1.
Effetto Google earth
ieri, oggi, domani
Internet>Google Earth. Immagine sul pianeta terra, ingrandisce l’America e gli Stati Uniti. Zoom che scende verso l’Oklahoma, Oklahoma City, la città meno toccata dal flusso turistico di tutti gli USA, uno qualunque dei sobborghi, denso di villette.
Il tetto di una casetta di legno, in una strada dove ce ne sono tante simili, poggiate su una minigobba verde di praticello.
Un uomo, di colore, toglie il cartello VENDESI piantato nel prato, lo appoggia al muro esterno, con la parte scritta rivolta verso la parete.
Entra in casa: l’ingresso che dà su una sala, la cucina, due stanze da letto spaziose. In sala la tavola è apparecchiata e la moglie e i due figli lo stanno aspettando.
Lui è commesso nel locale Wallmart, porta a casa 1.280 dollari al mese. Adesso ci sono le rate del mutuo, ma anche il frigorifero, la cucina nuova e i letti dei ragazzi, comperati nuovi, a rate come il resto, proprio nel grande magazzino dove ogni mattina si reca a lavorare per sollevare scatoloni e metterli al posto giusto, con professionalità e soprattutto buon muscolo. Vero che la moglie non lavora, non trova, ma oggi nella casa nuova è giorno di festa e i problemi sono lasciati fuori dalla porta, vicino a quel cartello VENDESI che per la loro casa non ha più significato. Prende in mano la bottiglia di champagne della California, questo sì pagato in contanti, 22 dollari, e stappa, un po’ commossi lui e la moglie nel brindare alla nuova casa ed alla fiducia ricevuta dalla banca, che ha concesso un mutuo molto conveniente, senza neanche bisogno di rilasciare chissà quali garanzie.
A 12.000 km. di distanza, appartamento in semicentro o semiperiferia, come preferite. Una famiglia media a Pavia: padre impiegato alle Poste, lei maestra, due figli anche loro. Casa di proprietà, mutuo da pagare ma ormai agli sgoccioli, 5 anni e ne sono fuori, dopo i quindici trascorsi. Un piccolo deposito in banca ed anche qualche titolo: non molto, 75.000 euro per ogni evenienza, sicuri, su un fondo assicurativo consigliato dalla banca un paio di mesi fa.
Nello stesso preciso istante in cui il tappo dello champagne californiano descrive la sua parabola nella calda aria di Oklahoma City, a Pavia la famiglia dell’impiegato postale e della maestra ha cominciato ad impoverirsi. E non lo sa.
Anche questo, per chi si fosse sempre chiesto il significato della parola globalizzazione, è un ritaglio di globalizzazione.
Ne avremo per 6 mesi, dicono gli “esperti”, durerà almeno due anni, asseriscono altri, cominceremo ad uscirne tra un anno, giurano altri ancora. Tutte previsioni campate per aria, non accompagnate da nessun ragionamento a sostegno. Per il semplice motivo che in una situazione come quella odierna l’uomo non ci si è mai trovato. È la prima volta che affronta un problema così enorme e così drammatico. La crisi del ’29 era, se vogliamo, relativamente limitata all’America, e poi si determinava in un mondo che aveva numerosi motivi di crescita, fondate speranze di vedere ripartire consumi e vendite. Oggi invece siamo globalizzati, la metastasi si diffonde in tutto l’organismo. E si sente la puzza! Basta sollevare il naso e senti la puzza.
2.
Antefatto
titoli tossici, cosa sono e cosa combinano
I cosiddetti titoli tossici, quei titoli cioè che una volta liberati per l’intero globo hanno dapprima gonfiato i bilanci di quasi tutti gli istituti finanziari, assicurativi, banche, enti pubblici e via discorrendo, si sono poi trasformati in sabbie mobili, dove i soggetti, che più o meno consciamente vi si erano avventurati, hanno cominciato a sprofondare.
Il cancro era chiaro agli operatori, quelli veri, fin dalla fine del 2007 se non prima, gli effetti si sono palesati nella loro gravità e dimensione nel 2008 e ci hanno condotto a dire nel 2009 che ancora il fondo non è toccato: la melma ci è arrivata alla bocca e il fondo non è toccato.
Moriremo tutti di melma nelle vie respiratorie o troveremo una fune a cui aggrapparci per tirarci fuori?
La Borsa non conosce ormai titoli affidabili: aziende considerate solide hanno visto crollare le proprie quotazioni del 50 – 60 – 70 %, quelle solide. Figuratevi quelle meno affidabili. Interi stati dichiarano preoccupazioni e paura di fallire, a proposito, come fallisce uno stato?, mentre i Governi dei paesi “economicamente più forti” corrono da una riunione all’altra, non sapendo che fare e fingendo con queste corse di darsi da fare.
Tutto ciò ha provocato l’estensione del cancro all’economia reale, vale a dire alla gente comune ed alle aziende, che non producono denaro o pezzi di carta dal valore nominale, ma beni materiali destinati al consumo. Siccome i beni materiali conoscono una drammatica flessione della richiesta e le aziende conseguentemente lasciano a casa i lavoratori, diminuisce e diminuirà il potere di acquisto, generando un fenomeno che si autoalimenta verso il disastro.
Questo il quadro, al quale non possiamo non aggiungere una considerazione legata al mondo moderno ed alla circolazione delle notizie e dell’informazione. Giornali e televisioni ovviamente non potevano nascondere sotto il tappeto lo stato preoccupante delle cose e, come d’uso, quale con toni drammatici, quale con titoloni a tutta pagina, altri con l’aplomb che loro si addice, ciascuno insomma secondo le proprie attitudini e caratteristiche informative, si sono messi a divulgare notizie che rosee non sono, piuttosto buie come la notte senza luna.
