Una nonna racconta

di

Giovanna Gatti Colangelo


Giovanna Gatti Colangelo - Una nonna racconta
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
15x21 - pp. 104 - Euro 8,50
ISBN 978-88-6037-373-1

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Presentazione

Giovanna Gatti Colangelo offre ai lettori il diario esistenziale di una nonna che racconta alle amatissime nipoti Carolina e Virginia, il lungo susseguirsi degli eventi che hanno costellato la sua vita.
La personale avventura umana viene riportata in modo garbato, con discrezione, con sincerità e spontaneità, a volte, con un lieve tocco nostalgico quando il ricordo si fa più vivo e pressante.
Ecco allora tornare alla mente la storia della propria famiglia, i mille ricordi che si intrecciano in un appassionato diario: l’entrata in guerra dell’Italia, il periodo difficile e le condizioni di vita precarie, il dopoguerra e poi il periodo degli anni sessanta.
In questo diario familiare sono narrati i ricordi della vita dell’Autrice, le proprie radici familiari, il ricordo della nonna Elisa, la casa all’ultimo piano a Roma, il terrazzo sempre fiorito, gli aranci e i limoni d’inverno, la zia Ghita quando “non c’era ancora la televisione”, quando il nonno andava al circolo cittadino e si fermava a ballare; e poi i mille ricordi delle piccole cose della vita quotidiana affollano le pagine ed è come inoltrarsi in un viaggio a ritroso nel tempo.
E ancora tornano alla mente il periodo dell’infanzia, l’amica Angela che frequentava la stessa scuola e le passeggiate fino al fontanile dove c’era una piccola grotta tappezzata da capelvenere e muschio, le arrampicate sugli alberi e le biciclettate lungo la via Flaminia, i giornalini e i fumetti per ragazzi, le letture nello studio dove c’era la libreria con i libri segreti, e poi i tragici eventi come la seconda guerra mondiale con le sofferenze patite. Dopo il delitto Matteotti, il padre che decide di stracciare la tessera del Partito fascista, l’inevitabile licenziamento dalla banca e l’inizio d’una difficile fase di sopravvivenza in un periodo storico nel quale era difficile distinguere tra l’adeguamento allo stato di fatto e la ribellione al regime che poteva portare a gravi conseguenze anche per i membri della propria famiglia.
Quegli anni fanno venire alla mente la “fame vera” dopo i primi anni di guerra, la borsa nera, i tristi giorni e le lacrime per il padre quando fu richiamato alle armi, e poi la caduta del fascismo e le speranze degli italiani. E infine le vicende che coinvolsero la sua famiglia durante l’occupazione nazista, la liberazione di Roma e l’immediato dopoguerra, i terribili momenti e l’incontro con il futuro marito Roberto, sposato poi nel 1956, l’iscrizione dell’Autrice alla facoltà di Medicina e Chirurgia, l’avvento della televisione e le prime trasmissioni che divennero poi famosissime, l’apprendistato in ospedale, la nascita del figlio Paolo.
Il desiderio di ricordare e di lasciare una testimonianza che recuperi i valori e il passato di due famiglie che hanno vissuto difficili momenti della storia del nostro paese. Il grande pregio di Giovanna Gatti Colangelo è di narrare e ricordare senza rancori ma con quello sguardo critico e amorevole che rende i giorni vissuti sotto una luce nuova che miscela gli aspetti dolorosi con la saggezza del presente.
Il suo racconto trova nella gioia dell’oggi un motivo per rendere le vicende salienti della sua vita come un viaggio esistenziale che ha contribuito a creare tutto ciò che di bello ora ha davanti ai suoi occhi.
La sua spontaneità e lo sforzo nel rendere il passato la “memoria per il futuro” non sono altro che l’esempio d’un modo di intendere la vita che può solo condurre ad una felicità che attraversa il tempo.

Massimo Barile


Ringraziamenti

Un ringraziamento e la mia personale gratitudine a coloro che con pazienza ed amicizia hanno letto la prima stesura di questi ricordi, destinati a soddisfare la curiosità delle mie nipoti.
Incoraggiata da benevoli complimenti ho voluto seguire alcuni suggerimenti, aggiungendo qualche notizia familiare e non. Completamente nuovo il piccolo capitolo sulla città di Terracina, scritto per accontentare due fans di questa cittadina: mio figlio Paolo e mio cugino Gabriele.
Un ringraziamento particolare a mia cugina Dedi, per l’affettuosa critica; per soddisfarla ho fatto correggere la mia fantasiosa punteggiatura da Carla cara amica laureata in Lettere, a lei tutta la mia gratitudine per aver aiutato una scribacchina decisamente poco amante di punti e virgole.

