Opere di

Giancarlo Albisola Albertalli


Un Maestro della Poesia
omosessuale del ’900

Dal volume Poesie per un “diverso”


Parte III (“Altri”)


ELEGIA N° 10 “Esistenziale”
(detta anche de “GLI ANGELI CADUTI”)

I

…Resterebbe ora da parlare di Mowgli e dei nove compagni, Mowgli lo splendido, Mowgli il femineo, Mowgli il bellissimo giovane efebo. Resterebbe da parlare di Giorgio, il primo dei nove compagni1 (oh!, i nostri montgomery stretti, il nero dei nostri maglioni, le scarpe granite e appuntite, i lunghi capelli scomposti). Facevamo, noi, dei nostri neri maglioni, il colore della disperazione, del velluto dei nostri calzoni, dei nostri tacchetti smussati, come l’eco del nostro dolore.
Fu l’inverno ’52-‘53, fu l’inverno ’53-‘54 (e binomio perfetto l’estate (gl’ignudi fanciulli bruniti lungo la riva assolata del fiume), due inverni di sogni, follie, turbamenti, desideri, rimpianti.
Ma forse la curva solare dei tuoi patetici sogni era, “in nuce”, già tutta in Laszlo studente magiaro, profugo per volontà di sua madre, di sinistra per deliberato consenso. Col torso ignudo di Laszlo s’affacciano ora alla mente, corollari perfetti, gli esatti teoremi delle discipline matematiche d’architettura, il logico scarno rigore dell’ordine dorico (colonna, capitello, trabeazione), l’aggetto lindo e severo dell’arco tuscanico.
Dopo i molli languori di te collegiale adolescente (e Yalla, il bellissimo Yalla, che ti strusciava addosso le membra come un gattino (ma quanti Yalla veduti e sognati con Yalla e prima di Yalla), fu quello con Laszlo (un istante) l’incontro col sole nel sole, il limite fisso che divide come due età. E non potevamo (due splendidi efebi cresciuti eppure virili) se non completarci a vicenda. Ma non era Yalla (il ricordo d’un bacio non chiesto eppure donato). Lasciasti cadere l’invito.
Cercasti pensione in città. Mutasti Facoltà. Fu l’età della nebbia e dell’ombra. Ricordo le lunghe ore trascorse disteso sul letto di Bruna padrona di casa fumando, tutto preso (le intere giornate) a sviscerare il problema se sia l’essenza che preceda l’esistenza o l’esistenza (e Sartre il nefasto) che preceda l’essenza… E l’uomo che in silenzio s’avvicina I non nasconde un coltello fra le mani, / ma un fiore di gerani2.
Poi la passeggiata serale (le cinque, le sette, già imbruna), Porta Nuova e la Piazza Castello, la riva sinistra, la folla che lenta percorre Via Roma e la Piazza San Carlo, il “tutto Torino” che compie (l’andata, il ritorno) come un sacro dovere quel suo melanconico rito.
Poi, la sera Via Roma ed il Corso Vittorio deserti, l’aggirarsi senza meta precisa, le nari che afferrano l’aria, la prima nebbia sottile che sale dal Po lungo il Viale alberato, la nebbia ch‘è “droga” e dovizia come “droga” e dovizia sono le quaranta sigarette Carnei fumate ogni giorno3.
Incertezza, disagio, tormento, torbidità non repressa. Un’ombra esce dall’ombra, si lascia alle spalle le volte gravi e solenni della Stazione di Porta Nuova (“ragazzi” scarniti e indolenti, fumando, sostano in gruppo), attraverso il bagliore di luci del “Transatlantico4“, trascorre veloce e ripiomba, ombra fra l’ombre, nell’ombra.
Il ritorno, Flo5‘ una parola (Guido si spoglia lento in un canto in silenzio), Flo’ una parola, è l’esistenza che precede l’essenza… e ancora concetti gravi e per lei canzoni melense che il Secondo sciorina all’intorno (la Pizzi, Togliani).
Poi lo specchio che come in un vortice aspira il riflesso del fumo e del volto… Le serate concluse solo (il rifugio dei sensi), ritto davanti allo specchio per tenerti compagnia…
Poi, ecco, una sera, al Cineclub (dintorno la folla che sciama) l’incontro improvviso (fu Alberto Ci Zeta, ricordo a proporti l’ambiente) e Mowgli, il bellissimo Mowgli (il fulgore dei suoi sedici anni), che appare un istante e dispare. Ragazzo? Ragazza? Saprai poi fratello e sorella, la moda degli anni che impone ad entrambi il montgomery corto e sugli occhi gli stessi capelli.
Poi ecco stagliarsi preciso, il mercoledì successivo (il tormento e i sei giorni d’attesa), il dolce profilo d’efebo e a sé (giunse solo), quasi copia scialba e imperfetta, l’eguale e minore sorella. Rivedo la bella figura, la camicia a quadri scozzesi tra il beige e il giallino, rivedo il bell’abito grigio in morbida lana, il caschetto dei biondi capelli (il “che“su la nuca e la riga) e, “parure“ singolare col giallo dei lisci capelli e dei quadri scozzesi, il bel farfallino blu scuro (di sotto la giacca gli spunta, sottile, la maglia colore carta di zucchero), rivedo la bella figura che infila il montgomery corto e poi esce.
Ora gli appostamenti serali per fissarne il giorno preciso (oscillerà fra i due giorni, ma poi sceglierà il martedì come giorno costante), ora le trepide attese, la speranza qualche volta delusa, il respiro di dolce sollievo se dal fondo lo vedi spuntare. Poi, al termine dello spettacolo (egli non prende parte, di regola, alla discussione che segue), il farsi avanti col gruppo sparuto che assiste, lo sguardo che incontra lo sguardo (e il cuore ti palpita in gola), mentr’egli ti passa daccanto e raggiunge l’uscita, il ritorno a casa festante, gl’incontri serali per via, il “tutto Torino” in Via Roma ed il Corso Vittorio.
