Storie sconosciute ai più

di

Ildo Testoni


Ildo Testoni - Storie sconosciute ai più
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14x20,5 - pp. 170 - Euro 11,00
ISBN ISBN 978-88-6587-3021

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In copertina: «Degrado delle antiche corti» fotografia di Germano Sprocatti.

All’interno fotografie dell’autore.


Presentazione di Marco Bottoni

Non chiederci la Parola.
Nelle pagine, ricche e semplici, di questo libro il lettore troverà senza fatica la risposta a una delle domande che quasi sempre (nelle interviste, nel corso delle presentazioni e purtroppo anche nei colloqui privati) si è soliti porre a uno scrittore: “Perché scrive?”
Ildo Testoni scrive per dare voce alla sua memoria, che non è solo “ricordo” e, quando lo è, non è solo “ricordo di fatti”.
Nel descrivere accadimenti, persone, ambienti e situazioni di tanti anni fa egli tramanda, anche e soprattutto, l’esistenza di sentimenti, di idee, di principi che costituiscono la chiave di lettura delle sue storie, il substrato fondamentale del suo raccontare.
Leggendo si prova, insieme all’interesse per i fatti storici, la nostalgia per le realtà che erano proprie dei tempi di allora e il lettore può fare il conto un po’ triste di ciò che oggi non c’è più materialmente (un carro trainato dai buoi, la trebbia mossa da cinghie di cuoio, gli zoccoli di legno con le borchie di ferro sulla suola) e di quello che, rispetto a quei tempi, forse oggi ci manca moralmente: la lealtà e il coraggio, lo spirito di sacrificio, la coerenza e la rettitudine, la dignità che resiste anche nella miseria, l’onestà, il rispetto dei valori, l’amore per la propria famiglia.
Anche senza nominarli esplicitamente, Ildo Testoni ci fa capire che è a questi elementi di valore che il suo ricordo si aggrappa e quasi in ogni rigo delle sue storie aleggia un sentimento di disincantata e malinconica mancanza.
Anche ora, come allora, la storia della realtà umana è scritta con le parole della eterna lotta tra il male e il bene, ma ad ascoltare Ildo Testoni, nel considerare il modo che ha di narrare i fatti, pare proprio di sentire che lui li rimpianga entrambi, per i modi che avevano di contrapporsi nelle vite dei protagonisti delle sue atorie.
Questo, nelle parole di Ildo Testoni.
Ma tu, lettore, non chiedermi la parola.
Non è dello scrittore che voglio dirti, in questa presentazione.
Piuttosto, di un uomo che ha la stessa età che avrebbe oggi mio padre, e che mi parla come se mi fosse figlio; di una persona che vive nella parte finale della sua vita gli entusiasmi che molti giovani non sanno vivere nelle fasi iniziali delle loro, di un essere che, per mezzo dello strumento della scrittura, rompe le convenzioni e le logiche temporali, facendo di tutta la sua esistenza una unica lunga e bellissima storia, da raccontare.
E, proprio per questo, da rivivere continuamente, perché per Ildo Testoni, mio “padre” per anagrafe e mio “figlio” per arte, tra “raccontare” e “vivere” ormai non c’è più nessuna differenza.

