Non chiederlo al tempo

di

Giovanna Scutiero


Giovanna Scutiero - Non chiederlo al tempo
Collana "E-Books"
14x20,5 - pp. 58 - Euro 8,30
ISBN 978-88-6587-8965

eBook: pp. 28 - Euro 4,99 -  ISBN 978-88-6587-793-7

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In copertina: «Il tempo e l’idea» Disegno di Giovanna Scutiero


Opera 2^ classificata al Concorso «Ebook in… versi 2016»


Questa la motivazione della Giuria: «La poesia di Giovanna Scutiero s’incarna nella “coscienza del tempo” e nella consapevolezza “d’essere creatura impotente/sotto le stelle” eppure inebriata dalla “carezza infinita sull’anima” che viene offerta dal respiro universale.
Il “sapore del tempo” pervade l’intera silloge e si assiste alla costante immersione tra le sue “pieghe”, al lento scivolamento nel suo inesorabile scorrere, al desiderio di creare “percorsi d’immenso” che superino la consunzione.
Nella dimensione profondamente umana, tra Terra e Cielo, sgorga l’inno d’amore che rischiara i desideri e dissolve le nostalgie, ammanta d’entusiasmo e riempie l’animo di grazia.
La visione dell’amore come “rifugio” diventa linfa vitale capace di placare l’animo».

Massimo Barile


Prefazione

La silloge di poesie “Non chiederlo al tempo”, di Giovanna Scutiero, rappresenta la fedele espressione della visione poetica, intensa e profondamente sentita nell’animo, costantemente alimentata dal respiro lirico dell’esistere che si veste di stupore nei confronti della vita, sempre percepita come un meraviglioso dono da custodire e preservare.
La consapevolezza del tempo, che scorre impietoso e tutto consuma, domina la visione lirica e si accompagna ad un costante riferimento al mondo della Natura con le sue suggestioni, capaci di illuminare l’animo della poetessa.
Nel processo lirico, intessuto con versificazione limpida, l’universo emozionale fluisce libero e la poesia di Giovanna Scutiero possiede la forza dirompente capace di scatenare le sensazioni generate dalle molteplici manifestazioni del percorso esistenziale della poetessa che, a conferma di tale volontà, volge il suo sguardo critico nei confronti della modernità: lei percepisce l’uomo “alienato dalla sua fragilità” con l’anima che pare “chiusa nel cemento”; sente sulla pelle “il pianto del cielo”, “il gemito della terra” e, poi, affonda la lama mettendosi in ascolto del grido di dolore dell’umanità, delle sofferenze e delle ingiustizie, fino alla presa d’atto con i simbolici versi: “Mi restituisci o sera / il tuo viso consunto, / il sapore del tempo inesorabile, / la consapevolezza estrema / d’essere creatura impotente / sotto le stelle”.
La coscienza del tempo pervade l’intera silloge in una costante immersione tra le pieghe della vita, in un lento scivolamento nell’inesorabile dipanarsi dell’esistenza, tra percorsi e riflessioni capaci di superare la limitante condizione umana.
Nella dimensione lirica, intimamente vissuta e fortemente sentita, s’innalza l’inno d’amore della sua poesia, capace di dissolvere le nostalgie e riempire “l’animo di grazia”, innalzare il “vessillo della luce” che illumina le trame della vita e, infine, donare il “sussurro della speranza”.
La sua Parola è impregnata di profonda umanità, s’incarna in sorgente d’amore immenso e la sua poetica è permeata di tale energia che alimenta le composizioni, quasi a voler fagocitare le metamorfosi dell’esistenza, dissolvere le contraddizioni ed il travaglio interiore, sempre scrutato con una personale lente d’osservazione, fino alla consapevolezza che conduce alla volontà di “placare la sua smania”.
Ecco allora evidenziarsi un’espansione nella visione lirica, che diventa poetica dell’anima, tra emozioni che si plasmano con il silenzio, “i segni d’antica essenza”, “echi di nostalgia” e soventi rimandi a percezioni dell’esistere: “Oggi voglio vestirmi d’acqua / per scivolare leggera / sulla linea dell’orizzonte”, come in un simbolico “tuffo” tra le maglie del tempo e la stessa “trasparenza” dell’acqua diventa linfa vitale, quasi a sentire il “pulsare delle onde” ed avvertire l’estensione del pensiero nel ritmo vitale.
La Parola di Giovanna Scutiero oltrepassa lo scorrere del tempo e riemergono “i cieli tersi dell’infanzia” ed il ricordo di quell’armonia “incastonata come un cristallo / nella memoria” riesce ad inebriare ancora l’animo, seppur la poetessa si chieda cosa sarà della sua “anima ardente”: ecco allora che “la sorgente sgorga inesauribile dall’anima”, le vibrazioni profonde incontrano il “sapore del tempo” e la sorgente rigenerante della Poesia.
Giovanna Scutiero, con la sua silloge, offre un canto lirico che ricerca l’armonia universale, la linfa vitale che genera ogni cosa, tendendo ad una dimensione superiore, in totale fusione con il mondo naturale, seguendo l’intima propensione a superare le limitazioni di spazio e di tempo, al contempo, far risplendere la sostanza stessa della concezione poetica per cercare spiragli luminosi nella coscienza, nel divenire della sua poetica, nella ricerca del nutrimentum spiritus che sia purificazione dell’animo, fino al messaggio salvifico, estremo sigillo lirico: “Voglio vivere per la verità” come ad offrire il desiderio di tuffarsi in una dimensione di pacificazione interiore che diventa lirismo esistenziale.