Ed ecco l’occasione mancata, il salotto del Cinema Doria6. Stai seduto a metà della sala, un poco scartato a sinistra, seguendo le lente spirali della tua sigaretta, in attesa che il film abbia inizio. D’un tratto ti volgi all’indietro ed hai come un sussulto improvviso. Mowgli dal fondo è entrato in sala e ti ha scorto. Non pare tradire sorpresa; trascorre sul fianco veloce e s’infila sul lato di destra, vicino al passaggio centrale. La sala nel primo meriggio è semideserta; egli siede un poco più avanti; s‘è sfilato il montgomery corto, puoi vederne in tutto il profilo. Basterebbe alzarsi, spostarsi, presentarsi (il pretesto, un cerino): permetti mi chiamo… (Puntini).
La dolce visione, il timore, ti tiene però inchiodato al tuo posto. Hai acceso un’altra sigaretta, una terza… Ma non segui l’azione (la sala è ora immersa del tutto nel buio), tu guardi intento alla destra ed anch’egli si volge un istante, un istante solo e ti guarda… L’intervallo è finito, la sala è ora immersa di nuovo nel buio. Resterai fisso così, nell’attesa di un gesto inconsulto, rapito come in un sogno.
Il tempo è trascorso veloce, sullo schermo l’azione volge lenta alla fine. In sala si sono riaccese a tratti le luci. Egli s’alza, s’infila il montgomery, sosta ritto un istante, poi fuoriesce di fila e s’avvia con passo felpato all’uscita.
È la volta, novello Aschenbach7, dei pedinamenti notturni, all’uscita del Cinema Cor8, per scoprirne la via (da un mese trascuri Adriano, l’efebo di Guido e del maschio di Guido); lo segui da presso, una sera; gli sono compagni all’uscita studenti maggiori di lui. Il gruppo risale a scacchiera per vie traverse, qualcuno ogni tanto si volge; man mano che avanza il gruppo folto dirada, lo segui cauto alle svolte con passo leggero. Il gruppo s‘è fatto adesso più sparuto, qualcuno ancora si volge; quando imbocca, sul fianco, la Via Madama Cristina gli sono rimasti in tutto due soli compagni, poi l’uno dei due s’accomiata e Mowgli prosegue col solo compagno rimasto.
Adesso acceleri il passo (la via si perde lontano in un mare di luci), ma ti sei tenuto distante, troppo distante, appena riesci a distinguerlo ancora a fatica. Hai preso quasi la corsa. D’un tratto tendi lo sguardo (la via nella sera ventosa è limpida e tersa, le luci vicine confondono a tratti la vista), protendi lo sguardo… lo sguardo… La via s‘è fatta deserta, a un portone la bionda figura di Mowgli ed il suo compagno è scomparsa alla vista.
La Via Madama Cristina richiama un istante alla mente lo studio del Professore filosofo9, il Professore dal quale ti rechi due volte la settimana a colloquio per le tue discussioni “engagèes”: la problematica esistenziale, Kierkegaard, Sartre e Camus.
“...Essendo, dunque, l’esistenza che precede l’essenza…” e il Professore si liscia i folti baffi e la barba in silenzio, poi afferra la pipa e ti porge con gesto sicuro il “Prinz-Albert“: “Si serva!”.
Sul muro gli pende alle spalle il quadro cubista, alla destra la tavola antica con su le immagini sacre. “...Quando salivano da noi, durante la Resistenza, gli industriali per offrire dei soldi (la causa comune, il Partito)... quegli stessi signori che adesso… quei sacchi di merda… (con “puttana” “merda” è parola di rito per noi di sinistra o liberallaici durante quegli anni di tedio)”. “...La libertà... certamente, lo so; se sbaglio io sono disposto a pagare di persona…” (mi guarda sottecchi con piglio deciso, sicuro (la frase ricorre sovente nel suo discorso). Poi di nuovo si liscia i baffi e la barba in silenzio (ha finito di caricarsi la pipa, depone il “Prinz-Albert“ sul tavolo): “.. .Quando provo l’angoscia…
Abbagnano…” Nella penombra dello studio severo non s’ode volare una mosca, i libri giacciono intorno in ordine sparso, l’aria è densa di fumo, solo a tratti il 15 sferraglia di sotto veloce, ma il tuo sguardo erra lontano, lontano dai libri, dai quadri, lontano dal Professore filosofo, erra al fondo di quella stessa via dove, giunto quasi al punto, perdesti le tracce di Mowgli…
Una sera, sere dopo, al Cineclub (la primavera ormai è vicina), una bella Signora, i capelli cortissimi e biondi, gli siede daccanto. Ti sei dovuto infilare nell’ultimo vuoto rimasto, proprio la fila dietro la sua, scartato soltanto di un posto. La bella Signora si liscia i corti capelli, si volge, ti osserva a lungo negli occhi (tu sei “lui”), aspira una lenta boccata, poi distende il braccio destro alla volta del figlio (al polso le brillano quattro lucenti pendagli10), gli accarezza la nuca con fare dolce, materno, gli strizza piano il fondo dei lunghi capelli, quasi voglia ribadirne il possesso.
All’uscita li segui da presso: discendono il Corso Vittorio, la bella Signora si volge ad un tratto all’indietro (anche Mowgli si volge all’indietro, si volge all’indietro e ti guarda), poi raggiungono il Corso d’Azeglio11 e s’inoltrano lenti. Sulla soglia del primo “dehors“ (la radura è deserta) li attende ritto un signore altissimo e magro. La bella Signora gli porge la mano, discorre, poi si volge e t’addita di lunge, t’addita (o ti pare)...
Un’idea, come un lampo (un cedimento soltanto del tuo sistema nervoso?), ti balza improvvisa alla mente. Se quel che hai supposto un istante (l’ora, il percorso)... Allora abbandoni la partita e fuggì, fuggì via veloce verso casa.
A questo punto mito e realtà si confondono: meglio che tutto rimanga avvolto nell’ombra e nel sogno…

