uno sfondo creato soltanto dai sogni che fanno apparire blu il verde delle foglie e dà altre sfumature in risalto ad un sentimento riaffiorato… immagini di un volo fantasioso come soltanto in sogno si vola, o immagini di cadute libere come si cade tuffandosi in mare… ed è una strana sensazione come se un velo si levasse per scoprire le trame nascoste della mia vita… come se il mio carapace che funzionava a meraviglia come armatura stagna contro le vecchie angosce, finalmente fosse andato in mille pezzettini! Questa pace notturna mi fa pensare alla transizione fra la mia vita di prima… ai dolci posti di tutte le estati, ai climi in cui turbinavano tempeste di colori, profumi, luci, che dai loro luoghi nascosti ora scaturiscono dall’ombra attraverso le bufere in cui sono passati con una arrendevolezza nuova come un nuotatore stanco che tocca terra! Racconto di un secondo della mia giornata, di giorni che spariscono veloci dal calendario… dei momenti di terrore in cui mi trovo di fronte alle lancette dell’orologio del tempo che inspiegabilmente continuano a funzionare.

Da questa paura nascono le domande, il bisogno di ritrovare in silenzio una perfetta ricerca di me stessa (a volte perfetta anche nel non ritrovarmi) perché la perfezione non è di questo mondo e perché ritrovarsi veramente è forse impossibile. Può essere che più importante di tutto sia la ricerca ovunque e comunque… un’indagine aperta o chiusa non si sa davvero quale delle due. In un itinerario onirico esistenziale narro a volte la mia vita con scrittura limpida, a volte sgomenta per i giorni che si accavallano tutti uguali, sogno nei sogni o realtà nelle realtà… nulla è più imprevedibile della realtà o l’invasione implacabile dei ricordi… a che servono i ricordi? È la nostra anima piena di dubbi che ci fa ricordare le cicatrici che la costellano? La speranza (altra faccia della disperazione) fa riflettere… a volte i conti del vivere non mi tornano e allora tengo la luce accesa anche di notte… come quando da piccola (e allora non potevo tenere la luce accesa) mi rannicchiavo sotto le coperte e rimanevo sveglia ad ascoltare il vento… adesso qualche volta provo la stessa sensazione quando, dopo una notte particolarmente insonne finalmente riesco ad appisolarmi… una volta ho scritto… ho sempre avuto paura del buio, ma non sapevo che il buio ero io… Non sempre nei miei sogni ci sono immagini da dimenticare, ma anche quelle molto belle che non appartengono né al passato né al presente… soltanto ad un sogno! Quanti anni ci vogliono prima che il semplice e sciocco peso del tempo consumi tutto l’incanto che c’è in un matrimonio o quanta fortuna devi avere perché il tuo amore sopravviva al tuo tempo? Quanto tempo ci vuole perché si possa dimenticare i ricordi dei giorni affannati in cui tra casa, figli e lavoro non riuscivo a starti vicina come avrei voluto? Oppure di quei giorni in cui le bimbe erano dai nonni e noi guardavamo la tv l’uno vicino all’altra… mi piaceva il modo in cui nella semioscurità la lampada faceva risplendere i tuoi biondissimi capelli. A quei tempi i tuoi capelli erano un po’ più lunghi del normale, ancora immuni dal grigio che li avrebbe resi argentei. I tuoi capelli nella luce della lampada avevano come una storia in sé… ma già in allora vedevo in te due personalità distinte… una che stava con me e l’altra altrove… ma io le amavo tutte e due! È da allora che ho cominciato a viaggiare in posti bui nei miei sogni… in quei posti bui ma quelli veramente brutti, dove sei così sola e spaventosamente priva di voce. E mentre la mia vita adesso passa sempre più veloce ad una nuova fase, una fase da ‘solista’, penso anche alle cose che forse ti hanno tormentato negli ultimi giorni della tua malattia in una delle tante giornate e notti insonni… quelle cose che riescono a vedere bene i malati di cancro terminale… guardare l’ultima sacca di antidolorifico della giornata… niente più medicina per almeno qualche ora… non vedi che sono vicino alla fine? Non vedi che sono già morto?… Mi sono perso nel buio e sento tanto freddo… Hai mai guardato una persona negli occhi con la sensazione d’averla già perduta?