Castelmassa, Ottobre 2012


INTRODUZIONE dell’autore

Caro lettore,
nella mia intenzione la stesura di questo libro dovrebbe essere un’attività di salvataggio di alcune tessere che altrimenti sarebbero andate perdute di quel grande mosaico che è la storia, costituite come eventi e cambiamenti da tramandare ai posteri, affinché possano comprendere meglio come eravamo. È una sorta di ricognizione nel passato e apre un ventaglio di memorie e di riflessioni, offrendo anche la possibilità a coloro che hanno i capelli bianchi, di un’identificazione con loro stessi.
Nei miei ricordi, oggi vivo un profondo senso di appartenenza ad una comunità, con le sue luci e le sue ombre, per cui ho sentito come un dovere descrivere un periodo storico, oggi dimenticato, mediante la narrazione di storie sconosciute ai più che si mischiano con il cammino della Storia stessa. Solo conservando la memoria del passato si potrà andare incontro al futuro ad occhi aperti. Diceva il grande Cesare Pavese: “Un popolo si spegne quando non ha più senso vitale del suo passato”. Qui provo a mettere insieme varie reminiscenze, sperando di riuscire a comporre un’immagine leggibile di memoria.
Se i primi cinquant’anni del 1900 possono essere ricordati per il rallentamento di ogni progresso umano e civile a causa delle due grandi guerre mondiali, non altrettanto lento può essere considerato l’evolversi di comportamenti, abitudini e tendenze – premessa di conquiste sociali importanti – che avranno il loro sviluppo a partire dalla fine degli anni Cinquanta.
Le prime avvisaglie si notano nell’universo femminile. Per secoli considerata inferiore all’uomo e, pertanto, succube dello stesso, la donna comincia in questo periodo a trovare momenti di resistenza e ribellione ad una considerazione anche avvilente. Le tragedie dell’aborto clandestino, i drammi legati alla vita delle ragazze incinte, sedotte e abbandonate, che venivano additate come donne di poca virtù e disonore della loro famiglia, erano spesso lasciate in balia di energumeni senza pietà e scrupoli, terrorizzate anche dalla pressione psicologica del paese, che si regolava ancora secondo concezioni arcaiche dell’onore della donna.
L’aspetto economico del matrimonio indissolubile e l’angoscia di un padre che vide donne senza scrupoli godere il frutto del suo sudore; i risvolti di una legge e l’umiliazione di amici di idee politiche diverse sono fatti di cronaca che invitano a meditare sul travaglio interiore che certi individui sono costretti a subire durante la loro vita. L’imprevedibile è la prima angoscia umana. Tutte le ingiustizie e le sofferenze di questa terra derivano dal fatto che i ricordi e le esperienze non hanno modo di essere trasmesse.
Quando la fiducia è mal riposta nei dirigenti di un’istituzione: è la storia di due giovani consiglieri di un caseificio che furono presi in giro da un disonesto ed è l’emblema di migliaia di altre storie anche più grandi e contemporanee.
Quando il fanatismo s’immedesima nella storia e l’illusione politica di un attivista che vede il fallimento delle sue idee politiche, alle quali aveva dedicato tutta la vita, è storia piccola e grande contemporaneamente.
Anche da una disgrazia sorgono spesso motivi di divisione e l’angoscia di un padre colpito da un grande dolore per la morte accidentale di un figlio, che si vede costretto a portarlo a casa morto dall’ospedale racchiuso in un sacco, è emblematico della miseria del primissimo dopoguerra.
L’iniziativa privata che è stata la molla del progresso, nonostante fosse aborrita dal comunismo, tra i fedeli della stessa ideologia ha trovato terreno fertile, ma non si è sottratta dal mostrare gli aspetti negativi della stessa. Narro qui di tre attivisti comunisti che al momento di valutare i loro interessi economici privati, hanno rinnegato la loro ideologia, dividendosi tra contrasti e litigi.