II

Sei “in viaggio” senza “la droga” (Bruna ti porge, la mano tremante, in silenzio, l’ennesima Carnei (la tua fantasia malata, abilmente cullata, è forse la droga peggiore)... Hai raggiunto il Nulla, il Nirvana: le pareti della camera oblunga si dilatano, s’aprono… Senza “droga” fioriscono agli occhi estasiati le foreste dagli alberi rosa, dal fogliame colore di rosa (e di rosa s’accendono, a tratti, mille ricordi)... Ecco Mowgli: rivedo la scena, lo scontro improvviso (tu discendi la ripida scala del “Carlo Felice12“, la scaletta che porta al “di sotto”, ai ping-pong ed ai calciobalilla (Bruna aspira lente boccate ed ascolta in silenzio); nello scontro il fascio dei libri gli sfugge di mano e gli rotola in terra; egli s’alza, si scusa pulendosi l’abito scuro, poi si china a raccogliere i libri, rosso nel volto… (“Non si scendono in fretta le scale!”, commenterà Giorgio di poi, l’impeccabile Giorgio, lui che scende la ripida scala a saltelli veloci, seguito dagli inseparabili otto compagni)... Ecco adesso la scena al ping-pong, nella sede dell’YMCA; Mowgli, rosso nel volto, si brucia di seguito tutti e cinque i servizi (Giorgio ritto, in disparte, l’osserva e ti volge rapido un cenno d’intesa)... Si fa libero un posto… Rivedo la bella Signora dai corti capelli (sua madre), i quattro lucenti pendagli, l’incedere altero, elegante (un anno è passato, un altro inverno è alle soglie)... “L’inchino è stato quasi settecentesco”, commenterà Mowgli con compiacimento sottile… È la volta dei lunghi colloqui sulla panchina deserta, sotto i rami già spogli, nell’aria dell’ultimo autunno, il piacere della contemplazione, dei brevi discorsi sommessi, dei “tète-à-tète“ solidari…
È il giorno 17, ho la Nausea13, Bruna rammenda (ogni tanto s’affaccia l’“amico” od il figlio e sorveglia con occhio di falco alla porta), Guido s’annoda allo specchio la bella cravatta, emergono ora dall’ombra, vissute, le dolci compagne di scuola, Sandra, la Duse… Della Duse14 ricorderò qui soltanto il commento spietato: “Beh. ti dirò, francamente, l’aspetto… (sorride)”; ma le piaci (ti piace?) e ti osserva, lo sguardo felino, poi s’annoda fumando i capelli sul collo di cigno (siamo presso le scale, a Palazzo Campana15, in attesa), le sobbalza sugli occhi, nel dire, la corta frangetta…
Di Sandra ricordo le bionde chiome fluenti, il naso greco, perfetto (Sandra è nobile, bella, le è omonimo il noto pittore delle spirali); frequenta Legge con lei la sorella gemella… “Dai Sandra, andiamo che tanto…”, la chiamerà tosto, da presso, scuotendo la testa…
Mi punge il ricordo d’un nostro colloquio tenuto nell’aula di Legge (l’intesa fra noi è perfetta), un colloquio tenuto piano e con voce sommessa, mentre il nostro Assistente, il Frajese, ci espone con voce pedante la sua casistica assurda. Da un po’ ci ha notati e ci osserva; d’un tratto interrompe il discorso (lo scarso uditorio zittisce), ci pone con garbo villano la sua precisa domanda: “E adesso vediamo se hanno bene afferrato il concetto, vediamo… vediamo quei due là in fondo…”. Là in fondo noi s‘è in terza fila (l’aula è quel giorno quasi del tutto deserta): Sandra allora si volge, mi guarda negli occhi e sorride… Nessuno dei due gli sa dare la risposta voluta… “E allora mi seguano
attenti”, sbotta seccato il Frajese (Sandra di nuovo mi guarda negli occhi e sorride) “poi vedranno che al momento opportuno… Basta! Silenzio!”.Gli anni della “contestazione” sono ancora di là da venire, eppure eravamo noi (pare un sogno, vent’anni!), eppure eravamo noi, ieri, i ribelli.
