Il padrone della realtà

di

Glauco De Bona


Glauco De Bona - Il padrone della realtà
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14x20,5 - pp. 288 - Euro 14,30
ISBN 978-88-6037-9856

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In copertina: illustrazione realizzata da Nives Carlesso


Anno 2048. Fabrizio Boni, un poliziotto italiano, cerca vendetta dopo l’uccisione del suo migliore amico, nonché collega. Per cercare l’assassino si troverà coinvolto in una rocambolesca avventura tra l’Italia e la Russia. Si muoverà sullo sfondo di un ambiente controllato dalle organizzazioni mafiose e dovrà vedersela con alcune frange corrotte delle autorità a cui appartiene. La vicenda prenderà una piega imprevista quando sarà fatto prigioniero da un boss della mafia russa e portato nello spazio…


Prefazione

Dunque, miei cari lettori, dopo i romanzi “Il milionesimo clone” e “L’estrema frontiera” (senza contare i due libri di poesie e la raccolta di racconti intitolata “I guardiani”) eccoci qui, al mio terzo romanzo. È una storia strana: tratta il tema della vendetta, messa in scena attraverso le vicende del protagonista che, però, a un tratto prendono una piega inaspettata. Lascio a voi scoprire l’evolversi della storia. Devo avvertirvi che la parte centrale del libro sarà forse di difficile comprensione per certe teorie esposte, ma spero di aver descritto efficacemente gli effetti pratici che esse comportano. Mi sono spesso lasciato trasportare dalle mie suggestioni personali, creando un vasto e vario assortimento di situazioni e poi non mancano i miei soliti ingredienti di azione, inseguimenti, catture e fughe. Detto questo, vi auguro buona lettura e buon divertimento.

Glauco


Ringraziamenti

Ringrazio Daniela, Angela, Antonio, Lilly e tutti gli amici che mi hanno sostenuto nella stesura di questo romanzo. Grazie a tutti coloro che mi hanno aiutato a scrivere sotto dettatura, ovvero Michela Z., Michela O., Donatella, Ilaria, Gabriele e Ruggero. Il disegno di copertina, anche questa volta, è di Nives Carlesso, a cui va la mia gratitudine.
Voglio citare le fisioterapiste e i fisioterapisti che mi hanno seguito negli anni, sperando che un giorno la tecnologia possa venire in loro aiuto in modo simile a quello descritto nel libro.
La mia riconoscenza va a Isaac Asimov, grazie al quale mi sono appassionato alla fantascienza; ad Arthur C. Clarke, a Philip K. Dick, in particolare il suo romanzo “Valis” – 1981 – Arnoldo Mondadori Editore, I edizione Interno Giallo, 1993; a Richard K. Morgan, che con il suo “Angeli spezzati” – Titolo originale “Broken Angels” – 2003 – pubblicato in Italia dalla Casa Editrice Nord nel 2005, ha spinto la mia fantasia verso le nanotecnologie, anche se in ambito diverso da quello da lui esposto; a William Gibson, specialmente il romanzo “Luce Virtuale” – Titolo originale “Virtual Light” – 1993 – Arnoldo Mondadori Editore, prima edizione I Cinque Mondadori, 1996.
Devo poi ricordare la Polizia (chissà perché c’è sempre qualche poliziotto nei miei scritti), la DIA (Direzione Italiana Antimafia) e le Forze dell’Ordine in generale: un plauso per il loro lavoro.
Il film del 1982 Blade Runner di Ridley Scott, tratto dal romanzo di P.K. Dick “Ma gli androidi sognano pecore elettriche?” – Titolo originale “Do Androids Dream of Electric Sheep?” – 1968 – Fanucci Editore, 2000; le serie televisive STAR TREK, STARGATE SG1, Starsky e Hutch (ancora poliziotti – che ho citato in una battuta del libro) mi hanno ispirato in alcune occasioni.
Ho fatto menzione del fisico francese Alain Aspect, in particolare per quanto riguarda gli esperimenti sulla correlazione quantistica da lui svolti nel 1982 all’Istituto di Ottica dell’Università di Parigi, oltre che del neurochirurgo austriaco Karl Pribram, che ha teorizzato la natura olografica delle informazioni immagazzinate nel cervello umano e che, in collaborazione con il fisico quantistico teorico David Bohm, ha sviluppato il modello teorico dell’universo olografico, detto anche “paradigma olografico”. Ho citato inoltre il dottor Keith Floyd, psicologo del Virginia Intermont College, il quale propose l’idea che non è la mente che crea la coscienza, bensì il contrario.
La mia gratitudine va a Freddie Mercury e ai Queen, le cui musiche ho spesso immaginato come colonna sonora nelle vicende del libro.