E narro pure della disonestà a cui può giungere un individuo quando fa del denaro e degli interessi gli unici idoli della sua vita, incurante del male che fa al prossimo.
In un campo di concentramento nazista la miseria e la fame non furono uguali per tutti. Due compaesani assieme nel tradimento dell’uno verso l’altro: colui che, avvantaggiato per la conoscenza del tedesco, s’impossessava dei viveri che i famigliari dell’altro mandavano con immani sacrifici e si sfamava godendo di lasciare l’altro compaesano, legittimo destinatario del cibo, nella fame più nera.
Alla vigliaccheria, in un altro fatto di guerra, si contrappone la solidarietà vera. In un naufragio nel tragitto che da Napoli portava in Libia, un soldato di Bergantino venne salvato da uno sconosciuto commilitone, mai più rintracciato nonostante innumerevoli ricerche.
Un fatto privato ma rappresentativo della società civile, è quello in cui narro della prepotenza e conseguente dimostrazione di grande ignoranza, in cui un marito si scatena contro la moglie impossibilitata a portare a termine la gravidanza, proprio nel momento in cui sarebbe stato necessario aiutarla con il conforto della speranza.
Quando nel secondo dopoguerra, a causa della grande disoccupazione, prese avvio il progetto “imponibile di manodopera”, certi agricoltori rifiutarono di attenersi all’obbligo. Alla fine dell’annata questi disobbedienti si sono visti costretti, dall’Ufficio di Collocamento, a pagare tutte le giornate imposte, con relativi contributi. Anche qui si può dire che non vi è nulla di nuovo sotto il sole…
In tempi successivi, ma non troppo, dalla benemerita Scuola d’Arte di Castelmassa sono usciti quei bravi artigiani che, mettendo in pratica quanto imparato a scuola, hanno creato le condizioni dello sviluppo artigianale di Melara, dando luogo ad occupazione e progresso. Ne parlo con soddisfazione.
Infine, alcune considerazioni importanti.
Il degrado ambientale e ogni devastazione della bellezza di un luogo sono fatalmente accompagnati, come ognuno sa, dal degrado umano in tutte le sue forme. Già da anni la nostra Nazione, “Giardino d’Europa”, è minacciata con velocità esponenziale nella sua bellezza. La natura è sempre stata amica dell’uomo, se è violentata, prima o poi si vendica e, purtroppo, assistiamo sempre più spesso a queste vendette, che ci costano assai care.
E ancora, le conseguenze della guerra a danno dei civili inermi sotto l’occupazione nazista. Per poter mandare un’ammalata all’ospedale distante una decina di chilometri, ci volle l’abnegazione e il coraggio di un cognato temerario che, in collaborazione con un soldato tedesco e che per questo poteva essere condannato per alto tradimento, riuscì a impossessarsi di quel tanto di benzina che servì allo scopo.
Fin dagli anni dell’infanzia e dell’adolescenza ho avuto la sfortuna di aver conosciuto il peggio della storia del Novecento. Ho visto cambiamenti che sembravano impensabili solo pochi anni prima e ritengo che sia errato ripetere che il passato era migliore del presente e, probabilmente, del futuro. Dobbiamo convincerci che ogni epoca porta con sé qualità e difetti sotto vesti diverse, ma che ciò che è strettamente connesso con l’essere umano cambia solo la veste esteriore. Per cui, raccontare eventi passati è stato per me un dovere di solidarietà verso quelli che verranno, senza dimenticare che se i fatti e gli eventi storici non si scrivono, sono inevitabilmente condannati alla mortificazione dell’oblio e sarebbe un grave torto per le eroiche generazioni che ci hanno preceduto. In un’epoca come la nostra in cui tutto scorre velocemente, un tributo alla memoria mi pare si imponesse; in fondo “tutto cambia, ma tutto resta uguale”.
E, preciso, tutto ciò che ho scritto e raccontato l’ho fatto con l’orgoglio di aver riportato la verità.