“Questo non è un lupanare!” commenta nell’aula il Rettore Magnifico Astorre, se vede due giovani allievi che parlano intenti, poi riprende le sue digressioni dal Diritto Privato, le sue sciocche, assurde battute sull’“arte moderna”. “Quando ci si veste a quel modo non si frequenta l’Università, si batte il marciapiede!”, gli fa eco coll’occhio drogato il Professor Gindro, se qualcuno vestito del nero maglione, i capelli scomposti, ha l’ardire di entrare nell’aula, poi riprende a citare imperterrito il testo in latino.
Il giudizio del Professor Gindro mi richiama adesso alla mente il commento d’un languido efebo, un nonnulla “di buona famiglia”: è l’uscita del Cinema Cor e ti addita a sua madre, non sai se indignato o stupito, alla vista di tutto quel nero: “Guarda, mamma… gli esistenzialisti!”.
Rivedo Mowgli, l’addio, la scena già prima vissuta, le volte, con Bruna (ma c‘è stato davvero un addio, l’addio con Mowgli?)... È il Natale, la soglia del “Carlo Felice” è deserta (Giorgio vi sosta cogli otto compagni dal maggio al settembre inoltrato), lungo il Viale alberato attendi, la tua valigetta per mano, il tram che ti deve portare lontano per sempre (è il richiamo in provincia dei tuoi, né ti puoi contrapporre (i rumori si fanno di giorno in giorno molesti, il sistema nervoso ti sta lentamente franando (ieri sera, parlando fra il Corso Vittorio e Via Sacchi (s‘è fatto le due), ne hai dato notizia ad Alberto Ci Zeta Enne16). Ti guardi dattorno smarrito. L’aria è satura, densa, il cielo grigio di piombo. Il freddo è calato, una sorta di lieve tepore mitiga l’aria, dall’alto i primi fiocchi di neve cadono sparsi. Vedi Mowgli, come in un sogno, ritto al tuo fianco… Ecco il 13, arriva, un’ultima stretta di mano, poi le porte friggono lente, s’aprono, sali. Dall’alto del tram, attraverso i vetri appannati (le dita percorrono lievi e rigano i vetri), ti volgi all’infuori ed osservi: Mowgli sosta immobile a terra e ti guarda… Ancora un cenno, la mano, poi il 13 prende l’avvio. Vedi l’alta figura di Mowgli staccarsi all’indietro improvvisa e rimpicciolire veloce, farsi in breve un punto lonta¬no… Ti ridesti come da un sogno… Uno scampanellio del tram, un bagliore di luci accecanti (è l’ora nostra, fuori piano incupisce)... Mowgli, a una svolta, è scomparso per sempre alla vista…
Rivedo Giorgio, il fusto dal corpo perfetto (non era nell’uso, allora, il termine “fusto”), fare mostra di sé fra i ragazzi del “Carlo Felice”. La piscina: ecco i nove compagni e Giorgio, il magnifico Giorgio, che si tuffa con stile perfetto e riemerge grondante (lo slip a fiorami foulard gli s’appiccica al ventre, ne fuoresce la bruna pelurie e marezza la pelle candida e liscia), ecco Giorgio che sosta ritto fra gli otto compagni, le natiche sode, ecco Giorgio disteso sul nudo cemento che aspira lente boccate, poi si volge e t’afferra le chiome col braccio indolente: puttana!
Era lui, era Giorgio, era il primo dei nove, la chiave di Mowgli e di tutto, del dominio dei sogni perduti!
Un accenno, e rieccoti Guido, l’amabile Guido, il confidente con Bruna (e con Teo) di sogni, follie, turbamenti, desideri, rimpianti, di un passato che se proprio hai vissuto (ahimè, sì) sarebbe meglio che tu non avessi vissuto, e che se non hai vissuto è stato allora soltanto un amaro splendido sogno. Bruna, Guido, Sandra, la Duse, Giorgio e i suoi otto compagni… Che resta d’essi ormai se non una fievole voce e il ricordo; che resta di Mowgli (la cruda realtà pare sogno), che resta di Mowgli, del Mowgli vissuto e sofferto?
Ora che la sua bellezza sarà, come il tempo trascorso, caduta, ora che della sua superba bellezza non rimane più che una foto ingiallita, posso dirti senza rimpianti: Rafele, ho voluto bene a te solo…