L’autore


Il padrone della realtà

Prologo

La grossa automobile grigia dal cofano lungo e il muso a freccia svoltò silenziosamente su una stretta strada alla periferia di Roma. Il suo motore elettrico ronzava appena. L’ispettore Fabrizio Boni parcheggiò in prossimità del grande aerostato sul quale i turisti salivano per ammirare il panorama dell’intera città. Giocherellò con l’ultimo pacchetto di pessime sigarette venezuelane che gli era rimasto, ma si impose di non fumare.
Era un caso semplice quello che gli avevano assegnato, il primo che seguiva dopo essere stato riammesso in servizio. Doveva indagare su un piccolo furto avvenuto il giorno prima al chiosco delle bibite.
Scese dall’auto e si incamminò attraverso il parco dove era ancorato l’aerostato. Mentre camminava osservò per qualche istante la grande sfera rossa a disegni dorati che saliva nel cielo portando con sé la piattaforma dalla quale i turisti, ammirati, potevano scrutare la città a trecentosessanta gradi.
Ad un tratto udì un saluto che gli fece accapponare la pelle. Si voltò trovandosi davanti un uomo alto, con le spalle larghe, i capelli castani e gli inconfondibili occhi azzurri. Sorrideva.
Fabrizio sbiancò in volto e cominciò a tremare: «Mio Dio! Ma tu…»
«Che ti succede?» chiese il suo interlocutore. «Sembra che tu abbia visto un fantasma…»


Parte prima


In capo al mondo

Guardati le spalle,
perché non ti darò tregua,
non smetterò di cercarti.
Dovessi arrivare in capo al mondo,
io ti troverò,
puoi starne certo.
Guardati le spalle,
potresti incontrarmi ovunque,
in qualunque momento:
nell’androne di un palazzo,
in ascensore,
nascosto nella tua auto.
Magari un giorno mi vedrai
riflesso nello specchio del tuo bagno,
e allora mi prenderò la mia vendetta.


