Il sogno del barone

di

Giulia Reale


Giulia Reale - Il sogno del barone
Collana "Le Schegge d'Oro" - I libri dei Premi - Narrativa
14x20,5 - pp. 76 - Euro 7,50
ISBN 978-88-6587-3229

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In copertina illustrazione dell’autrice


Pubblicazione realizzata con il contributo de IL CLUB degli autori in quanto opera finalista nel concorso letterario Jacques Prévert 2011


Ogni riferimento a nomi, persone, cose, fuorché il nome del barone Mattei e dei suoi genitori, è puramente frutto della fantasia dell’autrice


Ringraziamenti

Un ringraziamento speciale lo dedico all’assessore Gianmaria Greco, amico che ha creduto in me al cento per cento.
Ringrazio per i consigli e per il tempo dedicatomi:
mia madre e mio marito, che mi hanno incoraggiata a continuare a scrivere questo racconto, Antonio Teni (Novoli), Marco Quarta (Carmiano), per aver letto la prima bozza, fatto le prime correzioni ed aver apprezzato la trama. Alessandro Greco (Lecce) per gli ultimi accorgimenti.
Prof. Gilberto Spagnolo, don Oronzo Mazzotta, Dino Levante per l’ascolto e le fonti storiche.
Antonio Valzano, per avermi fatto visitare il palazzo e dato altri fonti d’ispirazione.


Prefazione

In questi ultimi anni; le conoscenze sulle vicende municipali di Novoli si sono notevolmente ampliate grazie a concrete ricerche storiografiche che gradatamente stanno restituendo a questo Comune la sua identità gettando nel contempo tanta luce sulle sue trame occultate dalla leggenda e dai secoli. Le vicende novolesi furono contrassegnate in larga parte dalla Famiglia Mattei, feudatari succedutisi per circa due secoli prima che la morte dell’ultimo Mattei (Alessandro III) avvenuta nel marzo 1706 a soli 44 anni si estinguesse e i feudi fossero acquistati dai Carignani Perciò ad uno che come me da anni studia la famiglia Mattei e non cessa di sostenere i pregi dell’umanista e Mecenate Alessandro I, leggere questo particolare lavoro di Giulia Reale che segna il suo esordio in questo non meno impegnativo genere letterario (di Giulia ho avuto il piacere di leggere anche le sue poesie), lavoro in cui felicemente sono mescolate fantasia, realtà, immaginazione e storia, è stato certamente un piacevole e inaspettato privilegio. Nonostante la vasta bibliografia accumulatasi in questi anni, a parte un felicissimo e originale tentativo di Fernando Cezzi pubblicato su “Sant’Antoni e L’Artieri” del 17 Gennaio 1998 (un “Divertimento storico” con Paolo Mattei uomo di Leggi che acquistò il feudo di Santa Maria de Nove nel 1520) non mi risulta che sia mai stata tentata una simile interpretazione della loro esistenza colta in maniera originale pressappoco qui agli inizi della loro baronia e incentrata sulla figura del primo Alessandro, personaggio principale della trama narrativa, del tutto sconosciuto storicamente e che già nel 1562 era feudatario di Santa Maria de Novis allorquando eredita i feudi dal padre Filippo I, periodo in cui il “sogno” dischiude i suoi scenari e l’autrice trova ispirazione e ambientazione per il suo stesso lavoro.
Questo racconto di Giulia Reale mi richiama inevitabilmente alcune significative riflessioni dell’amico Antonio Errico sul suo “senso del passato” e che mi piace riportare qui integralmente. “Il passato non abbandona mai un uomo. Segue i suoi giorni come un’ombra talvolta incombente, altre volte leggera. Gli ricorda da dove proviene, da quali luoghi, esperienze, passioni, da quali felicità, da quali dolori. Gli presenta il conto di quello che ha fatto e non ha fatto, di quello in cui ha creduto e poi ha smesso di credere. Il passato gli indica la strada; perché ogni strada nuova s’intraprende avendo imparato a distinguere le strade giuste da quelle sbagliate. Nella sua astrazione memoriale, nella sua evanescenza, il passato si fa concreto attraverso la presenza degli oggetti che gli appartengono, che lo rappresentano: che ritornano come ossi di seppia restituiti dal mare o che, ad un certo punto, nella loro fissità in un angolo, in una soffitta, in una cantina, lanciano un richiamo. Così si riprendono le forme delle stagioni trascorse, ridiventano volti e voci quasi fantasmi premurosi che domandano di essere raccolti alla vita”.
Nella storia di Alessandro I, di Licia e Ada c’è tutto questo. Essi sono un felice “espediente” per l’autrice e nella loro trasposizione temporale, servono per interrogarsi sul senso reale di sé e dell’esistenza, scandita da tanti sogni svaniti, da tante disperate speranze, da tante promesse non mantenute, da tanti giuramenti traditi. La loro altalena di sentimenti è ricostruita infatti dalla Reale anche attraverso episodi che appartengono ai loro discendenti e che si sovrappongono narrando le loro umane vicende.
“Il sogno del barone” è stato anche e sempre il sogno di Giulia Reale, affascinata da anni dalle loro storie e dalle loro esistenze, dalle loro fortune, dai loro fasti anche illusori e dalla loro decadenza e fine.
Con questo lavoro Giulia Reale racconta il diritto e il rovescio della storia, la speranza e la disperazione, la concretezza e la fantasticheria. Racconta il visibile. Soprattutto l’invisibile: racconta tutto quello che scorre sotterraneo, che è stato e non è più. Racconta dunque la memoria che forse non è altro che una pietosa consolazione dell’assenza. Scritto con la “dolcezza” che Giulia possiede, mondo reale e mondo immaginario diventano qui luoghi dell’anima e luoghi del destino, del nostro destino, luoghi per raccontare anche lo nostra storia e la nostra cultura.