…Sì, meglio Tu, la tua bellezza quasi
fiamminga, e poi l’intesa franca, schietta,
libera dai fantasmi d’un passato
ch ‘è morto con i morti miei vent’anni:

Ecco, ritorna (un istante) il passato, la camera è avvolta nella penombra, Guido si spoglia lento in un canto in silenzio, Flo’, lasciato lo stiro, si sfila seduta sul bordo del letto le calze (la sua estrema magrezza richiama precisa alla mente Toulouse-Lautrec e le sue scarne figure), io giaccio disteso sul letto le scarpe incrociate fumando, il Secondo sciorina all’intorno canzoni melense, s’accendono i vetri di vivi bagliori accecanti, Mowgli dilegua e con Mowgli dileguano Giorgio e gli otto compagni, Sandra, la Duse; solo rimangono Guido, la Bruna (Teo fa capolino, con occhio di falco, alla porta), e coi due confessioni brucianti, solo rimane, fiaba sognata e vissuta, vittoria e sconfitta, inno e lamento, il racconto delle reciproche “gesta”.

Primavera-Autunno 1971


1 Mowgli non è nome reale, ma nome fittizio. Quanto a Yalla è vezzeggiativo. Il gruppo dei nove compagni era formato da Giorgio, il primo dei nove, e dagli altri otto compagni. Tra gli omosessuali è considerato un “capo” che ha avuto rapporti con nove maschi di fila. Mowgli assomigliava in volto all’”innamoratino” di Peynet.

