Confessione di follia

di

Ilaria Abbo


Ilaria Abbo - Confessione di follia
Collana "Le Schegge d'Oro" - I libri dei Premi - Poesia
14x20,5 - pp. 36 - Euro 7,50
ISBN 978-88-6587-3816

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In copertina fotografia di Elisa Lirussi


Pubblicazione realizzata con il contributo de IL CLUB degli autori in quanto l’opera è finalista nel concorso letterario Jacques Prévert 2013


PREFAZIONE

Perché la poesia dà piacere? Perché è confessione di follia…
La poesia riesce a dire l’ineffabile, tocca le corde più profonde ma è inafferrabile, vola via libera, sospesa tra gli opposti. È un ossimoro – appunto, lucida pazzia – è duale, ambivalente, fa parlare l’animus e l’anima, costantemente in bilico tra equilibrio e disequilibrio: si serve del linguaggio, prodotto fondamentale della razionalità umana, per leggere e tradurre ogni cosa in espressione artistica dando voce a quegli strumenti di conoscenza che eludono la ragione stessa, ovvero l’intuizione, l’emozione, la sensazione…
La poesia usa le regole per contraddirle, è libertà.
E qui Ilaria è una giovane anima che utilizza ciò che ha appreso con l’intelletto e con la frequentazione delle opere del passato – lo si avverte dagli echi letterari e dall’uso delle tecniche retoriche – per esprimere libertà ed istinto.
La sua “opera prima” pare un viaggio in un labirinto di visioni ipnotiche di fiaba e incubi grotteschi da film horror, fra sapori, odori, suoni, colori che si materializzano vividi davanti agli occhi dell’immaginazione, fin dalla prima lettura.
E viene voglia di dipingerli quei versi, di farne musica, un teatro a 3D di analogie e sinestesie che si intersecano in una festa di impressioni e stimoli…
Sono mille le immagini che rimangono incise nella mente del lettore: da quelle allusive e surreali (i fiori gialli profumati di leggerezza macinati dalle zampe di un pachiderma in Sotto un elefante) a quelle più narrative ed epiche (i popoli mediorientali senza patria alla ricerca della libertà di In fuga); dalle occasioni quotidiane (la delusione di una amicizia tradita, che ha la vena malinconica del tempo che tutto consuma in Buchi neri) alla riflessione sui grandi temi dell’esistenza, filo sottile che percorre sotterraneo ogni testo – ovunque infatti aleggia lo spettro della morte sotto forma, spesso, di un angelo nero – ma che talvolta viene a galla palesemente, come nel caso del lapidario finale di Un posto prenotato: “…l’opposto della morte è il desiderio / l’opposto della vita è l’eternità / tanto c’è un posto che ci attende dentro ogni attimo / un posto, dove nessuno ci attende”.
Altre volte è la vita contemporanea a far da protagonista, il mondo dell’immagine, della tecnologia e della plastica, con le sue ossessioni: cellulare, celluloide, cellulite… (mi permetto di divertirmi anch’io giocando con la paronomasia, come fa efficacemente l’autrice in China dolls, per descrivere con sonorità futuristiche certi ambienti finti di oggi, in cui il look è tutto). E ancora mi piace ricordare – più o meno sulla stessa tematica, o comunque sull’impossibilità di comunicare nel mondo della superficialità odierna – l’atmosfera vacua del locale notturno in Visione lunare: quel che rimane di un luogo che in un primo tempo appariva carico di promesse – antiche come cattedrali gotiche, sogni costruiti su un possibile “amore di lontano” – è ora uno spazio diafano, che è insieme vuoto interiore, un silenzio riempito soltanto dai ticchettii delle unghie frivole sulle tastiere e dai ronzii degli stessi telefonini…
Ilaria Abbo affronta anche temi scomodi e apparentemente poco lirici, come quello della malattia mentale in Fosca e in La Bella e la Bestia, dove la belva pare piuttosto un serial killer, che seziona la sua vittima tra sguardi inespressivi di bambole, che sono le sue colpe, la sua follia… Ma parla anche, semplicemente, di passione, in Fatalità elettiva, in cui un incontro amoroso è un turbinio di immagini potenti e trasudanti energia colorata e roboante. E, per finire, vorrei soffermarmi su Ombre: la magia di un appuntamento sulla banchina di un porto fra due giovani vite – lei, vestito rosso e lunghe gambe bianche… al contatto, “i granchi del desiderio salgono sopra gli scogli”… – acquista eleganza, leggerezza e profondità proprio perché descritta dal punto di vista di un vecchio pescatore stanco, che non ha perso però la voglia di nutrirsi della linfa preziosa di quelle istantanee di vita.
Bello vedere che i ragazzi non sono solo Facebook e banalità e che l’amore per i libri e le suggestioni letterarie – qui evidenti nei frequenti richiami testuali, mai gratuiti o sterilmente esibiti ma senza dubbio sentiti ed interiorizzati – costituiscono l’impulso a liberare la creatività, sono cioè ingrediente primario, ma non unico, della ricetta che conduce all’espressione della propria cifra personale.
Felice esordio poetico, quello della mia cara allieva! Mai avrei immaginato – dietro tanta riservatezza, precisione, serietà – una tale fantasia la cui ricchezza barocca appare tuttavia disciplinata da un certo gusto per l’equilibrio che viene da lontano, dall’“armonia che vince di mille secoli il silenzio” (visto che ami le citazioni, Ilaria…). Grazie per questa sorpresa!

