Con questo racconto è risultata 5^ classificata – Sezione narrativa nella VIII Edizione del Premio di Scrittura Creativa Lella Razza «Frammenti di memoria: una donna straordinaria»
I GIORNI DEL SILENZIO
(Pavane per un’amica scomparsa)
Avevo appena riattaccato il cellulare che squillò di nuovo.
“Nonni! Hai visto la neve?!”
Era la voce gioiosa di Elena, la mia nipotina più grande.
“No, non me ne sono accorta”
“Affacciati alla finestra e guarda quanta ne viene giù! E’ bellissima!”
Ero di spalle al giardino e dovetti semplicemente girarmi per entrare nel mondo incantato, candido e silente che crea la neve quando scende. Ma io in quel momento stavo vivendo in un mondo oscuro e gelido.
“E’ vero – dissi cercando di ricambiare come potevo il suo entusiasmo – E’ bellissima!”
“Se continua così non potrò tornare a casa e dovrò dormire qui dalla mia amica dove sto studiando”.
“E’ vero! Ma dove sei?”
“Sulla Cassia e si sta riempendo tutto di neve!” rispose ridendo, felice di questa opportunità che la nevicata su Roma le prospettava. Ed io non me la sentii di turbare il suo stato d’animo così gioioso con una notizia che sicuramente l’avrebbe rattristata, così da rovinarle la festa della neve e della vita; e poi come trovare le parole per dirglielo, come trovare parole per spiegare un dolore così grande e sfaccettato come un diamante nero che aveva bagliori di luce oscura?
Lei era la vita che mi richiamava ed io avevo appena avuto la notizia della morte della mia giovane amica Simona.
Mormorai solo: ”Divertiti allora…ciao piccola…”.
Riattaccai e rimasi senza fiato per alcuni momenti poi cercai l’aria con un lungo respiro ma non riuscii a piangere: ero come inebetita. Il pensiero tornò alla mia amica che non aveva potuto vederla, la neve, per poche ore. Le sarebbe piaciuta moltissimo, entusiasta com’era di tutto quello che di bello la vita le offriva. E la vita, ingrata, non le aveva concesso il dono di un giorno in più. Le sarebbe bastato per guardarla cadere, con occhi da bambina, e mi avrebbe chiamato per dirmelo – come faceva ogni giorno per qualunque cosa – e io le avrei detto che il Colosseo, coperto di neve, mi sembrava una grande torta con la panna e lei avrebbe riso e si sarebbe divertita.
Quando conobbi Simona (sono passati quasi diciassette anni) ero già diventata nonna a cinquant’anni, ma – diceva lei – vivevo come una ragazza. E forse aveva colto nel segno con una delle sue analisi acute e intuitive. L’ho conosciuta assieme alla musica quando iniziai a cantare al suo fianco in un grande coro del quale faceva parte e per me – matura neofita, mentre lei era poco più che ventenne – fu una presenza preziosa con la sua disponibilità, rivelando subito uno dei lati più speciali del suo carattere: l’interesse verso gli altri e il desiderio di essere d’aiuto. Dopo il primo concerto continuammo a vederci al ritmo settimale delle prove: un caffè o un aperitivo, le nostre confidenze sedute ai tavolini di un bar e la nostra amicizia che si rafforzava.
Dovevamo riprendere le prove per il concerto successivo, ma per lei il Destino aveva deciso diversamente: una mattina ricevetti in ufficio una sua telefonata allarmata.
“Sara!, stamattina mi sono scoperta un piccolo nodulo sul seno!”. Sprofondai nella poltrona, quasi collassando.
“Forse è una piccola cisti liquida: a volte si formano e poi si riassorbono; stai tranquilla ma vai a farti visitare subito!”
Il responso delle analisi non lasciò dubbi.
Affrontò da sola e con molto coraggio l’operazione e i cicli di chemioterapia, aiutandosi con rimedi naturali, che prendeva in erboristeria, per depurarsi e rafforzare le sue difese. Era determinata a sconfiggere il male: “Io l’ho creato dentro di me e io lo voglio distruggere”, diceva.