Gilberto Spagnolo


Il sogno del barone


Il sogno del Barone

Durante i pomeriggi d’estate ad Alessandro capitava spesso di appisolarsi sul divano con il suo romanzo preferito tra le mani; in quel momento sopraggiungeva una sensazione strana, così improvvisa e repentina tanto che non riusciva mai a prevederne l’arrivo.
Questa sensazione cominciò a manifestarsi quando aveva circa ventitré anni e potrebbe essere descritta in questa maniera: gli occhi si appesantivano, la stanchezza si faceva strada e arrivava il sonno.
Sognava qualcosa di confuso, poi ad un tratto, sentiva il rumore di una scarica elettrica che partendo dalla testa scendeva sino alle braccia per poi, in ultimo, arrivare ai piedi.
Si sentiva turbato, il cuore batteva piano, sentiva come una forza bruta che gli strappava l’anima… in quei momenti sembrava come se la sua mente lottasse contro la morte… cercava di chiamare qualcuno, ma la voce gli rimaneva strozzata in gola. Era una lotta estenuante, ma alla fine riusciva ad aprire gli occhi e spaventato e, più debole che mai, si prometteva di non addormentarsi più!
Il ragazzo viveva a Novoli, un paesino che dista undici chilometri da Lecce. Un paese tranquillo, statico, ma ancora genuino.
I suoi genitori erano due lavoratori che amavano farsi rispettare e non dare molto nell’occhio.
Ci tenevano molto alle loro origini novolesi, ma dicevano continuamente che se avessero avuto una bacchetta magica avrebbero cancellato tutte le maldicenze e le chiacchiere di paese che spesso nascono e si ingrandiscono da un non nulla.
Per questo quando vedevano il figlio agitato e sconcertato a causa di queste e altre sensazioni, più che temere del suo stato di salute, si preoccupavano di quello che avrebbe detto la gente se fosse venuto fuori che il figlio era diventato matto! I genitori del ragazzo temevano veramente questa cosa, così Alessandro finì per non parlane più con loro e preferì andare a parlare con il suo medico curante.
Questi lo tranquillizzò, ma gli chiese anche se nell’ultimo periodo si stesse affaticando o stressando di più, poiché poteva essere anche lo stress a fare quegli scherzi.
Per la strana sensazione, poi, gli disse di non preoccuparsi molto, perché esistono degli stati emozionali in cui la mente e il corpo non sono “collegati”.
Tornò a casa più tranquillo, ma non raccontò nulla ai suoi.
Era stato sempre, sin da piccolo, molto sensibile e creativo, si potrebbe dire che la sua innata predisposizione per il contatto con il prossimo lo rendeva intuitivo.
In effetti, era quasi sempre riuscito a prevedere le mosse degli altri o a fiutare accadimenti futuri.
Pensava che capitasse un po’ a tutti di fare dei sogni premonitori…
Evitava di parlare di queste cose, si sentiva un alieno… Strano…
Chi lo vedeva o lo sentiva parlare, pensava che fosse “allucinato”, mentre i suoi genitori gli ripetevano sempre: “Non dare retta alle stupidaggini e pensa ad applicarti di più nello studio!”