Ildo Testoni


Storie sconosciute ai più


QUANDO GLI EVENTI MORTIFICANO L’ORGOGLIO

Questa storia invita a meditare sul travaglio interiore che assilla certi individui, i quali non accettano la realtà e l’amarezza delle delusioni.
Si era alla fine degli anni Trenta, prima dell’inizio della seconda guerra mondiale. La società del tempo, sull’onda del fascismo imperante, era caratterizzata dalla supremazia assoluta dell’uomo; le donne, sottomesse, erano costrette a soffrire in silenzio.
Una donna, bella oltre che intelligente ed estremamente sensibile, nel clima in cui si viveva, dovette subire le conseguenze del maschilismo becero e ignorante. Ella si era innamorata di uno dei ragazzi più belli del paese, una sorta di simbolo della virilità, ma dietro alla bella presenza nascondeva preconcetti e ignoranza. Egli, vedendosi un Adone, aveva uno profondo senso di superiorità. E, nonostante la ragazza, innamorata, fosse stata avvisata da amici e parenti che l’uomo di cui si fidava non era la persona adatta a lei, non tenne conto dei consigli. “Al cuore non si comanda” dice un vecchio proverbio. Tra l’altro, i due giovani formavano anche una bella coppia che si faceva ammirare quando la domenica passeggiavano lungo il viale del paese, come si usava allora. La ricerca della felicità è sempre stata la massima aspirazione degli esseri umani e tutti la cerchiamo e la troviamo, soprattutto, nell’amore corrisposto.
I nostri fidanzati ne sembravano l’immagine e mostravano la loro felicità in tutte le circostanze: nei divertimenti e nelle compagnie, ovunque si presentassero. Ma lei, con la frequentazione, si accorse che per andare d’accordo non bisognava contraddire il suo “lui”; quando, nelle discussioni faceva emergere la sua presunta superiorità, lei non doveva intervenire. Questi erano i primi sintomi di una sottomissione completa. Fu in quelle circostanze che si accorse della validità del detto: “Voce di popolo è voce di Dio”, anche perché la gente, conoscendoli, esprimeva dubbi sul loro futuro insieme.
Ma la ragazza era troppo innamorata e sopportava tutto in silenzio. Dopo un anno di fidanzamento si sposarono ed appartenendo entrambi a famiglie umili, fecero una festa semplice: dopo il rito in chiesa, un piccolo rinfresco. Indi, si recarono in viaggio di nozze a Verona, da un parente dello sposo, intenzionati a vedere un’opera lirica nell’Arena, come avevano programmato da fidanzati. Dopo la partenza degli sposi, una malalingua disse, fra gli invitati: “Se la sposa si sottometterà al marito sarà un matrimonio felice, altrimenti avranno una vita difficile!”. Queste parole furono criticate dai parenti della sposa perché ritenevano non fosse quella la circostanza per fare simili previsioni che, inoltre, assomigliavano molto a una maldicenza.
Dopo alcuni mesi, fra l’euforia di entrambi, la sposa si accorse di aspettare un bambino. Quando tutto va secondo il nostro intento e viene raggiunto l’obiettivo sperato, esplode dentro di noi l’esultanza. Nei primi mesi di gestazione la sposa era solita ripetere al marito e alle amiche: “Mai avrei pensato che nella vita esistesse così tanta felicità!” Se la sposa era euforica, non di meno lo era il marito che metteva ancor più in evidenza nella società e sul lavoro il suo complesso di superiorità. E quando la moglie doveva sbrigare qualche lavoro, era sempre ligio ad aiutarla, risparmiandole pesi e fatiche, non tanto per lei quanto per valorizzare il suo orgoglio di diventare padre.
Ma quando si è troppo felici, vi è sempre dietro l’angolo l’imprevisto di eventi drammatici ed angoscianti, che possono rovinare persino la salute e, ingiustamente, la convivenza.
Un triste giorno il marito, mentre era sul lavoro, fu preso da tristi presentimenti, tanto che la sua tristezza fu notata anche dai suoi compagni. “Stamattina hai lasciato la lingua a casa?” gli chiesero sorridendo. L’uomo rispose: “Stanotte ho fatto un brutto sogno. Mi trovavo in mezzo a un bosco e non trovavo la via d’uscita, mentre ero inseguito e beccato da civette e cornacchie!”. Quella sera, mentre la moglie si apprestava a preparare la cena, fu presa da doglie fitte e, chiamato urgentemente il medico, questi diagnosticò che stava per perdere il bambino e la fece ricoverare subito in ospedale.