Capitolo 1

Esperienza extracorporea

Luce. Sono immerso nella luce. Io sono luce. Mi sembra di avere sconfinati tentacoli luminosi, un infinito numero di tentacoli, da una parte all’altra dell’universo. Al di sopra dell’universo. Mi scorrono a fianco a folle velocità linee verticali colorate, simboli geometrici, numeri, equazioni matematiche. È come un tunnel che collega realtà parallele, all’interno del quale si esplicano i misteri del cosmo. I miei cinque sensi si sono moltiplicati, ma contemporaneamente fusi insieme, ed elevati all’ennesima potenza. Vedo, non solo con gli occhi, ma con tutto me stesso, che non è più me stesso, immagini di mondi lontani, abitati da intelligenze non umane, da esseri sconosciuti che tuttavia mi pare di conoscere da sempre. Percepisco suoni mai conosciuti prima, a partire da toni tanto acuti da fare male fino ad altri così bassi da scuotere le fondamenta dell’universo, che creano una melodia ammaliante e ipnotica. Al ritmo della musica si espandono e si ritraggono profumi inebrianti, dai più tenui ai più intensi, in una pulsazione ritmica, un respiro che il creato sembra condividere con me.
All’improvviso sono travolto dai sapori: salato, dolce, amaro, piccante e altri inimmaginabili, quasi incomprensibili. Arrivano a ondate successive e poi, inaspettatamente, tutti insieme – eppure distinti l’uno dall’altro – in un unico tripudio dei miei sensi, infinitamente estesi. In tutto questo non riconosco il tatto, ma qui non possiedo corpo, non ho ossa, non ho organi, non ho pelle come involucro della mia natura umana. Non obbedisco più alle normali leggi della fisica, perciò, libero dai vincoli del tempo e dello spazio, esploro remote regioni perdute in altre dimensioni: una distesa di nuvole rosa e arancioni squarciata da enormi scariche elettriche, una fluida vastità blu acceso solcata da giganteschi gorghi color madreperla, un lattiginoso oceano bianco punteggiato da miriadi di oleose macchie nere e svariati altri scenari.
Lentamente le mie percezioni si affievoliscono e mi sento piccolo, come un granello di sabbia in un deserto. Sono tornato nello spazio conosciuto, circondato dalle stelle. Una irresistibile forza di attrazione mi trascina verso una di queste. Mi rendo conto che si tratta del Sole. I nove pianeti del Sistema Solare mi ruotano attorno, rallentano, si fermano. Sono di fronte all’amata Terra, ferita e deturpata dall’irresponsabile azione dell’uomo. La Luna sta a guardare con il suo solito sereno distacco. Sto tornando a casa. Attraverso l’atmosfera e scendo rapidamente verso l’Europa, verso l’Italia. Senza capire come, mi ritrovo in cima a una collina. Mi sento come se avessi saltato un passaggio, tuttavia dimentico in fretta quella sensazione. La mia attenzione è attratta dalla nebbia che sale dal basso e gradualmente mi circonda. È calda e ovattata. Un suono ripetitivo mi raggiunge, voci lontane, confuse. Un dolore indefinito galleggia da qualche parte, quasi separato dal mio corpo del quale ricomincio a prendere coscienza. Credo di essere adagiato in un letto. C’è odore di etere. Ad un tratto mi è chiaro che il suono intermittente e acuto che mi infastidisce tanto è quello del monitor che tiene sotto controllo le mie funzioni cardiache. Mi trovo certamente in un ospedale. Le voci si fanno più chiare. Faticosamente socchiudo gli occhi. Le palpebre sono pesanti. Ai piedi del letto individuo le figure indistinte di due medici che aggiornano la cartella clinica e si accordano su quali farmaci continuare a somministrarmi. La vista si snebbia. Sposto lo sguardo. Accanto al letto c’è una donna dal volto pallido e stanco. Indossa un camice di plastica verde e tiene i capelli raccolti sotto una cuffia dello stesso colore.
«Mamma…» sussurro.