Alessandro percepiva presenze, udiva passi, rumori, correnti d’aria anche quando in casa non c’era nessuno. Eppure non abitava in un condominio e non aveva abitazioni adiacenti alla sua e non c’erano condizioni climatiche tali da poter dire che quegli eventi fossero imputabili ad altro.
Aveva paura, ma a chi lo poteva dire? E poi era da un po’ di tempo che attraversando la piazza centrale del suo paese per andare in farmacia o al mercato coperto per fare la spesa gli capitava di soffermarsi a lungo ad osservare il palazzo baronale. A volte rimaneva a fissarlo più di mezz’ora seduto al bar di fronte e, per questo, beveva sempre il caffè freddo, ma non si preoccupava di ciò quanto del perché osservasse con una strana malinconia quel palazzo: non poteva immaginare che presto avrebbe avuto un’esperienza inspiegabile che gli avrebbe fornito tutte le risposte alle sue domande…
La cosa strana era che più si convinceva del fatto che stesse impazzendo meno quegli eventi “del terzo tipo” si presentavano.
Dopo alcuni mesi di calma e di assenza di rumori e fatti sovrannaturali, scoprì che il destino aveva voluto che l’abitazione, nella quale era nato e cresciuto, avesse un segreto nascosto da secoli e che gli riguardava molto.
Si trasferì con la sua famiglia in quella casa per pura coincidenza, prima abitava in via Libertà, ma i suoi genitori non apprezzavano quella casa, perché non era situata in una posizione centrale nel paese, in quanto il padre di Alessandro preferiva abitare in quella nel centro del paese per una questione di praticità perché il suo secondo lavoro o hobby, come meglio lo si vuol chiamare, era costruire oggetti in pietra leccese (pietra tipica del Salento, molto malleabile). Egli lavorava in tranquillità nel piccolo “scantinato” dal quale si accedeva esclusivamente scendendo le scale del ripostiglio poste fuori nel, così da noi chiamato, ortale.
In effetti, l’abitazione aveva la conformazione tipica delle case antiche del Salento, ossia con volte alte a stella, frutto di un lavoro che si tramandano ancora pochi maestri di generazione in generazione. Le stanze erano predisposte una dietro l’altra per cui si entrava e c’era direttamente il salotto, la cameretta, poi più avanti la cucina e la camera matrimoniale e per finire vi era il bagno che era fuori nell’“ortale” con accanto un ripostiglio-lavanderia.
Fu lì, nello scantinato, che Alessandro scoprì il suo collegamento con il passato…
Capì di avere delle “capacità” e di non essere matto, ma non potendo dirlo ad altri, si chiuse, come si suol dire “a riccio”, e non ne parlò con nessuno.
I suoi, essendo figlio unico, si aspettavano molto da lui, avevano fatto tanti sacrifici per permettergli di prendere la maturità classica presso il Liceo Virgilio di Lecce.
Credevano che avrebbe continuato gli studi per diventare un insegnante, ma invece, preso da quelle che loro chiamavano le sue “paccie” (pazzie) scelse di continuare l’arte di suo padre, che ancora adesso permette di condurre una vita modesta alla famiglia.
La delusione dei genitori e ogni altro genere di pensiero negativo svanì nella loro mente quando improvvisamente si accorsero che stavano rischiando di perderlo per sempre…


