Opere di

Giuseppina Zupi

Con questo racconto è risultata 4ˆ classificata – Sezione narrativa alla XIII Edizione del Premio Letterario Internazionale Il Club dei Poeti 2009


Questa la motivazione della Giuria: «Giuseppina Zupi racconta dell’amore immenso tra Giulia e Roberto e dell’impensabile manifestarsi della vita che lascia sempre sorpresi. L’idea è sviluppata con una scrittura nitida ed una fluidità narrativa che rendono nel miglior modo possibile le intenzioni dell’Autrice». Massimo Barile


Gran finale

Il suo volto era una ragnatela di rughe nella quale si aprivano due profonde fessure grigio verde, talvolta accese da un sorriso largo che vagamente riconduceva ad una splendida ragazza di tanti anni addietro.
La Signora Ersilia tra nuvole di fumo neutralizzate da condizionatori dall’aria glaciale e vassoi colmi di alcolici straripanti di cubetti di ghiaccio, leggeva le carte alle amiche, dissipando il velo del futuro.
Con dita lunghe e sottili, appesantite da troppi e troppo grossi anelli, divideva il mazzo di carte in tre mazzetti che gettava sul tavolo verde e più volte ricomponeva, in un vortice istantaneo, nell’unico mazzo.
A Roberto capitava, per motivi di lavoro, suo malgrado, di frequentare quel luccicante contenitore vuoto, per verificare gli umori, valutare le presenze significative, cogliere le nuove tendenze.
Aveva sviluppato, tuttavia, una sorta di immunità: riusciva a fluttuare nel marasma senza un coinvolgimento e con l’anima blindata a differenza di altri colleghi che, ingenuamente, si fingevano squali tra gli squali veri. Unica precauzione era l’astinenza periodica da quel pianeta dell’effimero.
Si sentì chiamare con una voce delicata ma decisa: «Venga dottorino le leggo il futuro».
«Veramente non sono interessato alla cartomanzia». «Non esiti, si avvicini, questa sera sento le carte reattive, non chieda nulla, parleranno loro».
«Non incroci le gambe, stia fermo e concentrato». Re di spade, fante di coppe, cavallo di bastoni, quattro di spade.
Ersilia svolgeva il rituale dei tre mazzetti e delle carte gettate sul tavolo. Queste carte erano uscite, tre volte consecutive, anche se in posizioni diverse, dai tre mazzetti gettati sul tappeto verde.
Ersilia trascorse alcuni istanti in un silenzio totalizzante e immateriale. Sembrava che il suo spirito si fosse distaccato dal corpo per entrare nella dimensione della conoscenza. Poi tornò in sé.
Con fare sbrigativo disse: «Gliele leggerò un’altra volta, ora vedo confusione e negatività». Roberto di rimando: «E no cara Signora, mi ha provocato lei, ora abbia il coraggio di dirmi quello che ha visto». «Ebbene come vuole. Dottorino il suo cuore verrà lacerato perché le strapperanno un bene molto prezioso. Starà a lei scegliere la strada giusta, quella che le darà pace e non quella del rancore, dell’odio e del dolore. Questo dicono le carte» ed Ersilia non parlò più. Roberto ebbe la sensazione che qualcosa scendesse dalla sua mano destra con la quale stringeva forte un bicchierino di cognac. Aprì lentamente le dita: il bicchiere era frantumato e la sua mano completamente ricoperta di sangue. Ebbe un brutto presentimento, improvvisamente sentì dolore.