Nonostante ciò, la notte stessa avvenne l’aborto spontaneo. Fu come un fulmine a ciel sereno per gli sposi che con tanta gioia aspettavano il lieto evento, ma chi ne soffrì di più fu l’uomo, anche perché il ginecologo sospettava una insufficienza renale della moglie e si raccomandò, pertanto, molto seriamente, di aspettare che la donna fosse ben ristabilita prima di metterla di nuovo incinta. Per gli sposi fu l’inizio di un calvario.
Il marito, impaziente di diventare padre e di essere come gli altri uomini, seguendo la sua ignoranza non rispettò i tempi e, prematuramente, mise di nuovo la moglie incinta. Purtroppo, anche questa volta le speranze furono deluse perché si verificò un secondo aborto spontaneo. Allora il ginecologo trattenne la donna all’ospedale più a lungo del previsto per accertamenti e constatò che la causa dei problemi non erano malattie ai reni, ma altre complicazioni. La donna aveva bisogno di un intervento urgente per salvarle addirittura la vita. Purtroppo, sarebbe diventata sterile.
Quella diagnosi fu per entrambi gli sposi come una mazzata in testa e quel dramma, capitato loro così all’improvviso, fu l’inizio della rovina della loro esistenza. La spaccatura tra realtà e desiderio crea sofferenza perché, a volte, nella vita i sogni più vagheggiati sono quelli che non si realizzano e nulla è peggiore di una delusione.
Ora, in quella dolorosa circostanza avrebbe dovuto essere la sposa a trovarsi in uno stato patologico di depressione per la perdita di due creature e l’impossibilità di provare le gioie della maternità, invece fu il marito, narcisista, presuntuoso e arrogante, che non accettò quel verdetto. Per lui non poter diventare padre era come subire una sconfitta: avendo sempre quella smania di apparire ed emergere nella società, si sentiva ferito nel suo orgoglio virile. Ben lungi dall’aver compreso che nella vita il valore delle proprie aspirazioni deve superare di gran lunga il peso delle disillusioni e del dolore, invece di fare coraggio alla moglie nei suoi riguardi non ebbe né compassione né comprensione. Si chiuse in un mutismo dolente e se pur non proferiva parole che potessero umiliarla, con quel suo comportamento la faceva soffrire come se fosse colpevole di qualcosa. Per cui, si venne a creare una situazione drammatica tra la più bella coppia del paese, di cui tutti erano testimoni. La povera donna doveva fare i conti con l’ostinazione e l’orgoglio del marito, per cui era ostaggio di una opprimente solitudine che quotidianamente l’angustiava. Tuttavia con la sua grande fede, di fronte al dramma trovava la forza di tirare avanti. Uno scrittore ha detto: “Solitudine non è essere soli, è amare gli altri inutilmente!”. Infatti l’uomo, così triste e taciturno sembrava ormai ignorare la moglie. La certezza di aver perso ogni speranza di paternità lo lacerava interiormente e non riusciva in alcun modo a superare tale stato. Egli, nel suo egocentrismo non poteva comprendere che l’amore, quello vero, nasce dalla reciprocità, perché solo nella reciprocità vi è quella vera uguaglianza che serve ad affrontare insieme le traversie della vita.
Dice un proverbio cinese: “Fra tutte le ruggini, la più corrosiva è l’ignoranza”. Infatti lui, con la sua mentalità, aveva sempre considerato la donna un essere inferiore, solo un oggetto a uso e consumo, in tutti i sensi, per l’uomo. Per cui, nella situazione in cui era piombato all’improvviso, oltre a essere continuamente triste in casa, era anche svogliato sul lavoro che ormai era divenuto come una routine solo per quotidiana abitudine al vivere, senza slanci o sentimenti vivi. Ormai i rapporti affettivi con la moglie avevano il sapore amaro dell’inquietudine. La vera disgrazia di un uomo è chiudersi nella sua sofferenza, pensando continuamente al proprio dolore. Il suo brutto comportamento non gli faceva capire che anche i sogni irrealizzati fanno parte di noi e l’importante è non restarne prigionieri perdendo il contatto con la realtà.