Tutti i diritti sono riservati all’Autore


Una nonna racconta


A Virginia e Carolina
sempre curiose delle loro radici


PRIMA DELLA GUERRA

Ho deciso, per soddisfare la curiosità delle mie nipoti, di scrivere una specie di diario familiare nel quale narrare i ricordi della mia vita.
In effetti, quando entrambe si divertono a guardare le fotografie delle nonne, delle bisnonne e delle trisnonne, non sono mai sazie di conoscere le vicende della loro vita.
Quello che le incuriosisce di più sono le notizie che riguardano mio figlio: il loro padre. Era bravo a scuola? Era ubbidiente? Mi colpisce molto il fatto che l’interesse sulla vita del papà non vada oltre la loro età.
Naturalmente guardando le fotografie, di cui sono ghiotte consumatrici, le domande si rincorrono e la richiesta di notizie aumenta e va indietro nel tempo.
Ho notato che il desiderio di conoscere le radici familiari è connaturato maggiormente nella femmine; indubbiamente ciò dipende dalla natura femminile più curiosa e più intimista rispetto alla maschile, infatti i maschi proiettano la loro personalità maggiormente verso interessi esterni.
Dove cominciare la mia storia?
È assai semplice, da questo momento. Devo andare a trovare la mamma, che ha raggiunto la bella età di novantasette anni e, come ha osservato mia nipote Carolina, è diventata la mia bambina.
Ho trovato la mamma intenta a guardare, con la sua badante, la televisione. Dopo l’operazione delle cateratte ci vede benissimo, purtroppo è completamente sorda e, anche se porta l’apparecchio acustico, non sente nulla.
Quando era relativamente giovane, all’età di sessanta anni, è stata colpita dal peggior tipo di sordità, sente i rumori ma non comprende il significato delle parole, esattamente come chiunque di noi non capisce nulla quando visita un paese straniero di cui non conosce la lingua; soffre molto per questa menomazione, per lei è una vera e propria umiliazione; per farla sentire parte del mondo che la circonda conversiamo con lei, lasciandole l’illusione di aver compreso gli argomenti trattati.
Sono ancora una figlia, oltre che moglie, madre e nonna, diverse personalità, molti doveri, ma anche tante gioie.
Se guardo al passato volendo fare un bilancio della mia vita, per la verità, non posso lamentarmi, una sola grande tragedia mi ha colpito; la morte precoce di mio padre quando aveva solo sessant’anni.
È decisamente un bilancio positivo almeno fino ad oggi, il futuro è “in mens dei.”
Se posso dare stura ai miei ricordi e raccontare le notizie concernenti la nostra famiglia lo devo ai racconti della nonna materna, la nonna Elisa.
Cercherò anche, nei limiti del possibile, di fare conoscere quanto ho appreso sulla famiglia del nonno Roberto che, come sapete, ho sposato quarantacinque anni fa.
È giusto che apprendiate le vicende che hanno interessato entrambi i ceppi da cui discendete.
Tale conoscenza è assai importante, perché le due famiglie sono originarie di differenti regioni italiane, la mia ha radici emiliane, quella del nonno ha origini abruzzesi.
Il mio matrimonio ha unito il Nord ed il Sud dell’Italia, le abissali differenze di abitudini si sono compenetrate abolendo, grazie all’amore e al buonsenso, ogni diversità negativa dell’una e dell’altra, mentre le positive si sono perfettamente integrate, in tal modo si sono evitate incomprensioni inutili e sciocche.
In effetti è stato entusiasmante comporre un mosaico armonico con tessere tanto differenti.
I primi veri ricordi nascono a Roma, dove i miei genitori si trasferirono da Iesi, cittadina dove siamo nati io e mio fratello.
A Roma abitavamo in via Nemorense in un vecchio edificio, che a me sembrava molto brutto, oggi viene definito come “palazzo d’epoca” ed è considerato di lusso..
L’appartamento in cui abitavamo era situato all’ultimo piano ed era dotato di un grande terrazzo dal quale si godeva una magnifica vista sul parco Nemorense, che allora si chiamava Virgiliano.
La mamma ed il babbo amavano molto i fiori e le piante, di conseguenza il terrazzo era sempre fiorito sia in primavera che in estate; durante l’inverno gli aranci e i limoni la facevano da padroni.
Noi bambini avevamo la proibizione di raccogliere i fiori e di toccare le piante.
La tentazione era grande e un malaugurato giorno, era il mese di aprile, insieme a Silvio, il mio amico del cuore, mentre le nostre mamme chiacchieravano tranquille in salotto, uscimmo in terrazzo e ci mettemmo a mangiare delle fragole dolci e profumate amorosamente coltivate dai miei genitori.
Non ricordo di aver sofferto mal di pancia per la scorpacciata, ricordo benissimo il castigo che fu inflitto a me e a Silvio: per un mese non avremmo potuto giocare insieme.
Quando leggerete queste righe forse sorriderete per il tipo di castigo subito, dal momento che siete sempre piene di impegni e di amici, ma quando ero una bambina era veramente cosa rara avere una amichetta o un amichetto.
Normalmente le mie giornate, dopo aver terminato i compiti, trascorrevano a casa, dove leggevo molto, non ho mai giocato con le bambole o altri giochi, l’alternativa era uscire con la mamma e mio fratello per andare a trovare la zia Ghita.
