Gocce… dalla seconda guerra mondiale

di

Graziella Orlandi


Graziella Orlandi - Gocce… dalla seconda guerra mondiale
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
12x17 - pp. 40 - Euro 7,50
ISBN 978-88-6587-5070

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In copertina: Stones for spa with water drops and chamomile © svetavo – Fotolica.com


Ispirata dalle parole dei miei “vecchietti”…
Per infondere speranza ai giovani, a chi legge…
Perché in questo periodo di crisi economica e finanziaria ci si soffermi a pensare a quanto coraggio ha avuto chi è cresciuto tra “la fame” “la paura” “il dolore” e non si è mai arreso: ha lottato per vivere “La Vita.”


Gocce… dalla seconda guerra mondiale


Dedica
Ai miei cari: i nonni, i genitori,
i figli, mia sorella,
mio marito, mia suocera,
il mio nipotino Gioele…
A tutti quelli che saranno, che avranno una
piccola parte di me nel loro D.N.A.


Pane e acqua

Il mare era silenzioso, il disco del sole non era ancora visibile ma il suo chiarore sì, lo indovinavi dietro le alte colline, mentre riuscivi appena a scorgere i gabbiani sulla riva che saltellavano rubandosi quel poco che le acque della notte avevano regalato.
A Concetta e Letizia nessuno regalava nulla. Il cibo che serviva a sfamare i loro figli non c’era.
Il piccolo della prima dormiva ancora. Stava adagiato nella chiara culla ricavata da un tronco che il mare aveva trasportato sulla duna durante una tempesta invernale.
Quel pezzo di albero dove un padre aveva pensato e visto un giaciglio per far dormire il figlio appena nato.
La grandicella di Letizia era nella stanza della suocera: la sua donnina che già a sei anni era così curiosa e assennata!
La nonna avrebbe pensato a far sì che nella giornata i piccoli non soffrissero per la fame. Avrebbe giocato con loro con le rocche dei fili, con le vele delle barchette fatte con le spanne del granoturco secco e alla fine, quando l’avessero chiesto, avrebbe tirato fuori i pochi riccioli di mais cotto, rimasti in fondo al barattolo di vetro riposto nella madia.
Letizia camminava veloce verso est, lungo la strada sterrata che costeggiava il mare e il lago, verso paesi vicini: Sabaudia, B.go Montenero.
Aveva sentito di poderi e casali dove ancora cresceva del grano. Dove la guerra qualcosa aveva risparmiato.
Letizia era bionda, alta e forte, risoluta. Aveva a cuore quella cognata giovanissima, robusta e piccolina, silenziosa e coraggiosa che nella notte gli aveva detto: “Letizia, aiutami facciamo qualcosa, cerchiamo da mangiare per i piccoli.”
Letizia aveva fatto finta di dormire, stretta verso la parete, ma prima dell’alba gli aveva bussato sulla spalla. Aveva detto: “Andiamo, porta quel pezzo di tovaglia rimasta.”
Concetta era andata sposa giovanissima. Veniva da un paese arroccato sulla montagna vicina. Dall’età di nove anni, durante la bella stagione, scendeva a valle, giù nei campi vicini alla lestra e lavorava come bracciante. Rima­neva da marzo ai primi di novembre.
Il padre, un uomo barbuto ma con gli occhi buoni, una volta la settimana scendeva con il carro e l’asino. La stringeva a sé lasciandole un fagotto con una pagnottella cotta al forno dalla madre e uno spicchio di formaggio.
Tornava al paese portandosi gli spiccioli dell’amata figlia che servivano per la sua farina, il suo formaggio e per quello dei fratellini che stavano su con la mamma.
Concetta si era innamorata subito di quel ragazzo moro e forte che si era offerto di portare la sua zappa e il suo rastrello su dal campo. Le aveva detto: “Lascia faccio io …” E aveva camminato al suo fianco lanciandole di tanto in tanto occhiate nascoste. Dopo due giorni l’aveva sorpreso mentre, dalla stalla del fattore, la guardava sistemare la sua lunga treccia a crocchia sulla testa.