L’effetto che questo tamtam ha fatto sul consumatore medio – basso non poteva che essere terribile, tanto più se aggiunto al toccare con mano che il vicino di casa ha perso il lavoro e che l’azienda del paese, che dava occupazione a tante famiglie, sta chiudendo.
Diciamo che alla fine si è avuto un effetto che non conoscerà modifica se non tra generazioni, fino a perdere il ricordo di quanto è successo, per lo meno una, il che vorrebbe dire una ventina d’anni.
Il nostro impiegato alle poste si è accorto che in fin dei conti l’auto poteva andare avanti ancora un paio d’anni, anche se nel frattempo usciva un modello che gli piaceva tanto con il navigatore compreso nel prezzo. Anche le camicie, per non parlare delle giacche, non erano affatto lise; poteva durare ancora almeno un paio di stagioni senza mettere roba nella cassettiera e nell’armadio che già scoppiavano. La moglie si interrogava sulla validità di quelle creme costosissime, con quei barattolini grossi fuori e microbici dentro. Ai figli si poteva chiedere di rimandare la vacanza in Inghilterra e di cercare un compagno di chat su Internet per approfondire la lingua.
Insomma, stante la situazione, si riusciva ad essere meno consumisti? Certo che ci si riusciva e non sembrava neanche tanto difficile a fronte dello sperpero che avevano adottato a stile di vita negli anni passati. Ci si sentiva anche più a posto con una coscienza etico–terrestre, un far parte di un mondo da rispettare maggiormente, a cui attingere risorse solo per il necessario.
Se mi avete seguito finora, capirete che questa massa di ceto medio–basso che rinuncia, alcuni, riduce, altri, le proprie esigenze e, di conseguenza, acquista meno, è quella che fa i grossi numeri del consumo e della produzione, va ad aggravare la carenza di ordinativi dell’industria, fa regredire il prodotto complessivo delle nazioni.
E non possiamo non scorgere l’effetto a spirale di tutti i fattori sovra citati, una spirale che sembra tridimensionale, un vortice che minaccia di risucchiare tutto verso un fondo che ancora non si vede dove o cosa sia. Perché questo dobbiamo ficcarci tutti in testa. Una crisi, meglio dire un disastro, di questo tipo non si era mai visto nella storia dell’umanità industrializzata, per il semplice motivo che non si era mai arrivati ai nostri vertici di consumismo e di diffusione fittizia di una ricchezza virtuale ben lontana da quella reale e materiale. E dato che non avevamo mai visto questo apice, per forza di cose non sappiamo immaginare l’effetto della caduta.
A mio giudizio, per quel che conta, anche perché difficile da supportare con prove o numeri o fatti, qualcosa che si avvicina al momento che viviamo è la caduta dell’Impero
Romano ad opera dei barbari, dove l’Impero è l’occidente industrializzato, i barbari sono l’occidente industrializzato: sta mangiando se stesso. Con risultati che potremmo soffermarci ad esaminare in termini di fantaeconomia e fantapolitica.
3.
Prospettive
cosa potrebbe succedere e cosa succederà:
speranze e preoccupazioni
Le prospettive sono conseguenza, ovviamente diversa, di due comportamenti. Naturalmente le prospettive immaginate in quel largo distinguo che abbiamo premesso: vale a dire che nessuno conosce le prospettive.
Il primo comportamento è il proseguimento di una sostanziale inazione da parte di chi sta al comando, nella stanza delle scelte importanti, e provoca le prospettive più preoccupanti.
Possiamo immaginare un mondo che collassa su di sé come un buco nero, dal quale non sfugge neanche la situazione più virtuosa e nel quale precipitano tutte le attività economiche, con fallimenti a catena, impoverimento drastico e drammatico di larga fascia di popolazione, il mondo povero delle nazioni “sottosviluppate” che viene abbandonato a sé stesso e riversa sui nostri territori masse di popolazioni indigenti alla ricerca di sostentamento? Non basterebbero eserciti per mantenere l’ordine al quale siamo avvezzi e il mondo attraverserebbe un periodo di grande violenza e di pesante conflitto fra le classi sociali.
Decidete pure che questa previsione sia catastrofica, irreale, degna del peggior incubo notturno, dal quale per fortuna al mattino ci si risveglia. Ma provate un solo momento ad immaginarne i cupi scenari. Vale la pena di rischiare? Vale la pena di trastullarsi in non scelte da parte dei Governi con l’illusione che tutto si rimetta a posto da solo, con migliaia di fedeli che accorrono nelle cattedrali del laissez-faire, a portare suppliche affinché alla fine tutto si rimetta per miracolo in moto da solo?
Secondo me, ma credo anche secondo molti dei pochi lettori di questo libello, il rischio è meglio se non lo corriamo e quindi è necessario che ci si dia da fare nelle direzioni giuste, che sono strade lastricate da scelte vere, non finte.
E questo è il secondo comportamento, che dovrebbe portare ad installare un mondo nuovo, costruito intelligentemente sulle macerie di principi che hanno fatto il loro tempo. Fino a quando? Ho parlato di 25 anni, forse ne bastano meno perché qualcuno, come in tutte le rivoluzioni che si rispettano, si faccia avanti con la restaurazione. La crisi americana del ‘29 ha richiesto 5 anni per trovare lo sbocco dal momento più grave e altri 5 di purgatorio, estesosi anche all’Europa, per riprendere il cammino dello sviluppo.
L’augurio è di uscirne con le idee chiare, in tempi relativamente brevi, a testa alta e, soprattutto, con la testa sulle spalle.
[continua]