Mi sarei aspettata che forse tre anni bastassero a smussare gli spigoli o i bordi più taglienti del lutto… ma niente è più lo stesso, né fuori né dentro di te. Pensi che non c’è niente di peggio della solitudine che provi quando hai una grande casa un tempo condivisa e ora tutta per te. La testa può dire al cuore tutto quello che è accaduto, ma in fatto di emozioni il cuore ha un suo vocabolario. Spesso i ricordi delle ore buie trascorse, quel genere di avvenimenti, tendi a bruciare inconsciamente qualche fotogramma come meccanismo di difesa, ma poi dopo mesi o anche anni ne riaffiorano frammenti ed immagini sconnesse, spezzoni di ore, minuti e giorni! Sarebbe stato bellissimo tenere la tua voce dentro me… per tanto tempo era rimasta in silenzio perché non mi conveniva ascoltarla nemmeno tra le varie versioni di me stessa… fino a quando non mi hai detto… ti prego lasciami andare… Adesso so che il modo in cui i vecchi ricordi arrivano alla superficie del tempo presente non è un buon modo di pensare perché è come una sensazione che stiano nuovamente accadendo… o come potrebbero accadere nell’ambito di un sogno. Ci sono poi ricordi belli e altri pericolosi; ma se ti capitano i ricordi sbagliati, quelli riposti nel labirinto della tua mente in quel serpentone che non finisce mai e fin troppo accessibile, allora ti dici che proprio non le vorresti pensare quelle cose, quelle cose che ti hanno fatto stare male… quelle rinchiuse oltre una linea rossa in un posto buio, dove il passato sta ancora avvenendo.

Ricordi

Ricordi… confeziono un’altra scatola…
Sigillo bene perché non prenda aria…
La metterò in solaio… sì perché è
Giusto conservarla…
Starà sempre lì come tutte le cose
Che si pensa possano servire.
La voce del tempo la trova… la sfiora…
L’afferra e poi rotola via…
Corre veloce con la sua fiera preda.
Gelosa di questi ricordi
Che avrei voluto esternare
Ma che ho rinserrato in gola
Ad aspettare altri momenti…
Piccole schegge che si staccheranno dal tempo
Gettando un ponte tra presente… passato e…
Futuro???

(Nuccia)

Così, il mio cammino, che dovrebbe condurre alla comprensione, è iniziato quando mi si è sgretolato il mondo sotto i piedi e le mie convinzioni sono state spazzate via… e allora… scrivere un diario, raccontare i miei disagi, iniziare sulla carta questa ricerca interiore che lentamente si sposta alla mia vita reale, coinvolge persone care e rivaluta le vicende del passato… il mio malessere è sempre stato che, non soltanto sono scontenta di come sono, ma ho sempre avuto l’abitudine di pretendere di poter ricominciare da capo ogni volta che convivere con me stessa diventava impossibile. Come se fosse possibile cancellare tutti i lati negativi del mio carattere da un momento all’altro. In tutti i miei ricordi mi vedo sempre alla ricerca frenetica di un momento veramente importante che potesse rappresentare l’ultima volta di ricominciare, e anche questa specie di diario sarà forse una buona idea, ma per cominciare una cosa così importante mi costringo a pensare che questo momento di scrittura è un nuovo inizio e questo certamente non è un buon passo avanti perché è pur sempre un ricominciare qualcosa… ma forse sentendomi in grado di realizzare qualcosa, come scaricare tutti i sentimenti negativi, alla fine sarei (forse) soddisfatta di me stessa da dimenticarmi di ricominciare ancora qualcosa.