Erano belli i suoi capelli castani, così lunghi da fare tre giri sulla nuca! Dopo un anno erano sposi. Concetta aveva quindici anni.
Ma adesso lui non c’era. La guerra, quella sì che c’era e se l’era portato via. Combatteva in Corsica, era bersagliere. Quel ragazzo forte era ancora più attraente con il cappello dalle piume nere e lucenti. Lucenti come le lacrime della sua sposa mentre lo abbracciava in un ultimo saluto.
Al Podere dell’Opera erano rimaste solo donne: tre cognate, quattro bambini e l’anziana suocera. Il marito di Letizia era stato “rifor­mato” per motivi di salute. Questo non l’aveva salvato. Poco dopo era stato “rastrellato” dai tedeschi, prigioniero chissà dove.
Camminavano vicine come le ruote di un solo carro. Così diverse tra loro, non parlavano ma ognuna sapeva di non essere sola. Le dune e la macchia mediterranea gettavano lunghe e fosche ombre sulla strada battuta.
Le folaghe e le oche selvatiche, lungo le sponde del lago sulla sinistra lanciavano echi striduli al primo chiarore dell’alba, ma le due non avevano paura.
Quando scorsero una luce, che veloce correva loro incontro, Letizia strattonò forte Concetta. Dopo tre metri si ritrovarono acquattate sotto i cespugli di mirto e lentisco. Sulle cosce la sabbia fredda e umida, le spine che pungevano la carne.
Il sidecar BMW passò spedito con su due soldati, borbottavano e ridevano ancora in cerca di qualcosa da portare via. Rimasero immobili fin quando non si udì più nessun motore e ancora per altri dieci minuti poi Letizia:
“Su, andiamo!”.
Il sole adesso mostrava un pezzetto del suo disco.
Le ombre erano sparite. Due ore di cammino e il mare sulla destra non c’era più e così pure il lago sulla sinistra. Al loro posto gli arbusti della macchia e i pini marittimi.
Ora a tratti la strada mostrava pezzi di asfalto. Ancora un’ora e mezza e arrivarono in vista del primo podere.
Il passo di Concetta divenne pesante. Si distanziò un poco dalla cognata.
La paura, l’angoscia e la vergogna le mettevano un macigno in mezzo al petto: che cosa avrebbe chiesto? Avrebbe letto negli occhi degli altri solo pena e disprezzo?
Letizia rallentò, con la scusa di sistemare una delle sue scarpe sformate. Riprese il passo quando l’altra la raggiunse e affondò il suo braccio magro sotto quello di lei:
“Qualcosa troveremo vedrai!”
Il viale del grande casale si apriva proprio di fronte al bosco. Sul lato della macchia c’era una grande targa in legno con scritto “Riserva. Parco naturale”.
Arrivarono davanti la casa ma non videro nessuno.
Nel cortile neanche una gallina né un’oca, non si udivano né muggiti né grugniti. Tutto era stato razziato! Le ante in legno delle finestre però erano aperte e nell’aria si percepiva un leggero odore di fumo.
All’improvviso dalla porta uscì una ragazza, poco più di una bambina. Aveva fra le mani un secchio di latta colmo d’acqua. Le vide, cacciò un urlo. Il secchio cadde a terra con un tonfo. Istantanea dietro di lei apparve un’anziana signora. Quando scorse le due giovani tirò un sospiro: “Benedette ragazze da dove venite? Den­tro! Dentro!”
Concetta sedette su di uno sgabello zoppo che era in un angolo della grande cucina, mentre Letizia prese le mani della donna le strinse e spiegò: “Veniamo dal lungomare della città! Non c’è più nulla! Abbiamo due figli!” Si girò verso la cognata che non parlò ma assentì: le sue mani tremavano un poco e i suoi occhi apparivano grandi e stanchi.