***

L’ispettore Fabrizio Boni si risvegliò al Nuovo Ospedale Centrale di Roma, dopo quattordici giorni e quasi sette ore di coma. Erano le diciotto e trentaquattro. Aprì lentamente gli occhi e individuò due medici ai piedi del letto che consultavano la cartella clinica. Voltò lo sguardo e riconobbe la donna che sedeva accanto al letto.
«Mamma…» sussurrò.
«Tesoro, ti sei svegliato! Sia ringraziato il cielo!» esclamò la donna, scoppiando a piangere per la gioia.
I medici si precipitarono a visitare il paziente, utilizzando la sonda del biolettore per ottenere una sequenza di immagini anatomiche visualizzate sul monitor dell’apparecchio. Uno dei sanitari le esaminò a fondo mettendole in relazione con i dati riguardanti le funzioni vitali.
«Bentornato, signor Boni» disse il dottor Marchi, un uomo basso, sulla cinquantina, con i capelli grigi e un’incipiente calvizie.
«Che… cosa è successo?» chiese Boni, ancora un po’ confuso.
«Non ricorda nulla?» indagò il medico.
«No, buio completo.»
«Lei è stato ferito in un conflitto a fuoco.»
A quelle parole il paziente iniziò ad agitarsi: «Cosa…? Quando…? Non ricordo…»
«Ora stia tranquillo. Pensi solo a riposare» intervenne il medico. «Quando avrà recuperato le forze, le daremo maggiori dettagli.»
Il giorno seguente, dopo una notte di sonno sotto sedativi, Fabrizio tornò alla realtà. Il dottor Marchi lo visitò e rispose alle sue domande.
«Ho… riportato… gravi lesioni?»
«È stato colpito all’addome e al ginocchio destro. L’abbiamo operata ed è andato tutto bene. Quello che ci preoccupava era il suo stato di coma. Sembrava tutto a posto e non capivamo perché non si svegliasse.»
«Beh… diciamo che… stavo viaggiando.»
«D’accordo. Ora immagino che vorrà trascorrere qualche istante con i suoi genitori…»
«Certo, naturalmente» confermò Fabrizio.
«Solo due minuti, mi raccomando.»
La donna si avvicinò al figlio: «Tesoro, come ti senti?»
«Un po’ frastornato, ma sono felice di vederti. E papà, dov’è?»
«È qui con me. Ti siamo stati vicini quanto più possibile, compatibilmente con le regole della terapia intensiva.» disse la donna, chinandosi a baciarlo.
«Fabrizio!» esclamò suo padre. «Sono così felice che tu ti sia ripreso! Siamo stati tanto in ansia…» Gli si incrinò la voce.
«Lo so, ma ho la pellaccia dura.»
«Non azzardarti mai più a farci uno scherzo simile!» gli intimò sua madre.
«Non ne ho alcuna intenzione.»
Quando i suoi genitori furono usciti, Fabrizio chiuse gli occhi, sapendo che avrebbe dormito per poi svegliarsi con più energie, pronto ad affrontare la fase della guarigione.
Nel pomeriggio si sentiva già molto meglio ed ebbe modo di chiarire alcuni aspetti con il medico; le notizie furono confortanti:
«Se passerà una buona nottata e domattina i valori saranno nella norma, la trasferiremo dalla terapia intensiva al reparto.»
«Grazie, dottore. È un’ottima notizia» commentò Fabrizio, poi continuò: «Senta, mi può chiarire meglio quali sono le mie condizioni?»
«Certo. Lei è stato ferito all’addome e abbiamo dovuto asportarle una parte del fegato, ma non costituisce un problema, è un organo che si rigenera. L’altra lesione era al ginocchio destro. Siamo già intervenuti e abbiamo sistemato l’articolazione all’ottanta percento. Abbiamo prelevato un campione di cartilagine e l’abbiamo messo in coltura. Tra un paio di settimane effettueremo una nuova operazione per sostituire la parte danneggiata. Nel frattempo avrà bisogno di fisioterapia.»
«La ringrazio, dottore. È stato molto chiaro. Però c’è un’altra cosa che mi preoccupa. Io non ricordo nulla della sparatoria di cui mi avete parlato…»
«Si tratta di un’amnesia temporanea dovuta allo shock. Non si preoccupi, passerà. Ora pensi solo a riposare.»