Il giorno è ancora lontano, ma già una metà della notte divide il cielo con la metà più chiara, e la linea lontana dell’orizzonte assomiglia ad un ultimo solco che si apre sul nulla del cielo. Cerco tra i ricordi il filo invisibile che ci ha legato per tanti anni l’uno all’altra e lo ritrovo esaltato nella malinconia di un fine pasto noi due soli quando le nostre figlie finalmente avevano trovato la loro strada. Gli anni in cui come genitori dovevamo fingere di approvare quello che facevano per non dar loro dispiaceri, per farsi forza per sembrare infallibili, mentre loro non ne sapevano più di noi. La fretta che avevano di crescere come avevamo noi… il disprezzo che avevano di un tempo in cui sono sbocciati di corpo e di animo. I ricordi della fine di una discreta stagione estiva trascorsa in campagna, nell’ozio di una giornata al mare sotto un ombrellone e nella fine di una giornata non peggiore né migliore di un’altra quando il cielo aveva ancora un po’ di quell’azzurro cenere che il crepuscolo lascia indugiare a lungo prima di cedere il posto alla luna e alle stelle. Spesso mi domando come potrei esistere rinunciando al mio passato? Come potrei dimenticare tutte le volte in cui tentavo di riconquistare uno sguardo o un sorriso… al triste pensiero di… “che cosa ci divide?”… “Perché non ci ritroviamo più?”… forse basterebbe che questi pensieri li avessi dimenticati per ritornare ad essere felice come prima o infelice come prima o uniti come prima? Scoprire ogni giorno di più il mondo delle emozioni, delle ingiustizie mal sopportate… togliere la necessità di abbellire un altare sul quale trema la visione di una persona giudicata perfetta e scoprire la sua mediocrità…

…chi ama veramente è come l’alga affiorante in uno stagno… hai un bel ricacciarla sotto, tornerà sempre a galla…

(proverbio africano)

Sono sempre più prigioniera di una potente risacca di lontananze e ora anche d’irrealtà. Cerco di trascurare di rivelare a me stessa perché mi sono lasciata andare così…perché mi rimprovero continuamente di non sentirmi migliore… nessun libro insegna che in un naufragio qualcuno deve pur soccombere e che non basta una caduta per ritrovarti in piedi e illesa, ma che rimarrai barcollante ancora a lungo con oscillazioni profonde e scossoni da far paura. Soltanto le cose che non capiamo possono avere conclusione. Ai significati profondi e misteriosi che l’amore attribuisce ad un anello infranto, ad un fiore appassito o ad un uccello ferito, tutto è accettato ma con amarezza… così dovrebbe essere un avvenire benedetto o maledetto.

Gli avvenimenti della mia vita sono delineati ora tra un punto di riferimento… si è stato prima… no è stato qualche tempo dopo… Al suo posto credi di aver fatto uno di quei brutti sogni abbozzati realisticamente e cancellati bruscamente durante una di quelle notti non certo piacevoli. Poi ritorni anima e corpo alla gelosia, alla collera lenta a calmarsi ai rifugi mentali impervi quanto i nidi sulle rocce.

Lentamente arrivano i pensieri di quando giovanissima appena sposata… legarlo a me con un metro di corda, chiuderlo in una stanza, essere l’unica donna al mondo bella, talmente bella che… avere la costanza e la spregiudicatezza di chi, non appena scopre di avere delle rivali cerca di racimolare le spine del dolore, il tremito che hai dentro e la tristezza…quella tristezza che forse ti dà l’occasione di soffrire sempre un po’ di più, sempre di più come qualcuno che si butta inconsciamente allo sbaraglio per avere poi una ricompensa. Soffri in un modo particolare e provi quel senso di isolamento e di totale spossatezza… poi arrivano i sogni dove s’infrangono con intollerabile nitidezza immagini inquietanti e poi le insonnie con il bisogno di dedicare a qualcosa o a qualcuno la tua tristezza… a una presenza non familiare, quasi invisibile, a una presenza tenera, dolce e leggera e innaturale. Poi anche queste immagini le ripiego accuratamente lungo le pieghe come un documento ripetutamente consultato e lo ripongo al suo posto, nello scaffale in fondo alla mente…ma è come una torcia elettrica che girando vorticosamente su un tavolo illumina casualmente ora questa scena ora un’altra.