Intanto gli anni passavano velocemente, quasi togliendoci il respiro. Simona continuava a fare controlli periodici e sembrava stare bene anche se le cure le avevano lasciato un’ipersensibilità alle mani e, soprattutto ai piedi, che le facevano malissimo ma questo non le impediva di fare lunghe passeggiate o stare interi pomeriggi in cucina a preparare gustose cenette per gli amici. Era venuto il tempo per lei di desiderare una vita il più normale possibile, quando la parola “normale” aveva acquistato un valore aggiunto e ancora da raggiungere. Per questo non aveva mai voluto smettere di fare tutto quello che aveva sempre fatto e di divertirsi appena poteva. Da pochi anni si era anche sposata con il ragazzo con il quale conviveva.
L’autunno che seguì al suo quarantesimo compleanno è stato forse più crudele dell’ inverno gelido che l’ha portata via. In una delle sue visite di controllo le vennero scoperte delle metastasi al fegato e ricominciò a rivivere un incubo già vissuto: chemioterapia, iniezioni dolorose, medicine potenti e poi controlli e ancora controlli, sempre con l’ansia di scoprire qualcosa di più preoccupante. Ma non si è mai arresa. I capelli le caddero di nuovo: era d’estate ed ho una sua immagine bellissima ancora negli occhi: eravamo vicino a Castel Sant’ Angelo e mi veniva incontro sorridente in un controluce del tardo pomeriggio, con una sciarpa leggera e coloratissima avvolta intorno alla testa come un turbante e sandali bassi di tipo orientale ai piedi, si avvicinava facendo ondeggiare una gonna lunga di seta, anch’essa piena di colori e in stile arabeggiante. Mi fece pensare all’Araba fenice, uccello mitologico che aveva la capacità di risorgere dalle proprie ceneri. Ecco questa era Simona, e il cuore mi si stringeva, in momenti come quello, quando la vedevo così viva e vitale, vicino alle bancarelle sul lungotevere, entusiasmarsi come una bambina, per un paio di orecchini che si stava provando, perchè mi sembrava tutto ancora più assurdo.
A pensarci ora, malgrado il suo male, aveva una vita ricca, piena di interessi e di relazioni, prima che la sua fine cancellasse tutto quello che si era costruito con molta determinazione ed entusiasmo, riuscendo a vivere tutte le cose con la saggezza di chi ha capito che la vita non è scontata e arrivando ad andare “oltre”, mentre io, vedevo in lei solo la lotta impari con una malattia dalla quale sapeva di non poter guarire, ero molto spaventata per quello che le poteva succedere.
La fine di quell’anno Simona volle trascorrerla assieme in una piccola trattoria a Ponte Milvio e, dopo una cena veloce a base di pesce, allo scadere della mezzanotte, brindammo all’arrivo del 2011, festeggiando allegramente insieme quello che sarebbe stato l’ultimo anno della sua vita.
Poco prima di Natale mi aveva telefonato per dirmi che aveva trovato un sito Internet sul quale si poteva scrivere, in breve, la propria storia. “Così ho voluto raccontare la mia, per stimolare altre donne che hanno avuto la mia stessa esperienza a vivere la malattia con coraggio e ottimismo. Ed è stata scelta per essere pubblicata! Sarò anche intervistata!”.
“Sei stata bravissima!” Era fantastica come sempre! Non si faceva fermare dalla malattia, stava morendo eppure si preoccupava di trasmettere agli altri il suo messaggio di vitalità e di fiducia.
Simona se n‘è andata proprio mentre cadeva fittissima la neve su Roma, avvolgendo la città in un attonito, irreale silenzio, quasi un Requiem per la sua scomparsa.
E adesso mi trovavo nella stessa chiesa dove si era sposata pochi anni prima, per assistere al SUO funerale. Uno dei tanti amici che avevano voluto salutarla, era andato al microfono vicino all’altare per dire che il modo migliore di ricordare Simona era quello di usare le sue stesse parole a proposito della sua malattia e iniziò a leggere: “Il cancro è stato il mio maestro di vita, mi ha insegnato tanto, mi ha insegnato ad avere fiducia, a vivere giorno per giorno, godendomi tutto cio’ che arriva. Mi ha regalato tanta autostima, mi sento forte; il pensiero per me stessa mi ha fatto dimenticare quello per la malattia. Volevo dire che c‘è di peggio del cancro, ci sono per esempio la solitudine, la depressione, cose che io non ho mai conosciuto. Il mio approccio ha fatto sì che nessuno mi compatisse: i miei amici, mio marito, hanno sempre continuato a parlarmi dei loro problemi.
Il mio maestro di vita mi ha aiutato ad essere una persona profonda, generosa e disponibile all’ascolto. Sono felice”.
Giancarla Brizzi