***

Boni riposò con tranquillità per il resto della giornata e trascorse una notte serena. Non si verificarono complicazioni e i valori rientrarono abbondantemente nella norma, perciò i medici sciolsero la prognosi e, come annunciato, lo trasferirono in reparto, in una stanza singola.
Naturalmente ricevette di nuovo la visita dei suoi genitori, molto più sollevati e riposati rispetto al giorno precedente. Anch’essi, dopo due settimane, avevano dormito una notte intera. Sua madre era tornata a dimostrare la sua vera età – sessant’anni ben portati, mentre ventiquattr’ore prima appariva molto invecchiata – e aveva ripreso colore; suo padre non aveva più il volto contratto e il tono di voce era tornato saldo come sempre.
Nel pomeriggio i medici gli consentirono di ricevere visite anche da parte dei non familiari. Verso le tre si presentò il vice questore Carrari, che dirigeva il Commissariato “Enzo D’Amico”, dove prestava servizio.
«Dottor Carrari! Che piacere vederla!» lo accolse.
«Ciao, Fabrizio. Sono venuto a sincerarmi delle tue condizioni. Come ti senti?»
«Mi sento bene, tutto sommato.»
«Anche i tuoi colleghi ti mandano a salutare. Ci hai fatti stare tutti in ansia…»
«Ringrazi tutti. Stavolta vi ho fatto proprio un brutto scherzo, eh?»
«Mhmm… già» mugugnò Carrari, adombrandosi. «Senti… Quel giorno giù alla vecchia ferrovia, che diavolo è successo?»
«Io… non lo so. Non ricordo nulla. I medici dicono che si tratta di un’amnesia temporanea. A proposito, come sta Massimo? È stato ferito anche lui?»
Carrari apparve profondamente a disagio: «Ehm… Non te l’hanno detto?»
«Detto cosa?» chiese Fabrizio, rifiutando l’idea che gli passò per la mente.
«Massimo era ferito molto gravemente. Quando vi abbiamo trovati, grazie ad una telefonata anonima, era già morto.»
«Oh, mio Dio, no!» si disperò Fabrizio.
Massimo Leonardi non era solo un collega, ma anche, soprattutto, il suo migliore amico. Si erano conosciuti diciannove anni prima, all’Accademia di Polizia. Avevano subito instaurato un rapporto di amicizia, che si era consolidato con il trascorrere degli anni. Dopo l’Accademia erano stati assegnati a sedi diverse, ma le loro carriere si erano sviluppate quasi di pari passo: prima alle Volanti, poi all’Investigativa, fino al grado di Ispettore. Negli ultimi cinque anni avevano prestato servizio allo stesso Commissariato ed erano diventati una squadra.
Quando Massimo aveva sposato Sara, una psicologa che faceva consulenze per la Polizia, Fabrizio era stato il suo testimone di nozze ed era anche il padrino del figlio più grande della coppia.
«Non avrei mai voluto darti una notizia simile» continuò Carrari. «So che avevate un legame molto forte.»
«Era un amico come pochi» ammise Fabrizio. «Non riesco a crederci…»
«Ed era un eccellente poliziotto» aggiunse il vice questore. «Ci mancherà moltissimo.»
«Sono passati quindici giorni dalla sparatoria, quindi il funerale si è già svolto, vero?»
«Una settimana fa. Ha ricevuto tutti gli onori.»
Fabrizio sospirò: «Avrei voluto poter stare vicino a Sara e ai bambini…»
«Sono stato loro accanto personalmente» assicurò Carrari, «e tutti i colleghi hanno manifestato la loro solidarietà, per quello che può servire in una situazione così tragica.»
«In quale direzione state indagando?» si informò Boni. «La Scientifica ha trovato qualche elemento?»
«Sfortunatamente non sono state trovate impronte, né bossoli, solo i proiettili che tu e Massimo avevate in corpo, più uno nel radiatore della vostra auto e altri cinque, dello stesso calibro ma di tipo diverso, conficcati in una catasta di traversine vicina al luogo dove vi abbiamo trovati. Ah, e altri due che hanno frantumato il parabrezza.»
«E i colpi che abbiamo sparato noi?»
«Risulta che tu e Massimo abbiate sparato quattro colpi ciascuno. Sono stati trovati i tuoi quattro e due di quelli di Massimo, probabilmente ha colpito uno dei malviventi.»
«Non è stato trovato nient’altro?»
«Sì, un cartoncino insanguinato, con la pubblicità di una sala giochi sulla Via Salaria.»
«Naturalmente avete analizzato il sangue…»
«Stavamo per farlo, ma la Procura ci ha tolto l’indagine» si rammaricò Carrari. «Dicono che siamo troppo coinvolti.»
«Ma non è giusto, l’indagine spetta a noi!» si adirò Fabrizio. «Dobbiamo fare qualcosa!»
«Non sei l’unico a pensarla così.»
«A chi hanno affidato l’inchiesta?»
«L’hanno assegnata al Commissariato “Adelmo Magni”. La conduce l’ispettore Luca Bernardi. È un uomo capace.»
«Sarà così, ma avrei preferito che fossero i nostri uomini a indagare.»
«Purtroppo abbiamo le mani legate.»

[continua]

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