La zia Ghita era la sorella maggiore di mio padre, sposata con lo zio Sandro, ingegnere alla Banca d’Italia. I miei zii abitavano in una grande casa ubicata in via del Giardino Theodoli.
Io e mio fratello non amavamo andarli a trovare, anche se ci divertivamo moltissimo a correre nel grande terrazzo pieno di rose; la causa di questa avversione era la presenza di un terribile cane bassotto di nome Tachi, il cui divertimento era abbaiare come un disperato quando a casa degli zii arrivavano degli estranei, casa che lui considerava suo esclusivo territorio.
Tachi cominciava puntualmente ad abbaiare quando l’ascensore arrivava al secondo piano, allora io e mio fratello prendevamo le mani di nostra madre e ci stringevamo terrorizzati alle sue gonne.
Della casa di mia zia mi piaceva moltissimo l’ascensore tutto legni, specchi e vetri, dotato, meraviglia delle meraviglie, di due sedili imbottiti di velluto rosso bordati da una frangia color oro; quando la mamma non vedeva mi piaceva giocherellare con quelle frange.
All’epoca non esisteva la televisione e la radio non aveva trasmissioni per bambini quindi, mie care nipoti, potete immaginare quanto grosso fosse il castigo inflittomi di non giocare con Silvio per un mese.
Per fortuna una volta la settimana veniva la donna della biancheria, che, mentre rammendava ed allungava i nostri vestiti, ci raccontava bellissime storie; rimodernava anche i vestiti più vecchi della mamma, vestiti che erano stati cuciti da quella che veniva definita una brava sarta e il cui indirizzo era “top secret”.
Questa sarta importante, in primis, cuciva gli abiti più eleganti e alla moda, la moda allora durava almeno tre anni, poi venivano rimodernati dalla donna della biancheria.
L’indirizzo della “brava sarta” era stato concesso come prova di grande amicizia dalla signora Colla, che abitava nell’appartamento vicino al nostro, era vedova e sola, il figlio lavorava a Milano e veniva raramente a Roma.
Mio padre diceva che era molto bella; io ricordo una signora bionda, alta dall’aria misteriosa; a me a mio fratello metteva molta soggezione, e quando veniva in visita dalla mamma noi la salutavamo molto compitamente, poi scappavamo in cucina, dove la nostra cameriera ci raccontava delle storie assai più interessanti della bella signora Colla.
Fino a che risalgono i miei ricordi, così trascorreva la vita per me e mio fratello, a parte l’intervallo estivo quando, finita la scuola, mio fratello passava il mese di luglio nei campi della Gil, una organizzazione fascista per i ragazzi che aveva finalità associative simile a quella dei boyscout, dalla quale comunque si differenziava perché si ispirava a modelli di vita militare.
La poverina che sta scrivendo veniva spedita vicino Reggio Emilia, nella casa di campagna della mia nonna, che qui si trasferiva l’estate con una amica; mentre il nonno, che odiava la campagna, rimaneva in città.
Il nonno in assenza della moglie, tutte le sere, andava al circolo cittadino dove non solo poteva godere della compagnia degli amici ma, dopo cena, poteva ballare quanto gli pareva e piaceva. Mio nonno era un abilissimo ballerino mentre la nonna odiava il ballo.
La mamma mi accompagnava in treno a Reggio Emilia, poi tornava subito a Roma per fare compagnia al babbo che era occupato con il suo lavoro.
I ricordi di queste vacanze campagnole non sono molto divertenti; non vi erano bambini con cui fare amicizia, mi era proibito giocare con i figli dei contadini e dovevo rimanere attaccata alle gonne di mia nonna e della sua grande amica, la signorina Cugini.
Per fortuna la casa era dotata di una grande e polverosa soffitta; nelle ore pomeridiane quando la nonna e la signorina Cugini andavano a riposare nelle loro camere, la soffitta diventava il mio rifugio personale.
La soffitta era piena di bauli che contenevano vecchi vestiti, vecchi libri e vecchie riviste che mi divertivo a scartabellare.
Mi piaceva molto leggere i libri che la mamma e la nonna leggevano quando erano signorine; forse erano superati dal tempo e non adatti alla mia età, ma le storie di quegli amori, infelici all’inizio, felicissimi nel gran finale che sanciva la sconfitta della bellissima ma perversa rivale, a me sembravano meravigliosi, anche se in fondo trovavo l’eroina una figura un poco troppo buona tanto da rasentare la melensaggine.
Per la verità leggevo anche avidamente la raccolta del “Corriere dei piccoli” che comprendeva gli anni di quando era piccola la mia mamma.
Il Corriere dei piccoli era un giornale per bambini dai sei agli undici anni, i personaggi erano diversi uno dall’altro ed esprimevano, a saperli interpretare, le problematiche caratteriali del mondo sia dei bambini che degli adulti.
Molto divertente era Mio Mao che ha anticipato il Topolino di Walt Disney.
Il mondo di Mio Mao, a differenza di quello di Topolino, è più allegro, più irrazionale, spesso assurdo ma assai spassoso.
Mi affascinava lo scienziato fantascientifico: Piercloruro de’ Lambicchi che, con la sua arcivernice, dava vita ai disegni, molti erano i vantaggi, altrettanto numerosi erano i guai che ne derivavano.