2 I versi in corsivo sono di Salvatore Quasimodo “Quasi un madrigale”, “La vita non è sogno” (1946-’48).

3 La Camel è stata la classica sigaretta del dopoguerra italiano e tale era ancora attorno agli anni ’52-’54. Venuta di moda coll’occupazione alleata, era lievemente oppiata.

4 Il “Transatlantico” (il nome è ricalcato su quello di Montecitorio) era l’atrio d’ingresso della Stazione, allora appena terminato di ricostruire, in luogo della vecchia cupola in ferro “donata alla Patria”. Veniva così denominato per via del modello di un transatlantico (credo del Lloyd Adriatico Assicurazioni) collocato sotto una bacheca di vetro, al centro della volta. Era circondato da un mancorrente in ferro al quale si appoggiavano “i ragazzi” in attesa.Da qualche anno è stato rimosso.

5 Flo’ (dal nome della cantante Flo’ Sandon’s) è l’appellativo familiare col quale l’Autore chiamava Bruna l’”amica” di Teo. Il signor Teo era il proprietario della pensione, viveva separato alla moglie (sposata in seconde nozze) e aveva due figli di primo letto.

6 Il complesso di via Roma, ed in particolare la piazza San Carlo, sono considerati “il salotto” di Torino. Fra i locali cinematografici “il salotto” di Torino il Cinema Doria, piccolo ma raffinato, situato in una traversa di via Roma.

7 Aschenbach (Gustav Von Aschenbach) è il protagonista del romanzo di Thomas Mann “La morte a Venezia”.

8 Il Cine Teatro Cor, situato al n. 42 di via San Francesco da Paola, era allora la sede del Cineclub Universitario. Vi si proiettava un film alla settimana, in due giorni consecutivi, il martedì e il mercoledì, alle nove di sera. Una terza proiezione aveva luogo il pomeriggio del mercoledì ed era riservata agli studenti delle Medie.

9 E’ il poeta Oscar Navarro, amico di Guido Seborga e Franco Fortini. Col suo volume “Qui ed ora” si può considerare il miglior rappresentante del “neorealismo” torinese in poesia. Era professore di filosofia presso l’Istituto “Margara”.

10 Attorno al ’52-’54 era di moda, per le Signore, un bracciale con due ciondoli (o più) formati da due sterline montate in oro. Quattro lucenti pendagli: amplificazione poetica.

11 Con il corso d’Azeglio, alla fine del corso Vittorio, ha inizio il Valentino. Salvo le peripatetiche di turno, in quegli anni l’intera zona, durante l’inverno e a quell’ora, era completamente deserta e il luogo fuori mano.

12 Il bar “Carlo Felice” era situato sotto i portici, al n. 6 della piazza omonima, quasi all’angolo con via Roma Nuova (sulla riva sinistra), di fronte ai giardini della Stazione. Attorno agli anni ’52-’54 era il ritrovo degli esistenzialisti (benché un locale “esistenzialista” salvo che per tre sere il “Paleo”, a Torino non sia mai esistito) e dei ragazzi “à la page”. I nove compagni abitualmente sedevano in terra, anziché ai tavolini del caffè, secondo la moda corrente. Una scala a chiocciola conduceva al “di sotto”, ai ping – pong ed ai calciobalilla. Il bar attualmente non esiste più. Una banca vicina ne ha incamerato entrambi i locali. Il giovane che ha contribuito, congiuntamente al primo dei nove, a dare vita alla figura di Giorgio è realmente esistito. Indossava un maglione marrone, calzoni di velluto e sotto uno slip striminzito a fiorami Maiemi. L’Autore ebbe modo di fare la sua conoscenza tra l’ambiente del Cineclub e quello della Pro-Cultura Femminile.

13 Il 17 era il giorno nel quale l’Autore aveva stabilito che dovesse venirgli la Nausea, e la Nausea puntualmente, il giorno 17 veniva.

14 La Duse veniva così chiamata dall’Autore per via della sua somiglianza colla grande attrice, quale essa appare nel ritratto di E. Kaulbach (Milano, Museo Teatrale alla Scala). Della Duse esiste un disegno di mano dell’Autore che ne ritrae le delicate fattezze.

15 Il palazzo Campana era sede delle facoltà di Legge, Lettere e Magistero.

16 Alberto Caà Zoarsi Noventa era il figlio maggiore del poeta Giacomo Noventa, era compagno di studi dell’Autore all’Università e frequentava con lui il Cineclub Universitario. Suo padre rappresentava l’anima gobettiana, liberale e socialista della cultura torinese.


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