È un leggero frusciare la mia penna che scrive, un frusciare quasi impercettibile… sembra poi quasi svanire in lontananza ed avvicinarsi al punto dove i ricordi chiari cessano. I ricordi di déjà vu con quelle sensazioni false che ognuno ha sperimentato di tanto in tanto… sensazioni che disorientano perché sono allo stesso tempo così oniriche e così concrete! Così ancora adesso piango… ma le lacrime vanno versate perché finché non te ne sei liberata ti ribolliscono e bruciano dentro. Sembra che le lacrime abbiano molto in comune con gli effetti personali di chi non c’è più… quei pochi effetti che non hanno mai fine perché ce ne sono sempre troppi e proprio quando pensi di aver finalmente sgomberato tutto ecco che ne trovi un altro e un altro ancora. Abbiamo sempre un ricettacolo segreto dove bisogni e paure si sgomitano in continuazione come passeggeri scomodi in un bus cittadino.

La vita ci regala molti cambiamenti, tralasciando le due fasi estreme collocate prima della nascita e dopo la morte… dentro la pancia della mamma quando siamo piccoli saltiamo, giochiamo, facciamo capriole… da adolescenti con il grande salto impegnativo e importante entriamo nella vera vita… da adulti ci accorgiamo che la vita a volte sorride di noi per come ci prendiamo sul serio e a volte sembra quasi si diverta alle nostre spalle… Quando ci avviciniamo all’età della saggezza, tutto si prende con calma, con più sollievo, ci si adagia poiché presto finirà la tua corsa… ma non ti crucci perché eri già viva prima che fossi nata, nei tuoi genitori, nei tuoi nonni, nei tuoi avi… e pensi che lo sarai ancora vivendo nei tuoi figli e nei tuoi nipoti…

…dopo tutto siamo qui per poco, poi saremo nel nulla… svaniti nel nulla…

Il palazzo della memoria, con i magazzini di informazioni e conoscenze in cui serbiamo i nostri segreti più personali e in cui attingiamo nelle nostre introspezioni più profonde, con il loro susseguirsi di segnali sfuggiti o colti, di strategie o combinazioni accadute, fanno pensare alla necessità di un miracolo, di una fede non soltanto religiosa, un prodigio ma non uno qualsiasi, per trovare delle motivazioni per sperare e vivere… per dare volto alle voci sussurrate che animano il nostro paesaggio interiore. Tutto è preferibile all’odore di muffa e di stantio di una vita senza sogni, di una vita che… quando gli anni vengono ci portano dei vantaggi… quando passano ce ne sottraggono molti di più… poi la vita passa a riscuotere…
Qualche volta anche furore e paura cercano di prendere spazio in me… cambio posizione nella mia poltrona e piccoli scricchiolii e cigolii accompagnano questi movimenti. Questi rumori talvolta li odo nei miei sogni quando dopo una giornata particolarmente lunga o noiosa e interminabile sento che si avvicinano sogni inquietanti. È un errore confondere l’illimitatezza dei sogni con l’infinità dei sogni… infatti l’una è relativa all’estensione, vale a dire alla qualità del sogno mentre la seconda è la misura cioè la quantità… perciò un sogno può essere illimitato o infinito! Cercare di dimostrare una possibilità coerente a partire da una qualsiasi ipotesi è sbagliato… perché i sogni sono solamente sogni…

Cuore senza sogni…

Ho il cuore pieno d’attesa
per uno sguardo che non arriva mai…
Scorgo segnali luminosi per rivivere nel presente
sfocati ricordi del passato
con i dolci incanti, i sogni e
le passioni, gli anni perduti
e quel poco di impossibile…
Istanti che non smetteranno mai
di stritolare le parole del silenzio,
sugli inutili giorni senza fine
dove s’apre una porta verso nessuna strada…
Nelle notti di solitudine attorno
a un cuore senza sogni,
una musica dai ritmi sincopati
di immagini, o dolce o voluttuosa,
proprio prima del sonno, nel limite
dell’inconscio, mi apre il cuore
alle reminiscenze dell’infanzia,
dell’adolescenza di ieri e
prima dell’alba di domani.
In questo mistero cavernoso di
tesori ammucchiati alla rinfusa,
affiorano voci che sussurrano
altri sogni, offrendomi l’oblio…
…Tutta la vita si lotta per
diventare quello che si è…

(Nuccia)

[continua]

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