Massimo Barile


Non chiederlo al tempo


All’ombra dei sogni
si rischiarano desideri
sgranati d’oltre.
La coscienza del tempo
non sfiamma gli impeti.
Le utopie si disarmano
nell’oltraggio e induriscono
con la salsedine asciutta
nell’ora che il sole
discioglie con le sue lance
i sospiri.


Cosa indosserò stamane?
È un giorno nuovo questo,
un nuovo respiro.
Buongiorno mattino,
stamane mi vestirò d’entusiasmo,
riempirò l’anima di grazia
perché di nuovo il cielo è dono
come la voglia di distendermi
nell’aria leggera.
Non consentirò all’abitudine
di essere padrona dell’attimo.
Stamane voglio stupirmi
per credere che ogni nascita
combatte la morte,
ogni seme avvalora la storia,
ogni fiore è promessa
per un rinnovato amore.


Il mio spirito
ripropone inni d’amore
ora che sente mormorare le viole.
Il cielo con le sue dita
di piuma
mi abbraccia leggero,
mi regge lo spazio
con la sua linea di fuoco.
Il tempo non garantisce
domani
il tuo alito blu.
Dirò di sì
alla mimosa in fiore.


Da qui oltre l’infinito,
sconfina l’orizzonte,
palpita l’azzurro,
volano farfalle.
Nessuna parola vige,
tutto è movimento.
Ma nella dimensione
dove il cielo bacia la terra
e la rivolta è in fiore,
dove la vita macina sorrisi
e attese e al sole
la risposta è un grido e amore,
scivola il sussurro
unanime
della speranza.


Il tempo ha disteso la notte
descrivendo una parabola immaginaria
quasi a racchiudere
città egocentriche,
i bagliori mondani,
i valori malati,
la coltre degli interessi
che si estende e attanaglia gli umili
quasi a promettere
un cielo smaltato,
un sospiro d’aria pura.
Ma come una malattia
l’uomo corrode l’ellisse
e l’alba
indietreggia impotente.
Il mattino è ora di piombo.


L’orizzonte dimena estasi al giorno,
come filo d’acciaio
si stende la consapevolezza del tempo.
È falce tagliente nelle vene
la luce e la lotta,
l’inquietudine di popoli
che, lacerata la semplicità,
intreccia inamidati sogni
al progresso.
Uomo dei miei giorni,
ti vedo correre
nell’uragano del tempo
con la tua anima inquieta,
graffiata da mille perché.
Mi avvinco alle primule
consapevole della furia che ti percuote,
mi riconosco in esse
come l’umiltà.
Il tempo non ferirà l’impeto
che leggerò nel mio trasporto
e stenderò sui petali come una carezza.
Ti muovi fra albe
spezzate dalla rivolta,
fremiti di notti contuse.
Cozzeranno forse la pietra e l’azzurro
ma nel futuro,
dimensione totalmente umana,
va l’offerta della mia disponibilità.


Danzano i silenzi
del già plenilunio,
le remote canzoni,
l’atavica armonia
del tempo del melograno in fiore.
Non più girasoli
sotto il sole.

Ora il giorno
ha la facciata opaca e trascorre
tra un sorso ed un sospiro.
Mi restituisci o sera
il tuo viso consunto,
il sapore del tempo inesorabile,
la consapevolezza estrema
d’essere creatura impotente
sotto le stelle.


Noi abbiamo il freddo nelle ossa
e il fremito dell’ultima speranza.
Il fabbro non forgia più
il ferro sull’incudine:
mille rombi hanno sfibrato il suo udito
e il ritmo della battuta
non ha più tempo.
Di questo giorno sfatato
resta il rifugio
nel primo Amore.


Il sogno oltrepassò i sepali del fiore
e fu lancia
nell’ora della lacrima
che scivolò fredda lungo il viso.
Il viso era il mio giorno vuoto,
era il pianto del cielo
invaso dalla fuliggine,
il gemito della terra
invasa dai veleni.
Era la solitudine
che amara gramigna
ruminava gli spazi ebbri
del pensiero perplesso,
imbrigliando alternative
libratesi all’orizzonte
del domani nuovo.


Quando il deserto
prosciugò il pianto dei bimbi
ed il mare
ingoiò il seme della speranza,
i miei occhi s’eguagliarono
al vuoto dell’anima
e più non piansi.

Non ebbe più fremito
il motivo imprescindibile della lotta,
della salvezza,
della giustizia.

I fiori reclinarono tutti il capo
e mi convinsi
che a nulla
sarebbe valsa la denuncia
orfana
dello scettro del potere.


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