Quando terminavo di leggere le avventure di Piercloruro, mi abbandonavo ai sogni più strampalati, pensando a ciò che avrei potuto fare se avessi avuto la bottiglietta contenente la vernice magica. Forse da questa lettura proviene la mia passione per i libri di fantascienza.
Altro personaggio da ricordare è il signor Bonaventura nato dalla penna di un intellettuale raffinato, l’attore Sergio Tofano.
Il signor Bonaventura ebbe un grande successo non solo tra i bambini, ma anche gli adulti lo leggevano con piacere.
La storia cominciava con questi versi “ Qui comincia l’avventura del signor Bonaventura” però, dopo fantastiche quanto acrobatiche avventure tutto finiva bene con il guadagno di un milione.
Un milione! A quei tempi era una cifra astronomica che avrebbe permesso al fortunato proprietario di migliorare la sua vita, ciò non accadeva al povero Bonaventura che ogni settimana ricominciava di nuovo con le sue disavventure.
Il sor Pampurio era invece un tipo inquieto e un poco triste con moglie e figlio che si dichiarava sempre “arcicontento del suo nuovo appartamento” ma doveva sempre sloggiare alla ricerca di un altro “nuovo appartamento” che non trovava mai.
Forse è a causa di questa lettura che ossessiono sempre vostro nonno perché investa i suoi sudati guadagni in appartamenti.
Ricordare tutti i personaggi che popolavano il Corriere dei Piccoli è una impresa non facile che forse diventerebbe anche un poco noiosa.
Care nipoti, se vi interessa conoscere altri personaggi vi rimando ad un libro “I primi eroi” che si trova nella libreria di casa.
Un libro che lessi per la prima volta in soffitta è stato “Piccole donne”; era una vecchia edizione molto rovinata che cominciai a sfogliare dapprima svogliatamente ma che divorai man mano che proseguivo nella lettura.
Questo libro ha avuto una enorme fortuna di pubblico; solo nella mia famiglia è stato letto dalla mia nonna, dalla mia mamma e da voi, a vostro padre non interessava, ha superato, non solo l’esame di quattro generazioni, ma Hollywood l’ha riprodotto ben tre volte in epoche diverse,utilizzando sempre bravissime interpreti.
Tra tutte ricordo la Hepburn che è stata, senza alcun dubbio, la migliore interprete di Jo, una delle quattro sorelle delle quali l’autrice racconta la vita.
La nonna amava molto i fiori, purtroppo aveva l’abitudine di passare molte ore della giornata a discutere con un vecchietto avviluppato in un gran grembiule a righe bianche e blu, presumo fosse il giardiniere.
Purtroppo queste assise avvenivano anche alle cinque della mattina e le loro voci spesso mi svegliavano, potete immaginare la mia gioia.
Il venerdì si andava al cimitero per portare i fiori alla tomba di famiglia. Non era una semplice visita come si potrebbe pensare. Appena giunte, la nonna chiamava il custode che apriva il cancello della tomba, poi si portavano fuori i vasi, tolti i fiori appassiti, il custode lavava i vasi e metteva l’acqua fresca; a questo punto la nonna, con aria regale, mi invitava a porgerle i fiori freschi che metteva nei vasi, sistemandoli in maniera che i differenti colori armonizzassero tra di loro.
Terminata questa operazione si raccoglieva in preghiera, io intanto leggevo i nomi dei miei trisnonni, bisnonni e svariati zii, al ritorno chiedevo loro notizie e così ho conosciuto le storie di famiglia.
Personalmente non amo visitare i cimiteri, ritengo che queste visite forzate siano la spiegazione del perché, diventata adulta e indipendente, non ho più messo piede in un cimitero. Forse sbaglio ma preferisco ricordare le persone quando erano vive attraverso il ricordo delle loro azioni, sia buone che cattive.
Un divertimento mi era concesso: la raccolta delle figurine Perugina.
La Perugina era una nota ditta che fabbricava cioccolatini, famosi i suoi “baci” che si trovano ancora oggi sul mercato.
Allo scopo di propagandare i prodotti della ditta, all’interno delle confezioni venivano inserite le suddette figurine che, raccolte in un album, permettevano di guadagnare dei premi.
Le figurine erano cento, ognuna aveva una differente valutazione e potevano essere scambiate in base al loro valore. Per conquistare quella che raffigurava il feroce Saladino, difficilissima da trovare, si doveva dare in cambio un certo numero di figurine il cui numero dipendeva dal loro specifico valore.
I fortunati che possedevano dei doppioni li potevano anche vendere, il feroce Saladino raggiunse un valore di cento lire, cifra ragguardevole per l’epoca, uno stipendio medio raggiungeva la mille lire.
La collezione non era facile da portare a termine, all’epoca non si comperavano facilmente sacchetti di caramelle e cioccolatini ove erano contenute le ambite figurine.
La radio, erano gli anni 1934/35, trasmetteva un racconto musicale: i “Quattro moschettieri,” parodia del famoso romanzo di Alessandro Dumas i cui protagonisti erano riprodotti nelle figurine.
Uno dei premi che si poteva vincere era il libro che narrava le avventure dei moschettieri e dei personaggi delle figurine, avventure che erano quelle trasmesse dalla radio.
Il libro iniziava con le seguenti rime:

Nell’istoria che andiamo a narrare
si vedranno capelli piumati
spade, guanti, duelli ed agguati
belle donne e convegni d’amor.

Già Dumasse narrò quest’istoria
che in un secolo è molto mutata.
Se per radio l’avete gustata,
nel romanzo leggetela ancor.

I personaggi erano tanti e non posso ricordarli tutti; dei quattro moschettieri il più divertente era senza dubbio Aramis, raffigurato come un dandy snob, sempre contornato da bellissime donne, con una sola preoccupazione, non saper giocare a bridge.
Mi piaceva molto la bella Sulamita forse perché rappresentata da una affascinante fanciulla velata.
Divertente la canzoncina dedicata al feroce Saladino che cominciava nel seguente modo:

Un grande generale saracino
Il Saladino,
un bel mattino,
telefona a Goffredo di Buglione
e gli propone
una tenzone:
Potreste,voi, bandire una Crociata
Per far Gerusalemme liberata?
Se no sarò costretto a andare a spasso
Torquato Tasso
Senza un quattrin.

La nonna, fautrice della collezione, ci aiutava moltissimo tanto che alla fine riuscimmo a terminare il primo album e a vincere il libro i “Quattro moschettieri” che ancora conservo, più un grosso pacco pieno di prodotti della Perugina.
Il primo vero dispiacere mi colpì durante questo felice periodo, il mio amico Silvio si ammalò di morbillo e nel giro di una settimana morì.
Non avevo più amici, la mamma e il babbo a Roma non frequentavano molte persone e quelle poche o non avevano figli o non erano ancora sposate.
Non era previsto che io facessi a scuola delle amicizie, nella mia famiglia era impensabile che potessi diventare amica di bambini dei quali non si conoscevano i genitori, potevo frequentare solo i figli degli amici di famiglia.
A Roma lavorava un cugino della mamma, Guido; ai miei occhi era una specie di eroe, aveva molta pazienza con me, mi trattava come un adulta mi raccontava molte storie intelligenti e con lui potevo discutere su molti argomenti. Le prime due serie della Scala d’oro me le regalò lui.
La Scala d’oro era una collezione di libri, edita dalla UTET, e dedicata ad età differenti, dai sei ai tredici anni.
In questi libri venivano raccontati, adattandoli alle diverse età, i capolavori di scrittori italiani e stranieri.
Il primo approccio con l’Iliade e l’Odissea l’ho avuto a sette anni, grazie a questi libri che mi piacevano moltissimo, non perché fossero scritti in perfetto italiano, ma perché erano corredati da magnifiche illustrazioni a colori.
Purtroppo quando la mamma cambiò casa, vennero messi per sbaglio in una cassa contenenti vecchi libri che dovevano essere regalati alla parrocchia per la biblioteca dell’oratorio. Anni fa ne scovai alcuni in un libreria antiquaria e li ho comprati a peso d’oro; a te, Virginia è piaciuto molto il libro “Novelle Gaie”, mentre Carolina prima di addormentarsi, voleva che le raccontassi “Le avventure di Candullino”, una famosa saga irlandese.
I giornali in vendita per i ragazzi sono oggi numerosi e tutti a fumetti, ma quando ero bambina la mamma comperava solo il Corriere dei Piccoli e Modellina, uno scipito giornaletto adatto a noi femmine, raramente Topolino.
Un giornale a fumetti assai letto dai giovani dell’epoca, più fortunati di me, era l’Avventuroso, ma la mamma non lo riteneva adatto alle nostre giovani menti, di conseguenza era tabù e non veniva comperato.
Fortunatamente al mercato per incartare la frutta e la verdura e soprattutto le uova, si usavano vecchi giornali e tra questi vi era anche questo giornaletto, oggetto del mio desiderio inappagato, così ho conosciuto personaggi come Mandrake, Flash Gordon e l’Uomo Mascherato che animavano avventure improbabili ma affascinanti.
Ovviamente queste vicende a me arrivavano tronche ed incomplete, ma mi facevano sognare lo stesso.
L’editore Nerbini, negli anni sessanta, ha nuovamente pubblicato l’intera serie di questi storici fumetti. Li ho comperati tutti e li ho avidamente letti, divertendomi come se fossi ancora un’adolescente.
Due avvenimenti assai importanti, avvennero quando avevo sette anni, il primo fu l’amicizia che la mamma strinse con la signora Meinardi che nel tempo divenne la sua più cara amica.
La mamma la conobbe al mare; le vacanze estive si trascorrevano al mare, si pensava che lo iodio marino influenzasse positivamente la crescita di noi bambini.
La signora Meinardi aveva l’ombrellone vicino al nostro, era sola, anche la mia mamma era sola, mio padre non veniva mai alla spiaggia perché insofferente al caldo e ai raggi solari. Le due signore cominciarono a chiacchierare e così ebbe inizio la loro amicizia.
Per fortuna la signora Laura, questo era il suo nome aveva due figli un maschio e una femmina, del maschio non mi importava nulla, anche perché aveva cinque anni più di me, mentre la figlia Angela aveva la mia età.
Avevo finalmente un’amica!
Con Angela ho passato molti anni della mia infanzia e della adolescenza, di questi anni parlerò più avanti.
L’altro avvenimento fu la guerra che Mussolini intraprese in Abissinia, evento storico e politico decisamente importante per l’Italia, però in senso negativo. Indubbiamente era pura utopia pensare di avere delle colonie, i tempi stavano cambiando, ma Mussolini, obnubilato dai suoi sogni di grandezza, non poteva o non voleva rendersi conto della evoluzione politica in atto.
La Società delle Nazioni, l’ONU dell’epoca, condannò l’ Italia per l’attacco all’Etiopia ed emise le sanzioni per il nostro paese, oggi si parla di embargo, in pratica si proibiva alle altre nazioni di esportare in Italia le materie prime che producevano.
Ovviamente il primo provvedimento consistette nella proibizione di vendere all’Italia armi e munizioni, seguiva una lista di merci necessarie alla guerra dalla quale fu escluso, per pura fortuna, l’indispensabile petrolio.
Nacque l’autarchia, con questo termine si invitava il popolo italiano a scegliere sempre i prodotti di casa, che spesso erano surrogati scadenti, come il Lanital, un particolare tessuto per vestiti ricavato chimicamente dal latte.
Con questo materiale mi fu confezionato un abito rosa che odiavo cordialmente, mia madre amava follemente questo colore che tuttora io non sopporto; quando al giorno d’oggi sui giornali si parla, riferendosi a noi donne, di liste politiche rosa, di un congresso tutto rosa, mi salta la mosca al naso perchè lo considero un colore discriminatorio e umiliante.
Si cercò di sostituire il tè, una bevanda che, dopo il caffè, era cara agli italiani, con un intruglio etiopico: il carcadè, ma gli italiani non abboccarono e continuarono a bere il tè senza alcun rimorso.
Da un punto di vista psicologico l’Inghilterra fu la nazione maggiormente presa di mira dalla propaganda fascista, tutto quello che era inglese era ridicolizzato e beffeggiato.
Gli scrittori britannici furono banditi, con due sole eccezioni: Shakespeare e Shaw, una lunga lista di espressioni di uso corrente e di nomi cinematografici vennero cancellati in odio alla perfida Albione. Si arrivò al grottesco quando venne cambiato il nome dell’albergo Eden di Roma.
Confesso che allora il significato politico delle sanzioni non venne da me preso in considerazione, ma ricordo assai bene la raccolta della lana, del ferro e dell’oro indetta dal regime per aiutare il fabbisogno nazionale.
Furono organizzati centri di raccolta ove depositare rame, ferro, argento e oro. Tutte le mogli e i mariti furono invitati a donare le fedi d’oro alla patria, in cambio ne ricevevano una di ferro.
L’esempio venne dato dalla Regina Elena che donò solennemente la sua fede gettandola in un grande tripode acceso posto sull’Altare della Patria.
A questo proposito ricordo una grande discussione tra i miei genitori, in famiglia i nonni e gli zii materni donarono la loro fede, la mamma e la zia Ghita si rifiutarono, questa fu la ragione della lite tra i miei genitori.
La zia Ghita salvò la situazione, andò con la mamma da un gioielliere suo amico e, in gran segreto, comprarono due fedi d’oro, poi andarono al centro di raccolta e le consegnarono a chi di dovere, ricevendo in cambio quelle di ferro che furono mostrate ai rispettivi consorti.
Quando nel 1940 scoppiò la seconda guerra mondiale, se le tolsero e si rimisero quelle originali; la mamma raccontò tutto al babbo, per la verità lui ne fu contento.
Anche nelle scuole furono istituiti centri di raccolta e noi tutti facevamo a gara a chi portava più oggetti che, a nostro parere, avrebbero salvato la Patria.
Spesso presi dall’entusiasmo si portavano cose che venivano prese di nascosto e che utili non lo erano affatto; per fortuna la nostra maestra, donna pratica ed intelligente, avvertiva i genitori che riportavano a casa il bottino trafugato da piccoli ed entusiasti patrioti.
Era in voga una canzonetta assai orecchiabile il cui ritornello così si esprimeva:

Faccetta nera bell’abissina aspetta e spera
che già l’ora si avvicina
quando saremo vicino a te
noi ti daremo un altro Duce e un altro re.

All’epoca l’idea di “Patria” era assai radicata non solo in noi bambini ma pure nei giovani, tutto questo era conseguenza degli insegnamenti scolastici. I testi erano scritti in maniera tale da influenzare la mente dei giovani.
Il sabato eravamo obbligati a frequentare i raduni del “Sabato Fascista”, mio fratello Giorgio come balilla, io come piccola italiana.
Giorgio si divertiva molto e ha frequentato questi raduni fino alla fine dell’epoca fascista, vostra nonna odiava vestirsi da piccola italiana, odiava marciare, odiava essere indottrinata, per fortuna le sue tonsille malate la salvarono da questa per lei terribile congiuntura.
Dopo numerose visite mediche fu esentata, con sua grande gioia, dalle adunate e anche dalla ginnastica.
Quando il medico della GIL dette la notizia alla mamma sembrava che annunciasse la mia morte, all’epoca i cosiddetti gracili erano guardati con commiserazione.
Come se non bastasse la guerra in Abissinia, quando i generali spagnoli, nel 1936, con il loro “pronunciamento” dettero inizio ad una guerra civile contro il legittimo governo della Repubblica; Mussolini stimolato dall’avventura africana, volle inviare in Spagna dei volontari.
I generali spagnoli si consideravano dei patrioti impegnati in una crociata anticomunista, costoro avevano bisogno di aiuto sia finanziario che organizzativo, l’Italia fascista senza dubbio poteva rappresentare un partner ideale.
Il generale spagnolo più giovane e anche il più impegnato politicamente era Francisco Franco, che divenne capo di un nuovo regime che prese il nome di Falange.
L’Italia inviò subito armi e volontari in appoggio dei generali, però sul suolo spagnolo arrivarono anche aiuti ai repubblicani. È interessante ricordare che quei volontari che si combattevano non erano mercenari, ma entrambe le parti erano mosse da un ideale che, anche se diverso nelle due fazioni era pur sempre un’ideale.
Ero troppo giovane per interessarmi a questi avvenimenti, ma indipendentemente da quella che può essere stata la causa che fece di Franco, una volta ottenuta la vittoria, un dittatore; si può affermare, alla luce degli avvenimenti storici che sono intervenuti in seguito, che, a differenza di Mussolini e Hitler, ebbe sempre presente l’interesse della nazione che guidava. Riuscì, non solo, a tenerla fuori dalla seconda guerra mondiale ma con lungimiranza educò un giovane Borbone a succedergli. Oggi la Spagna è una monarchia prospera e democratica.
Qualche anno dopo Roma entrò in grande fermento per la visita di Hitler, i preparativi furono grandiosi; tanto per fare un esempio, furono eretti archi di trionfo e rifatte facciate di palazzi che si trovavano lungo il percorso del corteo che l’ospite avrebbe dovuto percorrere.
I romani come sempre disincantati, si consolavano con la seguente pasquinata

Roma de travertino
rifatta de cartone
per piacè all’imbianchino
suo prossimo padrone.