E il dramma della moglie, la vera protagonista di tanta tristezza e dolore? Ella doveva superare due prove tremende: la prima era la sua personale sofferenza per la mancata maternità e la seconda convivere con un marito crucciato e sconfortato che, psicologicamente, giorno dopo giorno, approfondiva la sua frustrazione. L’atteggiamento della donna nei suoi confronti era ammirevole: cercava in tutti i modi di fargli coraggio, ma invano. Il sorriso del marito era solo di facciata, dentro non riusciva a rassegnarsi.
La moglie si sfogava con le amiche parlando dei problemi che coinvolgevano lei e il marito, con quel comportamento irragionevole per il quale non riusciva ad accettare la mancanza di paternità. Il dramma dell’amica stimolava spontaneamente nelle donne un sentimento di compassione per il suo brutto destino e ritenevano il comportamento del marito sbagliato e fuori posto. Ma era soprattutto in chiesa che la donna non riusciva a trattenere le lacrime e quel pianto, accompagnato dalla preghiera, le dava conforto e coraggio per tirare avanti. Senza fede la vita è un dramma, soprattutto quando si ha un carico di sofferenze da sopportare.
Il paese è piccolo e la gente cominciava a mormorare, le lacrime della donna e la tristezza dell’uomo cominciarono a fare notizia. A volte sembra che l’opinione pubblica nel parlare delle disgrazie del prossimo trovi quasi un diversivo piacevole. Appare spesso evidente come dalle sofferenze degli altri molti ne traggano godimento, basta seguire le cronache quotidiane. Le donne erano solite dire: “Lei era pur stata avvisata che sposava solo la bellezza dell’uomo, in contrasto con la sua sensibilità e purtroppo ora ne paga le conseguenze!”.
Anche i genitori erano, ovviamente, coinvolti nel dramma dei giovani sposi e ne soffrivano enormemente. Specialmente la madre di lei che era solita ripetere al genero: “Se nella vita non si fa buon viso a cattiva sorte, sarai sempre un frustrato infelice. Se vuoi vivere bene cerca di rassegnarti. La sofferenza e il dolore fanno parte del mistero della vita. Vogliatevi bene come prima, questi sono i destini della vita. Non devi mai perdere l’amore che aiuta le persone anche nelle situazioni più disperate, dando loro la forza di trovare la speranza e la voglia di andare avanti”. A quelle parole, il genero non era del tutto insensibile. A volte aveva uno spiraglio di comprensione e si comportava meglio che poteva con la moglie, cercando di ingoiare i crucci e di trattarla con il sorriso. E quello gli faceva ricordare quando erano felici. Nelle brutte circostanze della vita i dolori, le traversie non devono cancellare i momenti belli dell’esistenza, che aiutano a superare le sofferenze e i disagi. Ma, per l’uomo, era sorto un altro grande problema: doveva affrontare la cattiveria della società. Ormai in paese il suo grande dolore era ben noto a tutti e quando incontrava coloro che si erano sposati contemporaneamente a lui, specialmente le donne con i loro bambini, il dolore tornava ad attanagliarlo. Se poi qualcuno diceva: “Mio figlio sta cominciando a camminare”; oppure: “Comincia a dire ‘mamma’ e ‘papà’”, egli non riusciva a mantenersi gentile, facendo gli auguri e congratulandosi, perché gli occhi gli si riempivano di lacrime e doveva andarsene. Per la prima volta nella vita si sentiva inferiore agli altri. E anche quando al bar o sul lavoro certi sciocchi facevano allusioni strizzandosi l’occhio, non riusciva a reagire sorridendo, ma ripiombava nella sofferenza e aumentava sempre più la tensione del suo desiderio inappagato, che era come una tortura continua. Tutto questo lo privava della gioia di vivere e, a volte purtroppo gli impediva anche di fare ciò che avrebbe voluto.
La Bibbia stessa dice: “Un cuore allegro è una buona medicina, ma uno spirito abbattuto inaridisce le ossa!”. Ormai sulle spalle dell’uomo gravava la delusione e l’amarezza della vita. Ben presto tornò ad essere la persona infelice di prima. Quando una persona perde il controllo, tutto quello che vi è di ignobile in lei salta fuori. La sua ignoranza non gli dava pace e nel suo io era arrivato al punto di odiare la moglie e imprecava perché in Italia non esisteva il divorzio e non poteva liberarsene.