Roberto e Giulia si amavano da sempre. Roberto non ricordava neanche come e quando si erano conosciuti, ricordava solo che in un pomeriggio estivo, arroventato da un sole smagliante, era annegato nei suoi occhi nocciola scintillanti e affollati di pagliuzze d’oro. Quel ricordo lo accompagnò per tutta la vita. Tra loro bastava uno sguardo per comprendersi, entrare in sintonia e fondersi in un’entità unica. Erano amici, complici e appassionati. Roberto a volte temeva questa felicità, percepiva che… «gli dei ne provavano invidia». E non solo loro.
Ebbe una proposta di lavoro inaspettata: trascorrere alcuni mesi come inviato speciale in Kosovo.
Giulia inizialmente ne provò dolore, non si erano mai separati in tutta la loro vita ma, non era offerta da poter rifiutare, in quanto avrebbe potuto cambiare loro la vita , come in effetti avvenne.
Dopo un anno di lavoro e di lontananza Roberto rientrava.
Andarono a prenderlo all’aereoporto di Ciampino Giulia e Andrea il suo migliore amico, il compagno delle partite di pallone, delle sfide, degli scherzi. Andrea, come sempre, era cordiale, estroverso brillante.
Non rivelò nulla.
Giulia, piangendo, gli disse che era finita. Aspettava un bambino da Andrea.
Le pagliuzze d’oro erano scomparse per sempre dai suoi occhi nocciola coperti di lacrime.
Roberto avrebbe voluto stramazzare al suolo, urlare, imprecare, distruggere tutto ma soprattutto avrebbe voluto dire: «Non importa, voglio te, voglio il bambino».
Tramortito, con la bocca riarsa, con il cuore che gli stava esplodendo nel petto, non riuscì ad emettere neppure un suono e, con la camicia madida di sudore, appiccicata addosso come una seconda pelle, silenziosamente, scomparve dalla loro vita.
Trascorsi i primi tempi, uscì fuori la parte peggiore di Andrea, egoista e infantile.
Con Giulia divenne prepotente e arrogante, la tradiva e umiliava in tutti i modi.
Le addebitava, come unica colpevole, tutti i suoi errori. Aveva tradito l’amicizia e la fiducia di Roberto portandogli via, in un momento di debolezza, la donna per la quale avrebbe dato la vita ma questo gli aveva provocato tanta infelicità e tanta rabbia che riversava su di lei. Non era neppure in grado di apprezzare quello che comunque aveva non sapeva dare e non sapeva prendere, tra le sue mani, tutto si sgretolava distruggendosi.
Roberto si chiedeva perché Giulia non andasse via, forse lo amava?
Roberto si sentiva sempre più eroso da quell’immenso cancro che è il dolore. Talvolta l’amarezza era una marea che saliva, saliva sempre più fino a togliergli il fiato e a sfinirlo. «È troppo, è troppo, non ce la faccio».
A volte guardava Luigino, il figlio del panettiere sotto casa, un dolcissimo e affettuoso bambino dow dagli occhi azzurri. I suoi genitori non avevano certo chiesto al Padreterno di avere una creatura così “diversa”, forse quando l’aveva visto per la prima volta anche la sua mamma avrà pensato: «È troppo non ce la faccio» ma poi lo aveva accettato, accolto e amato immensamente. Questi pensieri gli regalavano delle pause di serenità.
Gli anni trascorrevano, così come la vita di Roberto che raccoglieva soddisfazioni e successi professionali ma la sua anima era desertificata.

Era una gelida domenica di novembre dal cielo cobalto, nell’aria si percepiva l’imminenza del prossimo Natale, magia di speranze e di promesse mai realizzate.
Roberto rigirava tra le mani la busta bianca affrancata con posta prioritaria.
Non aveva ancora del tutto dimenticato quella calligrafia rotonda, piena, un po’ infantile.
Da molto tempo ormai non provava emozioni, non conosceva più né gioia né dolore, la desertificazione lo proteggeva e gli consentiva di vivere.
Un breve biglietto nel quale Giulia gli comunicava che Andrea era gravemente ammalato, non gli restava molto tempo e aveva desiderio di vederlo.
Roberto frantumò in mille pezzettini la lettera, aprì la finestra entrò una boccata di aria gelida e un forte vento risucchiò i frammenti di carta. Provò una sensazione liberatoria, gli sembrò di avere sparso e disperso per sempre le ceneri sue e di tutti quelli che aveva amato e che lo avevano tradito. Trascorsero alcuni mesi. Telegramma. «Non riesce a staccarsi da questa vita senza il tuo perdono. Giulia».
Roberto appallottolò il telegramma, pensando che il perdono doveva chiederlo al suo Dio perché umanamente vi sono piaghe che non rimarginano mai

Il corpo aveva la consistenza della carta velina e l’inconfondibile pallore della morte, la mascherina verde dell’ossigeno si alzava e scendeva ritmicamente.
Roberto prese tra le sue la mano di Andrea, chiuse gli occhi e in pochi attimi tornò indietro, in un tempo perduto, in un mondo lontano anni luce, dove rivide due ragazzi, due amici, rivide il compagno delle partite di pallone, delle sfide, degli scherzi. La mano ormai priva di consistenza di Andrea, sprigionò una stretta dalla forza inspiegabile.
Roberto percepì leggere goccioline d’acqua che scendevano nel blocco desertificato della sua anima e, mentre Giulia lo accompagnava alla porta, rivide le pagliuzze d’oro che affollavano i suoi occhi nocciola,
Scendendo velocemente le scale per non essere travolto da emozioni ormai dimenticate, sentì o gli sembrò di sentire la voce delicata ma decisa di Ersilia.
«Dottore ha sprecato molto tempo e gran parte della sua vita ma finalmente ha scelto la strada giusta».


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