Hitler arrivò alla stazione Ostiense; per giungere al Quirinale, doveva percorrere cinque chilometri lungo i quali era schierato un cordone ininterrotto di soldati, in via dell’Impero e in via dei Trionfi furono eretti grandi tripodi che vennero accesi durante la sfilata in onore dell’ospite.
Il gusto decisamente pacchiano di tutta l’organizzazione non impedì che lo spettacolo fosse assicurato.
Nella realtà sembrava di vivere in un kolossal storico, tipo Cesare e Cleopatra.
Mio fratello ebbe il permesso, anche se dato con scarso entusiasmo, di partecipare alla sfilata dei balilla; se ben ricordo, a questo proposito, in famiglia ci furono discussioni e pareri contrastanti.
Dopo un colloquio che la mamma ebbe con il capo manipolo di mio fratello, i miei genitori furono costretti a capitolare.
I miei genitori e i loro amici, quando parlavano di questa visita, ridevano molto e la parola buffoni, ricorreva spesso; ovviamente questi discorsi avvenivano nel segreto delle case e lontano dalle orecchie di noi bambini, ma io ero molto curiosa e riuscivo a captare qualche frase.
Normalmente in pubblico non si parlava di politica, a noi veniva raccomandato di non parlare mai con il portiere, l’ordine suonava come un vero e proprio diktat, quando chiesi la ragione di tale divieto mi fu seccamente risposto, potrebbe fare la spia, di che cosa e a chi non venne mai spiegato.
Come ho detto prima, ero molto curiosa tanto che riuscii a scoprire perché i miei genitori e i loro amici ridevano tanto quando parlavano dei governanti dell’epoca, le barzellette esistevano anche allora, forse raccontandole in gran segreto si cercava di esorcizzare le paure e le inconsce vigliaccherie della buona borghesia cui apparteneva la mia famiglia.
A questo proposito va ricordato un breve lasso di tempo durante il quale il rifiuto di adeguarsi all’ordine costituito coinvolse negativamente la mia famiglia.
Mio padre, al ritorno della prigionia che aveva patito in Austria durante la prima guerra mondiale, fu tra i primi ad iscriversi al Partito Fascista, ma stracciò la tessera dopo il delitto Matteotti; di conseguenza perse il posto di direttore della BNA.
Iniziò allora ad esercitare la libera professione, ma molte consulenze e altrettanti incarichi gli vennero negati perché non iscritto al Partito, fu un periodo breve ma difficile, da racconti che mi fece mia madre so che intervenne il cugino di mio padre, allora Podestà di Reggio Emilia che, pronubo il fondatore della Bonifica Pontina, amico di vecchia data, obbligò il babbo ad iscriversi nuovamente al Partito e a accettare la direzione amministrativa della Bonifica Pontina, terminò così il breve periodo di ribellione al Partito Fascista della mia famiglia.
Forse alla luce di quest’episodio non è giusto attribuire, come ho fatto prima, l’etichetta di vigliacchi anche se inconsci, ai poveri italiani che bene o male dovevano pensare ai propri cari.
Meglio ricorrere all’ironia e ricordare alcune ridicole decisioni del regime, tra le tante mi piace rammentarne due. La prima vietò alle donne di indossare i pantaloni, vennero allora ideate le gonne pantaloni assai usate per andare in bicicletta, la seconda apparentemente più importante fu di abolire il “Lei”, solo il “Tu” ed il “Voi” erano ammessi, il voi quando ci si rivolgeva ad estranei, il tu era riservato agli amici.
Questa norma pose un grosso problema alla mia coscienza, eravamo stati abituati a dare del lei alla nostra cameriera, come dovevamo rivolgere la parola a Maria con il voi o con il tu? La mamma risolse il problema dicendoci di continuare con il lei e così abbiamo sempre fatto, anche oggi alla cameriera filippina continuo a dare del lei.
Una cosa che ancora oggi mi diverte molto consiste su come venivano affrontate le questioni linguistiche, per esempio tutte le parole di origine straniera vennero cambiate, camion divenne autocarro, i pompieri divennero vigili del fuoco e così via.
Vi chiederete perché queste decisioni mi divertono tanto; anche al giorno d’oggi, in democrazia, per eccessi opposti e per volere dei sindacati sono state cambiate molte abituali dizioni, una per tutte, i cari spazzini della mia infanzia sono diventati operatori ecologici, le cameriere di una volta sono ormai delle colf, misteriosa parola che nel mio immaginario evoca magici abitatori dei boschi.
Interessante è menzionare che il Congresso di Bologna sull’educazione decretò l’abolizione completa di tutto il materiale d’importazione straniera, unica eccezione gli eroi di Walt Disney “per il loro valore artistico e per la loro sostanziale modernità”.
Benito Mussolini era un patito dell’opera disneyana, anche durante la guerra riusciva a farsi arrivare i cartoni animati appena usciti.
1938, non si rideva più per le barzellette e per gli infantilismi fascisti, tutti erano piuttosto preoccupati e anche tristi per le leggi razziali emanate in quell’anno.
La persecuzione razziale decisa da Mussolini non ricalcò gli eccessi e le crudeltà di quella nazista. Nella gerarchia fascista il solo Italo Balbo osteggiò con coraggio e determinazione i provvedimenti antisemiti, riuscendo ad ottenere qualche emendamento favorevole agli ebrei.
Il Papa Pio XI ebbe attriti con il Partito Fascista e cercò in tutti i modi di attenuare la portata di alcune decisioni.
In realtà la popolazione era portata più a solidarizzare con gli ebrei che giudicava vittime, in effetti non riusciva a approvare e quantomeno a giustificare le ingiuste ed anacronistiche leggi razziali.
La popolazione ebraica reagì in maniera differente, una parte ritenne che le leggi antisemite fossero occasionali e strumentali, mentre un’altra parte decise di emigrare.
Non avevamo amici ebrei, ma conoscevamo assai bene una famiglia ebrea che abitava nel nostro palazzo, il figlio frequentava la stessa classe di mio fratello.
Una domenica mattina suonarono alla nostra porta, erano venuti a salutarci perché partivano per il Brasile, ci raccontarono che avevano svenduto le proprietà che possedevano in Italia e contavano di rifarsi una vita in un paese dove la democrazia era una realtà.