Dopo tre anni di questo tormento, per la povera moglie altri guai seri arrivarono e contribuirono ancora di più ad aggravare la sua esistenza. Al dolore psichico si era aggiunto anche quello fisico. Il male che l’aveva resa sterile si era ripresentato e cominciava a darle altre grandi sofferenze. A quei tempi la medicina non aveva fatto i passi dei nostri giorni, era ancora ai primordi e quando vi erano diagnosi nefaste si sapeva che, repentinamente, portavano i pazienti alla tomba.
Quando i medici avvisarono il marito di tutto ciò, solo in quella circostanza fu colpito dal rimorso di coscienza per averla umiliata da innocente. Un essere umano, per stolto che sia, non può rimanere insensibile ed indifferente di fronte a una situazione simile ed egli si adoperò in tutti i modi per assisterla e incoraggiarla amorevolmente. Stando accanto alla moglie, se pur tardivamente, le ridiede il sorriso dei primi mesi di matrimonio, quando erano spensierati e felici. Ma in paese le malelingue dicevano: “Ora fa la parte dell’attore, ma interiormente sarà contento di liberarsene e passata la burrasca sposerà un’altra donna e potrà finalmente realizzare il suo grande sogno di diventare padre!”.
La povera donna anche nell’ultimo periodo della sua vita soffrì le pene dell’inferno. Il male le procurava dolori così lancinanti che i suoi lamenti e pianti commuovevano i medici e gli altri pazienti dell’ospedale. La morfina, che era l’unico calmante del tempo, non faceva ormai più il suo effetto. La madre, straziata dal dolore vedendo le sofferenze della figlia, diceva: “Solo la morte per lei, ormai, è la liberatrice di tutto. Prima era infelice per il comportamento del marito che l’umiliava nel suo più grande dolore e ora è uno strazio continuo. Speriamo che la morte arrivi presto e che nell’Aldilà finalmente goda la pace e la felicità che non ha goduto su questa terra”.
Di fronte al dolore degli innocenti mi sovviene una frase di una scrittrice: “Signore, so che tu hai un disegno che noi non possiamo conoscere, ma non posso pensare che tutto sia casuale. Sarebbe troppo crudele e inutile”. Negli ultimi giorni di vita, la donna ripeté al marito una frase che avevano sentito al cinema, perché la trama del film aveva affinità con le loro traversie. Il film era “Nozze di sangue” ed era interpretato da Luisa Ferida, Fosco Giachetti e altri. Prima di morire la protagonista diceva al marito: “Nonostante il dramma che abbiamo incontrato nella nostra vita, sappi che ti ho sempre tanto amato!”.
Dopo alcuni giorni, fra tante insopportabili sofferenze, la poverina spirò e in quella angosciosa circostanza il marito non si dava pace, tanto che i presenti non riuscirono a calmarne i singhiozzi. Forse anche per lui era arrivato il pentimento del suo comportamento, ma era troppo tardi.
Vedendo lo strazio del marito, le amiche della defunta mormoravano sottovoce: “Queste sono lacrime di coccodrillo; doveva comportarsi da uomo intelligente e comprensivo quando era in vita. Invece, il vero martirio per la poverina è stata la sua vita resa insopportabile dal comportamento di costui. Per cui non dobbiamo compiangere la nostra amica da morta, ma da viva, per il suo brutto destino!”. E ancora: “Quest’uomo, ritenendosi sempre al di sopra degli altri, come potrà camminare a testa alta in paese, sapendo di essere sulla bocca di tutti?”. Insomma, pur nel suo pianto, l’uomo non destava particolare compassione fra i veri amici della donna morta.
Di fronte a questo fatto mi sovvengono alcune riflessioni. Non bisogna mai demoralizzarsi e perdere fiducia in sé stessi e quando si smetterà di lottare di fronte ai sogni irrealizzati, la sfiducia prenderà il sopravvento, la vita perderà il suo senso e gli individui si abbandoneranno al vuoto, perdendo la gioia di vivere. E come non sottolineare la condizione femminile che ha sempre avuto migliaia di vittime di cui la Storia non parlerà mai? Le donne sono sempre state la parte fragile dell’umanità nel confronto con il maschilismo che ha imperversato per secoli a volte anche con violenza e crudeltà. E che, forse, lo sta ancora facendo.

[continua]


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