Ines Aliprandi


Confessione di follia


Dedicato
a tutti quelli che sanno di essere
“fuori di chiave1


Alle porte dell’Inferno

In un lungo vicolo
il mio angelo nero mi attende
le sinapsi bruciano
il mio cervello è polvere bianca
In un lungo vicolo
fiotti di sangue bloccati in gola
da un gomitolo di lana
e le mura si alzano
in uno stretto vicolo …
Dov’è il mio angelo nero?
Vecchie dame con la minigonna
mi osservano
cantano l’inno nazionale
echi di voci bianche
le mura si alzano …
Dov’è la luce?
Il mio angelo nero mi tende la mano
in lontananza profumo di viole
vecchie mani mi afferrano
bambini grassi ridono
le vecchie dame spezzano il collo ai canarini
e squittiscono i topi che si mordono,
che mordono i bambini
vecchie pareti si alzano
in un vicolo buio
perdo la mano del mio angelo nero


Sotto un Elefante

Fiori gialli macinati
sotto le zampe di un elefante
profumano di leggerezza
ho perso la mano
ho perso le stelle
l’Elefante mi ha chiamato
sotto di lui…
leggerezza di liquidi lascivi
sento il dilagare della terra
protuberanze di pelle
carni su carni su carni umane
zefiro soffia, lascia scivolare via
i petali gialli
come i minuti sulla scia bianca
dell’avorio
la terra inghiotta e s’incrosta
e il cielo pesa come lava
sotto un Elefante


Visione lunare

Quando dentro una notte
si arriva sulla luna
drinks d’acqua salata si bevono
come spruzzi di profumo,
che hanno l’odore di soldi incassati
dietro pareti invisibili
Qui è tutto wi-fi
sul suolo lunare
c’è il sapore delle rape
siamo nell’Età cortese
e grandi cattedrali gotiche s’innalzano
sopra sguardi impauriti, mentre le ciglia sbattono come ali di farfalla,
sguardi attoniti sulle carte ben giocate dei cavalieri…
e piccole mani bianche con lo smalto
premono tasti
ma non c’è musica, solo ronzii di telefoni in sottofondo,
come una massa di calabroni che premono dietro un vetro,
solo le tristi note di scalini,
calpestati a passo svelto, mentre le fanciulle scendono nel sonno…
Qui non ci sono angeli
solo missili di vecchi sogni di gloria che esplodono,
si mescolano nelle vene innocenti,
d’antiche ombre stillate in piccole lacrime,
masterizzate poi, sulla cera della luna


La Bella e la Bestia2

Dentro il cofanetto del cacciatore
un cuore palpitante,
ma non è di un cervo quel cuore…
Pareti colme
di bambole di porcellana
lo sguardo fisso sotto le frangette
occhi aperti, spalancati
vuoti come il petto
e Lei al centro, nella luce offuscata dalla polvere
Lei nuda e legata
macchie di sangue tra il mosaico del pavimento freddo…
La Bestia ordina di scendere a cena
più giù, in basso
in basso
e tutto fuori è calmo, placido
tutto scorre veloce e sereno
tutto impassibile, come le nubi dense, avide di pioggia
veloce e placido
per chi non pensa
come le bambole, piene solo di merletti
tutto via, granelli d’ombra
la Bestia va via
e chiude la porta a chiave


Buchi neri

Scende la cenere stanca
dall’estremità di una sigaretta…
osservando solo colori accesi e forme nitide,
non i buchi neri del mondo…
Credendo in un’amicizia che porta i capelli biondi,
porta una lunga treccia bionda …
Pensando di percorrere una strada
unidirezionale
senza svolte o risucchi…
Ma i segreti si nascondono
come le ascelle sporche.
Ci sono buchi neri nel mondo.
Ho incontrato un’amicizia
portava occhiali verdi
sussurrava tra i banchi di scuola
sembrava un regalo a Natale
con torbida avidità di giocare
si mal celavano dietro mezzi sorrisi le scimmie stordite dalla demenza
dell’invidia.
I buchi neri si coprono,
ma arrivano i pagliacci ghignanti
di un invito negato
di verità che evaporano
come le bollicine di una birra
lasciata ore in un bicchiere,
come il gommoso sapore di un chewing-gum
masticato troppo,
come la cenere di una sigaretta finita
tutto si butta via


1 “Fuori di chiave” è un volume di versi di Luigi Pirandello del 1912.

1 Richiamo alla celebre fiaba di origine europea, riadattata più volte nel corso della sua tradizione. Le versioni più celebri sono quelle di Villeneuve (1740) e di Beaumont (1756). Vi è inoltre la versione animata della Disney (1991).


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