Giorgio Caproni (Articolo di Fiammetta Crivelli – Rivista Il Club degli autori 199-200-201 Anno 19 – febbraio 2010) Nel 1975 Giorgio Caproni vince il premio Gatto e il premio Jean Malrieu Etranger – per il miglior libro tradotto in francese – con la raccolta Il muro della terra, raccolta preceduta ed annunciata fin dal 1969 da anticipazioni in rivista e da alcune liriche raccolte sotto il nome di “Parole dopo l’esodo” in “Nuovi Argomenti”. Dopo la notizia fa parte delle sessantanove liriche che, suddivise in tredici sezioni di cui sei costituite da non più di tre testi e in due casi da uno solo, compongono l’opera. Il titolo Il muro della terra, che si vedrà essere strettamente connesso con il titolo della lirica in questione, rimanda ad un verso dantesco, «Ora sen va per un secreto calle,/tra il muro de la terra e li martìri,/ lo mio maestro, e io dopo le spalle» (Inferno X, v.2): Dante finalmente dentro la città di Dite, il cui ingresso era stato ostacolato dai diavoli scacciati solo grazie alla discesa del Messo celeste, chiama «muro della terra» il muro proprio della città infernale, in cui si puniscono gli eretici e in cui incontrerà Farinata e Cavalcante Cavalcanti. Il titolo torna anche nella breve lirica Anch’io, nella sezione Bisogno di guida, in cui sono espresse le noti dominanti della raccolta, che come dice Leonelli «prosegue e sviluppa la discesa agli inferi del poeta, ovvero il viaggio verso l’insignificanza, la contraddittorietà, l’inconsistenza o, in una parola l’assurdità delle cose1».
In un’ intervista di pochi mesi precedente l’uscita del libro, che interrogava il poeta sul senso della sua nuova poesia, visto che, come sottolineò Bo, il poeta del sole e della luce si era trasformato nel poeta delle ombre e delle nebbie, Caproni disse: «Per me il rovello o mistero dell’esistenza è qua, impenetrabile alla vista opponendosi il “muro della terra”, per usare un’espressione dantesca che forse adotterò come titolo. C’è un piccolo pazzo, nel mio libro, che vorrebbe forare quel muro, ma non per vedere cosa c’è di là, bensì cosa c’è di qua: qua». Il “muro della terra” non permette quindi di vedere il segreto e la verità dell’esistenza, una esistenza che non ha nulla però di trascendente, che non guarda verso Dio, perché Dio si è nascosto, forse suicidato, forse non ha saputo resistere al suo non esistere, ma che guarda verso gli uomini. Anzi, verso l’Uomo, verso il suo più profondo Essere. Se quell’“anch’io” segna infatti una comunanza di intenti con gli altri uomini, alle cui prove si affianca il poeta, solo il poeta però sembra sapere, venire a contattato con una conoscenza negativa: ciò che ora sa è infatti la consapevolezza dei limiti umani che nessuno può superare, lo stato di impossibilità di travalicare una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia e che solo un piccolo pazzo può desiderare di varcare. Ad anch’io che sottintende altri si oppone nessuno, perché nessuno potrà mai perforare il muro della terra, quel muro al di là del quale c’è il mistero dell’esistenza. Mistero che proprio nel riguardare l’esistenza terrena, e non celeste, e nella sua impossibile soluzione, condanna l’uomo ad essere estraneo anche a se stesso e agli altri uomini, nella «perdita e vana ricerca della propria identità» [2].