La nonna spedì la ragazza a riempire un secondo secchio d’acqua. Prese due tazze, erano di coccio ma scheggiate, l’interno come una ragnatela. Le riempì e le mise su un lato della stufa. Aprì un cassetto del tavolo, tirò fuori due pezzi di pane duro e li pose nelle tazze: “Bisogna aspettare una decina di minuti prima di mangiarlo. L’ho cotto la scorsa luna e l’ho seccato al forno per mantenerlo”.
Ora il disco del sole era alto nel cielo.
Mangiarono in silenzio, poi la donna ascoltò la loro pena e ne diede in cambio un po’ della sua. Tra loro trovarono conforto.
Il motore rombante di una jeep.
La paura che aveva solo sfiorato l’anziana donna poco prima, al rumore del secchio caduto e all’urlo della nipote, si materializzò in tutta la sua concretezza. Un attimo e due uomini in divisa erano già sulla porta: tedeschi!
Tenevano i mitra spianati e urlavano: “Die männer! Die männer!” (Uomini! Uomini!)
“Non c’è nessuno… solo noi!… Solo noi!…” Urlò la ragazzina stringendosi verso la nonna. Mentre uno teneva l’arma sempre alta, l’altro a passi veloci ispezionò la stanza accanto. Salì, dalla scala a pioli in legno, sul solaio. Volarono due colombacci e svolazzò qualche filo della poca paglia rimasta. Là dove stavano i giacigli, la donna teneva nascosto, sotto gli scarti del fieno, tra due tavole divelte del solaio, il pane seccato nella stufa, unico cibo del loro incerto futuro.
Il pane si salvò ma gli uomini continuarono a tenere sotto tiro le donne e urlavano: “Ehemän­ner!… Ehemänner!” (Mariti!… Mariti!) Tutte risposero contemporaneamente: “Pri­gionieri di guerra!…” Dalle labbra tremanti di Concetta si udì: “Combatte in Corsica…” I due militari ammutolirono improvvisamente! Il più giovane afferrò con rabbia i capelli di Concetta! La lunga treccia si snodò. Una mano la trascinò sull’aia, uno scarpone ferrato la tenne giù bocconi mentre il giovane urlava verso l’altro: “Kaputt!… Kaputt!…”
Letizia urlò: “Nooo!… Marito prigioniero!… Prigioniero!… È sola… ha diciassette anni… bambino piccolo!…” Il piede smise di spingere, il tedesco la fece alzare. Gli chiese in un italiano stentato “…Piccolo bambino?…” Concetta non aveva voce, il suo viso era cinereo ma non piangeva. Disse solo: “Bambino piccolo… lontano da qui…” Il giovane la spinse via e rivolto all’altro: “Lass uns gahen!”. (Andiamo!)
Salirono sulla jeep e spazzarono il cortile con una mitragliata, mentre le ruote stridevano sollevando polvere e sabbia bianca. Il podere tornò nel silenzio. Lontano, lo stormire spaventato degli uccelli nella macchia mediterranea.
Concetta non sapeva che in Corsica la Resistenza Italiana aveva appena inflitto forti perdite ai tedeschi. La parola “CORSICA” Per lei era stata quasi “MORTE”.
Riposarono nel fieno prima di riprendere il cammino verso casa. Partirono quasi all’imbrunire. La strada era più sicura al buio.
Concetta stringeva quel pezzo di tovaglia legata a fagotto.
Una nonna, una mamma, aveva diviso il suo pane con loro. Aveva scavato nella terra ed era tornata con due patate dolci.
Dentro un cartoccio aveva messo un bel po’ di farina grezza buona da sciogliere nell’acqua, buona come il latte delle mucche che erano state razziate, buona per sopravvivere, buona per far crescere quel figlio donatogli da Dio e da quell’uomo bruno che la guerra aveva portato via e che non sapeva se sarebbe mai tornato.
Buona come il soldato che l’aveva risparmiata, quel tedesco, padre di un figlio, che aveva trovato dentro di sé un briciolo di umanità.
Il disco del sole era nuovamente sparito!

[continua]


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