La mamma e il babbo rimasero di sasso e quasi non volevano credere quanto fosse giusta la decisione dei nostri conoscenti. In realtà la popolazione era all’oscuro dell’esistenza dei campi di concentramento in Germania.
In Italia prima del 1943, le leggi razziali furono applicate in maniera assai blanda e gli stessi ebrei ritenevano che tutto avvenisse solo sulla carta.
D’altra parte le notizie che arrivavano erano sempre per sentito dire, i giornali non erano liberi di scrivere la verità su tanti argomenti, la popolazione italiana, come è stato accennato prima, non sapeva cosa realmente stava avvenendo in Germania, i giornali riportavano solo le notizie che il regime voleva venissero conosciute. Alla radio cantava Rabagliati.
Al cinema si proiettavano film edulcorati, passati alla storia come quelli dei telefoni bianchi che certo non si ponevano problemi sociali, facevano eccezione alcuni film di guerra ma anche loro erano soggetti alle regole del regime.
Mussolini gran comunicatore di masse, con i suoi discorsi infiammava l’animo degli italiani che altro non chiedevano che di essere illusi. I pochi che ancora ragionavano con la proprie testa avevano, non solo timore di manifestare ciò che realmente pensavano, ma non sapevano nemmeno a chi comunicarlo.
La vita nel paese si svolgeva ancora abbastanza tranquilla, noi ragazzi, il pomeriggio, dopo aver fatto i compiti andavamo al cinematografo con la mamma oppure se il cinema era vicino casa con la cameriera.
I film che ci era concesso veder erano quelli adatti alla nostra età, la mamma era molto attenta alle storie che i film trattavano.
Andavano bene quelli interpretati da Sabu il cui personaggio era un ragazzino indiano che andava incontro ad avventure esotiche ed improbabili ma sempre a lieto fine, naturalmente erano anche adatte le vicende tragicomiche di Stan Laurel e Oliver Hardy, assai gettonati i films musicali con Lilia Silvi e Deanna Durbin.
“Maddalena zero in condotta”, interpretato da due giovanissime Alida Valli e Carla del Poggio, entusiasmò la mia generazione.
Il bello dell’epoca era Roberto Villa, il tenebroso ma romantico era Amedeo Nazzari, le perverse erano Doris Duranti e Clara Calamai, naturalmente i film interpretati da questi attori e attrici erano a noi proibiti. Ancora ricordo l’ indignazione della mamma quando venne proiettata nel “prossimamente qui” la scandalosa scena del seno nudo di Clara Calamai interprete del film la cena delle beffe.
La mia grande ed unica amica Angela passava con me molti pomeriggi qualche volta a casa mia a volte a casa sua.
Angela aveva un cane, Fritz,un batuffolo bianco e nero che abbaiava a tutti e del quale avevo un sacrosanto terrore; quando andavo a casa sua lo facevo chiudere nella stanza di servizio.
Entrambe frequentavamo la stessa scuola ed eravamo nella medesima classe; conseguita la licenza elementare, la signorina Bernaudo che era la nostra maestra tenne un corso di preparazione a tutte le alunne che dovevano sostenere l’esame di ammissione al ginnasio o alle magistrali.
A questo proposito la mamma ebbe, per la prima volta, una discussione con la signora Laura, la mamma di Angela.
Io ho appreso tutto questo, perché quando la mamma raccontò la storia al babbo, la porta dello studio era aperta ed io che mi trovavo dietro ascoltai ogni parola.
La ragione della discussione tra la mamma e la signora Laura, verteva su di una decisione presa dalla signora Laura, Angela dopo le elementari doveva frequentare le magistrali, diplomarsi maestra e poi trovare un marito, possibilmente un buon partito.
Mia madre sosteneva che Angela, poiché era dotata di una brillante intelligenza, doveva frequentare insieme a me il Ginnasio ed il Liceo poi proseguire gli studi all’Università per conseguire una laurea.
Questa tesi era assai difficile da sostenere in quegli anni, in specie a Roma. La mentalità del novanta per cento della cosiddetta buona borghesia era che le ragazze dovessero studiare, magari anche arrivare alla laurea, ma tutto ciò era considerato solamente da un punto di vista puramente culturale.
La laurea era una dote in più che non era obbligatorio avere, le ragazze dovevano sposarsi e dare alla luce un numero imprecisato di figli e figlie della lupa; naturalmente il futuro marito doveva essere un “buon partito” lo propagandava il partito e, in fondo, questa idea piaceva anche alle famiglie.
La mia famiglia di origine emiliana aveva nel suo DNA connaturata l’idea che coltura e confronto dovessero essere patrimonio comune di maschi e femmine, tra me e mio fratello non esistevano differenze riguardo le regole di vita. Entrambi dovevamo studiare, per essere autonomi sia psicologicamente che finanziariamente, ovviamente era logico che a tempo debito avremmo dovuto costituire la nostra famiglia.
Nonostante le insistenze della mamma, la signora Laura rimase della sua idea, così noi frequentammo scuole differenti, io il ginnasio Angela le magistrali. Comunque la nostra amicizia continuò come prima.
Con il passare degli anni, anche se la nostra vita ha avuto un percorso molto differente, tra noi è rimasto un legame affettivo fatto di ricordi comuni.
In quel periodo la mamma, incontrò per puro caso una sua amica di gioventù, che aveva sposato uno avvocato romano.
Le due emiliane all’estero, attribuisco loro questa definizione perché le abitudini di vita romana erano all’epoca assai differenti da quelle del nord, rinsaldarono la loro amicizia; inoltre anche i mariti simpatizzarono così le due famiglie cominciarono a frequentarsi assiduamente.
Per fortuna l’amica emiliana aveva una figlia, Ida più giovane di me di due anni.
Così io acquistai una nuova amica; durante la settimana mi vedevo con Angela la domenica con Ida, i nostri genitori si riunivano in quel giorno anche con altri amici emiliani.

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