Raboni4 riconosceva tre grandi temi nella poesia di Caproni, il tema della città, il tema della madre e il tema del viaggio, che diventa nel corso delle sue opere metafora sempre più esplicita della vita, e come tale viaggio verso la morte e verso il nulla5. Il dialogo con i morti in cui è ritratto in Condizione (Solo in una stanza vuota,/ a parlare. Ai morti) è un dialogo in primis con se stesso e con il proprio passato che quei morti rappresentano, ma anche spunto per commemorare la fine o meta che si approssima, contemplata -come Caproni ebbe a dire – con una disperazione «calma, senza sgomento». Ma Raboni sottolineava anche come questi tre temi avessero un comune denominatore, l’esilio: esilio dalla propria città amata, esilio dal tempo passato rappresentato dal ricordo della madre, esilio dalla vita, colto nel viaggio che si muove verso la fine. Ma nel Muro della terra l’esilio diviene un esilio estremo ed estrema solitudine: rimane solo il poeta abbandonato da tutti, da Dio e dagli Uomini. E con lui rimane solo il vento (Dopo la Notizia):
La lirica, in metro libero, è composta da 27 versi di varia misura, dove anche i decasillabi però, come i versi 7 e 9, non hanno una accentazione canonica, cosa che contribuisce a conferire alla poesia un ritmo ansioso. Emerge un gusto prosastico, dove la melodia è salvata dal ripetersi quasi ossessivo di un nucleo compatto e semanticamente pregnante di termini che si rincorrono dando l’immagine di un turbinio di vento (proprio vento occorre dodici volte, grigio tre come foglio, mentre il gruppo nemmeno, niente e nessuno sette volte) in una continua ripresa anaforica che stringe ogni verso a quello che precede e a quello che segue:
Si ripetono inoltre anche gruppi di parole: “Un vento lasco” del verso 2 diviene “Un vento lasco e svogliato” al verso 20-21; “Il vento e nient’altro” ritorna al verso 5-6 e 24. Dopo la notizia si apre praticamente con una pausa «Il vento…» e di pausa o sospensione hanno la funzione numerosi enjambements, così come la brevità di molti enunciati (“È rimasto il vento”. “Il vento e nient’altro”. “E il vuoto”. “Nemmeno lo sconforto”) contribuisce a dare l’idea di evanescenza, come se il vento cancellasse quel poco che è rimasto6. Al contrario la parentesi al verso 3 «(quel foglio di giornale)» non sfuma ma rafforza l’enunciato, gli conferisce una maggior tensione drammatica, e non a caso l’aggettivo dimostrativo è scritto in corsivo, perché serve a sottolineare maggiormente un processo di osmosi tra il giornale e il vento (quel foglio al verso 3 diviene quel vento al verso 25). Il vento, unico compagno rimasto a Caproni, è un vento che si contrappone a quel foglio di giornale, con ruoli però destinati ad invertirsi: il foglio diviene infatti un foglio vuoto, perché il vento è analfabeta e nella sua incapacità di leggerlo ne svuota il significato, e il vento alla fine diventa quel vento, come a dire che in un ottica di eternità le cose umane non hanno alcun senso. Fiammetta Crivelli Note: 1 G.LEONELLI, Giorgio Caproni, Garzanti, Milano, 1997, p. 70 2 P.V.MENGALDO, Poeti italiani del Novecento, Mondadori, Milano, 1990, p. 703 3 Da “Parole (dopo l’esodo) dell’ultimo della Moglia” 4 Raboni, saggio in appendice a Tutte le poesie di Giorgio Caproni 5 «Di qui l’ossessività del motivo del viaggio, che sempre più esplicitamente diviene, nell’ultima raccolta, viaggio nel nulla, nel regno dei morti, ritorno da dove non si è mai stati [Ö]», P.V.Mengaldo,Poeti italiani del Novecento, cit., p. 703 6 Giustamente Raboni aveva visto nell’uso di pause, bianchi e lacune di Caproni un ricordo della funzione dei puntini di sospensione nella prosa di Céline, di cui il poeta era stato un mirabile traduttore. (Raboni, saggio in appendice a Tutte le poesie di Giorgio Caproni, cit., p. 622.) 7 G.PAMPALONI, nota in appendice a Tutte le poesie, Garzanti, Milano, 1985, p. 631 8 «Stando alla logica della dislocazione della lirica (che è del 1972) la notizia può riguardare il forzato abbandono di un luogo caro; ma può in effetti, trattarsi di qualsiasi notizia.» M.PAZZAGLIA, Il novecento, Zanichelli, Bologna 1992, p. 919 9 «Il presente delle cose passate è la memoria, il presente delle cose presenti è la vista, il presente delle cose future è l’attesa» Sant’Agostino, Le confessioni, libro XI, capitolo 20. 10 «Ah, mio dio.Mio Dio/ perché non esisti?» I coltelli 11 P.CITATI, saggio in appendice a Tutte le poesie, cit., p. 623 12 «Se si dovesse specificare qual tipo di teatralità prediliga Caproni, direi senza dubbio quella dell’assurdo (pensando a Ionesco più che a Beckett, se guardiamo al linguaggio e al movimento degli attori sulla scena). Si ha di fronte la stessa scena, ripetuta e variata senza fine, il suo fondale pressoché identico di atto in atto, cambia qualche dettaglio; il soggetto che si arrovella in un’azione vana, paralizzato dall’attesa di terminare fatalmente il suo fatale copione.» S.RITROVATO, Il poco e il nulla nella poesia di Caproni, dal sito ilportoritrovato.net BIBLIOGRAFIA
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