3 SETTEMBRE 2000

Alessandro era andato nello scantinato ad ultimare un orologio in pietra leccese e carparo che aveva deciso di regalare ad una ragazza speciale di nome Ada, quando sentì bussare sotto il pavimento e pensò: “Oh mio Dio, ci sono topi!”
Non gli balenò nella testa neanche per un istante che quei rumori potessero essere una di quelle che chiamava “folgorazioni”.
Cercò di far finta di non sentire nulla; continuò a lavorare la pietra per formare la base dell’orologio, ma il bussare continuava, così, per disperazione, si mise a sbattere forte i piedi pensando di spaventare qualunque cosa fosse.
Il bussare cessò, ma nello stesso tempo sentì una voce di donna che lo chiamava e gli chiedeva di aiutarla.
Diceva esattamente così:
“Alessandro aiutami, ti prego… so che puoi sentirmi!”
Il cuore gli cominciò a battere forte e sudò freddo.
Da quando aveva messo piede in quella casa, sentiva rumori inspiegabili, ma spesso faceva finta di nulla. Passi, ticchettii, correnti che facevano cader qualsiasi cosa vicino al suo cospetto e ciò accadeva sempre quando si trovava in una stanza con finestre chiuse e fuori una giornata estiva. Queste cose accadevano solo a lui! Poteva confidarsi solo con una persona che non rideva, che non lo guardava scioccata e lo ascoltava con interesse: Ada.
Nello scantinato fino a quella memorabile data non gli era mai successo nulla.
“Ok, – cercava di ripetersi, – va tutto bene, so benissimo di non essere pazzo, devo stare calmo!”
Ed ecco di nuovo da sotto il pavimento:
“Alessandro, ti prego ascoltami, vieni ad aiutarmi!”
“Chi sei” disse ansimando il giovane.
“Alessandro, non avere paura! Ci siamo conosciuti in passato! Ho bisogno del tuo aiuto, cerca di raggiungermi qui sotto e ti farò luce su tutto! Lo so che ti sembra tutto irreale, ma ci devi credere, tu sei il prescelto!”
“Cosa sarei io?!… Senta signora o non so cosa tu sia: io ho bisogno di pace. È da tempo che voci e avvenimenti strani si presentano nella mia vita. Il demonio forse si è divertito abbastanza con me, mi ha rovinato la vita! Tutti, proprio tutti, pensano che sia schizofrenico. Sono caduto in depressione e ora, per rifarmi una vita, mi sto imbottendo di psicofarmaci. Quindi tu o chi ti comanda non otterrai niente da me. Va’ via!”
Urlò come un ossesso, riuscì solo a sentire un lamento.
Poi il silenzio.
Un secondo dopo la madre bussò alla porta dello scantinato per chiedergli cosa stesse succedendo. La tranquillizzò dicendole che si era innervosito perché aveva rotto una delle colonne portanti dell’orologio di pietra.


L’AMICA IDEALE

Ada aveva la stessa età di Alessandro, era una bella ragazza con occhi azzurri, capelli neri e carnagione chiara, in più era alta e aveva un fisico piacevole da vedere.
Alessandro adorava tutto di lei, la conosceva sin dalla scuola materna, l’ammirava anche per la sua intelligenza, il suo coraggio, la sua caparbietà.
Inoltre era semplice e nello stesso tempo aveva quel qualcosa in più che la faceva distinguere e apprezzare da tutti quelli che la conoscevano.
Ada ed Alessandro erano coetanei e, se non fosse stato per il semplice fatto che abitassero in case differenti, sarebbero stati scambiati facilmente per fratelli. Facevano tutto in simbiosi. Le loro famiglie erano, a loro volta, molto amiche e, per questo, condividevano gran parte della giornata assieme e si può dire che erano cresciuti insieme.
Le loro strade cominciarono a dividersi un po’ solo con la scelta del liceo.
Infatti Ada preferì iscriversi all’istituto commerciale con indirizzo linguistico e lì ebbero inizio nuove amicizie, nuovi interessi e anche quello che le sembrava il grande amore: Samuele, un ragazzo che frequentava il terzo anno, quando lei aveva ancora appena iniziato il primo.
Dopo un anno di corteggiamento serrato finalmente Ada aprì il suo cuore al giovane ed Alessandro moriva di gelosia, ma tenendosi tutto dentro, continuò anche la sua vita con brevi cotte e anche una storia importante che durò solo un anno. Purtroppo, nella sua mente e nel suo cuore, in ogni ragazza cercava tracce di lei: di Ada. Era un ragazzo onesto e non voleva far soffrire nessuno, perciò troncava subito le sue storie.
Nel momento in cui Alessandro, cominciò a soffrire di stati d’ansia ed agitazione Ada gli era sempre vicino.
Cominciava a sperare che potesse nascere qualcosa tra di loro, poiché nell’ultimo periodo ella si lamentava con lui del fatto che avvertiva Samuele più distaccato e meno attento al loro rapporto, ma nessun discorso riusciva a convincere la ragazza a chiudere quella storia…
Erano molto amici e questo gli aveva sempre impedito di dimostrarle i suoi reali sentimenti… anche se immaginava che avesse intuito il suo debole per lei, e ciò lo dimostrava il concetto che spesso ribadiva: “I nostri sentimenti devono rimanere sempre sul piano dell’amicizia e dell’onestà. Nulla dovrà rovinare la nostra magia…”
Alessandro, intanto, soffriva. Non riusciva a guardarla dritto negli occhi, senza arrossire e se lo andava a trovare all’improvviso gli venivano le palpitazioni…
Sembravano molto più che amici, sapevano tutto l’uno dell’altra.
Alessandro le raccontava delle sue paure, delle voci e dei rumori strani e lei gli rispondeva tranquillamente.
Non lo aveva né schernito né tanto meno tranquillizzato dicendogli che si trattasse solo di sue fissazioni! Da allora, visto che anche lei era interessata a sapere se aveva avuto altri “contatti”, si sentii libero di raccontarle tutte le sue “folgorazioni”, mentre lei gli raccontava del rapporto difficile con i suoi genitori.
Il 3 settembre, lasciò il suo lavoro e andò subito a cercarla, sapendo che alle sei del pomeriggio l’avrebbe trovata a casa, tutta propensa allo studio.
“Cosa? Secondo te avrei dovuto dare retta a quella voce o non so cosa?” disse Alessandro.
“Ma sììì…! Vedi? Non le hai nemmeno chiesto chi fosse!! Ti sei fatto prendere dal panico e scommetto che gliene hai dette di tutti i colori! Ora che ne hai? Rimani con il dubbio… ti richiamerà? E se era una persona in carne ed ossa imprigionata lì sotto? Tu non le hai prestato il benché minimo ascolto!! Non è accettabile il tuo comportamento!” rispose con tono di rimprovero Ada.
“Hai ragione Ada… e ora? Che faccio? Mi viene l’angoscia al pensiero di tornare nello scantinato e sentir chissà che cosa… e se si dovesse spaccare il pavimento e cominciassi a sprofondare giù?”
“Smettila Ale! Quando cominci non la finisci più! Ho capito, vengo anch’io nello scantinato, però posso venire solo domani verso le sette!”
“Affare fatto! Sei una stra-amica! Allora ti aspetto domani a casa mia alle sette!”
“Ciao!”.

[continua]


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